LE NOVITÀ DELLA LEGGE FINANZIARIA 2007 NELLA MATERIA DEL DEMANIO MARITTIMO: CERTEZZE O CONFUSIONI?
di C. Alberto Nebbia-Colomba

I commi da 250 a 257 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 introducono importanti innovazioni nella disciplina del demanio marittimo e soprattutto nelle modalità di calcolo dei canoni di concessione.

Tuttavia molto spesso la scrittura delle nuove disposizioni non appare particolarmente chiarificatrice e talvolta si palesano dubbi di interpretazione o possibili fraintendimenti che si scontrano con le esigenze di immediata operatività che hanno fatto propendere il legislatore verso la scelta di sottrarre la determinazione dei canoni demaniali marittimi alle ulteriori regolamentazioni di carattere sub legislativo usuali nel precedente assetto normativo.

Sebbene si sia sostenuto che con la nuova impostazione dei parametri di calcolo lo Stato conseguirà maggiori introiti rispetto a quanto avvenuto negli anni precedenti, tale affermazione – in mancanza di direttive di dettaglio – non sembra poggiare su solide basi di certezza.

In ogni caso questo non è l’unico aspetto che merita attenzione.

Con la presente disamina, che non vuole avere alcuna pretesa di esaustività o di verità assoluta, ci si propone di evidenziare tutti gli aspetti della legge potenzialmente in grado di rappresentare fonti di perplessità o di condurre ad errati comportamenti coloro che sono chiamati ad applicarla in prima persona.

È quindi naturale che l’auspicio conclusivo sia quello di un sollecito intervento, da parte di chi di dovere, per l’emissione di univoci indirizzi esplicativi.

1 – Revoca della concessione di beni del demanio marittimo

Il primo elemento di confusione nasce dalla lettura del comma 250 della “legge finanziaria” che introduce il nuovo comma 2-ter(1) da aggiungere all’articolo 01 della legge 494/1993.

Il legislatore manifesta la volontà di punire – giustamente – in modo serio quei concessionari che si rendano (dalla data di entrata in vigore della legge) responsabili di gravi violazioni edilizie e, considerandoli non più meritevoli di utilizzare un bene dello Stato, li sanziona con la perdita della concessione.

Perfetto: anche se il comma non si cura di chiarire in che cosa consistano le “gravi violazioni edilizie”, ribadisce il principio della fermezza dello Stato nei confronti degli abusivi costruttori e deturpatori dell’ambiente.

L’inciso della norma non sembra lasciare alcun margine di discrezionalità (“le concessioni (…) sono revocate”) e quindi configura un vero e proprio atto dovuto al verificarsi delle condizioni previste (“qualora il concessionario si renda (…) responsabile di gravi violazioni edilizie”): al momento, però, tale atto dovuto non pare attuabile per la mancata definizione della sua sfera di applicabilità.

Ciò nondimeno ci si domanda perché, per i motivi indicati, sia stata prevista la “revoca” della concessione.

Chiunque abbia studiato un po’ di diritto amministrativo, se non di diritto della navigazione, si troverà spiazzato dal momento che ha sempre considerato la revoca non un istituto sanzionatorio, ma la pronuncia con la quale un atto amministrativo è privato di effetti per una nuova valutazione dei pubblici interessi operata dall’amministrazione competente.

Per la specifica materia del demanio marittimo la revoca è disciplinata dall’art. 42 del codice navigazione, secondo il quale le concessioni “sono revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse”.

Appare in tutta evidenza come la procedura di riferimento avrebbe dovuto essere quella della “decadenza”, prevista dall’art. 47 del cod. nav.: per l'appunto la lettera f) di tale articolo contempla tra le ipotesi di decadenza “l’inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione o imposti da norme di legge o di regolamenti”.

Certamente non si può pretendere che il Parlamento sia composto da esperti di diritto, tuttavia la svista appare ancor più inesplicabile per l’esplicito riferimento all’articolo 5 del D.P.R. 296/2005 che tratta proprio di decadenza e revoca(2).

Tralasciando il pur importante fatto che il regolamento in questione concerne i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili demaniali e patrimoniali dello Stato gestiti dall'Agenzia del demanio e non i beni demaniali marittimi, attualmente gestiti dagli enti locali – e quindi, a rigor di logica, non dovrebbe trovare applicazione per la materia di cui si tratta –, appare evidente che il D.P.R. in questione non confonde affatto i due istituti ma li pone nella loro corretta collocazione giuridica.

In particolare, secondo il menzionato articolo 5, per “l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla concessione – dizione identica a quella contenuta nella legge –, la competente filiale dell'Agenzia del demanio, dichiara la decadenza dalla concessione”, non procede alla sua revoca.

Ovviamente qualcuno può domandarsi quale importanza abbia l’uso di un termine anziché di un altro quando venga conseguito l’obiettivo voluto dal legislatore: in fin dei conti l’importante è raggiungere il concreto risultato di punire, in modo inequivocabile, i concessionari non ligi alle regole.

Una finalità di questo tipo trova unanime condivisione, pur tuttavia vi è l’assoluta certezza che il ricorso all’uno od all’altro provvedimento comporti gli identici effetti nei confronti di chi si vuol colpire?

Ebbene, sicuramente, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 47 del cod. nav. “al concessionario decaduto non spetta alcun rimborso per opere eseguite né per spese sostenute”; il legislatore del 1942 è stato chiaro, la decadenza è un provvedimento sanzionatorio nei confronti di un concessionario che non si è comportato secondo le regole e pertanto non presuppone il riconoscimento di alcuna compensazione.

Anche la revoca, per principio generale, non dà diritto ad alcun indennizzo ma ha una importante, fondamentale eccezione: ai sensi del quarto comma dell’art. 42 cod. nav.: “nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l’amministrazione, salvo che non sia diversamente stabilito, è tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato”.

Dal tenore letterale del dispositivo in questione si rileva che le concessioni revocate ai sensi della nuova norma introdotta dalla finanziaria:

se inerenti la realizzazione di manufatti facilmente rimovibili, non presuppongono l’indennizzo del concessionario;

se inerenti la realizzazione di opere stabili, cioè quegli impianti destinati a diventare di proprietà dello Stato ai sensi dell’articolo 49 del cod. nav., comportano la necessità di “compensare” il concessionario della perdita subita.

A mero titolo di esempio si può immaginare la seguente situazione ipotetica: un soggetto ottiene una concessione poliennale che prevede la realizzazione di opere “inamovibili”, realizza in toto o in parte quanto previsto nell’atto e poi costruisce abusivamente altri manufatti “stabili”; l’amministrazione, verificato che le nuove costruzioni sono inquadrabili nella fattispecie delle “gravi violazioni edilizie”, procede a revocare la concessione.

Supponendo che manchino ancora 5 anni alla scadenza naturale della concessione, il concessionario revocato avrebbe diritto ad essere indennizzato per la realizzazione delle opere “regolari”, per la quota parte del costo sostenuto dedotti gli ammortamenti relativi al periodo di fruizione della concessione.

Ma allora dove si colloca la nuova linea di fermezza? Qual è la differenza di trattamento tra il concessionario-trasgressore ed il concessionario-corretto che, pur avendo rispettato le regole, si vede revocata la concessione per motivi di pubblico interesse?

È possibile che l’intendimento del moderno legislatore sia effettivamente quello di non frapporre distinzioni punitive?

Forse sarebbe stato opportuno specificare che la revoca è effettuata senza compensi o indennizzi per le opere realizzate nell’ambito della concessione o forse, molto più correttamente, si sarebbe dovuto utilizzare il termine giuridico appropriato, sostituendo al vocabolo “revoca” quello di “decadenza”, in modo da non ingenerare equivoci.

2 – Nuovi criteri di determinazione dei canoni demaniali

Il comma 251 della “finanziaria”, novella il primo comma dell’articolo 03 della legge 4 dicembre 1993 n. 494, sostituendo alle precedenti 4 classi in cui veniva suddiviso (al fine del calcolo del canone di concessione) il demanio turistico utilizzato per finalità turistico-ricreative, soltanto 2.

Di fatto sono state eliminate le originarie classi C (“bassa valenza turistica”) e D (“pertinenze demaniali marittime di cui all'articolo 29 del codice della navigazione”), mantenendo valide le classi A (“alta valenza turistica”) e B (“normale valenza turistica”).

Se da un lato appare condivisibile la scelta di eliminare la classe D, in quanto caratterizzante soltanto una categoria di opere – quelle di proprietà dello Stato – alle quali può essere applicata una specifica misura di canone con riferimento alla zona in cui sono ubicate, dall’altro non pare particolarmente equo ridurre la differenziazione delle misure di canone a solo due tipologie, anzi potrebbe essere considerato maggiormente conforme ai principi di imparzialità cui lo Stato deve tendere, prevedere una classificazione delle zone demaniali marittime ancor più frammentata.

Non deve essere dimenticato che l’articolo 15 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione poneva un principio fondamentale per la determinazione del canone di concessione stabilendo che quest’ultimo dovesse essere definito “in relazione alla entità delle concessioni stesse, allo scopo che si intende conseguire e ai profitti che può trarne il concessionario”.

L’originaria formulazione dell’articolo 03 della legge 494, peraltro, deve essere vista come il tentativo del legislatore di correggere le regole di calcolo dei canoni introdotte dalla legge 160/1989 e dal suo regolamento di esecuzione (Decreto interministeriale 19 luglio 1989) che, innovando completamente rispetto al passato, introduce per la prima volta importi prefissati e generalizzati per misure di superficie, con parametri di calcolo univoci, a seconda delle tipologie di concessione, sull’intero territorio nazionale.

Tra il 1989 ed il 1993 concessioni di simile destinazione (ad esempio turistico-ricreativa) ed estensione erano soggette ad un canone identico senza nessuna differenziazione: in altri termini lo stabilimento balneare, il ristorante, l’albergo o il campeggio dovevano corrispondere un importo commisurato unicamente alla superficie occupata (distinta in scoperta e coperta – da opere di facile rimozione, di difficile rimozione e da pertinenze demaniali marittime –) a prescindere dal luogo di ubicazione.

Risulta di facile comprensione il fatto che nelle varie regioni, ma anche all’interno di una stessa regione o addirittura all’interno dei singoli comuni, si possono incontrare zone che hanno valenze turistiche profondamente differenziate e, come tali, meriterebbero una puntuale disciplina atta a consentire l’applicazione di un canone per quanto più possibile equo in rapporto alle possibilità economiche offerte dalla concessione stessa.

È ovvio che ciò che potrebbe essere ritenuto inseribile in una categoria con riferimento ad una situazione locale, potrebbe corrispondere ad una categoria inferiore se rapportato ad una situazione di un’altra zona (anche limitrofa), e comunque l’utilizzo di due sole due misure di canone, come naturale, penalizza in modo consistente tutte le concessioni che si collocano a metà tra le due categorie.

3 – Individuazione della valenza turistica

Ai sensi della “legge finanziaria” n. 296/2007, “l’accertamento dei requisiti di alta e normale valenza turistica è riservato alle regioni competenti per territorio con proprio provvedimento”.

Tale disposizione, nella sostanza, non si discosta da quella originariamente prevista dalla legge 494/1993(3), ma la grossa novità è rappresentata dal fatto che, venendo di fatto cancellato il D.M. 342/1998, non esistono più i criteri in base ai quali effettuare la classificazione.

Infatti era il primo comma dell’articolo 6 del provvedimento in questione a prescrivere che le regioni individuassero “le aree del proprio territorio da classificare nelle categorie A, B e C, effettuati gli accertamenti - sulla base dei criteri armonizzati sul piano nazionale ai sensi dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 - dei requisiti di alta, normale e minore valenza turistica, tenuto conto, fra l'altro, dei seguenti elementi:

caratteristiche fisiche, ambientali e paesaggistiche;

grado di sviluppo turistico esistente;

c) stato delle acque con riferimento alla balneabilità;

d) ubicazione ed accessibilità agli esercizi;

e) caratteristiche delle strutture, delle attrezzature e dei servizi”.

Inoltre, per gli stessi motivi, non è più prevista la revisione quadriennale della classificazione delle aree(4).

Da ciò consegue che ogni regione potrà adottare i criteri che più riterrà opportuni e procedere o meno alla revisione periodica della catalogazione effettuata.

Ad ogni buon fine è previsto che, durante il lasso di tempo necessario alle regioni per emanare il provvedimento di classifica, venga presa come riferimento soltanto la categoria B).

Tuttavia, forse per “invogliare” le amministrazioni regionali ad attuare con tempestività gli adempimenti di competenza, viene specificato (in modo assai più puntuale di quanto previsto dalla precedente formulazione della legge n. 494/1993) che “una quota pari al 10 per cento delle maggiori entrate annue rispetto alle previsioni di bilancio derivanti dall’utilizzo delle aree, pertinenze e specchi acquei inseriti nella categoria A è devoluta alle regioni competenti per territorio”.

Per completezza di trattazione si osserva che, in base alla precedente normativa, le regioni avevano classificato pressoché la totalità delle aree demaniali marittime nella categoria C (molto spesso senza procedere alla successiva revisione quadriennale).

4 – Aggiornamenti ISTAT

La norma prosegue stabilendo la definitività dei canoni relativi agli anni 2004, 2005 e 2006, corrisposti secondo i criteri del D.M. 342/1998, premurandosi di precisare che per gli stessi periodi “non operano le disposizioni maggiorative di cui ai commi 21, 22 e 23 dell’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni”.

Quindi continua dettando i nuovi importi unitari di canone, suddivisi per fattispecie, da applicare con decorrenza dal 1° gennaio 2007, “aggiornati degli indici ISTAT maturati alla stessa data”; a mero titolo di esempio, per l’area scoperta in zona di categoria A viene fissata la misura di euro 1,86 al mq. (la precedente normativa stabiliva lire 3.600 al mq. relativamente all’anno 1998, che con gli aggiornamenti ISTAT, sarebbero diventati euro 2,28 al mq. dal 1° gennaio 2007), per l’area scoperta in zona di categoria B euro 0,93 al mq. (in precedenza lire 1.800 al mq. per l’anno 1998 e quindi euro 1,14 al mq. dal 1° gennaio 2007).

Onde consentire ogni utile elemento di giudizio si precisa che per l’area scoperta in categoria C, la precedente formulazione della legge n. 494/1993 prevedeva un importo di lire 1.400, aggiornate ad euro 0,85 per l’anno 2006 (l’indice ISTAT per il 2007 è stato indicato nel 3,75%, quindi euro 0,88).

Purtroppo la dizione utilizzata dal legislatore non è delle più chiare e si presta a differenti ipotesi, di non poco conto, circa l’effettivo momento da cui far decorrere la prima rivalutazione degli importi base del canone.

Dal tenore letterale del testo parrebbe intendersi che l’applicazione del primo indice ISTAT dovrebbe avvenire dal 1° gennaio 2008 in quanto, intuibilmente, dall’entrata in vigore della legge al 1° gennaio 2007 non può essere maturata alcuna rivalutazione.

Tuttavia si deve tener conto che la disposizione de qua, sebbene di recentissima emanazione, va ad inserirsi nel contesto della legge 494/1993 e abroga, di fatto, il D.M. 342/1998 che a sua volta conteneva la determinazione dei canoni dal 1° gennaio 1998 (l’art. 10 della legge 449/1997, sanando il vuoto che si era creato tra il momento dell’entrata in vigore della legge 494/1993 e quello dell’emissione del D.M. 342, aveva sancito la definitività dei canoni comunque versati relativi alle concessioni aventi validità sino al 31 dicembre 1997).

Ebbene, secondo alcuni, poiché le nuove misure di canone sostituiscono quelle previste dal D.M. 342, si dovrebbe intendere che gli importi base della legge finanziaria 2007 siano in realtà riferiti all’anno 1998 e, pertanto, gli indici ISTAT maturati avrebbero decorrenza dal 1° gennaio 1999.

Con un ragionamento analogo, ma altrettanto scarsamente condivisibile, potrebbe essere sostenuto che, siccome la data di entrata in vigore della legge 494/1993 è quella del 24 dicembre 1993 e la stessa ha cominciato ad esplicare i suoi effetti dal 1° gennaio 1994, gli aggiornamenti ISTAT andrebbero conteggiati dal 1° gennaio 1995.

Poi, vi è chi sostiene che dovrebbe essere applicata, dal 1° gennaio 2007, la sola maggiorazione relativa all’indice ISTAT maturato nel corso dell’anno 2006 e ciò in quanto la previsione generale dell’aggiornamento annuale dei canoni è rimasta tal quale anche se sono mutati gli importi base a cui attribuirla.

In definitiva, modesto avviso dello scrivente, soltanto la prima e l’ultima delle ipotesi interpretative rappresentate (propendendo in maggior misura verso la prima) sembrano coerenti e sostenibili, in quanto nelle altre supposizioni verrebbe sottolineata un’inopinata illogicità del legislatore che, anziché fornire direttamente un dato a lui noto perché quantificato nelle previsioni di bilancio, costringerebbe gli operatori del settore ad attuare molteplici, singole operazioni matematiche con aumento del rischio di sviste ed errori.

5 – Specchi acquei

La norma prosegue poi indicando gli importi unitari di canone relativi all’occupazione ed uso di specchi acquei suddividendoli a seconda della distanza dalla costa.

La misura maggiore (euro 0,72 al mq.) è fissata per gli specchi acquei entro 100 metri dalla costa o “delimitati da opere che riguardano i porti così come definite dall’articolo 5 del testo unico di cui al regio decreto 2 aprile 1885, n. 3095”(5), e via via decresce con il maggiore aumento della distanza: euro 0,52 per quelli compresi tra 100 e 300 metri e 0,41 per quelli oltre i 300 metri.

Da segnalare è la formulazione del nuovo articolo 03, comma 1, lett. b) numero 1.7), dovuta ad un probabile refuso tipografico: infatti viene stabilito un canone di euro 0,21 a mq. “per gli specchi acquei utilizzati per il posizionamento di campi boa per l’ancoraggio delle navi al di fuori degli specchi acquei di cui al numero 1.3)”.

Ebbene è agevole verificare che il menzionato numero 1.3) riguarda i canoni relativi alle aree demaniali marittime occupate con impianti di difficile rimozione(6), fattispecie completamente estranea a quella in argomento.

È dunque probabile che il legislatore abbia invece inteso far riferimento ai numeri 1.4), 1.5) e 1.6) che illustrano, per l’appunto, le varie fattispecie degli specchi acquei e si auspica pertanto la pubblicazione di una “errata corrige”(7).

6 – Pertinenze demaniali marittime

Anche l’articolato che tratta delle concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime merita qualche cenno di approfondimento.

In primo luogo il numero 2.1 specifica le varie destinazioni delle pertinenze suddividendole in “attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi”: lo scopo di tale precisazione non è di immediata ed agevole comprensione.

In effetti, poiché il primo comma dell’articolo 03 della legge 494/1993 come novellato dalla “finanziaria” 2007 riguarda esclusivamente le concessioni con finalità turistico-ricreativa, parrebbe ovvia la riferibilità delle disposizioni in esso contenute a tutte le pertinenze con la medesima finalità.

Se quindi il legislatore ha volutamente introdotto una ulteriore specificazione, parrebbe logico ritenere che abbia avuto uno scopo ben preciso: intanto se ha fatto riferimento a tre tipologie (e non a tutte) significa che ve ne possono essere altre.

Ad esempio un manufatto di proprietà dello Stato concesso ad una associazione sportiva come palestra per i propri associati e sede sociale, oppure un depuratore o, ancora, un ponte stradale, non sembrerebbero automaticamente riconducibili a nessuna delle categorie indicate.

Ciononostante all’interno della norma non si rinviene alcun ulteriore rinvio ad altre tipologie di utilizzazione dei beni pertinenziali, fatto che fa propendere per l’esclusione dell’interpretazione fornita.

D’altro canto non sembra condivisibile l’ipotesi che con la dizione usata si sia inteso estendere l’applicabilità della disposizione alla generalità delle pertinenze (non soltanto a quelle assentite in concessione per finalità turistiche), in quanto la formulazione della premessa dell’articolo non lascia alcun dubbio circa la sua stretta attinenza al comparto turistico-ricreativo.

Non vi è alcun dubbio che da tale disciplina restino escluse le pertinenze destinate ad uso abitativo (delle quali si continua a non far cenno nella normativa relativa al complesso dei canoni demaniali marittimi), quelle destinate ad uso cantieristico o pesca ed acquicoltura (in quanto la formulazione originaria del comma 2 dell’articolo 03 della legge 494 non ha subito alcuna modificazione e pertanto, per tali fattispecie, continuano ad applicarsi i canoni di cui al D.M. n. 595/1995) nonché quelle destinate per scopi non riconducibili a quelli espressamente indicati (per le quali dovranno continuare ad essere applicate le misure di cui al decreto interministeriale 19 luglio 1989).

Continuando ad esaminare il testo in questione, si rileva che “il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento. L’importo così ottenuto è moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5”.

Il primo dubbio che sorge riguarda la locuzione “superficie complessiva”: perché il legislatore ha ritenuto di utilizzare proprio l’aggettivo “complessiva”?

Non sarebbe stato sufficiente parlare di “area occupata da pertinenze demaniali marittime” come nei precedenti testi normativi?

O forse la formula viene volutamente utilizzata per distinguere da altre tipologie di superficie “parziali”?

Dando per scontato che l’aggettivo non sia stato usato in modo del tutto casuale, viene in mente che – nelle intenzioni di chi ha scritto il testo – la specificazione “complessiva” potrebbe intendere la sommatoria di tutte le superfici utili del manufatto di proprietà dello Stato.

Così, nel caso di un fabbricato a più piani, il calcolo del canone di concessione dovrebbe essere effettuato utilizzando come parametro la superficie di calpestio di ogni locale utilizzato dal concessionario e non soltanto la superficie che lo stabile occupa sul terreno demaniale marittimo.

Tale interpretazione permette altresì la determinazione di precisi e più equi corrispettivi nel caso in cui il bene pertinenziale (a più piani) sia assentito a differenti concessionari: se così non fosse, il gestore del bene demaniale si vedrebbe chiamato a calcolare un importo totale di canone per poi ripartirlo secondo non meglio precisate percentuali tra i vari concessionari.

Inoltre, renderebbe agevoli le operazioni nella frequente ipotesi di una pertinenza assentita a differenti concessionari per finalità che importino l’applicazione di diverse modalità di calcolo del canone (ad esempio, la coesistenza su uno o più piani di concessioni ad uso cantieristico, di pesca , commerciale e per uffici).

A prescindere da ogni altra considerazione – allo stato attuale, in assenza di interpretazioni autentiche ovvero di circolari esplicative, comunque lecita e possibile – parrebbe logico che lo Stato, proprietario di un immobile sul suolo demaniale marittimo ritragga, dalla relativa concessione d’uso a terzi, proventi commisurati alla effettiva possibilità di utilizzazione del medesimo.

In caso contrario si giungerebbe all’assurda eventualità che il canone di una pertinenza ad un piano sarebbe uguale a quello del grattacielo che occupa gli stessi metri quadrati di terreno.

Per quanto attiene all’Osservatorio del mercato immobiliare, si osserva che i dati relativi vengono forniti dall’Agenzia del territorio sul proprio sito web su base semestrale, fatto che comporta la variazione dei valori quantomeno due volte nel corso dell’anno.

Ebbene, la norma non si preoccupa di specificare né a quali dati occorre far riferimento per l’impostazione del calcolo del canone, né quale tipo di “media” debba essere utilizzata (se matematica, geometrica, ponderata, ecc.).

Se il legislatore ha perseguito finalità di massima semplificazione, pare lecito ipotizzare che i dati da utilizzare siano quelli rilevabili al momento del rilascio/rinnovo della concessione – e non, ad esempio, quelli dell’ultimo anno – e quindi la “media” da impiegare – tra un solo valore minimo ed un solo valore massimo – sia quella matematica.

Con questa supposizione, che ha il pregio di snellire e rendere agevoli i conteggi necessari, si potranno comunque verificare casi di concessioni uguali (cioè relative a pertinenze di identica consistenza e finalità), con canone differente se assentite in momenti temporalmente separati (anche nel corso dello stesso anno).

Per tale motivo, sembrerebbero sussistere fondati motivi di equità da far propendere per un calcolo del canone basato su una media ponderata dei valori del mercato immobiliare relativi all’intero anno in corso.

La finanziaria prosegue affermando che “qualora i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare non siano disponibili, si fa riferimento a quelli del più vicino comune costiero rispetto al manufatto nell’ambito territoriale della medesima regione”: purtroppo la norma non dice come ci si debba comportare qualora la tipologia del manufatto non sia proprio contemplata (ad esempio un molo od una banchina).

È vero che potrebbe essere fatto rinvio a fattispecie similari e che comunque può essere interessata la competente Agenzia del demanio ai sensi dell’articolo 13 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione, ma resta comunque concettualmente difficile operare similitudini con opere come banchine o porti.

Il successivo paragrafo si occupa delle altre aree comprese all’interno delle concessioni afferenti ai manufatti pertinenziali stabilendo l’applicabilità alle stesse delle misure di canone “di cui alla precedente lettera b), numero 1)”.

Obiettivamente, l’inciso con il quale viene ribadita sia la definitività dei canoni fino al 31 dicembre 2006, sia la non operatività delle “disposizioni maggiorative di cui ai commi 21, 22 e 23 dell’articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni”, sembra pleonastico.

Infatti l’identica dizione è già contenuta nella citata lettera b), numero 1) dello stesso comma e poi il comma 256 dell’articolo 1 della legge n. 296/2006 in esame, provvede all’esplicita abrogazione delle norme de quibus(8).

I motivi per i quali il legislatore abbia ritenuto necessario ripetere più di una volta il medesimo concetto restano, in questo caso, oscuri.

7 – Riduzioni di canone

La nuova enunciazione delle lettere c), d), f) del primo comma dell’articolo 04 della legge n. 494/1993 contempla le possibilità di operare riduzioni agli importi di canone calcolati secondo le nuove direttive.

Rispetto al precedente assetto normativo, le circostanze riconosciute risultano ridotte, ma viene inserita una novità di tutto rilievo.

Le opportunità mantenute riguardano gli “eventi dannosi di eccezionale gravità che comportino una minore utilizzazione dei beni oggetto della concessione, previo accertamento da parte delle competenti autorità marittime di zona”(9) (lettera c), numero 1), le “concessioni demaniali marittime assentite alle società sportive dilettantistiche senza scopo di lucro affiliate alle Federazioni sportive nazionali” – ora con l’importante “esclusione dei manufatti pertinenziali adibiti ad attività commerciali” – (lettera c), numero 2), “le concessioni indicate al secondo comma dell'articolo 39 del codice della navigazione e all'articolo 37 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione” (lettera d).

Scompaiono pertanto le facilitazioni in precedenza previste per le “concessioni ad uso abitativo o di soggiorno climatico rilasciate fino al 4 ottobre 1993(10), “per le concessioni per le quali il concessionario assuma l'obbligo o sia autorizzato ad effettuare lavori di straordinaria manutenzione di un bene di pertinenza demaniale marittima, nonché nei casi previsti dagli articoli 40 e 45, primo comma, del codice della navigazione”(11), “per le concessioni per le quali il concessionario non abbia un diritto esclusivo di godimento ovvero per le quali il diritto esclusivo del concessionario sia limitato all'esercizio di una specifica attività che non esclude l'uso comune o altre possibili fruizioni consentite da leggi o regolamenti”(12), e, per quanto specificamente attiene alle strutture destinate all’ormeggio delle unità da diporto: “nei casi in cui il concessionario assuma l'obbligo e sia autorizzato ad effettuare lavori di straordinaria manutenzione (…) di impianti, manufatti od opere realizzati sul demanio marittimo o nel mare territoriale”(13), “per il periodo di costruzione degli impianti, manufatti ed opere stabilito nell'atto di concessione e sempre che non vi sia utilizzazione lucrativa”(14).

Se la “finanziaria” da una parte cancella, dall’altra inserisce un elemento di assoluta novità: la previsione di “riduzione, per le imprese turistico-ricettive all'aria aperta, dei valori inerenti le superfici del 25 per cento".

Purtroppo, anche in questo frangente, la disposizione non si presenta perfettamente chiara o esente da interrogativi: intanto manca una precisa definizione circa che cosa si intenda per “imprese turistico-ricettive all’aria aperta” e poi non ci si preoccupa di chiarire il concetto di “superfici”.

Ad esempio, nell’ipotesi di uno stabilimento balneare, l’interpretazione di prima facie sarebbe quella di applicare un canone intero per le porzioni coperte da impianti di facile o difficile rimozione ovvero da pertinenze demaniali marittime ed un canone ridotto di un quarto per l’area scoperta (o comunque utilizzata per il mero posizionamento temporaneo di attrezzature da spiaggia).

Ciononostante, se da un lato è agevole ricondurre uno stabilimento balneare alla tipologia indicata dal legislatore, dall’altro l’uso del termine plurale “superfici” anziché quello singolare, fa presupporre che la riduzione possa operare sull’intera concessione (area scoperta e coperta da impianti di ogni tipo e natura).

In qualsiasi caso parrebbe che l’applicazione di tale riduzione ai nuovi importi conduca alla determinazione di canoni complessivi, per le singole concessioni nelle aree classificate “a normale valenza turistica”, inferiori di quelli fino ad oggi corrisposti in base alla precedente normativa.

E probabilmente, anche se le regioni individuassero estese aree “ad alta valenza turistica”, ciò non porterebbe alle stesse alcuna percentuale “delle maggiori entrate annue rispetto alle previsioni di bilancio derivanti dall'utilizzo delle aree, pertinenze e specchi acquei inseriti nella categoria A”.

Inoltre, non deve essere dimenticato che il comma 252 della legge 296/2006(15) ha esteso i criteri di determinazione dei canoni demaniali marittimi relativi alle concessioni con finalità turistico-ricreativa anche a quelle per la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, abrogando con ciò il decreto ministeriale 343/1998 che trattava lo specifico comparto.

Se, pertanto, in materia di calcolo dei canoni, i porti e gli approdi turistici sono parificati alle concessioni di cui al primo comma dell’articolo 03 della legge 494/1993, parrebbe logico estendere agli stessi le medesime possibilità di riduzione.

Ma un approdo turistico rientra nella tipizzazione di “impresa turistico-ricettiva all’aria aperta”?

Se sì, deve essere applicata la riduzione del 25% anche alla superficie degli specchi acquei nonostante l’importo del relativo canone di riferimento risulti già oltremodo agevolato?

8 – Applicabilità della nuova disciplina

Il nuovo assetto di determinazione dei canoni, come già ricordato, è entrato in vigore dal 1° gennaio 2007 e quindi trova senza alcun dubbio applicazione nel caso di rilascio o di rinnovo di concessioni a partire da tale data.

Non si reperisce tuttavia alcun cenno circa il comportamento da tenere in caso di titoli concessori già rilasciati ed in corso di validità: a rigor di logica, in mancanza di un esplicito riferimento alle concessioni vigenti al 1° gennaio 2007, queste ultime dovrebbero continuare a seguire le disposizioni nelle stesse contenute (quindi la precedente normativa), fino alla data di naturale scadenza.

La formulazione originaria della legge n. 494/1993(16) utilizzava la dizione “i canoni annui per concessioni con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei per i quali si applicano le disposizioni relative alle utilizzazioni del demanio marittimo sono determinati, a decorrere dal 1° gennaio 1994 (…)”: a seguito del preciso accenno alla decorrenza della determinazione, la Corte dei conti, su posizioni diverse rispetto a quelle del Ministero dei trasporti e della navigazione, aveva ritenuto applicabili i nuovi criteri ad ogni rapporto concessorio, sia vigente che rilasciando(17).

È naturale che la problematica assumeva aspetti più pregnanti nel caso di concessioni ultrasessennali regolamentate mediante atti pubblici ex articolo 9 reg. cod. nav.: ovviamente nei provvedimenti di questo tipo è contenuta una indicazione puntuale del corrispettivo dovuto, con previsione di automatico aggiornamento annuale su base ISTAT, che costituisce una delle clausole del “contratto” stipulato tra il concessionario e la pubblica amministrazione.

Per la soluzione della questione era stato necessario un nuovo intervento legislativo, operato con l’articolo 10, comma 1, della legge n. 449/1997, grazie al quale veniva definitivamente chiarito che “i canoni per concessioni di beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale, determinati ai sensi dell'articolo 03, comma 1 (…) e dell'articolo 1 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, si applicano alle concessioni aventi decorrenza successiva al 31 dicembre 1997”.

Risolti i dubbi interpretativi con la promulgazione della citata legge e acclarata la irretroattività della norma, la Direzione generale del demanio marittimo del Ministero dei trasporti e della navigazione aveva concluso che alle concessioni afferenti a periodi successivi o a cavallo del 1° gennaio 1998 si dovesse applicare “il canone derivante dalla normativa vigente all’epoca del rilascio del titolo concessorio con gli aggiornamenti annuali derivanti dall’applicazione dell’art. 04 della legge n. 494/1993; e ciò fino alla scadenza del titolo concessorio in corso di validità, il cui eventuale rinnovo sarà ricondotto invece, per quanto attiene alla misura del canone, nel campo di applicazione del D.M. n. 342”(18).

Facendo riferimento all’esegesi delle norme sino a qui citate, la dizione utilizzata dall’odierno testo, in vigore – si ripete – dal 1° gennaio 2007, non dovrebbe dar adito ad incertezze in quanto afferma espressamente che la determinazione dei nuovi canoni si riferisce a “concessioni rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei” (19).

Si tratta dunque di una svista del legislatore che, peraltro, nel prosieguo dell’articolato sembra mostrare l’intendimento di applicare i nuovi criteri a tutte le concessioni, oppure di una precisa manifestazione di volontà?

Se si propende per la prima ipotesi – con riferimento alle modalità pratiche di attuazione –, qualora le licenze di concessione in vigore fossero state sottoscritte con l’inserimento della nota clausola del “salvo conguaglio”, non si rinverrebbero particolari problematiche nella richiesta dei nuovi importi.

È evidente che, in tale eventualità, non si porrebbe neanche il dubbio sulla necessità di procedere al rilascio di una licenza suppletiva, ai sensi dell’articolo 24 del regolamento di esecuzione al cod. nav., per la modifica formale del richiamo alle norme che hanno condotto al calcolo del canone e del relativo nuovo importo.

La stipula di un atto suppletivo sembra invece imprescindibile nel caso di concessioni disciplinate ai sensi dell’articolo 9 del regolamento.

In ogni caso è da tenere presente che, a seguito dell’imposizione dei nuovi canoni, muterà anche la base imponibile sulla quale deve essere correttamente calcolata l’imposta di registrazione dell’atto concessorio.

Ritornando sul dettato dell’articolo 10 della legge n. 449/1997, si osserva che il precetto contenuto nel primo comma non è stato in alcun modo modificato dalle norme successive, tuttavia non si è in grado di sostenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, se possa essere ritenuto produttivo di effetti anche per le disposizioni in vigore dal 1° gennaio 2007, a variazione del testo della legge 494.

Invero, se così fosse, resterebbero fermi gli importi dei canoni previsti negli atti di concessione stipulati o comunque decorrenti anteriormente alla data del 31 dicembre 1997 e dovrebbero essere modificati, secondo le prescrizioni della “legge finanziaria", soltanto quelli con decorrenza successiva a tale data.

9 – Il “libero accesso alla battigia”

La “nuova” lettera e) del primo comma dell’articolo 04 della legge n. 494/1993 introduce, ex novo, una condizione speciale cui devono essere assoggettate le concessioni con finalità turistico-ricreativa: “l’obbligo per i titolari (…) di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”.

Ciò che nella precedente formulazione della norma era una mera facoltà lasciata al concessionario, facoltà che unitamente all’impegno dell’offerta gratuita dei servizi generali all’utenza, comportava la possibilità di ottenere una riduzione del canone(20), diventa oggi un obbligo inderogabile.

Sembra evidente che, nella stesura di tale testo, il legislatore abbia avuto in mente una sola tipologia di concessioni e cioè quella degli stabilimenti balneari o comunque degli esercizi similari.

È altrettanto palese che, a questo punto – salvo l’emanazione di direttive esplicative contrarie – il pagamento del “biglietto di accesso” all’arenile richiesto al bagnante per l’entrata (e lo stazionamento) all’interno dell’arenile in concessione, comune in numerose zone costiere, sembra destinato alla completa scomparsa.

Ad ogni buon fine non risulta in alcun modo chiarito che cosa si intenda per “accesso”, o meglio se l’accesso gratuito consenta all’utente soltanto di raggiungere il mare e la fascia di battigia destinata alla libera circolazione ovvero se permetta anche di permanere all’interno dell’area in concessione.

Nel primo caso si avrebbe l’elevazione a rango di legge di una norma già presente in numerose “ordinanze balneari”, fatto che, estendo a livello nazionale la regola vigente in ambito di alcune località, non parrebbe comunque in grado di influire in modo significativo sull’attività degli stabilimenti balneari; mentre nel secondo si verificherebbe un vero e proprio sconvolgimento, temuto da tutti gli operatori del settore per il rischio di una massiccia diminuzione della clientela pagante.

L’interpretazione più corretta parrebbe comunque la prima perché il comma 254 della “legge finanziaria 2007”, nello stabilire che le regioni, nel predisporre i piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo di propria competenza devono individuare non soltanto “un corretto equilibrio tra le aree concesse a soggetti privati e gli arenili liberamente fruibili” ma anche “le modalità e la collocazione dei varchi necessari al fine di consentire il libero e gratuito accesso e transito, per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione”.

Sembrerebbe quindi demandato alla regione il potere-dovere di indicare le caratteristiche necessarie all’esecuzione della norma, ivi compresa la facoltà di individuare i passi necessari all’accesso al mare che potrebbero essere imposti ai concessionari soltanto nel caso in cui non sussistesse la possibilità di sfruttare zone “libere” oppure queste risultassero poste a distanza ritenuta eccessiva.

A questo proposito può essere utile rammentare che direttive ministeriali emanate circa un trentennio fa “suggerivano” di evitare il rilascio di concessioni ad uso balneare senza soluzione di continuità lungo il litorale e, comunque, indicavano l’opportunità di mantenere dei passaggi liberi mediamente ogni duecento metri di fronte spiaggia(21).

È dunque probabile che la disposizione non comporti alcun obbligo generalizzato per tutti i concessionari ma, a seguito della successiva regolamentazione regionale, soltanto per alcuni di questi, allo scopo di assicurare l’agevole accesso al mare a tutti coloro che non intendano usufruire dei servizi delle strutture balneari.

Fino a questo punto si è parlato della norma come se inerisse esclusivamente le concessioni ad uso balneare, ed è effettivamente agevole, con questa premessa, seguire i ragionamenti svolti.

Tuttavia anche argomentando in altro modo si può giungere alla medesima conclusione: infatti, si deve tenere presente che la menzionata lettera e) contempla l’intera fattispecie delle concessioni ad uso turistico-ricreativo – come ad esempio strutture alberghiere, bar, ristoranti, camping, ecc. – che spesso comportano la realizzazione o il mantenimento di manufatti (di facile, difficile rimozione o pertinenziali), la cui sola presenza fisica potrebbe impedire il passaggio verso la battigia.

Se l’obbligo di cui si tratta fosse veramente assoluto, l’esercente dovrebbe consentire l’attraversamento del proprio locale oppure della propria struttura ricettiva a chiunque?

Quali condizioni di sicurezza potrebbe garantire, alla propria clientela, un campeggio all’interno del quale tutti possono liberamente transitare con il solo pretesto di arrivare alla riva del mare?

In conclusione, motivi basati sulla ragionevolezza inducono a ritenere che il disposto normativo de quo possa essere considerato l’enunciazione di un principio generale: un principio che si pone come condizione al godimento della singola concessione dopo essere stato precisato, nella sua portata e nei suoi limiti, da una regolamentazione discendente che tenga conto delle varie casistiche, delle situazioni locali e dello stato del territorio.

10 – Canone minimo

Si è già avuto modo di precisare che con l’entrata in vigore della “legge finanziaria 2007” non sono più applicabili le disposizioni contenute nel decreto ministeriale n. 342/1998, poiché lo stesso non risulta contemplato dalla nuova formulazione dell’articolo 03 della legge n. 494/1993.

Un’altra importante conseguenza di tale dato di fatto è rappresentata dalla scomparsa del canone minimo, cioè della misura “invalicabile verso il basso, quale corrispettivo per l’occupazione e l’uso del demanio marittimo, delle pertinenze demaniali marittime e del mare territoriale, anche in presenza di fattispecie concessorie riconducibili all’applicazione del canone ricognitorio ex art. 39 del codice della navigazione e articolo 37 del relativo regolamento di esecuzione”(22).

In proposito è opportuno rammentare che l’articolo 3 del D.M. 342 prevedeva sia il canone minimo annuale (lire cinquecentomila), sia il canone minimo per utilizzazione dei beni demaniali marittimi inferiori all’anno (lire trecentomila); entrambi i relativi importi sono stati in seguito aggiornati talché nell’anno 2006 risultano rispettivamente pari ad euro 303,55 ed euro 182,24.

Ebbene, dal 1° gennaio 2007, qualora il canone determinato secondo i nuovi criteri risulti inferiore a tali importi non dovrà (né potrà) essere elevato, ma resterà quello derivante dal calcolo matematico effettuato.

Non è dato di sapere se la cosa sia stata previamente valutata dal legislatore oppure si tratti di una dimenticanza, certo è che l’importo totale dell’introito dei canoni derivanti da numerosissime concessioni per utilizzazioni stagionali del demanio marittimo (come chioschi ed altre piccole attività estive) nonché da tutta quella serie di utilizzazioni protratte per l’intero arco dell’anno ma di scarsa superficie occupata (come cartelli pubblicitari, passi d’accesso, singoli gavitelli d’ormeggio per piccole unità, ecc.), sembra destinato a ridursi notevolmente.

A dimostrazione di quanto sopra, si reputa utile effettuare un semplice esempio: è noto che, per quanto attiene ad un’insegna, la superficie da considerare ai fini del calcolo del canone è quella della proiezione a terra più un metro di rispetto per ogni lato. Supponiamo che il manufatto in questione misuri 2 m. x 1 m. x 0,1 m.; il calcolo della superficie “virtuale” sarà dato da:

(2 x 0,1) + (2 x 0,1) + (2 x 1) + (2 x 1) = 4,4 mq. Supponiamo ancora che il cartello, di facile rimozione, sia stato realizzato in un’area ad alta valenza turistica: la misura unitaria di canone da utilizzare è pari ad euro 3,10. Il canone annuale da applicare a corrispettivo della concessione risulterà:

4,4 mq. x € 3,10 = € 13,64.

Poiché si può ipotizzare, per difetto, che esista almeno una concessione di questo tipo per ogni chilometro di costa, la lunghezza della costa italiana è di circa 8.000 chilometri e, logicamente, non tutta sarà inserita nella classe A, le minori entrate sono stimabili in circa 2 milioni e cinquecentomila euro.

Poiché nella realtà le concessioni il cui canone veniva ricondotto al minimo edittale sono molto più numerose, è ipotizzabile che per tali fattispecie l’introito erariale si contragga per qualche decina di milioni di euro.

Per compiutezza, si precisa che la misura minima di canone, prevista dall’articolo 9 del decreto interministeriale 19 luglio 1989, applicabile a tutte le fattispecie concessorie non riconducibili a quelle previste dalla legge n. 494/1993, continua a restare in vigore.

11 – Durata delle concessioni

Il comma 253 aggiunge il comma 4-bis all’articolo 03 della legge n. 494/1993 con il quale viene stabilito che “ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 01, comma 2, le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni".

Il citato comma 2, già modificato prima dall’articolo 10 della legge 16 marzo 2001, n. 88 e, successivamente, dall'articolo 13 della legge 8 luglio 2003, n. 172, prevede che “le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell'articolo 42 del codice della navigazione”.

Conformemente all’interpretazione autentica della norma, attuata dall’articolo 13 della legge n. 172/2003, “le concessioni di cui al comma 1 (…), si interpretano nel senso che esse sono riferite alle sole concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative, quali indicate nelle lettere da a) ad f) del comma 1 del medesimo articolo 01”.

Dalla lettura sommaria di tali disposizioni, parrebbe evincersi, in primis, la conferma della situazione, già riconosciuta ed attuata, che le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo possono avere una durata superiore al sessennio; in secundis, la contestuale fissazione di un limite superiore di durata delle stesse (20 anni) che non trova alcun precedente nella previgente disciplina della materia; infine l’attribuzione alla regione della competenza, in fase pianificatoria, di stabilire i termini temporali di durata delle concessioni.

In passato, infatti, visto il tenore della legge 88, erano sorte perplessità circa la possibilità di regolamentare tale tipologia di concessioni con atti di lunga durata, ai sensi dell’articolo 9 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione.

Nel pronunciarsi sulla questione, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva inizialmente ritenuto che “anche a fronte di richieste di concessione per periodi diversi, non può che rilasciarsi una concessione per sei anni. Resta salva la facoltà di rinuncia comunque prevista nel diritto positivo”(23).

Successivamente, a seguito di specifico quesito proposto dalla regione Friuli-Venezia Giulia, ha rettificato la propria posizione precisando che “la fissazione del termine sessennale di cui alla legge 88/01, atteso che la ratio della norma appare costituita dalla semplificazione dell’iter burocratico a vantaggio dell’utenza, costituisca un’indicazione di massima che, in base ai principi generali in materia di provvedimenti concessori dettati dal C.d.N. e relativo regolamento (art. 6), rimane derogabile per volontà della parte privata. Ciò appare a maggior ragione necessitato in presenza di rilevanti investimenti”(24).

Alla luce di quanto sopra emerge chiaramente come l’attuale elemento di assoluta novità sia rappresentato dall’istituzione di un limite superiore di durata della concessione (ovviamente da disciplinare con atto pubblico): il tempo garantito al concessionario per l’ammortamento degli investimenti effettuati non può eccedere i 20 anni.

Certamente è stata tracciata una linea di demarcazione di non poco conto in considerazione della precedente inesistenza di termini temporali massimi, ma la stessa assume ancor superiore rilievo laddove si riferisse a tutte le fattispecie concessorie e ciò a prescindere dalla natura delle opere da realizzare sulla medesima.

In altre parole, se il legislatore avesse inteso riferire la disposizione di cui si tratta alle sole concessioni che comportino la costruzione di opere di “facile rimozione”, nulla quaestio in quanto la proprietà dei manufatti eretti resta in capo al concessionario.

Se, invece, come si desume dal tenore letterale dell’inciso, la norma si applica a tutte le concessioni, anche a quelle che prevedono la realizzazione di opere inamovibili, cioè destinate a diventare di proprietà dello Stato alla scadenza del titolo, ci troviamo in presenza di una “rivoluzione” che inciderà profondamente sugli investimenti che i privati eseguiranno sul demanio marittimo.

Dato per scontato che non è stata apportata alcuna modifica all’articolo 49 del codice della navigazione per quanto concerne l’incameramento dei manufatti, il potenziale concessionario è consapevole che il periodo di ammortamento delle opere (e quindi la sua proprietà sulle stesse) non potrà superare i venti anni e quindi dovrà commisurare le proprie previsioni di spesa sulla base di questo dato di fatto.

E su tale presupposto si baseranno anche le sue possibilità di accedere a finanziamenti mediante mutui ipotecari, da autorizzare da parte dell’autorità concedente ai sensi dell’articolo 41 del codice della navigazione, che – logicamente – dovranno essere estinti entro il lasso di tempo in cui la proprietà dei fabbricati resta privata (cioè al massimo venti anni).

È lecito supporre che particolari problematiche potranno sorgere laddove siano in corso procedure per il rilascio di una concessione per la realizzazione ed il mantenimento di un porto turistico, intervento che, come appare immediatamente evidente, comporta impegni finanziari di notevole entità con la conseguente aspettativa, da parte del concessionario-investitore, di poter ottenere una concessione di lungo periodo(25).

Considerato che i lavori necessari alla completa costruzione dell’opera (a seconda delle sue dimensioni e delle difficoltà esecutive dipendenti dalla conformazione fisica dei luoghi) possono protrarsi anche per svariati anni, che pertanto lo sfruttamento lucrativo della concessione può risultare molto posticipato, che le riduzioni di canone in precedenza previste durante l’arco dei lavori sono state completamente cassate, il margine di economicità dell’operazione, nella preventiva analisi costi-ricavi svolta dall’aspirante concessionario, potrebbe risultare particolarmente ridotto se non completamente assente.

Una conseguenza correlata alla questione potrebbe essere quella di ripercussioni, al momento non quantificabili, nello sviluppo del sistema della portualità turistica e nell’intero comparto della nautica da diporto.

È certo che il precedente avviso del legislatore sembrava orientato verso il pieno riconoscimento della necessità del concessionario di poter contare su un ampio periodo di durata della concessione a fronte degli investimenti sostenuti, anche non previamente valutati o valutabili, come è dimostrato dal dispositivo dell’articolo 10 del D.P.R. n. 509/1997, secondo il quale “gli atti di concessione in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono essere prorogati, ferma restando ogni altra condizione della concessione, su istanza del concessionario, qualora risulti che questi non abbia potuto realizzare, per fatti a lui non addebitabili, opere o parti sostanziali delle opere previste ovvero qualora si rendano necessari nuovi interventi finalizzati all'adeguamento delle strutture portuali o al mantenimento della loro funzionalità. Il periodo di proroga è determinato dall'autorità concedente tenuto conto dell'entità dell'investimento originario e di quello aggiunto”.

Oltre a quanto precede, restano aperti altri interrogativi che meritano riposte più immediate: supposto che la disposizione di cui si tratta sia applicabile soltanto alle nuove domande di concessione e non a quelle già in essere, come devono essere considerate le concessioni il cui procedimento di rilascio, disciplinato dal D.P.R. n. 509/1997, è in corso ma non si è ancora perfezionato?

Più specificamente, domande di concessione ultraventennali, corredate da progetti preliminari ammessi alla seconda fase di valutazione o, addirittura, da progetti definitivi in corso di esame da parte dell’apposita conferenza dei servizi rientrano nella nuova previsione normativa oppure è possibile una qualche forma di salvaguardia?

Che dire poi di tutte le altre concessioni per finalità diverse dal turistico-ricreativo?

Fino a questo punto la questione è stata trattata come se la norma fosse riferita esclusivamente a queste ultime, ma il nuovo comma 4-bis dell’articolo 03 della legge n. 494/1993 parla delle “concessioni di cui al presente articolo”, senza alcuna limitazione settoriale.

Come sopra rammentato, in precedenza il legislatore era intervenuto per interpretare autenticamente la disposizione di legge inerente l’automatismo del rinnovo sessennale delle concessioni, ma mentre allora il richiamo che poteva causare ambiguità era limitato al solo 1° comma dell’articolo 01 della 494(26), il nuovo testo fa rinvio all’intero articolo 03.

E l’articolo 03, al primo comma tratta delle concessioni con finalità turistico-ricreative, al secondo comma delle “concessioni di cui all'articolo 48 del testo unico delle leggi sulla pesca” nonché di quelle relative “ai cantieri navali (…) e (…) comunque concernenti attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di mezzi di trasporto aerei e navali” ed al terzo delle “concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto”.

Appare di immediata comprensione che, per riferire la disposizione in questione alla sola prima fattispecie, non sia sufficiente un’interpretazione analogica del testo, ma si renda indispensabile una nuova interpretazione autentica da parte del legislatore.

12 – Indennizzi

Il comma 257 della “legge finanziaria” si occupa infine delle indennità risarcitorie dovute dai trasgressori per gli abusi commessi sul demanio marittimo.

Ai sensi dell’articolo 8 della legge n. 494/1993 “gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo di beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe derivata dall'applicazione del presente decreto, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento”.

L’interpretazione autentica di tale disposizione che viene fornita dalla legge 296 è “nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze”.

La stessa fonte si premura quindi di specificare che ove “l'occupazione consista nella realizzazione (…) di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto è incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l'indennizzo dovuto è commisurato ai valori di mercato (…)”.

Il significato letterale dell’ultima frase pone qualche obiettiva perplessità in quanto non si è a conoscenza né di indennizzi oggetto di mercato, né che le indennità potessero essere valutate commercialmente: si reputa logico ritenere, anche se non correttamente espresso, che il richiamo ai valori di mercato sia riferito all’opera realizzata.

Risulta ancora una volta evidente la volontà del legislatore di andare a colpire in modo sempre più incisivo, anche dal punto di vista economico, chi trasgredisca le norme di utilizzazione del demanio marittima mediante “cementificazioni” abusive.

Purtroppo non pare sia stato tenuto conto del fatto che, con le odierne modalità costruttive, è possibile la realizzazione di opere in muratura di rilevante entità senza che le stesse vengano annoverate tra quelle “inamovibili” e che, conseguentemente, sfuggono a priori al disegno sanzionatorio introdotto.

D’altro canto non vi è neppure la certezza che nella pratica materiale il dispositivo in questione risponda sempre agli intendimenti manifestati: senz’altro, se l’abuso sia stato già portato a compimento, è ragionevole attendersi che abbia un valore commerciale piuttosto rilevante e di conseguenza sarà particolarmente oneroso l’indennizzo da corrispondere.

Al contrario, se l’opera non è stata ancora completata (si pensi ad un pilastro con relativa fondazione in cemento armato, oppure una piattaforma sempre in c.a.), il suo valore di mercato potrebbe essere molto scarso oppure nullo e, in questo caso, pur a fronte di un abuso di particolare entità, l’indennizzo risulterebbe inadeguato.

La norma fa comunque salva l'applicazione delle altre misure sanzionatorie vigenti, compreso il ripristino dello stato dei luoghi a cura e spese del trasgressore e, ad opinione di che scrive, sussiste sempre la facoltà dello Stato – qualora l’opera sia sanabile sotto tutti gli aspetti coinvolti – di decidere di incamerare il manufatto ai sensi del combinato disposto degli articoli 934 del codice civile e 49 del codice della navigazione.

Per quanto riguarda, infine, le occupazioni ed innovazioni abusive non consistenti nella realizzazione di opere inamovibili, resta invariata la disciplina precedentemente dettata con un solo piccolo ma importante particolare: se l’abuso non è molto esteso l’indennità risarcitoria potrebbe essere risibile.

Infatti, avuto riguardo a quanto già sottolineato nel precedente paragrafo 10 a proposito dell’attuale inesistenza di una misura minima di canone, è consequenziale che la questione si rifletta automaticamente nella commisurazione dell’indennizzo.

Mentre, in precedenza, il canone potenzialmente dovuto per l’occupazione di un bene demaniale marittimo (similare a quella rilevata come abusiva) veniva automaticamente elevato al minimo edittale e poi moltiplicato per due o per tre a seconda dei casi, ora il fattore moltiplicativo deve essere applicato al canone “reale”.

Utilizzando l’esempio in precedenza fornito al richiamato paragrafo 10, risulta chiaro quanto sopra sostenuto, ma un paio di ulteriori ipotesi possono rendere maggiormente manifesta l’entità del deterrente rappresentato dalle indennità in questione.

Una cabina balneare occupa una superficie di circa 2,20 mq. e produce un reddito stagionale che, in alcune zone, può raggiungere centinaia e centinaia di euro. Dieci cabine occupano 22 mq. ed il relativo canone è pari (in zona A) ad euro 68,2 annuali. Poiché, con buona probabilità il mantenimento in essere di queste strutture sarà limitato alla sola stagione estiva (cioè il periodo di resa economica, da giugno a settembre), trova applicazione il quarto comma dell’articolo 03 delle legge n. 494/1993 (riguardante la commisurazione del canone all’effettiva utilizzazione del bene), il canone scende ad euro 22,74. Dunque l’indennità che deve essere corrisposta per l’abusiva realizzazione di cinque cabine all’interno di uno stabilimento balneare regolarmente in concessione ammonterà ad euro 45,48 per una stagione balneare!

Pensiamo ora alla realizzazione di una struttura abusiva (di facile rimozione) su un’area demaniale marittima non in concessione. La struttura in questione, sempre ad uso turistico-balneare, occupa una superficie di 150 mq.: il canone teorico (in zona B) è pari ad euro 232,5 annuali (somma identica all’indennizzo dovuto se il manufatto abusivo permane per i soli 4 mesi estivi). L’indennità annuale di occupazione senza titolo sarà quindi di euro 697,5.

Prima della cancellazione della misura minima di canone, il canone teorico sarebbe stato elevato ad euro 182,20 (per le occupazioni inferiori all’anno) e ad euro 303,50 (per le occupazioni annuali) e quindi i nostri ipotetici trasgressori avrebbero dovuto corrispondere euro 364,80 nel primo caso ed euro 910,65 nel secondo, somme che, pur non essendo particolarmente rilevanti a fronte della potenziale redditività degli abusi considerati, risultano ben maggiori rispetto a quelle attualmente previste.

C. Alberto Nebbia-Colomba

(1) Il comma 250 è il seguente: “1. Dopo il comma 2-bis dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, è aggiunto il seguente: «2-ter. Le concessioni di cui al comma 1 sono revocate qualora il concessionario si renda, dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, responsabile di gravi violazioni edilizie, che costituiscono inadempimento agli obblighi derivanti dalla concessione ai sensi dell’articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n. 296»”.

(2) Il testo dell’art. 5 è il seguente; “(Decadenza e revoca della concessione): 1. In caso di inadempimento degli obblighi derivanti dalla concessione la competente filiale dell'Agenzia del demanio dichiara la decadenza dalla concessione. Il provvedimento di decadenza è adottato nel termine di sessanta giorni dall'accertamento dell'inadempimento nel rispetto delle procedure di cui all'articolo 8 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. 2. La competente filiale dell'Agenzia del demanio dispone accertamenti periodici in ordine all'esatto adempimento degli obblighi assunti dal concessionario ed all'osservanza delle prescrizioni concernenti le modalità di utilizzazione del bene, secondo le procedure previste dal decreto del Presidente della Repubblica 13 luglio 1998, n. 367. 3. La sub concessione del bene, totale o parziale, è vietata e la violazione di detto divieto comporta la decadenza immediata dalla concessione. 4. L'Agenzia del demanio può procedere, con il rispetto del termine di preavviso di sei mesi, alla revoca della concessione in caso di sopravvenienza di esigenze di carattere governativo, salvo rimborso per le eventuali migliorie preventivamente concordate ed apportate. L'Agenzia del demanio comunica l'avvio del procedimento di revoca con le modalità di cui al comma 1”.

(3) Il comma 3 dell’art. 03 del testo originario della legge 49471993 era il seguente: “L'accertamento dei requisiti di alta, normale e minore valenza turistica di cui al comma 1, lettera a) , numeri 1) , 2) e 3), in relazione alle specifiche aree richieste in concessione ovvero in relazione a concessioni in essere, è riservato all'autorità competente”.

(4) Ai sensi dell’art. 6 del D.M. 342/1998: “(...) 3. La classificazione delle aree è soggetta normalmente a revisione quadriennale col medesimo procedimento.

4. In fase di prima attuazione la revisione è effettuata entro due anni”.

(5) Art. 5 – “Sono opere che riguardano i porti, i fari e le spiagge:

a) I moli di ridosso ed i frangi-onde che proteggono gli ancoraggi;

b) I moli e le dighe, le gettate o scogliere che regolano la foce e proteggono le sponde dei porti-canali;

c) Le ripe artificiali, banchine, scali, darsene mercantili, macchine fisse da alberare o scaricar navi;
d) Gli argini e moli di circondario per difendere i porti dalle alluvioni e dagli interrimenti;

e) I bacini di deposito d'acque, atte a produrre correnti artificiali per tener sgombre le foci dei porti-canali;
f) I canali di derivazione e gli smaltitoi per liberare i porti dai depositi e dalle infezioni;

g) Gli scali e bacini da costruzione o riparazione di navi;

h) Le escavazioni della bocca, del bacino e dei canali dei porti;

i) I fari, le torri a segnali ed altri fabbricati ad uso del servizio tecnico, amministrativo e di polizia dei porti;

k) I gavitelli ed altri segnali fissi e mobili destinati a guida o ad ormeggio dei bastimenti;

l) Ogni altra opera il cui scopo sia di mantenere profondo e spurgato un porto, facilitarne l'accesso e l'uscita ed aumentarne la sicurezza”.

(6) Il testo di tale paragrafo è il seguente: “2.3) area occupata con impianti di difficile rimozione: euro 4,13 al metro quadrato per la categoria A; euro 2,65 al metro quadrato per la categoria B)”.

(7) La formulazione corretta dovrebbe quindi essere: “1.7) euro 0,21 per gli specchi acquei utilizzati per il posizionamento di campi boa per l'ancoraggio delle navi al di fuori degli specchi acquei di cui ai precedenti numeri 1.4, 1.5 e 1.6”.

(8) “I commi 21, 22 e 23 dell'articolo 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e il comma 4 dell'articolo 10 della legge 17 dicembre 1997, n. 449, sono abrogati”.

(9) Non appare molto chiaro che cosa si intenda per “autorità marittime di zona” in quanto la definizione di autorità marittima si rinviene soltanto nell’articolo 2, comma 3, della legge n. 84/1994, secondo il quale “sono autorità marittime ai sensi della presente legge i soggetti di cui all’art. 16 del codice della navigazione”. Per il preciso disposto della norma citata, quindi, la definizione è applicabile esclusivamente alla fonte in cui è contenuta; inoltre, a seguito dell’intervenuto trasferimento delle funzioni gestionali del demanio marittimo dallo Stato agli enti locali, le competenze in materia delle Capitanerie di porto e degli altri uffici minori sono oggi soltanto residuali o completamente assenti.

È quindi logico ritenere che le procedure di accertamento previste dalla norma de qua siano attribuite alle regioni o ai comuni, a seconda dei casi, anche se – a parere di chi scrive – dovrebbe essere acquisito il parere dell’Agenzia del demanio per la natura strettamente erariale della questione.

(10) Art. 2, comma 4, D.M. 342/1998.

(11) Art. 2, comma 5, D.M. 342/1998.

(12) Art. 2, comma 6, D.M. 342/1998.

(13) Art. 3, comma 1, D.M. 343/1998.

(14) Art. 3, comma 2, D.M. 343/1998.

(15) L’art. 1, comma 252, della legge finanziaria 2007 recita: “Il comma 3 dell'articolo 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e' sostituito dal seguente: "3. Le misure dei canoni di cui al comma 1, lettera b), si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2007, anche alle concessioni dei beni del demanio marittimo e di zone del mare territoriale aventi ad oggetto la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto"”.

(16) Articolo 03, comma1.

(17) La questione è stata diffusamente trattata con le circolari n. 73 del 28 agosto 1998 e n. 77 del 17 dicembre 1998.

(18) Cfr. circolare n. 77 citata.

(19) Articolo 1, comma 251, della legge n. 296/2007.

(20) La precedente formulazione dell’art. 03, comma 1, lettera d) della legge n. 494/1993, era la seguente: “riduzione della misura base dei canoni di cui alla lettera c) nei limiti di quelli determinati per le concessioni di valenza turistica inferiore qualora i titolari della concessione consentano l'accesso gratuito all'arenile, nonché la gratuità dei servizi generali offerti all'utenza”.

(21) Cfr. circolare del Ministero della marina mercantile n. 159 del 1° aprile 1976.

(22) Cfr. circolare n. 120 del 24 maggio 2001.

(23) Cfr. Circolare n. 120 citata.

(24) Nota n. Dem2A-2037 del 25 luglio 2002.

(25) La costruzione ex novo di un porto o di un approdo turistico presuppone l’esecuzione di importanti lavori di escavazione e banchinamenti, nonché la realizzazione di strutture ed infrastrutture portuali la cui valutazione da parte degli organi competenti ha fatto sì che, anche nel recente passato, fossero rilasciate concessioni demaniali marittime della durata di oltre cinquanta anni.

(26) L’articolo 01 della legge n. 4949/1993 recita: “1. La concessione dei beni demaniali marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività:

a) gestione di stabilimenti balneari;

b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;

c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;

d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive;

e) esercizi commerciali;

f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione”.