Cass. Sez. III n. 9403 del 29 febbraio 2008 (Ud. 16 gen. 2008)
Pres. Onorato Est. Squassoni Ric. Ronchi
Aria. Natura permanente del reato

I reati di attivazione di nuovo impianto, rispettivamente in assenza di comunicazione di messa in esercizio e di comunicazione dei dati relativi alle immissioni di cui all\'art. 24, commi secondo e terzo, d.P.R. n. 203 del 1988 (ora art. 279, commi terzo e quarto, D.Lgs. n. 152 del 2006), hanno natura permanente, perdurando gli stessi sino a quando siano effettuate le predette comunicazioni, finalizzate a consentire alla P.A. il monitoraggio dell\'inquinamento.

Motivi della decisione
Con sentenza 19 giugno 2007, il Tribunale di Milano ha ritenuto Ronchi Stefano responsabile delle contravvenzioni previste dall’art. 24 c. 2 e c. 3 DPR 203/1988 ora art. 279 c.3 e c. 4 D.L.vo l52/2006 (per avere attivato un nuovo impianto industriale in assenza della comunicazione preventiva di messa in esercizio e senza inoltrare alla Regione i dati relativi alle immissione a partire dalla messa a regime negli anni 2002, 2003) e lo ha condannato alla pena di giustizia.
Per l’annullamento della sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che i reati sono istantanei per cui si è maturato il periodo prescrizionale;
- che la sentenza difetta di motivazione perché il Giudice non ha considerato se l’utilizzo dello impianto potesse qualificarsi “messa in esercizio” e “ messa a regime” secondo la definizione fornita dall’art.268 D.L.vo 152/2006.
La problematica che il caso pone concerne la individuazione del criterio da seguire per stabilire se un reato omissivo sia istantaneo o permanente quando è fissato un termine per l’adempimento della condotta doverosa; sul punto, si prospettano due situazioni diverse con differenti conseguenze giuridiche.
In certi casi, scaduto il termine, l’azione prescritta non può essere utilmente compiuta, ovvero il fatto è punito a titolo diverso, per cui la inosservanza del termine produce in modo definitivo la lesione del bene giuridico protetto; in questa ipotesi, ove l’interesse tutelato è connesso al rispetto del termine, il reato ha natura istantanea.
Se, invece, il dies a quo è fissato solo per il regolare e tempestivo ottemperamento di una prescrizione, che può essere adempiuta in modo utile anche se tardivo, non viene meno l’obbligo di agire dopo la scadenza del termine; in questa seconda ipotesi, in cui ciò che rileva è il compimento della azione doverosa, il reato è permanente e la scadenza del termine non segna il momento di esaurimento della fattispecie, ma solo l’inizio della fase di consumazione destinata a protrarsi sino ad adempimento avvenuto.
In questa ultima categoria, a parere della Corte (consapevole del contrasto giurisprudenziale sul tema), devono annoverarsi le fattispecie in esame perché l’interesse giuridico sotteso allo adempimento delle comunicazioni persiste oltre la scadenza del termine.
Il controllo della Pubblica Amministrazione, nella materia in esame, si articola in due fasi, la prima, al momento della autorizzazione e la seconda, al momento della attivazione dello impianto.
La comunicazione di messa in esercizio è collegata all’accertamento previsto dall’art. 8 uc DPR 203/1988 (ora art. 269 c. 5 e c. 15 D.L.vo l52/2006) ed alla verifica della regolarità delle misure e dei dispositivi di prevenzione dello inquinamento la comunicazione dei dati inerenti alle immissioni ha la finalità di permettere un monitoraggio dello inquinamento.
La ratio delle norme non è quella di punire la inadempienza al termine, ma di vietare il mantenimento di un impianto non sottoposto alla richiesta verifica da parte della competente autorità.
Di conseguenza, gli illeciti perdurano fino a quando lo svolgimento della attività soggetta a controllo rimane ignoto alla Pubblica Amministrazione ed è possibile un adempimento postumo della azione doverosa.
Deriva che, essendo i reati permanenti l’inizio di decorrenza della prescrizione deve fissarsi nella data in cui sono avvenute le comunicazioni di messa in esercizio e di messa a regime dello impianto (rispettivamente del 27 giugno 2005 e del 11 luglio 2005 ), per cui non si è maturato il periodo richiesto dagli artt. 157, 160 cp (anni quattro e mezzo tenuto conto dell’interruzione).
La residua censura del ricorrente implica la risoluzione di problematiche di fatto che, non sottoposte al vaglio del Giudice di merito, esulano dai limiti cognitivi della Cassazione.