TAR Lombardia Sez. IV sent. 6432 del 27 novembre 2007
Caccia e animali. Caccia in deroga
(segnalata dall'AVV: Balletta)


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia - 4^ sezione - ha pronunziato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso iscritto al R.G. 2498/2006 proposto dall’associazione L.A.C. –Lega Abolizione Caccia ONLUS e dall’Associazione WWF Italia ONG ONLUS in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese dall’avv. dall’avv. Claudio Linzola, presso il cui studio sono elettivamente domiciliate in Milano, via Hoepli, 3;
c o n t r o
la Regione Lombardia in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv.ti Pio Dario Vivone e Sabrina Pallonetto dell’avvocatura regionale, presso la cui sede in via Filzi 22, Milano elegge domicilio;
per l’annullamento
della deliberazione n. VII/003349 del 17 ottobre 2006 della Giunta della Regione Lombardia recante “Prelievo venatorio in deroga, previsto dall’art. 9 comma 1 lett. a) della dir. 79/429/CEE, della specie Storno per la regione venatoria 2006/07, art. 19 bis della legge 11 febbraio 1992 n. 157”, nonché di ogni altro atto connesso;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lombardia;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi alla pubblica udienza del 23.10.07 (relatore dott. Paolo Passoni), i procuratori delle parti;
fatto
Con deliberazione del 17 ottobre 2006, la regione Lombardia ha autorizzato il prelievo venatorio dello stormo, in virtù della clausola prevista dall’art. 19 bis della legge 137 del 1992 (che consente la deroga all’ordinario regime di non cacciabilità di quel volatile).
La ratio sottesa a tale deroga risiede nel prevenire gravi danni alle colture esistenti nel territorio lombardo, che rimarrebbero seriamente danneggiate dallo spettro alimentare dello storno.
Tale delibera viene impugnata dalle associazioni ricorrenti secondo cui:
-l’assunto che nello spettro alimentare dello storno vi sarebbero bacche frutticole e colture ortive e sementicole sarebbe privo di fondamento e comunque sfornito di alcuna documentazione scientifica, così come resterebbero del tutto indimostrati i presunti ingenti danni che quei volatili avrebbero già recato in passato alle colture in ambito regionale;
-l’autorizzazione oggetto di impugnativa sarebbe intervenuta disattendendo senza motivazione un parere “gravemente” contrario dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (I.N.S.F)., acquisito ai sensi della legge 157/1992; tale modus operandi risulterebbe poi particolarmente indicativo dello sviamento in cui sarebbe incorsa la Regione, poiché seguirebbe –con immediatezza non casuale- alla decadenza del decreto legge 251/06, non convertito, che aveva reso vincolante il parere dell’Istituto;
-risulterebbe indeterminato il numero di storni che potranno essere abbattuti, in contrasto con l’art. 19 bis comma II della legge 157/1992 (la delibera impugnata quantifica infatti la quota massima solo in relazione a ciascun cacciatore);
-verrebbe illegittimamente legalizzato l’uso di richiami vivi in relazione a specie protette;
-la delibera impugnata violerebbe le competenze provinciali, previste nella soggetta materia dagli artt. 2 e 41 della legge regionale 26/1993.
Si è costituita in giudizio la Regione Lombardia, che ha depositato memoria difensiva.
Alla pubblica udienza del 23.10.07 la causa è stata riservata a sentenza.
diritto
Il ricorso va accolto per assorbente fondatezza della censura collegata al difetto di motivazione della delibera impugnata.
Nel suo parere obbligatorio, seppur non vincolante, l’I.N.F.S. ha diffusamente argomentato l’inopportunità dell’esercizio della deroga di caccia allo storno (consentita per prevenire danni gravi alle colture, secondo quanto disposto dall’art. 9 comma 1 lett. a della direttiva 79/409 CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici e dall’art. 12 bis della legge legge 11 febbraio 1992, n. 157, “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”), senza che l’amministrazione intimata abbia adeguatamente spiegato e documentato le ragioni che l’hanno condotta a disattendere tale importante contributo tecnico.
Nel suaccennato parere l’Istituto ha affermato che “l’ìnclusione dello storno nell’ambito delle specie cacciabili da settembre al 31 gennaio, senza alcun riferimento alle situazioni ove occorra intervenire comporterebbe dunque l’abbattimento ingiustificato di soggetti migratori e svernati che transitano e soggiornano in aree e periodi in cui non vi sono coltivazioni passibili di subire danneggiamento e che pertanto non costituiscono un rischio reale per le colture”.
Proprio da tale passaggio del parere, emerge come l’I.N.F.S. abbia negato gli stessi presupposti fondanti del potere di deroga in questione, vale a dire la sussistenza di quel danno grave per le colture, di cui invece la Regione avrebbe dovuto dare convincente prova, addirittura con modalità rinforzate dopo le chiare e documentate concludenze dell’organo tecnico consultivo.
Quest’ultimo del resto ha fornito dati significativi e concreti sul “recente declino osservato nelle popolazioni europee” dello storno, avvertendo sui prevedibili effetti negativi del prelievo venatorio (nei periodi stabiliti dalla Regione) sui contingenti nidificanti in Europa centro-settentrionale, con particolare riguardo ai Paesi del nord est del continente che già registrano forti flessioni, e da cui provengono circa un terzo dei flussi migratori.
Va peraltro puntualizzato che l’art. 19 bis della legge 157/1992 (a prescindere dalla sua disapplicazione comunitaria già disposta dalla Sezione con sentenza 3052/2006, in relazione tuttavia a prelievi in deroga di diversa tipologia rispetto a quella ora in esame) prevede al terzo comma che “tutte le deroghe previste al comma 1 non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione”, mentre in modo ancor più restrittivo la Corte di giustizia ritiene che possono essere concesse deroghe ai sensi dell’art. 9 della direttiva unicamente se sussista la garanzia che la popolazione delle specie interessate sia mantenuta ad un “livello soddisfacente” (II sez. 8 giugno 2006 nel procedimento C-60/05).
Di contro la delibera impugnata –pur prendendo atto della flessione della specie segnalata dall’I.N.F.S.- non solo non ha espresso alcuna considerazione sulla portata preclusiva di tale circostanza, ma ha addirittura minimizzato l’intervento dell’Istituto, sostenendo semplicisticamente che tale apporto consultivo -pur “critico” nei confronti del prospettato prelievo- avrebbe “fornito alla stessa il quadro delle condizioni tecnico-scientifiche abilitanti l’esercizio del potere di cui trattasi”, con una locuzione lessicale che sembrerebbe dare una valutazione complessiva del parere in chiave del tutto possibilistica, sia pure mediante alcune perplessità di fondo.
Detto in altri termini, la Regione ha così inteso non volersi confrontare in modo puntuale con le argomentazioni assolutamente contrarie dell’Organo consultivo, in violazione delle regole generali secondo cui in caso di divergenza da un parere procedimentale (pur non vincolante), l’autorità amministrativa è tenuta ad esternare con una congrua motivazione le ragioni del dissenso; quanto sopra con particolare riguardo quando -come nel caso in vertenza- trattasi di Struttura di comprovata primazia tecnica nel settore oggetto di regolazione, il cui intervento nel procedimento è previsto specificamente (ed obbligatoriamente) dalla legge per il forte connotato scientifico che dovrebbe caratterizzare la relativa istruttoria.
Di contro la Regione –pur dilungandosi in premesse teorico-giuridiche sul concetto di danno grave alle colture (vale a dire sul presupposto al quale l’art. 19 bis della legge 157/1992 subordina il prelievo)- non è andata poi oltre formule motivazionali prive di sostegno documentale e scientifico, basate su lettere di segnalazione da parte di alcune province (comunque non depositate in atti), nonché su esposti di associazioni di agricoltori, con le quali si sarebbero lamentati i danni recati dallo storno, liquidando poi in due brevi capoversi come impraticabile od inopportuna ogni forma alternativa di tutela delle colture (che pure dovrebbe rivestire carattere rigorosamente prioritario rispetto all’extrema ratio del prelievo venatorio).
Va del resto puntualizzato che –secondo principi generali di natura sia interna che comunitaria - il regime di (piena) protezione di una specie animale non può e non deve restare confinato al presupposto di non dannosità e/o pericolosità dell’animale stesso; le contrapposte esigenze fra la coniugazione dell’interesse pubblico alla conservazione della specie ed all’equilibrio ambientale, e l’esigenza di salvaguardia del patrimonio degli operatori danneggiati oltre il normale rischio d’impresa, trovano infatti un ottimale punto di equilibrio mediante appositi risarcimenti individuali da parte dell’amministrazione (cfr. art. 26 legge 11 febbraio 1992, n. 157, “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”).
Va dunque chiarito che le disposizioni comunitarie e nazionali di riferimento –consentendo il prelievo venatorio in deroga solo nel caso di gravi danni- si riferiscono non già ad una situazione dannosa in sé, ma ad uno scenario negativo sostanzialmente irreparabile, tale cioè da non poter essere sufficientemente fronteggiato neanche mediante le cospicue energie finanziarie, che pure il singolo Stato è chiamato ad erogare.
In buona sostanza, i danni gravi, rilevanti nel caso in esame, dovrebbero essere quelli che si verificano nonostante l’ottimale predisposizione di rimedi alternativi, in primis quelli risarcitori (e senza escludere il perfezionamento di altri rimedi ecologici che la Regione ha tout court liquidato come inefficaci), così che il ricorso a soluzioni soppressive di fauna selvatica -soprattutto per specie in continuo declino- dovrebbe comunque postulare una convincente prova dell’insufficienza di congrui stanziamenti, anche ai sensi di quanto disposto dell’art. 9 comma 1 della direttiva 79/409/CE, secondo cui tutti i poteri di deroga ivi contemplati (compresi quelli in esame), presuppongono l’inutile esperimento “di altre soluzioni soddisfacenti” (così anche l’art. 19 bis della legge 157/1992).
Come sopra accennato, la Regione si è sul punto limitata invece a rilevare che “l’entità del risarcimento è inoltre un dato storicamente influenzato dalle incapienze dei relativi capitoli di bilancio delle province che ha indotto molti coltivatori a desistere, con le richieste, all’attivazione di specifiche vertenze”.
Trattasi di argomentazione frettolosa ed apodittica, del tutto inidonea ad assolvere ad un onere probatorio di così fondamentale importanza, senza oltre considerare che tale locuzione sembra così ammettere inefficienze endemiche del sistema risarcitorio, in luogo di una obiettiva insufficienza di fondi dovuta allo straordinario carico dannoso causato dalla specie ornitica (basti pensare all’esempio del coltivatore sfiduciato che addirittura rinuncerebbe a chiedere i dovuti risarcimenti, auspicando invece il prelievo venatorio). Tali inefficienze –se effettivamente esistenti e non riportabili solo a discutibili opzioni e portamenti di singoli coltivatori- dovrebbero essere invece contrastate dagli enti competenti con estremo rigore, anche per evitare situazioni di inadempienza nei confronti di altri Stati ove gli esemplari nidificano o comunque transitano; trattasi infatti di materia in cui la gestione del patrimonio comune è affidata, per territorio rispettivo, a ciascuno degli Stati membri (v., Corte di giustizia sentenze 8 luglio 1987, causa 247/85, Commissione/Belgio, Racc. pag. 3029, punto 9, e 27 aprile 1988, causa 252/85, Commissione/Francia), anche a voler prescindere dalla globalizzazione che ormai caratterizza gli effetti lesivi dei danni all’ambiente complessivamente inteso.
Non a caso, l’.I.N.F.S nel suo parere di competenza aveva per l’appunto ben puntualizzato che “…eventuali forme di prelievo in deroga per il controllo dei danni all’agricoltura ed all’itticoltura dovrebbero essere definite sulla base di dettagliate istruttorie tecniche, nelle quali debbono essere riportate, oltre alle informazioni sulle caratteristiche biologiche rilevanti per ciascuna specie, l’estensione delle diverse attività economiche interessate dal danneggiamento, l’importo del danno, la sua ripartizione spazio-temporale, nonché la descrizione di tecniche di controllo alternative già messe in atto”.
Ciò in piena conformità alla giurisprudenza comunitaria, che ha insistito nel qualificare il ricorso a tutte le deroghe ex art. 9 della direttiva un “regime eccezionale (…) di stretta interpretazione”, che postula la necessità di “far gravare l’onere di provare la sussistenza dei requisiti prescritti, per ciascuna deroga, sull’autorità che ne prende la decisione”, mediante “motivazione precisa ed adeguata”, basata su concrete informazioni scientifiche (citata pronuncia della Corte dell’8 giugno 2006 nel procedimento C-60/05).
Si è invece visto come, in luogo dell’auspicata “istruttoria tecnica”, la Regione abbia proceduto senza alcuna documentata confutazione scientifica, mediante motivazioni empiriche del tutto insufficienti a comprovare i rigorosi presupposti voluti dal legislatore, in un contesto procedimentale viceversa orientato dal parere negativo dell’Organo tecnico deputato a dare sostegno scientifico alle scelte dell’amministrazione (per un precedente conforme della Sezione cfr. sentenza 140/2005).
In conclusione, il ricorso va accolto per difetto di motivazione della delibera impugnata, rispetto ai contenuti del parere contrario reso dall’Istituto Nazionale per la Fauna selvatica.
Rimane assorbito ogni altro motivo.
Le spese di giudizio sono liquidate nella misura complessiva di euro 2.000/00 (duemila) e sono poste a carico dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia - 4^ sezione – accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla la delibera impugnata.
Spese a carico della regione, nella misura complessiva di euro 2.000/00 (duemila) oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Milano, alla camera di consiglio del 23.10.07, con l'intervento dei signori:
- Maurizio Nicolosi - Presidente
-Paolo Passoni Consigliere estensore
-Giovanni Zucchini Referendario

Il Presidente L'Estensore