Ambientopoli veneta(prima parte)
Inviato: 14 luglio 2018, 18:45
Da Leonia di Italo Calvino
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
PREMESSA
La Legge Regionale del Veneto nr. 14 del 6 giugno 2017 e la Delibera della Giunta Regionale che da applicazione al dettato dell’articolo 4 della legge (“misure di programmazione e di controllo sul contenimento del consumo di suolo”) sono provvedimenti che vanno impugnati per la loro “incostituzionalità” (art.9, art.41, art.42 della Costituzione), perché perpetuano nei “criteri” e nelle “modalità” il consumo di suolo che si prefiggono di contenere. Le vicende urbanistiche degli ultimi 40 anni, che hanno visto (una competenza concorrente, art. 117 della Costituzione) un “governo regionale del territorio” “dispendioso” in termini di “risorse naturali e ambientali” e le misure “ossimoro” contenute nella recente legge e nelle sue disposizioni applicative, determinano la “necessità di un intervento dello Stato” (art. 117 lettera s: “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali”), a salvaguardia di una “risorsa non rinnovabile” (dilapidata e che si continua a dilapidare) che in questa Regione rischia di non poter erogare alla collettività livelli minimi dei suoi “servizi ecosistemici”: il suolo.
Le conseguenze del “malgoverno del territorio” si manifestano talora in modo “drammatico” ( come le frequenti proclamazioni dello stato di emergenza e di calamità naturali) e “diffuso” in luoghi diversi e a più riprese nei territori di una Regione “iper-urbanizzata”: inquinamento delle falde, sparizione di habitat e di biodiversità, sottrazione di sovranità alimentare e monocolture intensive, frane, allagamenti, inquinamento dell’aria, bombe d’acqua, ondate di calore, ecc.
Il “consumo di suolo” è diventato un “problema ambientale” grazie alle dimensioni assunte dal processo di “artificializzazione” e “impermeabilizzazione” avvenuto in quasi 40 anni e che la legge regionale, come vedremo, accentua, sia nella quantità di futura “artificializzazione” consentita, sia nella previsione impressionante “multi-deroghe” all’arresto del consumo di suolo, che vanifica lo scopo della legislazione in materia.
Va ricordato come il suolo sia lo strato superficiale della terra, una pellicola fragile, dove vivono miliardi di creature viventi: il 25% della “biodiversità” sta nei primi 40 cm. di questa fragile pellicola che avvolge la terra.
L’illegittimità Costituzionale della legge regionale nr. 14 del 6 giugno 2017 risiede nel suo inappropriato “approccio metodologico”, con una catena impressionante di deroghe, e “contenutistico”, perché ignora il peso e la rilevanza, nel territorio veneto, della “quantità di suolo già sottratta” alle sue funzioni ecosistemiche.
La grave responsabilità della politica veneta, per la perdita diffusa dei “servizi ecosistemici del suolo”, risiede nell’avere ignorato il valore di una risorsa non rinnovabile attraverso una consolidata e reiterata azione amministrativa ultradecennale che ha assunto, a livello culturale prima che politico, l’ assioma: consumo di suolo=sviluppo. Questo deficit culturale da parte di sindaci e amministratori nell’approccio “contro-natura” ai temi dello sviluppo è una colpa grave. Chi si candida a gestire il bene comune deve possedere un livello di conoscenze più approfondito rispetto ad un semplice cittadino, un livello di conoscenze che lo guidi nell’operare per il bene della collettività e che gli consenta di indicare, ai cittadini che rappresenta, una via sostenibile per il raggiungimento del benessere presente e futuro. Un requisito essenziale per chi si trova a gestire pezzi di potere amministrativo è il senso di “responsabilità” nell’uso e cura di “risorse fondamentali per la vita” delle popolazioni: aria, acqua, suolo. Con questo documento invoco un’azione forte, anche di tipo giudiziario, per richiamare le istituzioni al rispetto degli articoli della Costituzione, che sono stati pensati anche a difesa di un bene che ha un “valore ecologico universale”: il suolo. Il suolo è il teatro delle diverse forme di vita umana, animale e vegetale, dei cicli bio-geo-chimici naturali che rendono possibile una “vita sana” sulla terra. Seuna forma di “analfabetismo scientifico e culturale” sul valore ecologico di questi beni comuni è intollerabile e inquina il senso civico di cittadini-consumatori distratti, gli “atti amministrativi e legislativi” che determinano la perdita irreversibile o la contrazione della disponibilità di tali beni comuni si configurano come dei veri e propri “crimini ambientali”. In Veneto è stata fatta una legge per il contenimento del consumo di suolo completamente “decontestualizzata”: non si è tenuto conto, colpevolmente, di dati oggettivi, urbanistici e sociologici, di comparazioni obbligate con altre Regioni e/o Nazioni più lungimiranti, della mole volumetrica e di superficie inutilizzata, della mole infrastrutturale stradale e ferroviaria già presente sul territorio, dei costi diretti e indiretti conseguenza della perdita di suolo fertile, insomma, si è fatta una legge come se il Veneto avesse una percentuale di suolo consumato uguale alla media europea (4,5%).
EVIDENZE SCIENTIFICHE, EMERGENZE AMBIENTALI E CLIMATICHE
Il primo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale, realizzato dal Comitato per il Capitale Naturale (2017), ha posto in evidenza significativi avanzamenti nelle statistiche geo-referenziate del consumo di suolo in Italia (inteso come copertura artificiale del suolo) e nella valutazione degli impatti del consumo di suolo su diversi tipi di servizi eco-sistemici, “essenziali” per la “vita biologica” sul pianeta. In una Regione che vanta, secondo il Rapporto Ispra, edizione 2017, il triste primato di una cementificazione al 12,21% del proprio territorio, contro una media italiana di consumo di suolo del 7,6% ed europea del 4,5%, è già in atto una pre-crisi ecologica, i cui effetti, se non si agisce con rigore e tempestività, possono portare alla perdita della sovranità alimentare, a fenomeni meteorologici e climatici disastrosi, disgregazione culturale e sociale di intere comunità, oltre a desertificazione e perdita di biodiversità e di paesaggio.
Il suolo è lo strato superiore della crosta terrestre costituito da “componenti minerali organici”, “acqua”, “aria” e organismi viventi: non è un corpo morto, uno strato inerte senza vitalità. Il suolo rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera (il 25% di tutta la biodiversità sta nei primi 40 cm. di suolo). Il suolo non cementificato è la sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche” che rendono possibili:
essenziali cicli vitali per la vita sulla terra (ciclo dell’acqua, la fotosintesi, l’impollinazione, il ciclo del carbonio, del potassio, dell’azoto, del fosforo);
essenziali cicli vitali per il mantenimento di habitat necessari a tutti gli esseri viventi: persone, animali, piante;
l’accumulazione, il filtraggio e la depurazione dell’acqua nelle falde;
la produzione di materie prime, sostanza organica e biomasse;
la fornitura di cibo;
il controllo dell’erosione e la limitazione del dissesto idrogeologico originato dall’opera dell’uomo che, consumando suolo senza ragione, viola i limiti biofisici dei sistemi naturali del nostro pianeta;
la limitazione della concentrazione dei gas serra in atmosfera, assorbendo CO2 e altri inquinanti;
il soddisfacimento del “bisogno” di benessere, di bellezza, di spiritualità, di cultura, di arte, degli uomini che accettano di essere parte della natura.
In Veneto la perdita emorragica di suolo sta già producendo effetti sull’ambiente e lo si può constatate nei rapporti annuali dell’Ispra, che contengono “dati statistici oggettivi” di rilevante e preoccupante “taglio scientifico” circa gli effetti indotti da un “eccessivo consumo di suolo”, anche se, nella loro fredda elencazione, non possono fornire agli osservatori una “evidenza plastica” del grave deterioramento dell’Ambiente e del paesaggio veneto. In Veneto la caratteristica saliente del suolo, la sua “pluri-funzionalità ecosistemica”, sta venendo meno, compromettendo il ciclo dell’acqua, del carbonio, il principio della “sovranità e sicurezza alimentare”, il mantenimento degli habitat e della biodiversità, proprio nel mentre nuove e drammatiche emergenze ambientali imporrebbero a cittadini e amministratori della cosa pubblica un cambio radicale e netto del modello economico di sviluppo, che limiti le emissioni in atmosfera ( risorsa “aria”), l’uso sconsiderato della risorsa “acqua” e della risorsa “suolo”. Le evidenze scientifiche dimostrano la pluri-funzionalità ecosistemica del suolo e il suo ruolo decisivo nel contrastare le emergenze ambientali e climatiche che assillano il Pianeta. A titolo esemplificativo è utile sapere che:
o a un aumento di 20 ettari di suolo urbanizzato per chilometro quadrato corrisponde un aumento di 0,6 gradi della temperatura superficiale;
o nei primi 30 cm. di un suolo agricolo si accumulano 60 tonnellate di carbonio per ettaro (in un suolo urbanizzato zero);
o un ettaro non urbanizzato trattiene fino a 3,8 milioni di litri d’acqua.
L’arresto del consumo di suolo, quindi, si pone, nella Regione Veneto, come l’obiettivo più urgente da perseguire da parte di cittadini e amministratori a tutela dell’integrità del ciclo biochimico su cui si fonda la vita sul pianeta: terra, aria, sole, acqua.
DATI STATISTICI E MONITORAGGIO SUL CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA E NEL VENETO
Il rapporto Ispra, edizione 2016, stimava il costo per il “sistema paese Italia”, imputabile al suolo consumato dal 2012 al 2015 e dovuto alla mancata erogazione dei servizi ecosistemici, pari a una cifra che varia tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro (36.000-55.000 € per ogni ettaro di suolo consumato).
Nella ripartizione dei costi pesa per il 51% la “mancata produzione agricola”, per il 18% il “mancato stoccaggio del carbonio”, per il 15% la “mancata protezione dall’erosione”, per il 12% la “mancata infiltrazione dell’acqua” e a seguire: la “mancata produzione legnosa”, la “mancata purificazione dell’acqua”, la “riduzione dell’impollinazione”, la “mancata rimozione di particolato e ozono”, la “mancata regolazione del microclima”.
In Veneto la capacità del suolo di immagazzinare acqua è diminuita dal 2012 al 2015 di 2,4 milioni di metri cubi. Sempre in Veneto tra il 2012 e il 2015 la perdita di 1400 ettari di suolo ha generato costi occulti per una cifra pari a 137 milioni di euro, conseguenza della necessità di riparare la mancata fornitura “gratuita” dei servizi ecosistemici del suolo consumato. La quantificazione dei costi occulti, determinati dal consumo di suolo, assegnava 52 milioni di euro per la provincia di Treviso ( che maggiormente aveva aumentato, nel periodo considerato, la superficie impermeabilizzata), 27 milioni per la provincia di Venezia, 26 milioni per la provincia di Vicenza, 13 milioni per la provincia di Verona, 14 milioni per la provincia di Padova e importi più contenuti per le province di Belluno e Rovigo.
Il rapporto Ispra, edizione 2017, ha preso in considerazione il consumo di suolo avvenuto in Veneto nel solo periodo Novembre 2015-Luglio 2016, pari a 557 ettari, con un ritmo di 0,27 metri quadrati al secondo. Emergono dei dati sconvolgenti sull’entita’ del suolo consumato in Veneto e sulla inadeguatezza della legge regionale veneta per porre un freno al processo di dilapidazione di una risorsa non rinnovabile preziosa come l’aria che respiriamo:
o il consumo di suolo più elevato e superiore a 100 ettari nel periodo Novembre 2015-Luglio 2016 si è registrato nelle provincie di Treviso e Vicenza per la costruzione della Superstrada Pedemontana Veneta ( Altivole ha sacrificato 27 ettari, Riese Pio X ha sacrificato 29 ettari);
o il costo sociale, agricolo e ambientale della Superstrada Pedemontana Veneta è pari a 800 ettari
( al netto delle opere complementari);
o 240 comuni su 540 sono sopra il 15% di suolo consumato e, fra questi, ben 23 comuni sono oltre il 30% (Padova 49,2%, Treviso 39,7, Venezia 45,1, Vicenza 31,8, Noventa Padovana 43,9%, Spinea 42,8%).
A fronte di una media nazionale di consumo di suolo del 7,6% alcune provincie venete presentano percentuali di suolo consumato preoccupanti:
Padova 19%
Treviso 16,8% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 20,2%)
Verona 13,5% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 17,5%)
Vicenza 13,1% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 23,2%)
Il consumo di suolo in Veneto, sempre nel periodo considerato (Novembre 2015-Luglio 2016), ha ridotto I volumi d’acqua immagazzinabili di quasi 1 milione di metri cubi. Il consumo di suolo in Veneto è stato ed è, anche nella legge che dovrebbe contrastarlo, il prezzo che politici, amministratori e imprenditori stanno facendo pagare alle future generazioni. Il benessere e lo sviluppo creato dal cosiddetto “Miracolo del Nord Est” è figlio di:
• una “MONOCULTURA IPER-PRODUTTIVA” che ha visto proliferare zone produttive ad ogni campanile di paese, borgo o frazione;
• una “MONOCULTURA INFRA-STRUTTURALE STRADALE” che ha marginalizzato pesantemente le tratte ferroviarie e le arterie stradali esistenti;
• una “DISPERSIONE INSEDIATIVA “ senza una logica pianificatoria ambientale integrata fra i comuni.
Tali fenomeni hanno ridotto sensibilmente la Superficie Agricola Utilizzata in Veneto. Tale riduzione della S.A.U., oltre che limitare la funzione ecosistemica della produzione di cibo e allontanare il raggiungimento dell’obiettivo della sovranità alimentare, sta producendo un ulteriore danno ambientale e sanitario legato ad una monocoltura che ha monopolizzato la “campagna residua”: la “MONOCOLTURA DEL PROSECCO”. Infatti, il consumo di suolo in Veneto, oltre ad accentuare il dissesto idrogeologico, alterare il ciclo dell’acqua (con la terribile alternanza: siccità e bombe d’acqua) e non contrastare la presenza degli inquinanti nell’atmosfera (Pm2,5, Pm 10, CO2, OZONO, NO2, SO2), ha anche “indotto” e “incentivato” una coltivazione intensiva della S.A.U.(Superficie Agricola Utilizzata) risparmiata dalla cementificazione. La riduzione dei terreni agricoli, oltre a compromettere la biodiversità, spinge in modo insano gli operatori a ricercare l’aumento della resa per ettaro attraverso l’uso abnorme di pesticidi e fitofarmaci di sintesi che, nella monocoltura del Prosecco, ormai diffusa in tutta la Regione, sta creando problemi sanitari gravissimi a carico di larghe fette di popolazione.
LA LEGGE NR.14 DEL 6 GIUGNO 2017 VA IMPUGNATA PER LA SUA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE: VIOLA L’ART.9 L’ART. 41 L’ART.42 DELLA COSTITUZIONE
Al “punto di non ritorno” a cui si è giunti in Veneto una legislazione che voglia realmente contrastare il consumo di suolo deve essere “rigorosa” e prevedere una “strategia integrata”, che metta in relazione nel tempo e nello spazio gli “elementi antropici”, contenendoli, e gli “elementi naturali”, salvaguardandoli, scongiurando gli effetti irreversibili di una urbanizzazione disordinata e diffusa. In una Regione dove il suolo risulta così drasticamente ridotto è il “rigore morale, politico e amministrativo” , che determina l’efficacia della legge e la sua stessa “coerenza” con la carta costituzionale. La legge veneta si prefigge un semplice “contenimento del consumo di suolo” e non il suo arresto, così facendo, non solo non centra il bersaglio, ma diventa un ossimoro, perché certifica e garantisce, come vedremo, “ulteriore consumo” in una realtà già gravemente compromessa. I dati allarmanti sono contenuti nell’allegato B della stessa Delibera di Giunta in applicazione della Legge nr. 14 del 6 giugno 2017 dove la Carta Copertura del Suolo (CCS) della Regione Veneto, alla scala 1:10000 di elevato dettaglio geometrico e accuratezza tematica, composta da 174 Classi e basata su una classificazione del territorio secondo quanto indicato dal progetto europeo CORINE Land Cover relativa all’anno 2012 (sei anni fa!) certifica una superficie urbanizzata pari a 259.064 ettari, il 14,06% del territorio regionale (superiore al dato Ispra 12,21%). A questo dato, già estremamente indicativo del depauperamento della risorsa “suolo”, sottostimato se pensiamo che risale al 2012, si affianca un altro dato, sempre contenuto nell’allegato B della Delibera della Giunta Regionale: il Veneto, su una superficie di 1.841.283 ettari ha 566.500 ettari di montagna (30,76%) e 82.255 ettari (4,46%) di superficie acquea. Questi numeri non rappresentano solo i dati statistici di una rilevante pressione antropica (“residenziale” e “produttiva”) e “infrastrutturale”, diventano indicatori statistici e scientifici del pesante degrado di un intero ecosistema regionale, che può implodere perché privato delle funzioni “ecosistemiche” di una risorsa non rinnovabile perduta per sempre.
L’illegittimità costituzionale della legge risiede in un approccio politico-amministrativo superficiale, che rimuove completamente il peso enorme del suolo già consumato.
Censimento obbligatorio e riutilizzo dell’esistente prima di procedere a nuove artificializzazioni.
Dopo premesse condivisibili non c’è nella legge il primo passo sostanziale e propedeutico per evitare eventuale ulteriore consumo di suolo: il censimento obbligatorio da parte dei comuni degli edifici inutilizzati e il loro riutilizzo prima di procedere a nuove costruzioni. Su scala nazionale (dati Ispra) ci sono 7 milioni di abitazioni non utilizzate, settecentomila capannoni dismessi, cinquecentomila negozi definitivamente chiusi. Nella sola provincia di Treviso, ad esempio, ci sono 8076 edifici inutilizzati e 1940 capannoni dismessi. Una legge adeguata a far fronte con efficacia a nuovo consumo di suolo deve fornire ai comuni indicazioni chiare per rivedere anche le previsioni, presenti nei piani urbanistici già approvati, di nuove edificazioni. Come suggerisce Paolo Pileri, docente di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, bisogna “fermare il consumo di suolo per alcuni anni, così da reimpiegare e recuperare i volumi esistenti che diversamente non verrebbero ripristinati se permangono continuamente occasioni più profittevoli di urbanizzazione”.
Lo sbilanciamento tra l’entità (statistica e scientificamente dimostrata) del “degrado ambientale ecosistemico” dell’intero territorio regionale legato al consumo di suolo e le pallide misure contenute nella legge non permette la tutela dell’ambiente (art. 9 della Costituzione) e fa venire meno la funzione sociale dell’attività economica e produttiva, pubblica e privata (art. 41 e 42 della Costituzione). Nella Delibera di Giunta, allegato B, si richiamano due azioni contrapposte: da un lato si fa riferimento con rassegnazione e sospetto fatalismo allo “stato di fatto” della pianificazione, urbanistica e paesaggistica e dall’altro si invoca una programmazione territoriale basata sulla sicurezza del territorio e dell’ambiente, sulla conservazione delle biodiversità e la salvaguardia del paesaggio. L’unica limitazione allo “stato di fatto della pianificazione, urbanistica e paesaggistica dei Comuni” viene operata grazie all’applicazione dell’art. 13, comma 1, lett. f della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” che ha dimostrato la “sovrastima dei dati sulla Superficie Territoriale edificabile ipotizzata dai singoli Comuni rispetto alla Superficie Agricola Utilizzata Trasformabile. I comuni, in sostanza, primi responsabili dell’abnorme consumo di suolo in Veneto, nello “stato di fatto” dei loro Piani di Assetto del Territorio avevano previsto suolo agricolo trasformabile in suolo edificabile in percentuali superiori a quelle previste dalla Legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004. Tralasciando lo scenario apocalittico che ne deriverebbe, se assecondata questa fame edificatoria dei comuni, la Delibera di Giunta, pur recependo lo stop indotto dalla Legge n. 11 del 23 aprile 2004 definisce questa eccedenza edificatoria, presente nello stato di fatto della pianificazione dei comuni, una dotazione di riserva da poter spendere in occasione della verifica quinquennale sull’ applicazione della legge per il contenimento del consumo di suolo. Anacronistico e paradossale è il richiamo del legislatore veneto al fatto che, anche consumando eventualmente tutti i 21323 ettari previsti dalla assurda e irresponsabile “pianificazione urbanistica di fatto” dei Comuni, si raggiungerebbe lo “zero consumo di suolo” nel 2050. Il legislatore veneto, viene meno alla propria funzione di guida e indirizzo, negando la “compromissione ecosistemica” già in atto nel territorio veneto legata al consumo di suolo e non prende atto responsabilmente come la Regione abbia già il 14,2% di suolo consumato (al lordo del 30,76% di zone montuose e il 4,46% di superfici acquee), rispetto alla media italiana di consumo di suolo del 7,6% ed europea del 4,5%.
Le deroghe, gli artifizi semantici della legge, la mancanza di rigore amministrativo.
L’architrave, la struttura portante della legge veneta per il contenimento del consumo di suolo è la DEROGA. Oltre a “non prevedere” per alcuni anni una “moratoria nel consumo di nuovo suolo” e il “censimento obbligatorio degli edifici dismessi” la legge introduce una serie di casi e di situazioni in cui l’edificazione e lo sfruttamento del suolo non vengono considerati consumo di suolo. I 400 ettari all’anno per 32 anni (fino al 2050) che possono trasformarsi, in occasione della verifica quinquennale prevista dalla legge, in 665 ettari tengono conto in modo estensivo e licenzioso dello “stato di fatto” della pianificazione territoriale e urbanistica e di diverse situazioni in cui il consumo di suolo non concorre a raggiungere il plafond annuo di 400 ettari:
1. Durante il breve periodo di moratoria intercorso tra l'entrata in vigore della legge (giugno 2017) e la delibera della Giunta (novembre 2017), si poteva edificare nella misura del 30% della capacità edificatoria assegnata al PAT o dal Piano Regolatore (violando lo scopo di una brevissima moratoria).
2. È stata consentita l’introduzione da parte dei Comuni nei piani territoriali ed urbanistici di nuove previsioni che comportano consumo di suolo: bastava semplicemente, alla data di entrata in vigore della legge, aver solo “formalmente” avviato la procedura di formazione del piano (anche se non ancora approvato e deliberato).
3. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, relativamente ai “titoli edilizi”, bastava semplicemente aver presentato allo sportello unico la domanda di permesso di costruire (anche se non ancora rilasciati).
4. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, relativamente ai piani urbanistici attuativi, bastava la semplice presentazione al comune della proposta corredata degli elaborati necessari (anche se non ancora approvati).
5. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge sono stati fatti salvi gli accordi tra soggetti pubblici e privati per i quali sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la semplice “dichiarazione di interesse pubblico”.
6. Vengono considerati, in deroga alla limitazione del consumo di suolo, i piani di assetto del territorio (PAT) già adottati alla data di entrata in vigore della legge.
7. Sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della legge, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”.
8. Gli interventi di riqualificazione urbana, edilizia ed ambientale possono beneficiare di premi volumetrici e di superficie negli “ambiti di urbanizzazione consolidata” e “zone limitrofe” in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
9. Gli ampliamenti per le attività produttive previsti dalle “procedure urbanistiche semplificate di sportello unico” possono consumare nuovo suolo in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
10. Gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo possono prevedere nuovo consumo di suolo in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
11. Le attività di cava possono derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
12. Il consumo di suolo, se avviene secondo la fattispecie prevista dalla legge regionale del “Piano Casa”, può derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
13. Gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) possono derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
14. La legge, ancor prima di deliberare con apposito provvedimento della Giunta la quantità massima di suolo consumabile si è preoccupata di stabilire che la realizzazione di “infrastrutture ed opere pubbliche” non venga considerata consumo di suolo.
15. La legge, ancor prima di deliberare con apposito provvedimento della Giunta, la quantità massima di suolo consumabile ha stabilito che gli interventi relativi ai “sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale” non concorrono al raggiungimento della quantità massima di suolo consumabile.
È evidentissima, palese, quasi soffocante, la pletora di “deroghe”, di “eccezioni”, di “accomodamenti” spesso mascherati dietro termini ambigui, rarefatti, incomprensibili, uno su tutti: “ambito di urbanizzazione consolidata”, un tempo chiamato “tessuto urbano consolidato”.
Mancano due requisiti sostanziali: il “rigore amministrativo” e il “ coraggio politico”. È il “rigore” che determina l’efficacia delle “misure a contrasto del consumo di suolo” e la “coerenza” delle stesse con gli articoli della Costituzione, requisiti che solo una seria “moratoria” proclamata ad inizio della legislatura regionale (2015) e un “censimento obbligatorio” degli edifici inutilizzati potevano garantire ad una legge adeguata allo scopo. L’annuncio, nel 2015, dell’attuale maggioranza che governa il Veneto, di emanare una legge per il contenimento del consumo di suolo ha invece accelerato la scellerata follia edificatoria dei Comuni, tradotta in una pianificazione edificatoria di ben 33.547 ettari di Superficie Agricola Utilizzata, di cui 12.224 già trasformati. Tale pianificazione edificatoria, folle e ingiustificata, di ulteriori 21323 ettari oltre ai 12224 già sottratti alla S.A.U., dettata dalla mancanza di “consapevolezza” sul valore di una risorsa non rinnovabile ed essenziale alla vita sul Pianeta (come l’acqua e il sole), si è scontrata, solo per il momento, con la previsione dell’art. 13, comma 1, lett.f) della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” che così recita: “ il Piano di assetto del territorio (PAT), redatto sulla base di previsioni decennali, fissa gli obiettivi e le condizioni degli interventi e delle trasformazioni ammissibili e determina il limite quantitativo massimo della “zona agricola trasformabile” in zone con “destinazione diversa da quella agricola”, avendo riguardo al rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC), secondo le modalità indicate nel provvedimento di cui all’ art. 50, comma 1, lett. c); tale limite può essere derogato previa autorizzazione della Giunta regionale.” I comuni, infatti, nella loro disperata e insana corsa alla cementificazione prima del sopraggiungere di provvedimenti che ne limitassero l’espansione, avevano finito per superare, nelle loro pianificazioni edificatorie, il limite quantitativo massimo della “zona agricola trasformabile” in zone con “destinazione diversa da quella agricola”, senza avere alcun riguardo al rapporto tra la “superficie agricola utilizzata” (SAU) e la “superficie territoriale comunale” come previsto appunto dall’art.13, comma 1 lett. f della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004. Grazie alla evidente e “assurda sovrastima” della pianificazione edificatoria ad opera dei comuni la Regione ha dovuto applicare la norma della legge nr. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” abbassando a 12793 ettari, anziché 21323, la quantità massima di consumo di suolo ammessa nel Veneto, ma specificando nella delibera che tale nuovo limite è da intendersi “in una fase di prima applicazione”, perché la Giunta può sempre, sia in sede di monitoraggio quinquennale, previsto dalle legge sul consumo di suolo, sia nelle determinazioni decennali, previste dalla legge nr. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, variare a piacimento tale limite. In sostanza, la Giunta si riserva di modificare la quantità massima, attualmente prevista dalla legge nr.11 del 2004, della “Superficie Agricola Utilizzata” trasformabile in “destinazioni diverse da quella agricola” e quindi di autorizzare il consumo anche degli 8530 ettari residui ( 21323 meno 12793), che in una fase di prima applicazione vengono congelati e definiti in modo estremamente infelice: una riserva di suolo consumabile. Se i 400 ettari all’anno da qui al 2050 (che corrispondono ai 12793 ettari previsti dalla delibera di Giunta), con tutte le innumerevoli deroghe formali, burocratiche, sostanziali non fossero sufficienti a sfamare l’avidità della rendita finanziaria e speculativa, la Giunta si riserva il potere di portarli a 665 ettari l’anno ( assorbendo gli 8530 ettari rimasti fuori dalle limitazioni attualmente previste dalla legge sul governo del territorio) assecondando per intero il consumo di 33547 ettari inizialmente richiesto dai comuni. L’ossimoro (assieme alla filosofia urbanistica della deroga) è il leitmotiv della legge se si giunge a definire “riserva” non il “suolo fertile” ma il “suolo consumabile”: la visione antropocentrica ha capovolto i termini della nostra relazione con la natura, che diventa solo oggetto di predazione egoistica e irresponsabile. Tutto questo si materializza dopo che la stessa Delibera di Giunta ammette che “ nella Regione del Veneto le aree ad alto valore naturalistico occupano il 32% della S.A.U., un valore decisamente inferiore a quello medio nazionale (51,3%). Parallelamente, anche la quota S.A.U. interessata dalle classi di maggior valore naturale con un valore del 9% risulta inferiore a quella media stimata a livello nazionale (16%). Su una legge sfacciatamente ambigua e incoerente non si è acceso alcun dibattito e si è dato spazio ad una narrazione superficiale, pigra e spesso autocelebrativa da parte dei media e delle forze politiche. Dopo delle premesse che ammettono una “rilevante pressione antropica e infrastrutturale” e il bisogno di pensare “alla sicurezza del territorio e dell’ambiente, alla conservazione delle biodiversità e la salvaguardia del paesaggio” la Giunta, attraverso un procedimento fumoso e furbescamente semplicistico, determina la quantità massima di suolo consumabile, da qui al 2050, in 400 ettari all’anno, escludendo una serie impressionante di tipologie di consumo di suolo ed escludendo, sul piano formale e burocratico, dalla contabilità del suolo consumato progetti edificatori appena, appena dichiarati e non deliberati alla data di entrata in vigore della legge. La Giunta, anche dopo una falsa limitazione del consumo di suolo, si tiene le mani libere per poter perseverare nel suo “piano contro l’ambiente veneto”, infatti, la cosiddetta dotazione di riserva ( 8530 ettari), in sede di verifica “quinquennale” prevista dalla “legge sul suolo” e di verifica “decennale” prevista dalla “legge per il governo del territorio”, può sempre rientrare dalla finestra, portando a 665 ettari all’anno il suolo consumabile da qui al 2050.
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
PREMESSA
La Legge Regionale del Veneto nr. 14 del 6 giugno 2017 e la Delibera della Giunta Regionale che da applicazione al dettato dell’articolo 4 della legge (“misure di programmazione e di controllo sul contenimento del consumo di suolo”) sono provvedimenti che vanno impugnati per la loro “incostituzionalità” (art.9, art.41, art.42 della Costituzione), perché perpetuano nei “criteri” e nelle “modalità” il consumo di suolo che si prefiggono di contenere. Le vicende urbanistiche degli ultimi 40 anni, che hanno visto (una competenza concorrente, art. 117 della Costituzione) un “governo regionale del territorio” “dispendioso” in termini di “risorse naturali e ambientali” e le misure “ossimoro” contenute nella recente legge e nelle sue disposizioni applicative, determinano la “necessità di un intervento dello Stato” (art. 117 lettera s: “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, dei beni culturali”), a salvaguardia di una “risorsa non rinnovabile” (dilapidata e che si continua a dilapidare) che in questa Regione rischia di non poter erogare alla collettività livelli minimi dei suoi “servizi ecosistemici”: il suolo.
Le conseguenze del “malgoverno del territorio” si manifestano talora in modo “drammatico” ( come le frequenti proclamazioni dello stato di emergenza e di calamità naturali) e “diffuso” in luoghi diversi e a più riprese nei territori di una Regione “iper-urbanizzata”: inquinamento delle falde, sparizione di habitat e di biodiversità, sottrazione di sovranità alimentare e monocolture intensive, frane, allagamenti, inquinamento dell’aria, bombe d’acqua, ondate di calore, ecc.
Il “consumo di suolo” è diventato un “problema ambientale” grazie alle dimensioni assunte dal processo di “artificializzazione” e “impermeabilizzazione” avvenuto in quasi 40 anni e che la legge regionale, come vedremo, accentua, sia nella quantità di futura “artificializzazione” consentita, sia nella previsione impressionante “multi-deroghe” all’arresto del consumo di suolo, che vanifica lo scopo della legislazione in materia.
Va ricordato come il suolo sia lo strato superficiale della terra, una pellicola fragile, dove vivono miliardi di creature viventi: il 25% della “biodiversità” sta nei primi 40 cm. di questa fragile pellicola che avvolge la terra.
L’illegittimità Costituzionale della legge regionale nr. 14 del 6 giugno 2017 risiede nel suo inappropriato “approccio metodologico”, con una catena impressionante di deroghe, e “contenutistico”, perché ignora il peso e la rilevanza, nel territorio veneto, della “quantità di suolo già sottratta” alle sue funzioni ecosistemiche.
La grave responsabilità della politica veneta, per la perdita diffusa dei “servizi ecosistemici del suolo”, risiede nell’avere ignorato il valore di una risorsa non rinnovabile attraverso una consolidata e reiterata azione amministrativa ultradecennale che ha assunto, a livello culturale prima che politico, l’ assioma: consumo di suolo=sviluppo. Questo deficit culturale da parte di sindaci e amministratori nell’approccio “contro-natura” ai temi dello sviluppo è una colpa grave. Chi si candida a gestire il bene comune deve possedere un livello di conoscenze più approfondito rispetto ad un semplice cittadino, un livello di conoscenze che lo guidi nell’operare per il bene della collettività e che gli consenta di indicare, ai cittadini che rappresenta, una via sostenibile per il raggiungimento del benessere presente e futuro. Un requisito essenziale per chi si trova a gestire pezzi di potere amministrativo è il senso di “responsabilità” nell’uso e cura di “risorse fondamentali per la vita” delle popolazioni: aria, acqua, suolo. Con questo documento invoco un’azione forte, anche di tipo giudiziario, per richiamare le istituzioni al rispetto degli articoli della Costituzione, che sono stati pensati anche a difesa di un bene che ha un “valore ecologico universale”: il suolo. Il suolo è il teatro delle diverse forme di vita umana, animale e vegetale, dei cicli bio-geo-chimici naturali che rendono possibile una “vita sana” sulla terra. Seuna forma di “analfabetismo scientifico e culturale” sul valore ecologico di questi beni comuni è intollerabile e inquina il senso civico di cittadini-consumatori distratti, gli “atti amministrativi e legislativi” che determinano la perdita irreversibile o la contrazione della disponibilità di tali beni comuni si configurano come dei veri e propri “crimini ambientali”. In Veneto è stata fatta una legge per il contenimento del consumo di suolo completamente “decontestualizzata”: non si è tenuto conto, colpevolmente, di dati oggettivi, urbanistici e sociologici, di comparazioni obbligate con altre Regioni e/o Nazioni più lungimiranti, della mole volumetrica e di superficie inutilizzata, della mole infrastrutturale stradale e ferroviaria già presente sul territorio, dei costi diretti e indiretti conseguenza della perdita di suolo fertile, insomma, si è fatta una legge come se il Veneto avesse una percentuale di suolo consumato uguale alla media europea (4,5%).
EVIDENZE SCIENTIFICHE, EMERGENZE AMBIENTALI E CLIMATICHE
Il primo Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale, realizzato dal Comitato per il Capitale Naturale (2017), ha posto in evidenza significativi avanzamenti nelle statistiche geo-referenziate del consumo di suolo in Italia (inteso come copertura artificiale del suolo) e nella valutazione degli impatti del consumo di suolo su diversi tipi di servizi eco-sistemici, “essenziali” per la “vita biologica” sul pianeta. In una Regione che vanta, secondo il Rapporto Ispra, edizione 2017, il triste primato di una cementificazione al 12,21% del proprio territorio, contro una media italiana di consumo di suolo del 7,6% ed europea del 4,5%, è già in atto una pre-crisi ecologica, i cui effetti, se non si agisce con rigore e tempestività, possono portare alla perdita della sovranità alimentare, a fenomeni meteorologici e climatici disastrosi, disgregazione culturale e sociale di intere comunità, oltre a desertificazione e perdita di biodiversità e di paesaggio.
Il suolo è lo strato superiore della crosta terrestre costituito da “componenti minerali organici”, “acqua”, “aria” e organismi viventi: non è un corpo morto, uno strato inerte senza vitalità. Il suolo rappresenta l’interfaccia tra terra, aria e acqua e ospita gran parte della biosfera (il 25% di tutta la biodiversità sta nei primi 40 cm. di suolo). Il suolo non cementificato è la sede di importanti reazioni “bio-geo-chimiche” che rendono possibili:
essenziali cicli vitali per la vita sulla terra (ciclo dell’acqua, la fotosintesi, l’impollinazione, il ciclo del carbonio, del potassio, dell’azoto, del fosforo);
essenziali cicli vitali per il mantenimento di habitat necessari a tutti gli esseri viventi: persone, animali, piante;
l’accumulazione, il filtraggio e la depurazione dell’acqua nelle falde;
la produzione di materie prime, sostanza organica e biomasse;
la fornitura di cibo;
il controllo dell’erosione e la limitazione del dissesto idrogeologico originato dall’opera dell’uomo che, consumando suolo senza ragione, viola i limiti biofisici dei sistemi naturali del nostro pianeta;
la limitazione della concentrazione dei gas serra in atmosfera, assorbendo CO2 e altri inquinanti;
il soddisfacimento del “bisogno” di benessere, di bellezza, di spiritualità, di cultura, di arte, degli uomini che accettano di essere parte della natura.
In Veneto la perdita emorragica di suolo sta già producendo effetti sull’ambiente e lo si può constatate nei rapporti annuali dell’Ispra, che contengono “dati statistici oggettivi” di rilevante e preoccupante “taglio scientifico” circa gli effetti indotti da un “eccessivo consumo di suolo”, anche se, nella loro fredda elencazione, non possono fornire agli osservatori una “evidenza plastica” del grave deterioramento dell’Ambiente e del paesaggio veneto. In Veneto la caratteristica saliente del suolo, la sua “pluri-funzionalità ecosistemica”, sta venendo meno, compromettendo il ciclo dell’acqua, del carbonio, il principio della “sovranità e sicurezza alimentare”, il mantenimento degli habitat e della biodiversità, proprio nel mentre nuove e drammatiche emergenze ambientali imporrebbero a cittadini e amministratori della cosa pubblica un cambio radicale e netto del modello economico di sviluppo, che limiti le emissioni in atmosfera ( risorsa “aria”), l’uso sconsiderato della risorsa “acqua” e della risorsa “suolo”. Le evidenze scientifiche dimostrano la pluri-funzionalità ecosistemica del suolo e il suo ruolo decisivo nel contrastare le emergenze ambientali e climatiche che assillano il Pianeta. A titolo esemplificativo è utile sapere che:
o a un aumento di 20 ettari di suolo urbanizzato per chilometro quadrato corrisponde un aumento di 0,6 gradi della temperatura superficiale;
o nei primi 30 cm. di un suolo agricolo si accumulano 60 tonnellate di carbonio per ettaro (in un suolo urbanizzato zero);
o un ettaro non urbanizzato trattiene fino a 3,8 milioni di litri d’acqua.
L’arresto del consumo di suolo, quindi, si pone, nella Regione Veneto, come l’obiettivo più urgente da perseguire da parte di cittadini e amministratori a tutela dell’integrità del ciclo biochimico su cui si fonda la vita sul pianeta: terra, aria, sole, acqua.
DATI STATISTICI E MONITORAGGIO SUL CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA E NEL VENETO
Il rapporto Ispra, edizione 2016, stimava il costo per il “sistema paese Italia”, imputabile al suolo consumato dal 2012 al 2015 e dovuto alla mancata erogazione dei servizi ecosistemici, pari a una cifra che varia tra i 538,3 e gli 824,5 milioni di euro (36.000-55.000 € per ogni ettaro di suolo consumato).
Nella ripartizione dei costi pesa per il 51% la “mancata produzione agricola”, per il 18% il “mancato stoccaggio del carbonio”, per il 15% la “mancata protezione dall’erosione”, per il 12% la “mancata infiltrazione dell’acqua” e a seguire: la “mancata produzione legnosa”, la “mancata purificazione dell’acqua”, la “riduzione dell’impollinazione”, la “mancata rimozione di particolato e ozono”, la “mancata regolazione del microclima”.
In Veneto la capacità del suolo di immagazzinare acqua è diminuita dal 2012 al 2015 di 2,4 milioni di metri cubi. Sempre in Veneto tra il 2012 e il 2015 la perdita di 1400 ettari di suolo ha generato costi occulti per una cifra pari a 137 milioni di euro, conseguenza della necessità di riparare la mancata fornitura “gratuita” dei servizi ecosistemici del suolo consumato. La quantificazione dei costi occulti, determinati dal consumo di suolo, assegnava 52 milioni di euro per la provincia di Treviso ( che maggiormente aveva aumentato, nel periodo considerato, la superficie impermeabilizzata), 27 milioni per la provincia di Venezia, 26 milioni per la provincia di Vicenza, 13 milioni per la provincia di Verona, 14 milioni per la provincia di Padova e importi più contenuti per le province di Belluno e Rovigo.
Il rapporto Ispra, edizione 2017, ha preso in considerazione il consumo di suolo avvenuto in Veneto nel solo periodo Novembre 2015-Luglio 2016, pari a 557 ettari, con un ritmo di 0,27 metri quadrati al secondo. Emergono dei dati sconvolgenti sull’entita’ del suolo consumato in Veneto e sulla inadeguatezza della legge regionale veneta per porre un freno al processo di dilapidazione di una risorsa non rinnovabile preziosa come l’aria che respiriamo:
o il consumo di suolo più elevato e superiore a 100 ettari nel periodo Novembre 2015-Luglio 2016 si è registrato nelle provincie di Treviso e Vicenza per la costruzione della Superstrada Pedemontana Veneta ( Altivole ha sacrificato 27 ettari, Riese Pio X ha sacrificato 29 ettari);
o il costo sociale, agricolo e ambientale della Superstrada Pedemontana Veneta è pari a 800 ettari
( al netto delle opere complementari);
o 240 comuni su 540 sono sopra il 15% di suolo consumato e, fra questi, ben 23 comuni sono oltre il 30% (Padova 49,2%, Treviso 39,7, Venezia 45,1, Vicenza 31,8, Noventa Padovana 43,9%, Spinea 42,8%).
A fronte di una media nazionale di consumo di suolo del 7,6% alcune provincie venete presentano percentuali di suolo consumato preoccupanti:
Padova 19%
Treviso 16,8% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 20,2%)
Verona 13,5% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 17,5%)
Vicenza 13,1% (escludendo il territorio montuoso la percentuale sale al 23,2%)
Il consumo di suolo in Veneto, sempre nel periodo considerato (Novembre 2015-Luglio 2016), ha ridotto I volumi d’acqua immagazzinabili di quasi 1 milione di metri cubi. Il consumo di suolo in Veneto è stato ed è, anche nella legge che dovrebbe contrastarlo, il prezzo che politici, amministratori e imprenditori stanno facendo pagare alle future generazioni. Il benessere e lo sviluppo creato dal cosiddetto “Miracolo del Nord Est” è figlio di:
• una “MONOCULTURA IPER-PRODUTTIVA” che ha visto proliferare zone produttive ad ogni campanile di paese, borgo o frazione;
• una “MONOCULTURA INFRA-STRUTTURALE STRADALE” che ha marginalizzato pesantemente le tratte ferroviarie e le arterie stradali esistenti;
• una “DISPERSIONE INSEDIATIVA “ senza una logica pianificatoria ambientale integrata fra i comuni.
Tali fenomeni hanno ridotto sensibilmente la Superficie Agricola Utilizzata in Veneto. Tale riduzione della S.A.U., oltre che limitare la funzione ecosistemica della produzione di cibo e allontanare il raggiungimento dell’obiettivo della sovranità alimentare, sta producendo un ulteriore danno ambientale e sanitario legato ad una monocoltura che ha monopolizzato la “campagna residua”: la “MONOCOLTURA DEL PROSECCO”. Infatti, il consumo di suolo in Veneto, oltre ad accentuare il dissesto idrogeologico, alterare il ciclo dell’acqua (con la terribile alternanza: siccità e bombe d’acqua) e non contrastare la presenza degli inquinanti nell’atmosfera (Pm2,5, Pm 10, CO2, OZONO, NO2, SO2), ha anche “indotto” e “incentivato” una coltivazione intensiva della S.A.U.(Superficie Agricola Utilizzata) risparmiata dalla cementificazione. La riduzione dei terreni agricoli, oltre a compromettere la biodiversità, spinge in modo insano gli operatori a ricercare l’aumento della resa per ettaro attraverso l’uso abnorme di pesticidi e fitofarmaci di sintesi che, nella monocoltura del Prosecco, ormai diffusa in tutta la Regione, sta creando problemi sanitari gravissimi a carico di larghe fette di popolazione.
LA LEGGE NR.14 DEL 6 GIUGNO 2017 VA IMPUGNATA PER LA SUA ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE: VIOLA L’ART.9 L’ART. 41 L’ART.42 DELLA COSTITUZIONE
Al “punto di non ritorno” a cui si è giunti in Veneto una legislazione che voglia realmente contrastare il consumo di suolo deve essere “rigorosa” e prevedere una “strategia integrata”, che metta in relazione nel tempo e nello spazio gli “elementi antropici”, contenendoli, e gli “elementi naturali”, salvaguardandoli, scongiurando gli effetti irreversibili di una urbanizzazione disordinata e diffusa. In una Regione dove il suolo risulta così drasticamente ridotto è il “rigore morale, politico e amministrativo” , che determina l’efficacia della legge e la sua stessa “coerenza” con la carta costituzionale. La legge veneta si prefigge un semplice “contenimento del consumo di suolo” e non il suo arresto, così facendo, non solo non centra il bersaglio, ma diventa un ossimoro, perché certifica e garantisce, come vedremo, “ulteriore consumo” in una realtà già gravemente compromessa. I dati allarmanti sono contenuti nell’allegato B della stessa Delibera di Giunta in applicazione della Legge nr. 14 del 6 giugno 2017 dove la Carta Copertura del Suolo (CCS) della Regione Veneto, alla scala 1:10000 di elevato dettaglio geometrico e accuratezza tematica, composta da 174 Classi e basata su una classificazione del territorio secondo quanto indicato dal progetto europeo CORINE Land Cover relativa all’anno 2012 (sei anni fa!) certifica una superficie urbanizzata pari a 259.064 ettari, il 14,06% del territorio regionale (superiore al dato Ispra 12,21%). A questo dato, già estremamente indicativo del depauperamento della risorsa “suolo”, sottostimato se pensiamo che risale al 2012, si affianca un altro dato, sempre contenuto nell’allegato B della Delibera della Giunta Regionale: il Veneto, su una superficie di 1.841.283 ettari ha 566.500 ettari di montagna (30,76%) e 82.255 ettari (4,46%) di superficie acquea. Questi numeri non rappresentano solo i dati statistici di una rilevante pressione antropica (“residenziale” e “produttiva”) e “infrastrutturale”, diventano indicatori statistici e scientifici del pesante degrado di un intero ecosistema regionale, che può implodere perché privato delle funzioni “ecosistemiche” di una risorsa non rinnovabile perduta per sempre.
L’illegittimità costituzionale della legge risiede in un approccio politico-amministrativo superficiale, che rimuove completamente il peso enorme del suolo già consumato.
Censimento obbligatorio e riutilizzo dell’esistente prima di procedere a nuove artificializzazioni.
Dopo premesse condivisibili non c’è nella legge il primo passo sostanziale e propedeutico per evitare eventuale ulteriore consumo di suolo: il censimento obbligatorio da parte dei comuni degli edifici inutilizzati e il loro riutilizzo prima di procedere a nuove costruzioni. Su scala nazionale (dati Ispra) ci sono 7 milioni di abitazioni non utilizzate, settecentomila capannoni dismessi, cinquecentomila negozi definitivamente chiusi. Nella sola provincia di Treviso, ad esempio, ci sono 8076 edifici inutilizzati e 1940 capannoni dismessi. Una legge adeguata a far fronte con efficacia a nuovo consumo di suolo deve fornire ai comuni indicazioni chiare per rivedere anche le previsioni, presenti nei piani urbanistici già approvati, di nuove edificazioni. Come suggerisce Paolo Pileri, docente di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, bisogna “fermare il consumo di suolo per alcuni anni, così da reimpiegare e recuperare i volumi esistenti che diversamente non verrebbero ripristinati se permangono continuamente occasioni più profittevoli di urbanizzazione”.
Lo sbilanciamento tra l’entità (statistica e scientificamente dimostrata) del “degrado ambientale ecosistemico” dell’intero territorio regionale legato al consumo di suolo e le pallide misure contenute nella legge non permette la tutela dell’ambiente (art. 9 della Costituzione) e fa venire meno la funzione sociale dell’attività economica e produttiva, pubblica e privata (art. 41 e 42 della Costituzione). Nella Delibera di Giunta, allegato B, si richiamano due azioni contrapposte: da un lato si fa riferimento con rassegnazione e sospetto fatalismo allo “stato di fatto” della pianificazione, urbanistica e paesaggistica e dall’altro si invoca una programmazione territoriale basata sulla sicurezza del territorio e dell’ambiente, sulla conservazione delle biodiversità e la salvaguardia del paesaggio. L’unica limitazione allo “stato di fatto della pianificazione, urbanistica e paesaggistica dei Comuni” viene operata grazie all’applicazione dell’art. 13, comma 1, lett. f della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” che ha dimostrato la “sovrastima dei dati sulla Superficie Territoriale edificabile ipotizzata dai singoli Comuni rispetto alla Superficie Agricola Utilizzata Trasformabile. I comuni, in sostanza, primi responsabili dell’abnorme consumo di suolo in Veneto, nello “stato di fatto” dei loro Piani di Assetto del Territorio avevano previsto suolo agricolo trasformabile in suolo edificabile in percentuali superiori a quelle previste dalla Legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004. Tralasciando lo scenario apocalittico che ne deriverebbe, se assecondata questa fame edificatoria dei comuni, la Delibera di Giunta, pur recependo lo stop indotto dalla Legge n. 11 del 23 aprile 2004 definisce questa eccedenza edificatoria, presente nello stato di fatto della pianificazione dei comuni, una dotazione di riserva da poter spendere in occasione della verifica quinquennale sull’ applicazione della legge per il contenimento del consumo di suolo. Anacronistico e paradossale è il richiamo del legislatore veneto al fatto che, anche consumando eventualmente tutti i 21323 ettari previsti dalla assurda e irresponsabile “pianificazione urbanistica di fatto” dei Comuni, si raggiungerebbe lo “zero consumo di suolo” nel 2050. Il legislatore veneto, viene meno alla propria funzione di guida e indirizzo, negando la “compromissione ecosistemica” già in atto nel territorio veneto legata al consumo di suolo e non prende atto responsabilmente come la Regione abbia già il 14,2% di suolo consumato (al lordo del 30,76% di zone montuose e il 4,46% di superfici acquee), rispetto alla media italiana di consumo di suolo del 7,6% ed europea del 4,5%.
Le deroghe, gli artifizi semantici della legge, la mancanza di rigore amministrativo.
L’architrave, la struttura portante della legge veneta per il contenimento del consumo di suolo è la DEROGA. Oltre a “non prevedere” per alcuni anni una “moratoria nel consumo di nuovo suolo” e il “censimento obbligatorio degli edifici dismessi” la legge introduce una serie di casi e di situazioni in cui l’edificazione e lo sfruttamento del suolo non vengono considerati consumo di suolo. I 400 ettari all’anno per 32 anni (fino al 2050) che possono trasformarsi, in occasione della verifica quinquennale prevista dalla legge, in 665 ettari tengono conto in modo estensivo e licenzioso dello “stato di fatto” della pianificazione territoriale e urbanistica e di diverse situazioni in cui il consumo di suolo non concorre a raggiungere il plafond annuo di 400 ettari:
1. Durante il breve periodo di moratoria intercorso tra l'entrata in vigore della legge (giugno 2017) e la delibera della Giunta (novembre 2017), si poteva edificare nella misura del 30% della capacità edificatoria assegnata al PAT o dal Piano Regolatore (violando lo scopo di una brevissima moratoria).
2. È stata consentita l’introduzione da parte dei Comuni nei piani territoriali ed urbanistici di nuove previsioni che comportano consumo di suolo: bastava semplicemente, alla data di entrata in vigore della legge, aver solo “formalmente” avviato la procedura di formazione del piano (anche se non ancora approvato e deliberato).
3. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, relativamente ai “titoli edilizi”, bastava semplicemente aver presentato allo sportello unico la domanda di permesso di costruire (anche se non ancora rilasciati).
4. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge, relativamente ai piani urbanistici attuativi, bastava la semplice presentazione al comune della proposta corredata degli elaborati necessari (anche se non ancora approvati).
5. In deroga alla limitazione del consumo di suolo per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge sono stati fatti salvi gli accordi tra soggetti pubblici e privati per i quali sia già stata deliberata dalla giunta o dal consiglio comunale la semplice “dichiarazione di interesse pubblico”.
6. Vengono considerati, in deroga alla limitazione del consumo di suolo, i piani di assetto del territorio (PAT) già adottati alla data di entrata in vigore della legge.
7. Sono sempre consentiti sin dall’entrata in vigore della legge, in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale gli interventi previsti dallo strumento urbanistico generale ricadenti negli “ambiti di urbanizzazione consolidata”.
8. Gli interventi di riqualificazione urbana, edilizia ed ambientale possono beneficiare di premi volumetrici e di superficie negli “ambiti di urbanizzazione consolidata” e “zone limitrofe” in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
9. Gli ampliamenti per le attività produttive previsti dalle “procedure urbanistiche semplificate di sportello unico” possono consumare nuovo suolo in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
10. Gli interventi connessi all’attività dell’imprenditore agricolo possono prevedere nuovo consumo di suolo in deroga ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
11. Le attività di cava possono derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
12. Il consumo di suolo, se avviene secondo la fattispecie prevista dalla legge regionale del “Piano Casa”, può derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
13. Gli interventi attuativi delle previsioni contenute nel piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) possono derogare ai limiti stabiliti dal provvedimento della Giunta regionale.
14. La legge, ancor prima di deliberare con apposito provvedimento della Giunta la quantità massima di suolo consumabile si è preoccupata di stabilire che la realizzazione di “infrastrutture ed opere pubbliche” non venga considerata consumo di suolo.
15. La legge, ancor prima di deliberare con apposito provvedimento della Giunta, la quantità massima di suolo consumabile ha stabilito che gli interventi relativi ai “sistemi produttivi locali, distretti industriali e consorzi di sviluppo industriale” non concorrono al raggiungimento della quantità massima di suolo consumabile.
È evidentissima, palese, quasi soffocante, la pletora di “deroghe”, di “eccezioni”, di “accomodamenti” spesso mascherati dietro termini ambigui, rarefatti, incomprensibili, uno su tutti: “ambito di urbanizzazione consolidata”, un tempo chiamato “tessuto urbano consolidato”.
Mancano due requisiti sostanziali: il “rigore amministrativo” e il “ coraggio politico”. È il “rigore” che determina l’efficacia delle “misure a contrasto del consumo di suolo” e la “coerenza” delle stesse con gli articoli della Costituzione, requisiti che solo una seria “moratoria” proclamata ad inizio della legislatura regionale (2015) e un “censimento obbligatorio” degli edifici inutilizzati potevano garantire ad una legge adeguata allo scopo. L’annuncio, nel 2015, dell’attuale maggioranza che governa il Veneto, di emanare una legge per il contenimento del consumo di suolo ha invece accelerato la scellerata follia edificatoria dei Comuni, tradotta in una pianificazione edificatoria di ben 33.547 ettari di Superficie Agricola Utilizzata, di cui 12.224 già trasformati. Tale pianificazione edificatoria, folle e ingiustificata, di ulteriori 21323 ettari oltre ai 12224 già sottratti alla S.A.U., dettata dalla mancanza di “consapevolezza” sul valore di una risorsa non rinnovabile ed essenziale alla vita sul Pianeta (come l’acqua e il sole), si è scontrata, solo per il momento, con la previsione dell’art. 13, comma 1, lett.f) della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” che così recita: “ il Piano di assetto del territorio (PAT), redatto sulla base di previsioni decennali, fissa gli obiettivi e le condizioni degli interventi e delle trasformazioni ammissibili e determina il limite quantitativo massimo della “zona agricola trasformabile” in zone con “destinazione diversa da quella agricola”, avendo riguardo al rapporto tra la superficie agricola utilizzata (SAU) e la superficie territoriale comunale (STC), secondo le modalità indicate nel provvedimento di cui all’ art. 50, comma 1, lett. c); tale limite può essere derogato previa autorizzazione della Giunta regionale.” I comuni, infatti, nella loro disperata e insana corsa alla cementificazione prima del sopraggiungere di provvedimenti che ne limitassero l’espansione, avevano finito per superare, nelle loro pianificazioni edificatorie, il limite quantitativo massimo della “zona agricola trasformabile” in zone con “destinazione diversa da quella agricola”, senza avere alcun riguardo al rapporto tra la “superficie agricola utilizzata” (SAU) e la “superficie territoriale comunale” come previsto appunto dall’art.13, comma 1 lett. f della legge regionale nr. 11 del 23 aprile 2004. Grazie alla evidente e “assurda sovrastima” della pianificazione edificatoria ad opera dei comuni la Regione ha dovuto applicare la norma della legge nr. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio” abbassando a 12793 ettari, anziché 21323, la quantità massima di consumo di suolo ammessa nel Veneto, ma specificando nella delibera che tale nuovo limite è da intendersi “in una fase di prima applicazione”, perché la Giunta può sempre, sia in sede di monitoraggio quinquennale, previsto dalle legge sul consumo di suolo, sia nelle determinazioni decennali, previste dalla legge nr. 11 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, variare a piacimento tale limite. In sostanza, la Giunta si riserva di modificare la quantità massima, attualmente prevista dalla legge nr.11 del 2004, della “Superficie Agricola Utilizzata” trasformabile in “destinazioni diverse da quella agricola” e quindi di autorizzare il consumo anche degli 8530 ettari residui ( 21323 meno 12793), che in una fase di prima applicazione vengono congelati e definiti in modo estremamente infelice: una riserva di suolo consumabile. Se i 400 ettari all’anno da qui al 2050 (che corrispondono ai 12793 ettari previsti dalla delibera di Giunta), con tutte le innumerevoli deroghe formali, burocratiche, sostanziali non fossero sufficienti a sfamare l’avidità della rendita finanziaria e speculativa, la Giunta si riserva il potere di portarli a 665 ettari l’anno ( assorbendo gli 8530 ettari rimasti fuori dalle limitazioni attualmente previste dalla legge sul governo del territorio) assecondando per intero il consumo di 33547 ettari inizialmente richiesto dai comuni. L’ossimoro (assieme alla filosofia urbanistica della deroga) è il leitmotiv della legge se si giunge a definire “riserva” non il “suolo fertile” ma il “suolo consumabile”: la visione antropocentrica ha capovolto i termini della nostra relazione con la natura, che diventa solo oggetto di predazione egoistica e irresponsabile. Tutto questo si materializza dopo che la stessa Delibera di Giunta ammette che “ nella Regione del Veneto le aree ad alto valore naturalistico occupano il 32% della S.A.U., un valore decisamente inferiore a quello medio nazionale (51,3%). Parallelamente, anche la quota S.A.U. interessata dalle classi di maggior valore naturale con un valore del 9% risulta inferiore a quella media stimata a livello nazionale (16%). Su una legge sfacciatamente ambigua e incoerente non si è acceso alcun dibattito e si è dato spazio ad una narrazione superficiale, pigra e spesso autocelebrativa da parte dei media e delle forze politiche. Dopo delle premesse che ammettono una “rilevante pressione antropica e infrastrutturale” e il bisogno di pensare “alla sicurezza del territorio e dell’ambiente, alla conservazione delle biodiversità e la salvaguardia del paesaggio” la Giunta, attraverso un procedimento fumoso e furbescamente semplicistico, determina la quantità massima di suolo consumabile, da qui al 2050, in 400 ettari all’anno, escludendo una serie impressionante di tipologie di consumo di suolo ed escludendo, sul piano formale e burocratico, dalla contabilità del suolo consumato progetti edificatori appena, appena dichiarati e non deliberati alla data di entrata in vigore della legge. La Giunta, anche dopo una falsa limitazione del consumo di suolo, si tiene le mani libere per poter perseverare nel suo “piano contro l’ambiente veneto”, infatti, la cosiddetta dotazione di riserva ( 8530 ettari), in sede di verifica “quinquennale” prevista dalla “legge sul suolo” e di verifica “decennale” prevista dalla “legge per il governo del territorio”, può sempre rientrare dalla finestra, portando a 665 ettari all’anno il suolo consumabile da qui al 2050.