sottoprodotto
sottoprodotto
E' sottoprodotto il materiale proveniente dalla lavorazione del pomodoro fresco delle industrie conserviere, il materiale è costituito da scarti di fogliame, pomodori verdi, residui di buccette, etc..,
Il suddetto materiale può essere inviato a impianto di biomassa (con DDT) per la produzione di energia elettrica, quindi uscire dal regime dei rifiuti (senza CER e FIR)?
Il suddetto materiale può essere inviato a impianto di biomassa (con DDT) per la produzione di energia elettrica, quindi uscire dal regime dei rifiuti (senza CER e FIR)?
Re: sottoprodotto
@Gabryx, quelle buccette da lavorazione di pomidoro sono sicuramente un "sottoprodotto", ma sono tali solo finché restano all'interno dello stabilimento produttore.
Credo che l’accezione di “sottoprodotto” ad una qualsiasi sostanza che sia considerata non ulteriormente utilizzabile all’interno di una qualsiasi attività imprenditoriale (che necessariamente avrà ottenuto l’A.U.A. per la sua Attività) e che, di conseguenza al mancato riutilizzo presso la stessa Azienda produttrice, debba necessariamente essere “smaltito” in qualche modo, sia afferibile a quelle materie solo e fin tanto che restano nello stabilimento.
Credo che quella sostanza non possa uscire dall’Azienda produttrice come “un sottoprodotto” bensì come “un prodotto di scarto” (della lavorazione eseguita) ovvero come “un prodotto residuo” (della lavorazione eseguita), ma non certo come un “sottoprodotto” che é un termine relativo.
Il “prodotto residuo” avrà un sia pur minimo valore di mercato, il “prodotto di scarto” magari no; ma, per uscire dall’Impianto produttore, dovranno avere necessariamente sul documento di trasporto il codice C.E.R.
Il sottoprodotto è un termine relativo, esprime cioè una relazione tra l’Attività esercitata e la tecnica (o meglio la tecnologia) impiegata; è del tutto evidente che, se uso una tecnologia (nel caso de quo del tutto ipotetica) a raggi laser, il mio sottoprodotto sarà tutt’altra cosa (maggiore CO2 in atmosfera).
Per chiarire meglio il termine “relativo” faccio i paragoni:
- quando presento, ad un ricevimento organizzato da altre persone, il fratello di mio padre uso il termine relativo di mio “zio”; ma la persona, da me presentata come “mio” zio, non potrà essere chiamata “zio” dagli altri che hanno organizzato il ricevimento.
- Quando presento ad un ricevimento organizzato da altre persone come mio “zio” uno che non è fratello di un mio genitore commetto un falso ed avrò un ben preciso scopo che voglio tenere nascosto.
Ritornando al caso tuo: quando “cedo” quel materiale (buccette di pomodori) ad altri impianti come il “mio” sottoprodotto, quegli altri non potranno riceverlo semplicemente come “sottoprodotto”, ma dovranno riceverlo o come “prodotto di scarto” soggetto al regime degli scarti (FIR e Codici CER) ed al sistema di tracciabilità degli scarti, ovvero come MPS (materia prima secondaria) soggetta alla tracciabilità contabile dei DdT e delle Fatture; però in tal caso l’Impianto che opera il trasferimento dovrà essere autorizzato (iscrizione alla CCIA, autorizzazione AUA) a generare quella MPS per venderla sul mercato libero.
Concludo: secondo Cesare non si può dire semplicemente “E’ un sottoprodotto quindi non è un rifiuto, non applico la sanzione” così come non si può dire “Non è un sottoprodotto quindi è un rifiuto, applico la sanzione”, quel materiale o deve seguire la tracciabilità contabile (o é, o non é suo ZIO, a me poco importa perché é solo uno di cui ho bisogno e che pagherò meno (MPS)) o deve seguire la tracciabilità degli scarti (é suo ZIO e me lo presenta come tale, a me poco importa per me é solo un cliente che paga (scarto da smaltire)).
Leggi anche questo: Dal sottoprodotto al rifiuto: prime considerazioni. Qui:
http://lexambiente.it/Forums/search.php ... ive_topics
Un saluto, Cesare.
Credo che l’accezione di “sottoprodotto” ad una qualsiasi sostanza che sia considerata non ulteriormente utilizzabile all’interno di una qualsiasi attività imprenditoriale (che necessariamente avrà ottenuto l’A.U.A. per la sua Attività) e che, di conseguenza al mancato riutilizzo presso la stessa Azienda produttrice, debba necessariamente essere “smaltito” in qualche modo, sia afferibile a quelle materie solo e fin tanto che restano nello stabilimento.
Credo che quella sostanza non possa uscire dall’Azienda produttrice come “un sottoprodotto” bensì come “un prodotto di scarto” (della lavorazione eseguita) ovvero come “un prodotto residuo” (della lavorazione eseguita), ma non certo come un “sottoprodotto” che é un termine relativo.
Il “prodotto residuo” avrà un sia pur minimo valore di mercato, il “prodotto di scarto” magari no; ma, per uscire dall’Impianto produttore, dovranno avere necessariamente sul documento di trasporto il codice C.E.R.
Il sottoprodotto è un termine relativo, esprime cioè una relazione tra l’Attività esercitata e la tecnica (o meglio la tecnologia) impiegata; è del tutto evidente che, se uso una tecnologia (nel caso de quo del tutto ipotetica) a raggi laser, il mio sottoprodotto sarà tutt’altra cosa (maggiore CO2 in atmosfera).
Per chiarire meglio il termine “relativo” faccio i paragoni:
- quando presento, ad un ricevimento organizzato da altre persone, il fratello di mio padre uso il termine relativo di mio “zio”; ma la persona, da me presentata come “mio” zio, non potrà essere chiamata “zio” dagli altri che hanno organizzato il ricevimento.
- Quando presento ad un ricevimento organizzato da altre persone come mio “zio” uno che non è fratello di un mio genitore commetto un falso ed avrò un ben preciso scopo che voglio tenere nascosto.
Ritornando al caso tuo: quando “cedo” quel materiale (buccette di pomodori) ad altri impianti come il “mio” sottoprodotto, quegli altri non potranno riceverlo semplicemente come “sottoprodotto”, ma dovranno riceverlo o come “prodotto di scarto” soggetto al regime degli scarti (FIR e Codici CER) ed al sistema di tracciabilità degli scarti, ovvero come MPS (materia prima secondaria) soggetta alla tracciabilità contabile dei DdT e delle Fatture; però in tal caso l’Impianto che opera il trasferimento dovrà essere autorizzato (iscrizione alla CCIA, autorizzazione AUA) a generare quella MPS per venderla sul mercato libero.
Concludo: secondo Cesare non si può dire semplicemente “E’ un sottoprodotto quindi non è un rifiuto, non applico la sanzione” così come non si può dire “Non è un sottoprodotto quindi è un rifiuto, applico la sanzione”, quel materiale o deve seguire la tracciabilità contabile (o é, o non é suo ZIO, a me poco importa perché é solo uno di cui ho bisogno e che pagherò meno (MPS)) o deve seguire la tracciabilità degli scarti (é suo ZIO e me lo presenta come tale, a me poco importa per me é solo un cliente che paga (scarto da smaltire)).
Leggi anche questo: Dal sottoprodotto al rifiuto: prime considerazioni. Qui:
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Un saluto, Cesare.
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Re: sottoprodotto
A mio avviso potrebbe anche soddisfare l'esclusione di rifiuto e essere considerato sottoprodotto se rispetta tutti i requisiti ex art 184 bis...
Oltretutto potrebbe anche ricadere tranquillamente nel campo di esclusione dell'art 185 comma 1 lettera f)
Il regime della qualifica come sottoprodotto è derogtoria rispetto a quella dei rifiuti e l'onere della prova spetta a chi la invoca...
Oltretutto potrebbe anche ricadere tranquillamente nel campo di esclusione dell'art 185 comma 1 lettera f)
Il regime della qualifica come sottoprodotto è derogtoria rispetto a quella dei rifiuti e l'onere della prova spetta a chi la invoca...
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Re: sottoprodotto
Articolo molto chiaro già presente sul sito...
http://lexambiente.it/materie/rifiuti/1 ... iuto-.html
Ciao
http://lexambiente.it/materie/rifiuti/1 ... iuto-.html
Ciao
lexambiente fidelis
Re: sottoprodotto
MarcoGio85 in data 18 agosto 2016, ha affermato:
“A mio avviso potrebbe anche soddisfare l'esclusione di rifiuto e essere considerato sottoprodotto se rispetta tutti i requisiti ex art 184 bis …”
Gunmar, in data 2 agosto 2012, partecipando al forum sull’argomento DAL SOTTOPRODOTTO AL RIFIUTO: PRIME CONSIDERAZIONI, aveva proposto:
"Buona questione. L'art. 184 bis del D.L.vo 205/2010 precisa cosa debba essere definibile come sottoprodotto alla luce delle disposizioni comunitarie che hanno imposto l'ultimo correttivo. Sulla scorta della definizione si ha che un "sottoprodotto" perché sia tale (e non un rifiuto) deve soddisfare tutti e quattro i requisiti previsti. Essi si possono così sintetizzare:
a) deriva necessariamente da un processo produttivo,
b) sarà sicuramente riutilizzato nel processo produttivo o in altro processo produttivo
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche se non quelle di una "normale pratica industriale" e, infine,
d) esso è innocuo per la salute e non dannoso per l'ambiente e il suo utilizzo è legittimo.
Questi requisiti, è bene ricordarlo, devono essere tutti e contestualmente presenti perché si abbia la concreta realizzazione di un sottoprodotto e non già di un rifiuto".
Qui: http://lexambiente.it/Forums/viewtopic. ... 225#p47115
Cesare, in data 25 maggio 2013, proponendo l’argomento DAL SOTTOPRODOTTO ALLA MPS: PRIME CONSIDERAZIONI, aveva affermato:
“Il sottoprodotto riutilizzato tal quale, senza alcun trattamento tecnologicamente ipotizzabile, è sicuramente un rifiuto! (faccio l’esempio delle terre da scavo, riutilizzate tal quali, senza una o più vagliature per realizzare la differenziazione granulometrica, se riutilizzate tal quali per costruire un terrapieno, con le piogge che diluiranno la frazione più sottile del materiale impiegato, in quel terrapieno si formeranno degli sgrottamenti con dei cedimenti anche franosi”.
Qui: http://lexambiente.it/Forums/viewtopic. ... 579#p49348
Vado in Wikipedia, cerco MPS e trovo:
“Le cosiddette materie prime seconde sono costituite da scarti di lavorazione delle materie prime oppure da materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti”.
Cerco SOTTOPRODOTTO, e trovo:
“sostantivo maschile
1. 1.
Prodotto secondario della produzione industriale di altri prodotti, economicamente meno importante di questi ...”
Questo il teorema di Cesare: Il sottoprodotto di qualsiasi attività per essere riutilizzato in qualsiasi stabilimento (anche il medesimo che lo ha prodotto) deve essere riqualificato in MPS (o dal medesimo stabilimento che lo ha prodotto o da altro stabilimento fuori sito)
E se questa:
a) deriva necessariamente da un processo produttivo,
b) sarà sicuramente riutilizzato nel processo produttivo o in altro processo produttivo,
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche se non quelle di una "normale pratica industriale" e, infine,
d) esso è innocuo per la salute e non dannoso per l'ambiente e il suo utilizzo è legittimo.
se questa fosse, invece che del sottoprodotto, la definizione della MPS? Vi propongo modificando:
MPS (Materia Prima Secondaria):
a) deriva necessariamente <come sottoprodotto da attività> dal medesimo o altro processo produttivo,
… (il punto b non serve più)
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche <per l’impiego nella> "normale pratica industriale";
d) deve essere certificato con idonea documentazione il suo ri-utilizzo legittimo.
Da notare la perfetta similitudine alla lettera a). Significa che i sottoprodotti che hanno un residuo valore di mercato, possono e devono diventare MPS e non diventare un "rifiuto" (parafrasando: Le buccette -scarti di industria conserviera- valgono troppo per diventare Rifiuti).
Ed aggiungo:
e) Il suo valore economico sul mercato deve essere mantenuto inferiore a quello della corrispondente materia prima al fine di favorirne il ri-utilizzo;
f) La progettazione Aziendale deve prevedere, tutte le volte possibile, il re-impiego della MPS (perlomeno del 30% rispetto a quello della materia primaria alfine di salvaguardare le risorse naturali che si stanno depauperando).
g) La attività che prevede la produzione di MPS per il ri-utilizzo (anche all’interno del medesimo stabilimento) deve essere autorizzata in AUA all’utilizzo di tecnologie idonee alla trasformazione del suo “sottoprodotto” in MPS certificata.
h) La certificazione fa parte della documentazione necessaria al trasporto fuori dallo stabilimento.
In breve, siccome la medesima definizione non può essere attribuita univocamente a due parole differenti, siccome il sottoprodotto (residuo di lavorazione perquanto talora ancora riutilizzabile) non può uscire con DDT e fattura, siccome “le buccette del pomodoro” non possono uscire dallo stabilimento conserviero come “sottoprodotto” (se non vogliamo farci prendere in giro …) devono uscire dallo stabilimento per andare a CdR (combustibile da rifiuto) o valorizzate a MPS e con certificato allegato (l'impianto del cementificio -che le riceve come MPS- userà le buccette al posto del gas perché le buccette gli costano meno) ovvero ne usciranno dal conservificio come "scarto di lavorazione" con FIR e CER e lo smaltimento -sempre presso il forno dello stesso cementificio opportunamente autorizzato al recupero energetico di quel CER- sarà oneroso, ma sarà più facilmente tracciabile.
@Marco grazie per gli Auguri che mi hai fatto, graditissimi;
un saluto a tutti, Cesare.
“A mio avviso potrebbe anche soddisfare l'esclusione di rifiuto e essere considerato sottoprodotto se rispetta tutti i requisiti ex art 184 bis …”
Gunmar, in data 2 agosto 2012, partecipando al forum sull’argomento DAL SOTTOPRODOTTO AL RIFIUTO: PRIME CONSIDERAZIONI, aveva proposto:
"Buona questione. L'art. 184 bis del D.L.vo 205/2010 precisa cosa debba essere definibile come sottoprodotto alla luce delle disposizioni comunitarie che hanno imposto l'ultimo correttivo. Sulla scorta della definizione si ha che un "sottoprodotto" perché sia tale (e non un rifiuto) deve soddisfare tutti e quattro i requisiti previsti. Essi si possono così sintetizzare:
a) deriva necessariamente da un processo produttivo,
b) sarà sicuramente riutilizzato nel processo produttivo o in altro processo produttivo
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche se non quelle di una "normale pratica industriale" e, infine,
d) esso è innocuo per la salute e non dannoso per l'ambiente e il suo utilizzo è legittimo.
Questi requisiti, è bene ricordarlo, devono essere tutti e contestualmente presenti perché si abbia la concreta realizzazione di un sottoprodotto e non già di un rifiuto".
Qui: http://lexambiente.it/Forums/viewtopic. ... 225#p47115
Cesare, in data 25 maggio 2013, proponendo l’argomento DAL SOTTOPRODOTTO ALLA MPS: PRIME CONSIDERAZIONI, aveva affermato:
“Il sottoprodotto riutilizzato tal quale, senza alcun trattamento tecnologicamente ipotizzabile, è sicuramente un rifiuto! (faccio l’esempio delle terre da scavo, riutilizzate tal quali, senza una o più vagliature per realizzare la differenziazione granulometrica, se riutilizzate tal quali per costruire un terrapieno, con le piogge che diluiranno la frazione più sottile del materiale impiegato, in quel terrapieno si formeranno degli sgrottamenti con dei cedimenti anche franosi”.
Qui: http://lexambiente.it/Forums/viewtopic. ... 579#p49348
Vado in Wikipedia, cerco MPS e trovo:
“Le cosiddette materie prime seconde sono costituite da scarti di lavorazione delle materie prime oppure da materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti”.
Cerco SOTTOPRODOTTO, e trovo:
“sostantivo maschile
1. 1.
Prodotto secondario della produzione industriale di altri prodotti, economicamente meno importante di questi ...”
Questo il teorema di Cesare: Il sottoprodotto di qualsiasi attività per essere riutilizzato in qualsiasi stabilimento (anche il medesimo che lo ha prodotto) deve essere riqualificato in MPS (o dal medesimo stabilimento che lo ha prodotto o da altro stabilimento fuori sito)
E se questa:
a) deriva necessariamente da un processo produttivo,
b) sarà sicuramente riutilizzato nel processo produttivo o in altro processo produttivo,
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche se non quelle di una "normale pratica industriale" e, infine,
d) esso è innocuo per la salute e non dannoso per l'ambiente e il suo utilizzo è legittimo.
se questa fosse, invece che del sottoprodotto, la definizione della MPS? Vi propongo modificando:
MPS (Materia Prima Secondaria):
a) deriva necessariamente <come sottoprodotto da attività> dal medesimo o altro processo produttivo,
… (il punto b non serve più)
c) la sua utilizzazione non richiede ulteriori lavorazioni o modifiche <per l’impiego nella> "normale pratica industriale";
d) deve essere certificato con idonea documentazione il suo ri-utilizzo legittimo.
Da notare la perfetta similitudine alla lettera a). Significa che i sottoprodotti che hanno un residuo valore di mercato, possono e devono diventare MPS e non diventare un "rifiuto" (parafrasando: Le buccette -scarti di industria conserviera- valgono troppo per diventare Rifiuti).
Ed aggiungo:
e) Il suo valore economico sul mercato deve essere mantenuto inferiore a quello della corrispondente materia prima al fine di favorirne il ri-utilizzo;
f) La progettazione Aziendale deve prevedere, tutte le volte possibile, il re-impiego della MPS (perlomeno del 30% rispetto a quello della materia primaria alfine di salvaguardare le risorse naturali che si stanno depauperando).
g) La attività che prevede la produzione di MPS per il ri-utilizzo (anche all’interno del medesimo stabilimento) deve essere autorizzata in AUA all’utilizzo di tecnologie idonee alla trasformazione del suo “sottoprodotto” in MPS certificata.
h) La certificazione fa parte della documentazione necessaria al trasporto fuori dallo stabilimento.
In breve, siccome la medesima definizione non può essere attribuita univocamente a due parole differenti, siccome il sottoprodotto (residuo di lavorazione perquanto talora ancora riutilizzabile) non può uscire con DDT e fattura, siccome “le buccette del pomodoro” non possono uscire dallo stabilimento conserviero come “sottoprodotto” (se non vogliamo farci prendere in giro …) devono uscire dallo stabilimento per andare a CdR (combustibile da rifiuto) o valorizzate a MPS e con certificato allegato (l'impianto del cementificio -che le riceve come MPS- userà le buccette al posto del gas perché le buccette gli costano meno) ovvero ne usciranno dal conservificio come "scarto di lavorazione" con FIR e CER e lo smaltimento -sempre presso il forno dello stesso cementificio opportunamente autorizzato al recupero energetico di quel CER- sarà oneroso, ma sarà più facilmente tracciabile.
@Marco grazie per gli Auguri che mi hai fatto, graditissimi;
un saluto a tutti, Cesare.
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Re: sottoprodotto
È perfettamente vero Cesare e credo di aver inteso il tuo ragionamento con una frase che voglio usare: "attenzione a non far rientrare tutto nella categoria del sottoprodotto solo per escluderlo dall'ambito dei rifiuti"...
Infatti sono il primo a essere restrittivo in tal senso e a non condividere in pieno il 184bis... Avrei lasciato la "cessazione dalla qualifica di rifiuto a certe condizioni"... Perché non dimentichiamoci il principio di precauzione del 152/2006...
Sono altresì contrario alla "larga interpretazione" di "processo di produzione" e sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto...
Però se l'impianto di combustione può ricevere come "biomassa combustibile" un certo sottoprodotto (escluso dai rifiuti) allora dovrà dimostrare (onere della prova a carico di chi richiede il regime di favore) che tale sottoprodotto sia idoneo
Infatti sono il primo a essere restrittivo in tal senso e a non condividere in pieno il 184bis... Avrei lasciato la "cessazione dalla qualifica di rifiuto a certe condizioni"... Perché non dimentichiamoci il principio di precauzione del 152/2006...
Sono altresì contrario alla "larga interpretazione" di "processo di produzione" e sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto...
Però se l'impianto di combustione può ricevere come "biomassa combustibile" un certo sottoprodotto (escluso dai rifiuti) allora dovrà dimostrare (onere della prova a carico di chi richiede il regime di favore) che tale sottoprodotto sia idoneo
Re: sottoprodotto
@Marco, tu dici:
“ … sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto …”
E che cos’è quel “fresato” d’asfalto … secondo te?
Per ottenere lo spazio vuoto idoneo a contenere il nuovo strato di asfalto senza alzare di 3 cm il precedente livello stradale (lo scopo della mia attività di demolizione): se userò una fresa otterrò, in continuazione e necessariamente, come sottoprodotto del fresato; se, diversamente, userò pala e piccone otterrò, in continuazione e necessariamente, come sottoprodotto della mia attività: delle toppe del vecchio asfalto, e non certo del fresato. Se userò sistemi dirompenti otterrò, come sottoprodotto, delle schegge di asfalto.
Tu hai detto:
“ … sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto …” e sicuramente per colpa mia non riesco a capire; ma, escludendo che sia un sottoprodotto, cos’è quel “fresato” d’asfalto … secondo te?
E, più in generale, tutti i materiali che derivino -in continuazione e necessariamente- da attività di demolizione o di scavo (tali sono i fresati o le toppe o i calcinacci o le macerie o le terre scavate) se non sono dei sottoprodotti cosa sono?
Dopo potremo discutere della "filiera" che deve seguire il sottoprodotto che resta tale solo e fintanto che, per una qualsiasi causa dolosa o colposa non esce dallo stabilimento; ma che, quando esce dallo stabilimento (ovvero viene riutilizzato nello stesso stabilimento) affinché non diventi un rifiuto (lo scopo del T.U.A., quello che tu definisci "principio di precauzione del 152/06" se non erro), non sarà sicuramente né sottoprodotto (non può uscire come sottoprodotto) né rifiuto (non deve diventare tale altrimenti il TUA é assurdo); manca da parte del legislatore l'attribuzione della classificazione intermedia altrimenti il T.U.A. non serve a niente.
Un saluto, Cesare.
P.S. ho messo un po' di colore in in data 11/09/16 ore 00:51
“ … sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto …”
E che cos’è quel “fresato” d’asfalto … secondo te?
Per ottenere lo spazio vuoto idoneo a contenere il nuovo strato di asfalto senza alzare di 3 cm il precedente livello stradale (lo scopo della mia attività di demolizione): se userò una fresa otterrò, in continuazione e necessariamente, come sottoprodotto del fresato; se, diversamente, userò pala e piccone otterrò, in continuazione e necessariamente, come sottoprodotto della mia attività: delle toppe del vecchio asfalto, e non certo del fresato. Se userò sistemi dirompenti otterrò, come sottoprodotto, delle schegge di asfalto.
Tu hai detto:
“ … sono altresì contrario alla qualifica, in tal senso, del fresato di asfalto come sottoprodotto …” e sicuramente per colpa mia non riesco a capire; ma, escludendo che sia un sottoprodotto, cos’è quel “fresato” d’asfalto … secondo te?
E, più in generale, tutti i materiali che derivino -in continuazione e necessariamente- da attività di demolizione o di scavo (tali sono i fresati o le toppe o i calcinacci o le macerie o le terre scavate) se non sono dei sottoprodotti cosa sono?
Dopo potremo discutere della "filiera" che deve seguire il sottoprodotto che resta tale solo e fintanto che, per una qualsiasi causa dolosa o colposa non esce dallo stabilimento; ma che, quando esce dallo stabilimento (ovvero viene riutilizzato nello stesso stabilimento) affinché non diventi un rifiuto (lo scopo del T.U.A., quello che tu definisci "principio di precauzione del 152/06" se non erro), non sarà sicuramente né sottoprodotto (non può uscire come sottoprodotto) né rifiuto (non deve diventare tale altrimenti il TUA é assurdo); manca da parte del legislatore l'attribuzione della classificazione intermedia altrimenti il T.U.A. non serve a niente.
Un saluto, Cesare.
P.S. ho messo un po' di colore in in data 11/09/16 ore 00:51
Re: sottoprodotto
Mi inserisco in questa discussione per chiedere un vostro parere in merito all’applicazione dell'art.184-bis.
Ammesso che un materiale soddisfi le condizioni indicate alle lettere a),c) e d).
In relazione alle specifiche indicate alla lettera b), dove si può estrapolare che l'utilizzazione della sostanza sia certa da parte di terzi, questa può essere anche intesa come utilizzazione finale.
Mi spiego meglio: il soggetto A è il produttore del sottoprodotto (materiale plastico), il soggetto B acquista il sottoprodotto ed effettua una mera riduzione volumetrica per triturazione senza alterare o modificare la sostanza (normale pratica industriale), il soggetto B vende il materiale (ridotto in scaglie) al soggetto C che lo fonde e produce degli oggetti che commercializza.
Secondo il vostro parere tale contesto soddisfa i requisiti richiesti dall’art.184-bis.
Grazie anticipatamente
Ammesso che un materiale soddisfi le condizioni indicate alle lettere a),c) e d).
In relazione alle specifiche indicate alla lettera b), dove si può estrapolare che l'utilizzazione della sostanza sia certa da parte di terzi, questa può essere anche intesa come utilizzazione finale.
Mi spiego meglio: il soggetto A è il produttore del sottoprodotto (materiale plastico), il soggetto B acquista il sottoprodotto ed effettua una mera riduzione volumetrica per triturazione senza alterare o modificare la sostanza (normale pratica industriale), il soggetto B vende il materiale (ridotto in scaglie) al soggetto C che lo fonde e produce degli oggetti che commercializza.
Secondo il vostro parere tale contesto soddisfa i requisiti richiesti dall’art.184-bis.
Grazie anticipatamente
Re: sottoprodotto
Credo che l'art. 184 bis (che fà riferimento alle materie riciclabili in uscita da una azienda) sia sbagliato se attribuito ai sottoprodotti di quella azienda.
Il concetto (e quindi l'attribuzione) di sottoprodotto é troppo generico, non può essere attribuito alle sole "materie" di scarto (ma comunque riciclabili) in uscita da una azienda; tutto ciò che esce da una azienda o sono i "prodotti" (lo scopo di quella attività) o sono i "sottoprodotti" (giusto per spiegarmi meglio con un termine ancora più generico: "gli effetti collaterali") di quella attività.
Se leggiamo bene l'art. 184 bis potremmo ritrovare che ci dia, invece che del sottoprodotto (altrimenti, ripeto, é troppo generico: anche l'anidride carbonica, i fumi, i rumori, le vibrazioni, gli scarichi idrici, ecc. sono dei sottoprodotti ), ci dia la definizione di: "materia prima secondaria" (che sicuramente é un sottoprodotto di quella attività, ma é materia destinata al recupero riutilizzabile in alternativa alle materie prime).
E come tali (come MPS) potrebbero e dovrebbero uscire:
- da una azienda che produca plastica: le plastiche di scarto;
- da una azienda che produca carta: la cartestracce;
- da una azienda che produca olio: le sanse e le morchie;
- da una azienda casearia: il siero del latte;
- da una azienda ferriera: i colaticci del ferro;
- ecc ...
E sempre come tali (come MPS) potrebbero entrare in un' altra azienda addetta al riciclo di quei materiali; ma sia in uscita dalla prima azienda sia in entrata nella seconda, quelle materie (sottoprodotti riciclabili=MPS) devono essere accompagnate da un C.E.R. per la tracciabilità delle movimentazioni affinché quelle materie (che sono troppo importanti al riutilizzo) "non diventino un rifiuto".
La ditta che cederà le sue MPS potrà farlo emettendo una fattura, a gratis, ovvero pagando alla ditta che le ritirerà, ma sempre con un FIR ed indicando un CER altrimenti quei sottoprodotti (perquanto riciclabili cioé: MPS) escono dalla filiera della tracciabilità.
Un saluto, Cesare.
Il concetto (e quindi l'attribuzione) di sottoprodotto é troppo generico, non può essere attribuito alle sole "materie" di scarto (ma comunque riciclabili) in uscita da una azienda; tutto ciò che esce da una azienda o sono i "prodotti" (lo scopo di quella attività) o sono i "sottoprodotti" (giusto per spiegarmi meglio con un termine ancora più generico: "gli effetti collaterali") di quella attività.
Se leggiamo bene l'art. 184 bis potremmo ritrovare che ci dia, invece che del sottoprodotto (altrimenti, ripeto, é troppo generico: anche l'anidride carbonica, i fumi, i rumori, le vibrazioni, gli scarichi idrici, ecc. sono dei sottoprodotti ), ci dia la definizione di: "materia prima secondaria" (che sicuramente é un sottoprodotto di quella attività, ma é materia destinata al recupero riutilizzabile in alternativa alle materie prime).
E come tali (come MPS) potrebbero e dovrebbero uscire:
- da una azienda che produca plastica: le plastiche di scarto;
- da una azienda che produca carta: la cartestracce;
- da una azienda che produca olio: le sanse e le morchie;
- da una azienda casearia: il siero del latte;
- da una azienda ferriera: i colaticci del ferro;
- ecc ...
E sempre come tali (come MPS) potrebbero entrare in un' altra azienda addetta al riciclo di quei materiali; ma sia in uscita dalla prima azienda sia in entrata nella seconda, quelle materie (sottoprodotti riciclabili=MPS) devono essere accompagnate da un C.E.R. per la tracciabilità delle movimentazioni affinché quelle materie (che sono troppo importanti al riutilizzo) "non diventino un rifiuto".
La ditta che cederà le sue MPS potrà farlo emettendo una fattura, a gratis, ovvero pagando alla ditta che le ritirerà, ma sempre con un FIR ed indicando un CER altrimenti quei sottoprodotti (perquanto riciclabili cioé: MPS) escono dalla filiera della tracciabilità.
Un saluto, Cesare.