TAR Molise decreto presidenziale n. 73 del 9 maggio 2020
Caccia e animali.Divieto di caccia al cinghiale in forma collettiva nella fase 2 dell'emergenza Covid 19

Deve ritenersi precluso l’esercizio della caccia al cinghiale perché il DPCM 26 aprile 2020 consente, all’art 1 lett f), di “svolgere individualmente […] , attività sportiva o attività motoria, purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l'attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività" (segnalazione e massima Avv. M. Balletta)

Pubblicato il 09/05/2020
N.00103  2/ 020
REG.PROV.CAU.
N. 00114/2020 REG.RIC.
    

R  E  P  U  B  B  L  I  C  A    I  T  A  L  I  A  N  A

Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima)

Il Presidente

ha pronunciato il presente

DECRETO

sul ricorso numero di registro generale 114 del 2020, proposto da
WWF Italia Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Balletta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Molise, Presidenza del Consiglio dei Ministri, - Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie, - Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, - Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, tutti rappresentati e difesi dall’avvocatura distrettuale dello Stato di Campobasso presso cui sono domiciliati in viale Insorti d’Ungheria numero 74;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
della  ordinanza  del    Presidente    della  Giunta    Regionale    del    Molise    n. 25 del 2.5.2020, nella parte in cui, ritenuta l’attività di caccia non preclusa dal DPCM 26 aprile 2020, consente lo spostamento all’interno del territorio regionale per lo svolgimento dell’attività di caccia, ivi  compresa l’attività di addestramento dei cani e detta le relative condizioni per il suo espletamento;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Vista l'istanza di misure cautelari monocratiche proposta dal ricorrente, ai sensi dell'art. 56 cod. proc. amm.;
Sono stati sentiti in via informale, mediante collegamento da remoto, il difensore  del ricorrente, avvocato Maurizio Balletta, che ha ribadito la sua richiesta di accoglimento dell’istanza cautelare, nonché gli avvocati dello Stato Giovanni Cassano e Piero Vitullo per le amministrazioni intimate, i quali hanno  controdedotto alle censure contenute nel ricorso e chiesto il rigetto dell’istanza.
Il provvedimento impugnato, immediatamente esecutivo, ha efficacia fino al 17 maggio, pertanto non sarebbe possibile attendere sino alla prossima camera di consiglio utile e dunque sussiste il presupposto processuale per l’adozione del decreto monocratico di cui all’articolo 56 c.p.a..
Al fine di decidere, si devono esaminare le censure dedotte per valutare la fondatezza del ricorso e la sussistenza del danno, pur prescindendo dalle eccezioni processuali sollevate dalle amministrazioni resistenti.
Con i primi cinque motivi il ricorrente afferma che il DPCM 26 aprile 2020 non consente l’attività di caccia; pertanto, l’ordinanza del Presidente della Giunta regionale del Molise che, nel disporre le modalità e le condizioni necessarie per il suo esercizio, la autorizza implicitamente, violerebbe la disposta preclusione  da parte dell’atto statuale.
Con le ultime due censure deduce la violazione del calendario venatorio e, in via subordinata, solleva questione di legittimità costituzionale della legge regionale numero 19 del 1993.
Il ricorrente rileva innanzitutto che, diversamente da quanto ritenuto nel
provvedimento impugnato, l’attività venatoria non può essere considerata attività motoria - consentita nel DPCM all’articolo 1 lettera f), sia pure in via eccezionale - in quanto “è una attività complessa” che si sostanzia in una pluralità di azioni, mediante l’utilizzo di armi da fuoco.
Né potrebbe essere qualificata come attività sportiva (pure consentita nel DPCM)   in quanto la caccia non sarebbe uno sport, come dimostrato dal fatto che la Federazione italiana della Caccia non fa più parte del Comitato Olimpico Nazionale in seguito al riordino ex L. 241/99.
Inoltre, l’attività venatoria non sarebbe neanche riconducibile al novero  delle  attività produttive industriali e commerciali, consentite ex art. 2 del DPCM sulla  base di determinati Codici ATECO indicati nell’allegato 3; ciò in quanto il cacciatore non è imprenditore commerciale né imprenditore agricolo.
Secondo    il    ricorrente,    la    caccia    è,    in    realtà,    una    attività    ludico-ricreativa espressamente vietata dal DPCM all’articolo 1, lettera f)
Le argomentazioni contenute nel ricorso non appaiono condivisibili.
Il punto centrale del ragionamento del ricorrente è che la caccia non è attività motoria consentita dal DPCM all’art 1, lett. f), ma una attività ludico-ricreativa, vietata dalla stessa disposizione.
In realtà, i due concetti non sono necessariamente confliggenti; può  ben configurarsi una attività ludico-ricreativa che non sia motoria e, in un significato generale, anche viceversa.
L’attività motoria, anche nell’accezione fatta propria dalla norma in esame, è un genus che può articolarsi in molte sottospecie: ci si può muovere per fare lato sensu dello sport, per fare una passeggiata, per rilassarsi, eccetera; il tutto, non più nel limite spaziale dei 200 metri  dall’abitazione che è stato abolito proprio dal DPCM in oggetto. Anzi, sembra potersi dire che l’attività motoria cui si riferisce la lettera
f) si caratterizzi proprio per il carattere di gratuità e ricerca di benessere personale e per  ciò  stesso con valenza  ludica;  mentre  l’attività motoria  finalizzata a motivi di
lavoro, motivi di salute o situazioni di necessità è espressamente regolamentata e consentita nella lettera a) dello stesso articolo 1.
D’altronde, che non ci sia contraddizione tra attività motoria e attività ludica è confermato anche sul piano normativo; si veda ad esempio il decreto del Ministero della salute 24 aprile 2013 ove, all’articolo 1, è definita amatoriale “l’attività ludico-motoria,        praticata    da  soggetti    non tesserati alle Federazioni sportive nazionali” […] finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico- fisico    della  persona,    non  regolamentata    da  organismi        sportivi,    ivi compresa l’attività    che    il    soggetto        svolge    in        proprio,    al    di    fuori    di    rapporti con organizzazioni o soggetti terzi”.
In definitiva, l’attività ludica, di per sé, può essere motoria o no. L’attività “ludica o ricreativa all’aperto” vietata dalla norma sembra doversi individuare quindi nella attività ludica non motoria; alla luce di tale disposizione sarà per esempio  consentito fare ma passeggiata nel parco ma sarà vietato concluderla con un picnic sull’erba.
Quanto sin qui rilevato è di per sé sufficiente a considerare consentita dal DPCM l’attività venatoria.
Peraltro anche le altre argomentazioni contenute nel gravame non convincono.
La invocata circostanza che la Federazione italiana della Caccia non fa più parte del Comitato Olimpico Nazionale non è certo sufficiente a escludere che la caccia sia un’attività sportiva.
Il mancato inserimento di una determinata attività nell’ambito degli sport riconosciuti da parte del Comitato olimpico non comporta che ne sia ontologicamente esclusa la natura sportiva.
Il CONI ben può ammettere o escludere uno sport dal novero di quelli riconosciuti, in base a valutazioni di tipo diverso, che possono variare di volta in volta, anche in relazione a un giudizio di carattere politico, sociologico, storico, etico eccetera.
Quindi, la caccia può essere qualificata come uno sport, benché, il CONI abbia ritenuto di escluderla da quelli riconosciuti, verosimilmente, in ragione di

valutazioni di natura etica che hanno portato alla condanna di una attività che ha come scopo primario quello di uccidere animali; analogamente, lo stesso ente potrebbe escludere dal novero degli sport riconosciuti, ad esempio, il pugilato alla luce di un giudizio negativo su tale sport che ha come scopo primario quello di colpire ed eventualmente abbattere l’avversario.
Ad abundantiam, resta da esaminare l’ultima argomentazione, secondo cui l’inserimento della caccia nell’elenco delle attività ammesse nell’allegato 3 del DPCM, contenente i relativi codici Ateco, non potrebbe riferirsi anche all’attività venatoria non professionale, proprio perché questa non è riconducibile alla nozione di imprenditore commerciale o di imprenditore agricolo cui si riferiscono i codici.
Senonché, è pur vero che la produzione di prodotti animali, la caccia e servizi connessi, indicati nell’allegato 3, si riferiscono ad attività imprenditoriali; ma ciò non toglie che, ai fini che qui interessano, il DPCM ha comunque liberalizzato l’attività venatoria, che quindi viene ritenuta compatibile con le esigenze di tutela sanitaria emergenziale, sottese all’adozione del decreto.
Da ultimo, sembra opportuno richiamare la circostanza che l’ordinanza impugnata consente espressamente che l’attività di pesca e di caccia siano effettuati (articolo 2 comma 1 lett. b) “da massimo  due componenti per  nucleo familiare”. In proposito il ricorrente, nell’ambito del secondo motivo, richiama tale disposizione, senza peraltro dedurre specifiche censure. Al fine di non tralasciare alcuna argomentazione, si ritiene di chiarire che la disposizione si limita a prevedere che possano svolgere attività venatoria non più di due componenti per nucleo familiare fermo restando che anche per costoro deve valere la regola (lett. c) che “sia  rispettato nei confronti delle altre persone il distanziamento di almeno due metri”  in ossequio alle disposizioni del DPCM.
Con le ultime due censure il ricorrente sostiene che l’articolo 18 della legge 157/92 e il calendario venatorio regionale disciplinano il periodo di apertura generale della caccia alle singole specie, in cui non è assolutamente compreso il mese di maggio;
perciò l’ordinanza impugnata, consentendo la caccia in questo periodo, contrasterebbe con gli articoli 18 e 30 della legge 157/92  oltre che con il DPCM  che pretenderebbe di attuare.
In via subordinata, qualora l’ordinanza costituisse, sia pure implicitamente, applicazione dell’art. 12, comma 4 LR 19/1993 vigente, nella parte in cui dispone “ In via eccezionale e per la sola riduzione di determinate specie che pregiudichino l'equilibrio biologico e la funzionalità delle oasi di protezione, la Regione, sentito l'ISPRA, dispone abbattimenti selettivi….”.deduce l’illegittimità costituzionale di tale articolo, nella parte in cui consente ai cacciatori di procedere all’abbattimento dei cinghiali mentre, mentre, secondo la normativa statale, l’abbattimento selettivo deve essere attuato delle guardie venatorie e i cacciatori possono operare esclusivamente in ausilio di detto personale.
Senonché, il piano di prelievo e la caccia di selezione al cinghiale, con il relativo Disciplinare, sono stati specificamente approvati con delibera della giunta regionale numero 90 del 11 marzo 2020, che ha fissato il periodo di caccia dal 1° aprile al 15 agosto del 2020; tale delibera è stata poi  modificata dalla successiva numero 102 del 23 marzo 2020 che, al punto 5, ha previsto il differimento al 1° maggio del termine di inizio del periodo di caccia.
Pertanto il ricorrente non può dedurre rispetto all’ordinanza  odiernamente impugnata censure riconducibili ad atti che non sono stati oggetto di specifica impugnazione, che devono perciò essere dichiarate inammissibili.
In conclusione, la caccia, in quanto attività motoria di natura sportiva, deve considerarsi non preclusa dal DPCM 26 aprile 2020.
Accertata l’infondatezza/inammissibilità delle censure dedotte si  ritiene  di verificare anche la sussistenza del danno lamentato dal ricorrente, che consisterebbe nella uccisione della fauna selvatica. Tale pericolo di danno non viene in alcun modo specificato ulteriormente.
Occorre in proposito osservare che le richiamate delibere della Giunta regionale nn. 90 e 102 dei mesi scorsi hanno anche approvato il “Disciplinare contenente le linee

guida preliminari per l'esercizio della caccia al cinghiale nella Regione Molise”, il quale prevede che l’attività di caccia sia svolta collettivamente mediante la costituzione di squadre. Si veda per tutti, l’art. 2 del Disciplinare che recita: “Ogni squadra dovrà avere un capo squadra, e un vice capo squadra vicario il quale è tenuto a predisporre l'elenco dei componenti, completo  delle generalità  in ordine di responsabilità, data di rilascio e numero di porto d'armi”.
Così stando le cose, deve ritenersi precluso l’esercizio della caccia al cinghiale perché il DPCM 26 aprile 2020 consente, all’art 1 lett f), di “svolgere individualmente […] , attività sportiva o attività motoria, purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per l'attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività”.
Secondo quanto rilevato dalla difesa erariale, in questo periodo e sino  a  tutto agosto, l’unica attività prevista è appunto quella della caccia al  cinghiale disciplinata dalle richiamate delibere giuntali, perciò, essendo preclusa l’attività motoria collettiva, tale tipo di caccia non è ammesso e conseguentemente non sussiste, al momento, alcun rischio di uccisione della fauna selvatica.
D'altronde, che l’ordinanza non possa considerarsi modificativa  o ampliativa rispetto alle delibere della Giunta regionale, è confermato dallo stesso atto impugnato ove si precisa che lo spostamento all’interno del territorio regionale per lo svolgimento della attività di pesca e di caccia (ivi compresa l’attività di addestramento dei cani) e il loro espletamento sono consentiti “nel pieno rispetto delle norme contenute nel DPCM del 26 aprile 2020 e di tutte le disposizioni legislative e provvedimentali che ne regolano la disciplina”.
In definitiva l’istanza deve essere respinta per infondatezza/inammissibilità del ricorso e per mancanza del danno grave e irreparabile.

P.Q.M.
Respinge l’istanza cautelare.
Fissa per la trattazione collegiale la camera di consiglio del 27 maggio 2020.

Il presente decreto sarà eseguito dall'Amministrazione ed è depositato presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Campobasso il giorno 8 maggio 2020.