Come è noto dal 6/10/2012 è entrato in vigore il DM 161 del 10/08/2012 in cui sono indicati i termini perché le terre e rocce di scavo derivanti dalla realizzazione di opere siano considerate sottoprodotti anziché rifiuti.
All'art. 1 si elenca, tra i materiali di scavo: "residui di lavorazioni di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un'opera e non contenenti sostanze pericolose (quali ad esempio flocculanti con acrilamide o poliacrilamide)."
Che significa questa inclusione? Gli opifici di lavorazione secondaria dei lapidei potranno evitare di portare in discarica fanghi e limi derivanti dalla segagione di tali materiali naturali (di solito contaminati in lieve misura da metalli di usura o da prodotti chimici)?
Di certo sarebbe facilmente tollerabile, anzi auspicabile, se questi limi tornassero nella stessa cava da cui sono stati originati, per lavori di "ritombamento" degli scavi o quantomeno di progressiva risistemazione ambientale del sito estrattivo. Ma in altri siti (ad esempio cave dismesse o fondi su cui è in corso una risistemazione agraria)?
Ciò che mi lascia perplesso è che un regolamento che dovrebbe regolare la realizzazione di "progetti" con limiti temporali ben definiti (prorogabili ma sempre collegati alla realizzazione di una singola opera), possa applicarsi ad un'attività industriale di tipo continuativo senza scadenze temporali, come quella appunto della lavorazione secondaria dei lapidei.
Il DM 161/2012 cosa ha cambiato realmente sulle regole di trattamento dei rifiuti dei lapidei? Quali principi legislativi sono effettivamente applicabili?
DM 161/2012 su residui lavorazione lapidei
Re: DM 161/2012 su residui lavorazione lapidei
condivido le tue perplessità, si tratta di un evidente cortese omaggio al settore dei lapidei