ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
Gruppo di lavoro sui reati ambientali
Osservazioni sul d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 aprile 2007 recante “Disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente”
Osservazioni generali

Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 aprile 2007, su proposta del Ministero dell’Ambiente e del Ministero della Giustizia, si presenta come una “riedizione” riveduta e corretta della bozza elaborata dalla Commissione Ecomafia del Ministero dell’Ambiente e confluita nel disegno di legge adottato dal Governo il 31 marzo 1999.

Anche tale bozza, infatti, proponeva l’introduzione nel corpus del codice penale, quale Titolo VI bis del Libro II (a ridosso dei delitti contro la pubblica incolumità), di una pluralità di fattispecie di delitti contro l’ambiente, la maggior parte dei quali figuranti anche nell’attuale d.d.l.

Di quel primo tentativo ha visto la luce il solo art. 452 quater, ridisegnato nell’art. 53 bis D.Lgs. 22/97 (Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), introdotto nel decreto Ronchi dalla L. 93/01 ed ora identicamente trasfuso nell’art. 260 D.Lgs. 152/06, che nell’ultimo quinquennio ha costituito l’unica figura di vero e proprio delitto ambientale, dallo schema normativo assai complesso, che ne ha determinato una non sempre uniforme applicazione.

Nelle more il Governo, sulla scorta della Legge delega n° 308/04, ha varato non senza difficoltà il citato Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/06), attualmente in fase di revisione e modifica curata dal Comitato di studio istituito dal Ministero dell’Ambiente con decreto 12 giugno 2006.

Il d.d.l. in esame manifesta, sin dalla prima lettura, l’ambizioso obiettivo di collocare nella sistematica del codice penale – e segnatamente in posizione assai prossima ai delitti dolosi o colposi contro l’incolumità pubblica – nuove figure di delitti accomunate dal recare offesa al bene giuridico “ambiente”.

L’Associazione Nazionale Magistrati giudica con favore l’intervento di riordino della disciplina, nella direzione di una più efficace tutela dell’ambiente, anche in ottemperanza delle direttive europee in materia. Ma proprio in questo senso e con spirito collaborativo evidenzierà le problematiche interpretative e applicative che si intravedono sin dalla prima lettura del testo, che non sempre raggiunge gli scopi che si prefigge.

Infatti, anche alla luce del contesto normativo e di riforma sopra sintetizzato, si evidenziano con altrettanta chiarezza carenze di coordinamento e rischi di disorganicità, tanto con la stessa normativa e sistematica del codice, quanto con l’intero contesto del diritto penale dell’ambiente. Ne sembra consapevole lo stesso legislatore, ove prevede all’art. 3 una delega al Governo per adottare, nel termine di 18 mesi, uno o più decreti legislativi di riordino e coordinamento delle stesse disposizioni concernenti i delitti contro l’ambiente con l’assetto normativo previgente, “al fine di evitare duplicazioni, lacune e sovrabbondanze” e provvedere alla “abrogazione esplicita” di tutte le norme incompatibili con quelle introdotte”.

A tratti, inoltre, si ha l’impressione che il nuovo impianto normativo, al di là delle intenzioni, sia più adeguato a stigmatizzare generalmente le condotte offensive dell’ambiente e a mostrare una precisa linea politica, piuttosto che a individuare esattamente, prevenire e punire realmente le stesse condotte.

Il testo di legge, infatti, pone non pochi problemi interpretativi, disegna fattispecie carenti sotto il profilo della tassatività e a volte persino sanziona meno severamente o meno efficacemente condotte già note all’ordinamento attualmente vigente.

Le osservazioni dell’Associazione Nazionale Magistrati, nel rispetto dell’impianto generale del d.d.l., vorrebbero evidenziare nel dettaglio tali lacune, soprattutto sfruttando il privilegiato punto di vista del magistrato interprete, vale a dire del soggetto che dovrà cimentarsi con applicazione in concreto delle norme in corso di formazione.

Le fattispecie di inquinamento ambientale (artt. 452-bis e 452-ter dello schema di d.d.l.)

E’ opportuno trattare congiuntamente le due norme che hanno identica condotta - “chiunque illegittimamente immette nell’ambiente sostanze o energie cagionando o contribuendo a cagionare…” -, ma si distinguono poi per essere la prima una fattispecie di pericolo (il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante) e la seconda una fattispecie di danno (se la compromissione durevole o rilevante si verifica).

Le osservazioni sulla struttura e sui contenuti delle due fattispecie sono molte e si ritiene più utile esporle in modo schematico:

- poiché vi è identità di condotta e sola diversità nell’evento di danno non si comprende la diversa intitolazione della rubrica;

- l’evento di danno sembra strutturato come aggravante ad effetto speciale dell’inquinamento ambientale, con le note problematiche (che affronteremo anche in tema di forme organizzate di traffico di rifiuti) relative all’agevole e frequente bilanciamento delle circostanze aggravanti con le circostanze attenuanti anche generiche, che di fatto comporta nella più parte dei casi una neutralizzazione della pena più severa prevista per il fatto dotato di maggiore disvalore;

- l’espressione “compromissione” potrebbe essere sostituita con il più definito e pertinente “deterioramento”[1], ma è soprattutto l’aggettivazione “durevole o rilevante” a creare seri problemi all’interprete. In particolare, mentre dell’espressione rilevante si fornisce una definizione al II comma dell’art. 452 ter, nulla si specifica quanto alla compromissione “durevole”. In proposito, si osserva innanzitutto che la duplice aggettivazione con la particella disgiuntiva consente di ritenere integrata la fattispecie in presenza di una compromissione solo durevole e “non rilevante”: i pericoli di indeterminatezza della fattispecie e di difetto di offensività appaiono evidenti. Si osserva piuttosto che la definizione legale di compromissione rilevante comprende in sé (e non poteva essere altrimenti) anche la durevolezza, al punto che l’aggettivo in questione può essere semplicemente eliminato; non si dimentichi infine che anche gli attributi della condotta formano oggetto di prova ad onere dell’accusa[2];

- l’aggravante del pericolo concreto per la vita o l’incolumità delle persone sembra attenere al solo danno ambientale, con una pena per altro non rappresentativa del grave disvalore del fatto dannoso e pericoloso insieme; in realtà, anche il solo pericolo di compromissione delle risorse naturali può essere contemporaneamente idoneo a porre in pericolo la vita e l’incolumità delle persone: l’aggravante di cui all’art. 452-ter dovrebbe quindi accedere ad entrambe le fattispecie;

Il disastro ambientale (art. 452-quater dello schema di d.d.l.)

Anche la norma in esame presenta importanti profili di criticità.

Nel tentativo di formulare una definizione concettualmente autonoma e identificabile di disastro ambientale, il II comma dell’art. 452 quater riprende la condotta di compromissione, cercando di qualificarla con espressioni quanto mai incerte o ambigue[3].

Si ha infatti disastro ambientale quando il “fatto” di illegittima immissione (così si deve intendere) “offende la pubblica incolumità” e ciò in ragione della sua rilevanza oggettiva o della sua estensione ovvero del numero di persone offese o esposte a pericolo.

Ne deriva ineluttabilmente in via interpretativa che:

- si tratta di una fattispecie di danno alla pubblica incolumità e quindi deve essere provato il danno di un numero indeterminato di persone. Oltre alla difficoltà sia della prova che della effettiva verificabilità, si osserva che il bene della pubblica incolumità nel nostro ordinamento, proprio per la sua rilevanza, è un bene tipicamente protetto da norme di pericolo;

- l’immissione illegittima deve essere sempre rilevante, a mente dell’art. 452-bis, e l’attributo “oggettiva” appare una superflua reiterazione (nell’ambito dell’elemento materiale del reato tutto è oggettivo);

- si pongono problemi di coordinamento con il disastro ambientale c.d. innominato di cui all’art. 434 c.p., anche in ragione del fatto che – singolarmente – quest’ultimo reato è punito con sanzione più grave.

In positivo, si osserva invece che la circostanza aggravante di cui all’ultimo comma non è soltanto opportuna, ma sembra soprattutto contenere in sé il proprium del disastro ambientale costituito dalla alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema.

L’intera norma potrebbe essere così ristrutturata intorno al concetto di “equilibrio dell’ecosistema” o meglio di un ecosistema, tralasciando l’irreversibilità, che diventerebbe il terreno di scontro sulla prova di un dato futuro e lontano (esistono danni irreversibili? E fino a quando? Una perizia lo potrebbe dimostrare?). Nel complesso, la norma andrebbe strutturata come fattispecie di pericolo per la pubblica incolumità, mutuando poi i contenuti della giurisprudenza già formata su fattispecie analoghe.

L’alterazione del patrimonio naturale (art. 452-quinquies dello schema di d.d.l.)

Non vi sono osservazioni, salvo quanto già esposto in merito alle norma di riferimento per i denunciati deficit di tassatività. Appare congrua la minore pena per chi non immette sostanze o energie nocive, ma sottrae risorse dall’ambiente naturale.

Il traffico di rifiuti e i delitti in forma organizzata o associata (artt. 452-septies e 452-nonies dello schema di d.d.l.)

La previsione del nuovo delitto di traffico illecito di rifiuti comporta un sostanziale arretramento rispetto all’elaborazione di carattere dottrinale e giurisprudenziale formatasi intorno al pur problematico art. 53 bis D.Lgs. 22/97 (ora art. 260 D.Lgs. 152/06)[4].

La nuova norma sul “traffico illecito” sembra costruita a fattispecie alternative poiché prevede e punisce una pluralità di condotte eterogenee tra loro, ma ciascuna idonea ad integrare il delitto, a condizione che sia connotata dal carattere dell’illegittimità (anche in questo caso, imprecisa e pericolosa) e abbia ad oggetto “ingenti quantitativi di rifiuti”.

Innanzitutto, non si comprende quale sia la differenza tra la norma in esame e l’art. 256 TU Ambientale di natura contravvenzionale, a meno che si tratti di un fenomeno di abrogazione tacita della disposizione del TU Ambientale. La sola distinzione che emerge è costituita quindi dal problematico riferimento ai quantitativi “ingenti”, ma anche questo non basterebbe a risolvere i problemi.

In secondo luogo, il concetto di “traffico” stride con la possibilità che una sola condotta, per esempio di abbandono o smaltimento, possa integrarlo; sembrava più aderente alla realtà la previsione di modalità operative organizzate (“con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi di attività continuative organizzate”), tipica del c.d. Decreto Ronchi e recepita anche nel TU Ambientale. Si dovrebbe ritenere così che le fattispecie ora sanzionate ex art. 260 D.Lgs. 152/06 dovrebbero essere punite ai sensi della nuova legge, attraverso il concorso della fattispecie monosoggettiva di cui all’art. 452 septies ed il reato di associazione a delinquere, aggravato secondo la disposizione dell’art. 452 nonies.

Non è più previsto che le condotte siano commesse abusivamente, bensì illegittimamente. L’espressione più precisa consente di individuare con maggiore grado di tassatività le condotte delittuose e libera il campo dalle molte perplessità interpretative maturate sotto la vigente normativa[5].

Inoltre, il trattamento sanzionatorio più mite rispetto all’art. 53 bis D.Lgs. 22/97 (ora art. 260 D.Lgs. 152/06) non si giustifica, a meno che si intenda far sopravvivere l’art. 260 cit. per le “attività organizzate”. Anche in questo caso, sorgerebbero però enormi problemi di coordinamento sistematico e di applicazione degli artt. 256 TU Ambientale, 260 TU ambientale e infine 452-septies (eventualmente integrato dall’art. 416 c.p. aggravato dall’art. 452-nonies).

A tale ultimo proposito, non si può non rilevare come una norma affatto innocua corrisponda all’altisonante rubrica dell’art. 452-nonies “delitti ambientali in forma organizzata”, che secondo la relazione alla legge dovrebbe punire le c.d. “ecomafie”.

La norma introduce infatti una circostanza aggravante speciale a effetto comune dell’art. 416 c.p., così sollevando una serie di obiezioni, soprattutto in termini di efficacia:

- innanzitutto, occorre dimostrare la sussistenza di una associazione a delinquere attraverso la sempre difficile prova del vincolo associativo;

- la prova è resa ancora più difficile dalle caratteristiche specifiche del traffico di rifiuti, spesso posto in essere da una pluralità di soggetti eterogenei (pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, imprenditori, vettori, tecnici, criminali, etc.), collocati lungo una catena di distribuzione che non presuppone necessariamente la conoscenza reciproca di tutti gli “associati”, né la sussistenza di uno scopo comune a tutti;

- dal punto di vista sistematico (ma anche di politica criminale), si può obiettare che l’ordinamento penale prevede ad oggi una sola aggravante dell’art. 416 c.p. in caso di commissione di reati particolarmente gravi (riduzione in schiavitù e tratta di persone) a cui si aggiunge eccezionalmente la sola aggravante posta a tutela dell’ambiente, così implicitamente affermando che associazioni a delinquere finalizzate alla commissione di omicidi, rapine a mano armata o estorsioni siano meritevoli di sanzioni più lievi;

- a tutto concedere, la prevista aggravante, come tutte le circostanze, può essere agevolmente neutralizzata attraverso il meccanismo normativo del bilanciamento, di cui all’art. 69 c.p.; qualsiasi operatore del diritto conosce quanto facilmente e frequentemente delle innominate e indefinite “attenuanti generiche” possano condurre alla sostanziale elusione anche delle circostanze aggravanti maggiormente rappresentative del disvalore del fatto.

In conclusione:

- sembra auspicabile l’introduzione di una autonoma fattispecie associativa ambientale, che tenga conto delle caratteristiche specifiche del traffico di rifiuti e che dal punto di vista sistematico adotti una scelta di campo anche in tema di interesse e bene giuridico tutelato. In proposito, si osserva che le fattispecie associative sono generalmente poste innanzitutto a tutela dell’ordine pubblico, poiché l’interesse specifico è tutelato dai singoli reati-scopo, e sono strutturate come reati di pericolo. Di conseguenza, possono essere previste aggravanti in caso di pericolo concreto per la vita e l’incolumità delle persone o per l’incolumità pubblica e così anche del danno cagionato all’ambiente ed alle sue componenti;

- in alternativa, e più semplicemente, può essere mantenuta la norma in esame ma con sostituzione del catalogo di condotte unisussistenti con “l’attività continuativa organizzata” di cui all’art. 260 TU Amb, di cui può essere conservata la rubrica che fa riferimento alle “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”; infatti, il solo riferimento al “traffico di rifiuti” rimanda troppo direttamente alla denominazione tecnica del traffico transnazionale, che è altra cosa.

Traffico di materiale radioattivo o nucleare. Abbandono (art. 452-octies dello schema di d.d.l.)

Anche questa norma sembra strutturata in modo analogo al traffico di rifiuti, distinguendosi per il particolare oggetto materiale, ma il catalogo di condotte alternative non è esattamente sovrapponibile; anche la presenza dell’aggravante di cui all’art. 452 septies comma III (traffico avente ad oggetto rifiuti radioattivi) in luogo di risolvere i problemi interpretativi che sorgerebbero, pone ulteriori problemi di coordinamento, se non di legittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza, nelle ipotesi di confine tra rifiuto radioattivo e materiale nucleare.

In punto di traffico, poi, valgono le considerazioni sopra esposte, per cui nell’ambito di una generale condotta di traffico organizzato la specifica pericolosità delle sorgenti radioattive o del materiale nucleare potrebbe integrare una aggravante ad effetto speciale.

In tale contesto poi meriterebbe una diversa collocazione la fattispecie di abbandono, poco ragionevolmente equiparata al più grave traffico.

Non vi sono altre osservazioni, se non la segnalazione di una lacuna o di una svista non priva di conseguenze anche gravi.

Il secondo periodo del primo comma dell’art. 452 octies non ripete il duplice oggetto materiale del reato costituito, nella prima parte, da “sorgenti radioattive o materiale nucleare”, tralasciando il materiale nucleare. In realtà, non v’è chi non veda come sia persino più verosimile, frequente ed egualmente pericolosa la condotta di chi si disfa di materiale nucleare.

Art. 2 - Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

Il Governo, nell’emanare il D.Lgs. 231/01, non aveva ritenuto di esercitare la delega per l’introduzione della responsabilità amministrativa degli enti anche in relazione alla materia ambientale ed antinfortunistica.

La recente produzione legislativa si sta orientando in senso opposto, come attestano la recentissima L. 123/07 (che ha introdotto la responsabilità della persona giuridica in relazione ai reati colposi connessi a violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro) ed il disegno di legge in esame.

Si tratta per il vero di un intervento atteso, che viene a sanzionare a livello sovraindividuale le violazioni ambientali commesse a vantaggio o nell’interesse della persona giuridica (e dunque, in ispecie, le condotte connotate da finalità economiche).

Si osserva soltanto che i riferimenti normativi al d.d.l., contenuti nel nuovo art. 25-sexies d. Lgl. n. 231/2001, non contemplano l’art. 452-duodecies, e quindi tutti i delitti colposi contro l’ambiente. La lacuna, dal punto di vista sistematico, appare ancor più sorprendente ove si osservi che la citata L. 123/07 ha invece introdotto tale titolo di responsabilità per i reati colposi connessi a violazione della normativa in materia di sicurezza sul lavoro.

Sotto il profilo, invece, delle finalità specifiche della responsabilità amministrativa degli enti, si osserva che i delitti colposi contro l’ambiente sono il terreno elettivo della responsabilità ex L. 231/2001, proprio per la loro capacità di aumentare i profitti illeciti dell’ente stesso.

Per il gruppo di lavoro sui reati ambientali

Il coordinatore Simone Luerti



[1] Infatti, la Parte VI del Testo Unico Ambientale contiene una specifica disciplina del danno ambientale, la cui definizione all’art. 300, comma II (“qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto e indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”) non appare direttamente sovrapponibile a quella offerta dal disegno di legge, ovvero la “compromissione durevole e rilevante” della qualità del suolo, del sottosuolo, delle acque e dell’aria nonchè della flora e della fauna selvatica.

[2] Riportiamo in nota alcune precisazioni tecniche: Quanto agli aggettivi durevole e rilevante si può osservare che nel caso del suolo, sottosuolo e acque sotterranee generalmente l’immissione provoca una compromissione durevole anche se non sempre rilevante; quest’ultimo termine, tuttavia, dovrebbe essere ancorato non alla sola originaria o preesistente qualità del suolo, del sottosuolo e delle acque ma a precisi limiti di qualità in modo da eliminare la soggettività della valutazione.

A questo proposito, si deve anche tenere conto che non esistono “banche dati” sulla qualità di un sito prima della immissione e, quindi, risulterebbe difficile la valutazione da parte di chi indaga; meglio sarebbe fare riferimento ai limiti di qualità esistenti per i suoli e le acque sotterranee.

Per le acque superficiali e l’aria l’aggettivo durevole sarà difficilmente accertabile per la natura stessa dei bersagli che si assumono compromessi; infatti nei corsi d’acqua i fenomeni di inquinamento sono in genere di breve durata, in quanto causati da immissioni occasionali, e si “diluiscono” nel corso d’acqua stesso.

Ovviamente, per l’aria, l’aggettivo durevole è ancor meno applicabile.

Per questi due ambiti ambientali, acque superficiali e aria, rimane sono l’aggettivo rilevante per il quale valgono le stesse considerazioni sopra riportate riguardo l’indeterminazione connessa all’aggettivo medesimo; sarebbe più opportuno riferirsi a limiti da non superare, che sono già applicati, per cadere in valutazioni generiche e prive dei termini di riferimento alle condizioni preesistenti.

[3] La nozione di disastro ambientale, oltre a non essere coordinata con quella dettata dalle già esistenti disposzioni (art.434 c.p. e 449 c.p., nella connotazione colposa), appare poi difforme e più restrittiva da quella offerta recentemente dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., sez. III, 11 ottobre 2006, n. 40330, Pellini, rv 236295) secondo cui:

“…e' necessario che l'evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità sia straordinariamente grave e complesso ma non nel senso di eccezionalmente immane, essendo necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone e che l'eccezionalità' della dimensione dell'evento desti un esteso senso di allarme, sicchè non e' richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purché dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l'attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non e' necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull'uomo”.

[4] Tra molte, nella giurisprudenza di legittimità più recente (cfr., sez.III, 4 maggio 2006, n. 28685, Buttone, rv 234931) secondo cui:

“Il delitto di traffico illecito di rifiuti, di cui all'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22 del 1997, introdotto dalla legge n. 93 del 2001 (ed attualmente sostituito dall'art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006), riguarda qualsiasi forma di gestione dei rifiuti, anche attraverso attività di intermediazione e commercio, che sia svolta in violazione delle disposizioni in materia, e non puo' ritenersi agganciato alla nozione di "gestione" di cui all'art. 6, comma primo, lett. d) del citato D.Lgs. n. 22 (sostituito dall'art. 183, lett. d), del D.Lgs. n. 152 del 2006), ne' limitato ai casi in cui l'attività' venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni”.

[5] Non sono tuttavia mancate opinioni contrarie, che di seguito si riportano:

La scelta del ricorso all’espressione “illegittimamente”non condivisibile per due ragioni:

a) anzitutto il riferimento alla categoria dell’illegittimità mal si concilia con la conoscibilità delle normative settoriali, sicché prevedere la punibilità solo a titolo di dolo (previsione e volontà) potrebbe creare gravi problemi probatori;

b) in secondo luogo, perché la legislazione complementare ambientale contempla numerose fattispecie di reato contravvenzionale, sicchè le due disposizioni sanzionatorie delittuose (452 bis e ter cp) impediscono la configurabilità del concorso con quelle contravvenzionali per effetto del disposto dell’art. 84 cod. pen.;

c) non risulta definito il confine esistente tra le forme più gravi di reato e le semplici violazioni di natura amministrativa: in particolare risulta eccessiva l’estensione di fattispecie di reato anche a mere violazioni di obblighi autorizzatori e di registrazione documentale, come per esempio l’erronea tenuta dei documenti necessari).

Ancora, quando si parla di illegittimità dell’immissione, dal testo normativo sembrerebbe che se dall’immissione illegittima consegua casualmente (o concausalmente) il pericolo concreto di compromissione di una matrice ambientale, sarebbe configurabile il delitto di cui alle norme citate.

Ma il giudice potrebbe mai esercitare un sindacato sulla legittimità (rectius, illegittimità) del provvedimento amministrativo disapplicandolo per escludere il reato? Ed ancora, se si tratta di immissioni illegittime in quanto superiori ai limiti di legge, come potrebbe configurarsi un dolo in presenza di una violazione amministrativa che di norma è imputabile a fatto colposo che esclude una volontà colpevole ? Si pensi poi alle difficoltà di prova del dolo causativo del pericolo concreto di compromissione o addirittura della compromissione: sarebbe, tutt’al più possibile rifarsi alla categoria del dolo eventuale (riferito ad un evento qualificato in termini di pericolo concreto e/o di danno), ma la linea di demarcazione con la categoria giuridica della c.d. colpa cosciente sarebbe davvero ridotta, con conseguente applicazione esclusiva della sola fattispecie colposa di cui all’art. 452 duodecies.

Sarebbe comunque preferibile che la condotta dolosa di messa in pericolo concreto ovvero di danno della risorsa sia sanzionata a prescindere dal fatto che l’immissione integri di per sé stessa un altro illecito, di qualsiasi natura (penale, amministrativa statale o regionale).