Sez. 3, Sentenza n. 16290 del 01/03/2006 Ud. (dep. 12/05/2006 ) Rv. 234320
Presidente: Vitalone C. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato: P.M. in proc. Di Girolamo. P.M. Meloni VD. (Parz. Diff.)
(Annulla senza rinvio, Trib. Frosinone, 8 giugno 2005)
ACQUE - Tutela dall'inquinamento - Azienda zootecnica - Effluenti da allevamento - Reflui assimilati a quelli domestici - Utilizzazione agronomica - In difetto di comunicazione - Reato di cui all'art. 59, comma undicesimo ter, D.Lgs. 152 del 1999 - Configurabilità.

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento, l'utilizzazione agronomica dei reflui provenienti da una azienda zootecnica è subordinata alla preventiva comunicazione all'autorità competente, indipendentemente dalla assimilabilità degli stessi ai reflui domestici, ai sensi dell'art. 28 del D.Lgs. 152 del 1999, atteso il disposto di cui all'art. 38 del citato D.Lgs. n. 152, configurandosi in difetto il reato di cui all'art. 59, comma undicesimo ter, dello stesso decreto (disposizioni riprodotte senza modificazioni sul punto nel D.Lgs. n. 152 del 2006).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 01/03/2006
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 367
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 29499/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone;
avverso la sentenza emessa l'8 giugno 2005 dal giudice del Tribunale di Frosinone;
nei confronti di:
Di Girolamo Silvio;
udita nella pubblica udienza del 1 marzo 2006 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Meloni Vittorio, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Di Girolamo Silvio venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59, comma 11 ter, per avere "in qualità di titolare della azienda agricola omonima, allevamento di bufale, effettuato lo scarico di effluenti zootecnici, scarico industriale in considerazione del numero dei capi presenti in allevamento - 202 - in rapporto alla superficie dell'azienda, pari a 24 ettari, sul terreno in assenza delle prescritte autorizzazioni". Il giudice del Tribunale di Frosinone, con sentenza dell'8 giugno 2005, assolse l'imputato dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.
Osservò il giudice:
- che il fatto contestato consisteva nella dispersione sul terreno della azienda agricola delle deiezioni dei capi di bestiame colà allevati;
- che il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, comma 7, lett. b), equipara alle acque reflue domestiche i reflui degli allevamenti di bestiame ove prodotti in imprese che dispongano di un ettaro di terreno agricolo, funzionalmente connesso alla coltivazione del fondo, per ogni 340 Kg. di azoto presenti negli effluenti di allevamento prodotti in un anno;
- che sulla base delle modalità di calcolo indicate nella tabella 6 dell'allegato 5, il peso vivo insistente per ettaro era pari a circa 3,4, tonnellate e quindi inferiore al peso vivo bovino cui corrispondeva la produzione della quantità massima di azoto (4 tonnellate equivalenti a Kg. 340 di azoto), considerata dalla legge per escludere l'indole industriale dei reflui di allevamento;
- che pertanto non sussisteva la condotta contestata che faceva perno sull'indole industriale dello scarico, smentita dalle risultanze processuali.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Frosinone propone ricorso per Cassazione deducendo:
- che l'assimilazione dei reflui delle aziende di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, comma 7, lett. b), agli scarichi di acque reflue domestiche concerne la sola disciplina delle acque, ossia degli scarichi diretti convogliati in condotta dallo stabilimento produttore e scaricati nel corpo recettore;
- che invece la disciplina relativa alla utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, prevista dall'art. 38 del medesimo decreto, afferisce alla disciplina delle acque se lo spandimento avviene direttamente tramite condotta ed a quella dei rifiuti liquidi qualora gli effluenti siano stoccati in vasche di decantazione e successivamente oggetto di spandimento nel terreno;
- che ciò significa che questa attività di gestione dei rifiuti, che altrimenti sarebbe vietata, è invece autorizzata in presenza dei requisiti di cui all'art. 38 cit.; - che la mancata comunicazione, prevista dall'art. 38, è sanzionata penalmente ai sensi del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59, comma 11 ter.
Conclude, quindi, nel senso che poiché il fatto risultava diverso da come contestato, il giudice avrebbe dovuto restituire gli atti al pubblico ministero ex art. 521 c.p.p., comma 2.
L'imputato ha depositato memoria difensiva con la quale rileva:
- che lo stesso D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, assimila gli effluenti di allevamento ai reflui domestici e li esclude quindi dalla categoria dei rifiuti;
- che del resto anche il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 8, esclude dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti le materie fecali e le altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nella attività agricola;
- che nella specie sussistevano le condizione di legge per il riconoscimento del diritto allo spandimento sul suolo degli effluenti;
- che ai sensi del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 38, comma 1, l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento è soggetta a mera comunicazione, mentre il secondo comma dispone che questa utilizzazione sarà disciplinata dalle regioni;
- che la regione Lazio non ha ancora emanato il relativo regolamento, di modo che non si sa a chi rivolgersi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente sostanzialmente lamenta che erroneamente il giudice di primo grado, pur avendo accertato che il fatto effettivamente commesso (utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento senza comunicazione) dall'imputato era diverso da quello contestato (scarico di effluenti zootecnici aventi natura industriale senza autorizzazione), anziché restituire gli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2, ha assolto l'imputato con la formula perché il fatto non sussiste, mentre tale assoluzione (peraltro con una formula diversa) si sarebbe potuta pronunciare in relazione al fatto originariamente contestato, ma non in relazione al fatto nuovo emerso in dibattimento e ritenuto in sentenza. Se è questo il senso della impugnazione, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato.
Effettivamente la motivazione della sentenza impugnata è corretta ed ineccepibile in riferimento al fatto originariamente contestato all'imputato, consistente nell'aver "effettuato lo scarico di effluenti zootecnici, scarico industriale in relazione al numero dei capi presenti in allevamento in rapporto alla superficie dell'azienda". Esattamente, infatti, il giudice di primo grado ha rilevato che era del tutto irrilevante il parametro fatto proprio dall'accusa nel formulare l'imputazione (basato sul rapporto tra numero dei capi e superficie dell'azienda agricola), in quanto doveva farsi riferimento al parametro indicato dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, comma 7, lett. b), il quale dispone che sono parificate alle acque reflue domestiche le acque reflue provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame che dispongano di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 Kg. di azoto presente negli effluenti di allevamento prodotti in un anno, da computare secondo le modalità di calcolo stabilite nella tabella 6 dell'allegato 5. E poiché sulla base di queste modalità di calcolo risultava che nella specie i limiti non erano stati superati e che quindi le acque reflue in questione dovevano considerarsi domestiche, ha di conseguenza esattamente rilevato che non era configurabile il reato contestato.
Sennonché, nella stessa sentenza impugnata il giudice da preliminarmente atto che il fatto che era emerso in dibattimento, ed in relazione al quale ha poi emesso la sentenza di assoluzione, non era in realtà quello contestato (scarico di effluenti zootecnici di natura industriale) bensì un fatto diverso, ossia "la dispersione, sul terreno della azienda agricola, delle deiezioni dei capi di bestiame colà allevati" (pag. 2). Ora questo comportamento è disciplinato non dal D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 28, bensì dal successivo art. 38, il quale dispone che "l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento ... nonché dalle acque reflue provenienti dalle aziende di cui all'art. 28, comma 7, lettere a), b) e c) e da altre piccole aziende agroalimentari ad esse assimilate ... è soggetta a comunicazione all'autorità competente di cui all'art. 3, commi 1 e 2 del presente decreto, fatti salvi i casi di esonero di cui al comma 3, lettera b)".
Nella specie il giudice del merito ha accertato che si trattava, come si è visto, di una azienda che rientrava tra quelle di cui all'art. 28, comma 7, lett. b) (stante la quantità di azoto presente negli effluenti), di modo che il comportamento consistente non nel semplice scarico degli effluenti di allevamento ma nella loro utilizzazione agronomica mediante dispersione sul terreno della azienda agricola avrebbe dovuto essere comunicato alla autorità competente. E difatti, secondo la previsione normativa, una cosa è lo scarico ed altra cosa è la utilizzazione eventualmente successiva a scopo agronomico di tutto o parte del contenuto dello scarico (cfr. Sez. 3^, 3 dicembre 1999, Gobetti, m. 215.161).
La violazione dell'obbligo sancito dall'art. 38 è poi sanzionata penalmente dal del medesimo D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59, comma 11 ter, il quale prevede la pena dell'ammenda o dell'arresto per "chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento ... nonché delle acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'articolo 38 al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste ...", nonché a "chiunque effettua l'utilizzazione agronomica al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente".
È quindi evidente che nel caso in esame nel corso del dibattimento era emerso che il fatto effettivamente commesso dall'imputato era diverso da quello contestato. Come esattamente lamenta il Pubblico Ministero ricorrente, pertanto, non avendo il medesimo Pubblico Ministero proceduto alla modifica della imputazione ed alla relativa nuova contestazione, il giudice, avendo accertato che il fatto era diverso da quello risultante dalla originaria contestazione, avrebbe dovuto, ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2, disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero. Di conseguenza, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al Pubblico Ministero competente. Non può invero disporsi un annullamento con rinvio, come richiesto dal Procuratore generale, proprio perché, non essendo mai stato contestato dal pubblico ministero il fatto diverso emerso in dibattimento, il giudice a quo non avrebbe potuto comunque statuire sullo stesso.
Le eccezioni sollevate dall'imputato con la memoria difensiva e relative alla dedotta insussistenza di una violazione dell'obbligo di comunicazione di cui al D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 art. 38, sono irrilevanti in questa sede perché non incidono sulla esistenza dell'obbligo del giudice a quo di trasmettere gli atti al pubblico ministero ai sensi dell'art. 521 c.p.p., comma 2, in ordine al fatto diverso emerso in dibattimento.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero presso il Tribunale di Frosinone. Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 1 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2006