Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4290, del 26 agosto 2014
Urbanistica.Requisiti delle pertinenze
Non vi è alcun dubbio sull’assenza della natura pertinenziale ai fini edilizi, quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio. La natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti di: a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati; b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume 'tecnico' (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell'applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04290/2014REG.PROV.COLL.
N. 03361/2006 REG.RIC.
N. 03362/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3361 del 2006, proposto da:
Soc. F.lli Righetto S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Andreina Degli Esposti, Mauro Pisapia, Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Riccardo Villata in Roma, via Caccini, 1;
contro
Comune di Gorla Maggiore, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Stefania Boschesi, Luigi Manzi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
sul ricorso numero di registro generale 3362 del 2006, proposto da:
Soc. F.lli Righetto S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. Andreina Degli Esposti, Mauro Pisapia, Riccardo Villata, con domicilio eletto presso Riccardo Villata in Roma, via Caccini, 1;
contro
Comune di Gorla Maggiore, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Manzi, Stefania Boschesi, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
quanto al ricorso n. 3361 del 2006:
della sentenza del T.a.r. Lombardia - Milano: Sezione II n. 00062/2006, resa tra le parti, concernente ingiunzione a demolire;
quanto al ricorso n. 3362 del 2006:
della sentenza del T.a.r. Lombardia - Milano: Sezione II n. 00061/2006, resa tra le parti, concernente permesso edilizio in sanatoria.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Gorla Maggiore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 luglio 2014 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Vagnozzi, per delega dell'Avv. Villata, e Manzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- Ricorso n. 3362/2006 avverso la sentenza n. 61/2006.
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano – si è pronunciata sul ricorso n. 3735/2004 proposto dalla società F.lli Righetto s.n.c. volto ad ottenere l’annullamento del diniego di permesso di costruire in sanatoria datato 11 giugno 2004 presentato al Comune di Gorla Maggiore, nella parte in cui viene negato il rilascio del permesso in relazione a due delle tre opere per le quali era stato richiesto; ovvero relativamente alla “posa di una cabina di verniciatura all’interno del capannone” ed inoltre relativamente alla “realizzazione di una struttura in ferro e pannelli in alluminio coibentato, chiusa su tre lati, appoggiata al lato nord del capannone, a protezione dell’impianto di emissione nell’aria della cabina di verniciatura”.
Col predetto ricorso, pertanto, la società F.lli Righetto s.n.c., ha chiesto l'annullamento del diniego di permesso di costruire deducendo a sostegno del ricorso i seguenti motivi:
- violazione degli artt. 3 e 10 del DPR n. 380/2001, difetto di presupposti e difetto di motivazione;
-violazione dell’art. 15 del DPR n. 380/2001, eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione, eccesso di potere per errore nei presupposti, illogicità manifesta.
Con la sentenza epigrafata, n. 61/2006, il TAR ha respinto il ricorso sostenendo che:”le opere di realizzazione e posa di una cabina di sverniciatura che si intende realizzare non possono qualificarsi come meri volumi tecnici, per i quali si assume da parte del ricorrente non esservi necessità del prescritto permesso di costruire, ma costituiscono veri e propri lavori edili”.
Il primo giudice, inoltre, quanto alla censura inerente la classificazione della attività svolta (verniciatura e sabbiatura) dalla società ricorrente, ha stabilito che rientra tra quelle pericolose e insalubri di prima classe. in contrasto con l’art. 33 delle NTA, le quali vietano l’insediamento nella zona di ditte classificate D2 insalubri di 1^ classe.
Di qui l'appello interposto innanzi a questo Consiglio di Stato dalla società ricorrente ed affidato ai motivi trattati nel prosieguo della presente pronunzia.
Si è costituita nel giudizio l'Amministrazione comunale intimata, resistendo al ricorso e precisando le proprie difese.
Con ordinanza collegiale (n. 6178/2013), la Sezione ha dato atto dell’interruzione del processo, ai sensi degli artt. 79, co. 2, cpa e 299 ss. cpc, visto il deposito dell’atto di notorietà attestante il decesso dell’avv. Luigi Salvatore difensore del Comune appellato; nelle more, il giudizio, è stato ritualmente riassunto ad opera dell’appellante.
- Ricorso n. 3361/2006 avverso la sentenza n. 62/2006.
Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano – si è inoltre pronunciato sul ricorso n. 5031/2004 proposto dalla società F.lli Righetto s.n.c. avverso l’ingiunzione a demolire n. 57/2004 emessa dal Comune di Gorla Maggiore con la quale, sulla scorta del diniego (parziale) del permesso di costruire, l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione di una cabina di verniciatura posta all’interno del capannone di proprietà della società ricorrente e della tettoia di aereazione esterna allo stesso.
Col predetto ricorso, pertanto, la società F.lli Righetto s.n.c., ha adito il nominato TAR, chiedendo l'annullamento dell’ingiunzione a demolire, deducendo a sostegno del ricorso:
-illegittimità derivata;
-violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 32 del DPR n. 380/2001, violazione dell’art.1 LR n. 19/1992, eccesso di potere per difetto di presupposti.
Con la sentenza epigrafata, n. 62/2006, il primo giudice ha respinto il ricorso alla stregua delle medesime considerazioni di cui alla sentenza “gemella” n. 61/2006, ed è pervenuto inoltre a sostenere che le variazioni operate, oggetto di diniego di permesso di costruire e di ingiunzione di demolizione, comportino un “mutamento della destinazione di uso, da capannone artigianale a capannone industriale”.
Di qui l'appello interposto innanzi a questo Consiglio dalla società ricorrente ed affidato ai motivi trattati nel prosieguo della presente pronunzia.
Si è costituita nel giudizio l'Amministrazione comunale intimata, resistendo al ricorso e precisando le proprie difese.
Con ordinanza cautelare (n.3290/2006), la Sezione ha accolto la domanda di sospensione della sentenza gravata, ritenendo - nelle more del giudizio e atteso che i motivi di appello necessitano dell’approfondito esame della fase di merito - prevalente l'interesse della ricorrente a non demolire quanto contestato, “anche alla luce del danno grave ed irreparabile che conseguirebbe all’eventuale blocco dell’attività produttiva ed alla demolizione della cabina”.
Con ordinanza collegiale (n. 6178/2013), la Sezione ha dato atto dell’interruzione del processo, ai sensi degli artt. 79, co. 2, cpa e 299 ss. cpc, visto il deposito dell’atto di notorietà attestante il decesso dell’avv. Luigi Salvatore difensore del Comune appellato; nelle more, il giudizio, è stato ritualmente riassunto ad opera dell’appellante.
Alla pubblica udienza dell’1 luglio 2014, i due appelli, chiamati congiuntamente per la trattazione, sono stati spediti in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente va dato atto che, come delibato in sede di Ordinanza collegiale n. 6178/2013, la Sezione ha riunito le due cause, stante la palese connessione soggettiva tra le parti e la parziale connessione oggettiva tra le questioni fattuali e giuridiche prospettate (v., sul punto, ex multis, Cons. St., sez. IV, 17 giugno 2003, n. 3415, laddove si è condivisibilmente affermato che “possono essere riuniti e definiti con un'unica decisione anche gli appelli rivolti avverso sentenze diverse, ove comportanti la soluzione di identiche questioni sollevate nei riguardi dei medesimi provvedimenti impugnati in primo grado”).
2. Passando al merito dei giudizi: gli appelli sono fondati e devono essere accolti, nei termini di cui alla motivazione che segue.
3. L’appellante sostiene che i lavori che hanno interessato il capannone sito nel Comune di Gorla Maggiore non costituirebbero opere edilizie necessitanti di titolo abilitativo rilasciato dall’Amministrazione, poiché le stesse interesserebbero un’area interna del preesistente capannone e non rientrerebbero pertanto negli interventi disciplinati ex art. 10 dal DPR n. 380/2001.
Si sostiene inoltre, nel primo punto degli appelli in discussione, che il vaglio dell’Amministrazione relativo al rilascio del permesso in sanatoria, era richiesto solamente a titolo “prudenziale” stante la non assoggettabilità di tali interventi alle norme sul permesso di costruire.
La controversia attiene alla qualificazione dell'intervento eseguito ed alla conseguente inapplicabilità del regime assentivo/autorizzatorio da parte del Comune; nello specifico gli interventi eseguiti dall’appellante (non sanati dal permesso in sanatoria presentato e oggetto di ingiunzione di demolizione ad opera del Comune appellato) ovvero la “posa di una cabina di verniciatura all’interno del capannone” e la “realizzazione di una struttura in ferro … a protezione dell’impianto di emissione nell’aria della cabina di verniciatura” rientrerebbero tra quelli esenti da preventiva richiesta di permesso di costruire.
3.1. Le doglianze appaiono fondate.
Non appare, infatti, condivisibile la conclusione a cui è giunto il primo giudice nel definire detti interventi edilizi come “veri e propri lavori edili”, poiché essi non integrano nessuna delle fattispecie dell’art. 10 del DPR n. 380/2001; non è infatti riscontrabile né un aumento delle unità immobiliari interne, né modifiche ai volumi, ai prospetti o alle superfici, trattandosi, quanto alla posa della cabina di verniciatura, di un intervento realizzato internamente al capannone, nel rispetto della destinazione d'uso dell’immobile; mentre quanto alla struttura esterna a protezione dell’impianto di areazione, quest’ultima può qualificarsi come volume tecnico relativo all’impianto interno e in rapporto di stretta strumentalità con esso, non asservendo quest’ultima alla funzione di aumento di volumetria in senso tecnico.
Correttamente l’appellante ha rilevato negli appelli introduttivi del presente gravame che, in riferimento alla struttura in ferro posta a protezione dell’impianto di aereazione, quest’ultima, come da documentazione versata in atti, risulta essere “di dimensioni limitate allo stretto indispensabile” e legata alla funzione di protezione e convogliamento dell’impianto tecnologico di areazione interna e pertanto risulta priva di autonomia funzionale rispetto al “servito” capannone.
Tali volumi tecnici per loro natura sono da considerarsi come opere edilizie completamente prive di una propria autonoma utilizzazione, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti posti a servizio (e in rapporto di stretta dipendenza) di una costruzione principale e per esigenze tecnico-funzionali della stessa; stante, pertanto, la loro natura pertinenziale in senso urbanistico sono esenti dal novero delle “nuove costruzioni” di cui all’art. 10 del DPR citato e non richiedono pertanto permesso di costruire.
Quanto alla definizione di pertinenza, dal punto di vista urbanistico-edilizio, la giurisprudenza di questo Consiglio, ha ritenuto che sia qualificabile qualsiasi manufatto strumentale rispetto ad uno principale di dimensioni modeste rispetto a quest'ultimo (Cons. St., Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817).
La giurisprudenza ha già precisato che:
- la pertinenza è configurabile quando vi è un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e quella principale, cioè un nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole, oltre che una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce (Cons. St., Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615);
- a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica, ai fini edilizi il manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, e anche sfornito di un 'autonomo valore di mercato e non comporta un cosiddetto carico urbanistico (Cons. St., Sez. V, 31 dicembre 2008, n. 6756; Id., 13 giugno 2006, n. 3490).
Nel condividere tali orientamenti, il Collegio ritiene che non possa esservi alcun dubbio sulla assenza della natura pertinenziale - ai fini edilizi - quando sia realizzato un nuovo volume, su un'area diversa ed ulteriore rispetto a quella già occupata dal precedente edificio.
A tali fini, la natura pertinenziale è ravvisabile solo quando si tratti:
a) di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati;
b) di opere che comportino un nuovo e modesto volume 'tecnico' (così come definito ai fini urbanistici, fermo restando che anche i volumi tecnici, per la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, mantengono rilievo ai fini paesaggistici, dovendosi essi considerare ai fini dell'applicazione del divieto di rilascio di autorizzazioni in sanatoria, ai sensi dell'art. 167, comma 4, del Codice n. 42 del 2004: cfr. Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 1671; Sez. VI, 20 giugno 2012, n. 3578).
Nella fattispecie in esame, le opere realizzate consistono nella “realizzazione di una struttura in ferro e pannelli in alluminio coibentato, chiusa su tre lati, appoggiata al lato nord del capannone, a protezione dell’impianto di emissione nell’aria della cabina di verniciatura” e pertanto non possono che essere valutate come mere pertinenze, avendo la nozione di "pertinenza" in ambito edilizio, come sopra ricostruita, un significato assai circoscritto e limitato alle sole ipotesi di manufatti privi di intrinseco valore e non autonomamente utilizzabili e che non occupano una superficie ulteriore rispetto al manufatto principale.
Quanto alla “posa di una cabina di verniciatura all’interno del capannone” essa sfugge totalmente dalle previsioni di preventiva autorizzazione assentiva ad opera dell’Amministrazione e pertanto la richiesta in sanatoria, per sua stessa natura, non era suscettibile di valutazione da parte degli organi comunali preposti al controllo.
4. Il Collegio non si ritiene esonerato dal vagliare le doglianze di parte appellante di cui al punto b) e c) del punto 1) degli appelli in questione, nella parte in cui censurano le gravate pronunce del primo Giudice in riferimento all’intervenuto contrasto tra la concessione edilizia datata 22 maggio 2002 e la riformulazione dell’art. 33 delle NTA al PRG del Comune a seguito di variante.
4.1. E’ bene precisare che sul punto la Sezione è già stata investita della questione che verteva incidentalmente anch’essa sul contrasto con la nuova riformulazione dell’art. 33 citato e si è pronunciata con la Sentenza n. 1052/2007.
La medesima società odierna appellante, in quella sede ha lamentato l’illegittimità del provvedimento del 25 luglio del Sindaco di Comune di Gorla Maggiore con il quale si diffidava la società Righetto dall’utilizzare sempre lo stesso capannone di via Gramsci per attività insalubri di prima classe.
Il provvedimento sindacale, in quella circostanza secondo la ricorrente avrebbe erroneamente fatto applicazione della nuova formulazione dell’art 33 delle N.T.A., applicabile solo ai nuovi insediamenti.
Incidentalmente il primo giudice nel definire le odierne questioni che involgono il Collegio ha suffragato il proprio (errato) convincimento sul presupposto della nuova vigenza dell’art. 33 cit. come modificato.
Come correttamente dedotto dall’appellante nei giudizi in epigrafe (così come avvenne nel giudizio definito con la pronuncia innanzi richiamata) la concessione edilizia per la realizzazione del capannone industriale è stata rilasciata quando l’art. 33 delle N.T.A. non conteneva alcun limite nei confronti delle industrie insalubri di prima classe nella zona D2.
L’intervento di pianificazione dell’Amministrazione (la variante) va sempre rivolto al futuro e i suoi effetti modificativi anche se peggiorativi o comunque più restrittivi non posso spiegare effetti su autorizzazioni già concesse.
La disciplina urbanistica contenuta nel P.R.G. è destinata a svolgere i suoi effetti ordinatori e conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro. Le N.T.A. sono atti a contenuto generale, recanti prescrizioni a carattere normativo e programmatico, destinate a regolare la futura attività edilizia.
D’altronde, le opere già eseguite in conformità della disciplina previgente, conservano la loro precedente e legittima destinazione, senza che sia possibile impedire gli interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzione (cfr. Cons. St., sez. V, 7 novembre 2005, n. 6201; id., 19 febbraio 1997, n. 176).
5. L’accoglimento delle censure che precedono avverso il diniego di permesso di costruire in sanatoria, comportano, inoltre, l’invalidità, in via derivata, dell’ingiunzione di demolizione n. 57/2004, del 9 ottobre 2004, lamentata al punto 2 del ricorso in appello n. 3361/2006, stante il vincolo di presupposizione sussistente tra i due atti, sicché l’illegittimità dell’atto presupposto (diniego permesso di costruire) riverbera necessariamente i suoi effetti sulla validità dell’atto consequenziale (ingiunzione di demolizione), essendo entrambi fondati sulla presunta incompatibilità urbanistica dell’attività stessa.
Ne consegue, quindi, l’assorbimento delle rimanenti censure, proposte dalla società appellante nel presente giudizio.
In conclusione, gli appelli così come riuniti devono essere accolti nei limiti sopra esposti e, per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, deve essere annullato sia il provvedimento di diniego del permesso di costruire in sanatoria datato 11 giugno, sia l’ingiunzione a demolire n. 57/2004 emessa dal Comune di Gorla Maggiore con la quale, sulla scorta del diniego (parziale) del permesso di costruire, l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione di una cabina di verniciatura posta all’interno del capannone di proprietà della società ricorrente e della tettoia esterna allo stesso.
Sussistono, tuttavia, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li riunisce e li accoglie e, per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, annulla i provvedimenti impugnati in primo grado, nei limiti e nei sensi specificati in motivazione.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
Michele Corradino, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/08/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)