Consiglio di Stato, Sez. VI n. 6073 del 29 novembre 2012
Beni Ambientali. Vincolo monumentale e vincolo paesaggistico

L’autorità competente nel caso specifico Soprintendenza per i beni paesaggistici ed architettonici può anche imporre su di un edificio in quanto tale, anche se ricadente nel perimetro sottoposto al vincolo paesaggistico, un ulteriore vincolo di carattere monumentale, al fine di tutelare specificamente in tutto o in parte l’edificio stesso per i suoi aspetti monumentali, storici o artistici. Tale distinto vincolo comporta la necessità del rilascio della ulteriore relativa autorizzazione per ogni opera che riguardi l’edificio in sé, ma la sua mancanza non incide sull’ambito della valutazione che può esprimere l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, secondo la quale un edificio preesistente costituisce parte integrante del paesaggio da salvaguardare. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 06073/2012REG.PROV.COLL.

N. 02990/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2990 del 2012, proposto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

la società Cave di Frisolino s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresenta e difesa dagli avvocati Ludovico Villani e Giovanni Gerbi, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Asiago, 8; 
Comune di Ne; non costituito in questo grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA - GENOVA: SEZIONE I n. 191/2012, resa tra le parti;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Cave di Frisolino s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2012 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti l’avvocato Pafundi per delega dell'avvocato Gerbi e l'avvocato dello Stato Spina;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La società Cave di Frisolino s.r.l. è proprietaria nel Comune di Ne (Ge), in località Fornace, di un complesso immobiliare costituito da un terreno con annesso fabbricato a destinazione d’uso artigianale, adiacente all’area, sempre appartenente alla stessa proprietaria, di una cava in fase di esaurimento denominata “Ex Fornace”, nella quale è installato un impianto di frantumazione a servizio anche di un’altra vicina cava denominata “Costa dei Sergi”.

Gli immobili sono soggetti a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera c), del d. Lgs. n. 42 del 2004, in quanto situati sul versante destro del Torrente Graveglia, in posizione sopraelevata rispetto al greto del corso d’acqua.

La società Cave di Frisolino, avvertita la necessità di dotarsi di un fabbricato funzionale all’attività estrattiva svolta nelle due cave, ha predisposto un progetto per la demolizione totale e la ricostruzione dell’edificio abbandonato, chiedendone, con istanza del 22 marzo 2011, l’autorizzazione paesaggistica.

Il progetto, valutato positivamente dalla Commissione locale per il paesaggio, è stato invece oggetto di parere contrario da parte della Soprintendenza per i beni paesaggistici ed architettonici della Liguria (di seguito denominata Soprintendenza), n. 7792 del 20 giugno 2011, cui è seguito in data 11 agosto 2011 il provvedimento del Comune, che ha negato l’autorizzazione richiesta.

2. Con ricorso n. 1054 del 2011, la società Cave di Fisolino s.r.l. si è rivolta al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, chiedendo l’annullamento del provvedimento comunale di diniego della autorizzazione paesaggistica e del presupposto parere espresso dalla Soprintendenza per i beni paesaggistici e architettonici.

A sostegno del ricorso, la società ha dedotto i seguenti motivi di ricorso:

- con riguardo al parere della Soprintendenza del 29 giugno 2011, violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004; eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione; travisamento; difetto di presupposto; illogicità, in quanto il parere negativo si sarebbe fondato su valutazioni che nulla avrebbero a che fare con la tutela del vincolo paesaggistico gravante sulla zona di interesse;

- con riguardo al provvedimento comunale di diniego di autorizzazione paesaggistica, illegittimità derivata o propria per i motivi dedotti al precedente alinea.

3. Con sentenza n. 191 del 2012, il Tribunale adito accoglieva il ricorso, osservando che:

a) la Soprintendenza, nel porre a fondamento del parere negativo esigenze di tutela diverse da quelle attinenti al vincolo paesaggistico esistente nella zona, aveva chiaramente travalicato i limiti del proprio potere; b) l’illegittimità del parere della Soprintendenza si rifletteva sul provvedimento comunale di diniego dell’autorizzazione paesaggistica;

c) nel parere della Soprintendenza non erano chiarite le motivazioni per le quali la documentazione fotografica allegata al progetto non poteva essere considerata sufficiente;

d) la vegetazione riscontrabile nella predetta documentazione fotografica risultava rappresentata sia nello “stato di fatto” sia nello “stato di progetto”;

e) per entrambi i citati profili, a fronte di una rilevata incompletezza, la Soprintendenza aveva il dovere di chiedere l’integrazione della documentazione (art.16, comma 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241);

f), infine, le richieste opere di mitigazione apparivano, in relazione alle caratteristiche del progetto, immotivate e generiche.

4. Avverso detta sentenza il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con ricorso n. 2290 del 2012, ha proposto appello, deducendo in particolare che la Soprintendenza, con l’impugnato parere di diniego della richiesta autorizzazione paesaggistica, aveva correttamente esercitato il potere discrezionale, attribuitole dall’art. 146 del d. Lgs. n. 42 del 2004, inibendo la trasformazione dell’ambito paesaggistico vincolato, incompatibile con i valori tutelati dall’art. 142 lett.c) del medesimo d. Lgs. n. 42 del 2004.

5. In data del 5 maggio 2012 si è costituita in giudizio la società Cave di Frisolino che, con memorie dell’11 maggio e del 25 luglio 2012 ha esposto e precisato le sue controdeduzioni all’appello avversario.

6. Nella camera di consiglio del 15 maggio 2012, questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare proposta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e, per l’effetto, ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.

7. All’udienza del 12 ottobre 2012, la causa è stata trattenuta per la decisione.

8. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione d’inammissibilità del presente gravame proposta dalla società Cave di Frisolino, motivata dalla considerazione che il Ministero appellante non avrebbe impugnato alcuni capi della sentenza e precisamente quelli con i quali il Tar ha riconosciuto il difetto di motivazione e l’illogicità, dedotti dalla società appellante con riguardo al secondo e terzo punto del parere soprintendentizio (non esauriente documentazione fotografica, mancanza negli elaborati grafici della vegetazione presente nella documentazione fotografica presentata).

L’eccezione è infondata.

Nel proprio articolato atto d’appello, l’Amministrazione ha contestato l’intera ratio decidendi della sentenza impugnata, rilevando non solo l’assenza dei vizi ritenuti sussistenti in primo grado, ma anche la erronea interpretazione della normativa di settore da parte del Tar, secondo il quale, quando sussiste un vincolo paesaggistico, l’autorità preposta alla tutela del vincolo non potrebbe mirare a salvaguardare un edificio esistente nell’area sottoposta a vincolo, non consentendone la demolizione.

Inoltre, il Tar non ha espresso una autonoma statuizione nel ritenere che la Sovrintendenza – ‘se’ ha ritenuto insufficiente la documentazione – doveva chiedere una ulteriore documentazione: tale considerazione sorregge unicamente la ratio decidendi sull’ambito di rilevanza del vincolo paesaggistico (che ad avviso del Tar non riguarderebbe gli edifici esistenti sull’area vincolata), sicché non vi era bisogno di una specifica contestazione in appello di tale asserzione ipotetica.

9. Nel merito la questione su cui il Collegio è chiamato a decidere concerne la legittimità del parere della Soprintendenza per i beni architettonici e culturali della Liguria espresso sulla domanda di autorizzazione paesaggistica avanzata dalla società Cave di Frisolino, atteso che – accogliendo la corrispondente censura di primo grado - il Tar ha ritenuto che il parere avrebbe travalicato le valutazioni di carattere paesaggistico, mirando a salvaguardare un edificio di per sé non sottoposto ad un vincolo monumentale, artistico o storico.

Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e che vadano respinte tutte le censure di primo grado.

Va premesso che il parere espresso dall’organo periferico del Ministero per i Beni e le Attività culturali fa esplicito riferimento all’art.142, lett. c), del d. Lgs. n. 42 del 2004, che tutela i corsi d’acqua: il fabbricato de quo ricade nella fascia di 150 metri dal torrente Graveglia.

Tale parere ha tenuto anche conto dell’art. 49 delle “Norme tecniche di attuazione” del Piano territoriale di coordinamento paesaggistico per il regime cosiddetto IS-MA (Insediamenti sparsi- Mantenimento), per il quale:

- “tale regime si applica nei casi in cui si riconosce l’esistenza di un equilibrato rapporto tra l’insediamento e l’ambiente naturale o agricolo e nei quali si ritiene peraltro compatibile con la tutela dei valori paesaggistico-ambientali o addirittura funzionale ad essa un incremento della consistenza insediativa o della dotazione di attrezzature ed impianti, sempreché questo non ecceda i limiti di un insediamento sparso”;

- ”obiettivo della disciplina è quello di mantenere le caratteristiche insediative della zona, con particolare riguardo ad eventuali ricorrenze significative nella tipologia e nella ubicazione degli edifici rispetto alla morfologia”;

- “sono pertanto consentiti quegli interventi di nuova edificazione e sugli edifici esistenti …..che il territorio consente nel rispetto delle forme insediative attuali …..”.

Il parere della Soprintendenza fa esplicito riferimento all’art. 88 delle “Norme Tecniche di Attuazione del Piano Territoriale di coordinamento paesaggistico” per il regime cosiddetto CA (cave a cielo aperto), che espressamente prevede che “in sede di definizione progettuale delle opere dovrà essere verificata la compatibilità paesistica delle stesse con il contesto territoriale nel quale si collocano”.

Infine, va constatato che la Soprintendenza, nel valutare il progetto sottoposto al suo esame, ha verificato che il progetto di sostituzione edilizia da assentire avrebbe interessato anche la parte storica dell’opificio costituita dalla fornace e dai relativi impianti di frantumazione e cioè “di manufatti riconducibili a testimonianze di archeologia industriale meritevoli di conservazione e restauro”.

In base, dunque, al descritto quadro normativo ed in base alla valutazione del rapporto fra quest’ultimo ed il progetto sottoposto al suo esame, la Soprintendenza ha ritenuto di esprimere il proprio parere negativo, rilevando che il manufatto proposto, nel sostituire per intero l’esistente edificio, avrebbe cancellato la memoria dei corpi storici dell’edificio, compromettendone “sostanzialmente la percezione paesistica nel contesto paesaggistico” che, viceversa trova tutela nel mantenimento delle caratteristiche insediative della zona, così come previsto dal citato art. 49 delle Norme tecniche di attuazione del Piano Territoriale di coordinamento paesaggistico, approvato dalla regione Liguria.

Il Collegio ritiene, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, che la Soprintendenza, lungi dal travalicare “i limiti del proprio potere”, abbia esercitato del tutto legittimamente il potere tecnico-discrezionale ad essa attribuito dall’art. 146 del d.Lgs. n. 42 del 2004, avendo assunto una decisione priva di elementi di irragionevolezza e di illogicità.

Quando una disposizione di legge o un provvedimento amministrativo ha imposto un vincolo paesaggistico su una determinata area, il divieto di modifica dello stato dei luoghi – in assenza della autorizzazione paesaggistica – riguarda anche gli edifici – legittimamente edificati - che risultino esistenti.

Infatti, il divieto di modifica riguarda l’area nella sua integralità.

L’autorità competente potrebbe anche imporre sull’edificio in quanto tale, ricadente nel perimetro sottoposto al vincolo paesaggistico, un ulteriore vincolo di carattere monumentale, al fine di tutelare specificamente in tutto o in parte l’edificio stesso per i suoi aspetti monumentali, storici o artistici: tale distinto vincolo comporta la necessità del rilascio della ulteriore relativa autorizzazione per ogni opera che riguardi l’edificio in sé, ma la sua mancanza non incide sull’ambito della valutazione che può esprimere l’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, secondo la quale un edificio preesistente costituisce parte integrante del paesaggio da salvaguardare.

9.2. Nel passare all’esame delle altre censure formulate dall’appellata, ritiene il Collegio che vada respinta la censura secondo cui la Soprintendenza avrebbe avuto l’obbligo di richiedere un’integrazione della documentazione nell’ipotesi di riscontrata incompletezza della documentazione richiesta.

Nella specie, la Soprintendenza ha ritenuto non accoglibile l’istanza per specifiche sostanziali di tutela del paesaggio e non “per semplice carenza documentale”, sicché non era tenuta ad acquisire ulteriori elementi di valutazione (Cons. di Stato, Sez VI, 3 maggio 2011, n.2611).

9.3. Analogamente, non può trovare condivisione l’osservazione relativa al fatto che la richiesta di opere di mitigazione e di barriere vegetali formulata dalla Soprintendenza sarebbe immotivata e generica.

Del tutto logicamente la Soprintendenza ha ritenuto non sufficiente la progettata riduzione dell’altezza e del fronte del nuovo fabbricato, considerato il contesto paesistico-fluviale in cui il fabbricato si sarebbe collocato nel caso di rilascio del titolo abilitativo.

10. Per quanto sin qui esposto l’appello è da ritenersi fondato e va, pertanto, accolto, risultando infondate tutte le censure di primo grado.

11. Le spese del doppio grado di giudizio seguono il principio della soccombenza e sono quantificate nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 2990/2012), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso in primo grado, perché infondato.

Condanna la parte appellata al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari del doppio grado di giudizio che quantifica in euro 5000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/11/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)