 Cass. Sez. III n. 14828 del 16 aprile 2010 (Ud 11 feb. 2010)
Cass. Sez. III n. 14828 del 16 aprile 2010 (Ud 11 feb. 2010)
Pres. Onorato Est. Squassoni Ric. De Flammineis ed altro
Danno ambientale. Legittimazione delle associazioni ecologiche a costituirsi parte civile nel processo penale
E' riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche un interesse legittimo alla tutela del territorio ed è loro riconosciuta la possibilità di costituirsi parti civili nel processo. Esse non possono costituirsi parte civile al fine di chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica (a sensi dell’art.18 L.348/1986 ed ora del DLVO 152/2006), ma possono agire in giudizio -in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento ingiusto risarcibile enucleato dall’art.2043 cc - per il risarcimento dei danni patiti dal sodalizio a causa del degrado ambientale. Non possono invece costituirsi parte civili le nazioni portatrici di interessi meramente diffusi -comuni a più persone e non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili di tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessita che le associazioni siano esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati, cioè, di interessi collettivi legittimi. Pertanto, non sono legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le associazioni quando l’interesse perseguito sia quello genericamente inteso all’ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile.
UDIENZA dell' 11.02.2010
SENTENZA N. 302
REG. GENERALE N. 22378/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli  Ill.mi  Sigg.ri Magistrati:
Dott. PIERLUIGI  ONORATO                                   - Presidente
 Dott. CLAUDIA SQUASSONI                                 - Rel. Consigliere
 Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                       - Consigliere
Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI - Consigliere
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) DE FLAMMINEIS ALBERTO N. IL VV/00/XXXX
 2) S.P.A. ING. O. MAZZITELLI
 - avverso la sentenza n. 1111/2007 CORTE APPELLO di BARI, del 03/06/2008
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2010 la relazione fatta dal  Consigliere  Dott. CLAUDIA SQUASSONI
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Salzano Francesco  che ha  concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per  essere i  reati estinti per prescrizione con conferma delle statuizioni civili.
 
 -Udito, per la parte civile, l'Avv.,
Uditi i difensori Avv.ti Gargano Raffaele; D'Amato Pantaleo; De Gennaro Davide.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Confermando la decisione del  Tribunale, la Corte di Appello di Bari, con sentenza 3 giugno 2008, ha  ritenuto  De Flammineis Alberto responsabile dei reati previsti dagli artt.81 cpv  cp, 51  c.1,2,3 DLvo 22/1997, 24 c.4 DPR 203/1988,674 cp, 59 c.8 D.L.vo 152/1999  e l'ha  condannato alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni nei  confronti  delle costituite parte civili.
 Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno disatteso la  prospettazione  difensiva di nullità dello avviso di chiusura delle indagini e di  inammissibilità della costituzione delle parti civili (Circolo  Legambiente e WWF  Italia) per difetto di legittimazione; sul punto, hanno rilevato come le   associazioni ambientalistiche si fossero costituite in base alla legge  allora  vigente (art.18 xL.349/ 1986) per cui la costituzione mantiene efficacia   nonostante la novazione legislativa. Indi, i Giudici hanno ricordato il  procedimento amministrativo che si è concluso con la determina 50 del  2003, con  la quale la Provincia di Bari ha rilasciato alla impresa Orfeo  Mazzitelli spa (di cui l'attuale imputato era l'amministratore)  autorizzazione per l'esercizio  dell'attività di trattamento e smaltimento di rifiuti urbani e fanghi da   impianti di depurazione mediante compostaggio (il compost doveva servire  per  ammendante in agricoltura).
 Effettuato un sopralluogo in data 29 ottobre 2003, gli accertatori hanno   evidenziato che l'impianto era gestito in maniera non corretta e  riscontravato  varie irregolarità che hanno originato il presente processo. Alla base  della  illegale situazione, si poneva la circostanza che l'impianto era stato  progettato e realizzato per trattare 85 tonnellate di rifiuti al giorno, mentre l'autorizzazione consentiva la  gestione  di 270 tonnellate per una dolosa prospettazione della capacità  dell'impianto da  parte dell'imputato; costui, inoltre, per scelta imprenditoriale e senza  adeguata  programmazione, aveva aperto la ricezione di rifiuti ad altri bacini  anche  extra- regionali.
 La Corte ha concluso per la sussistenza di tutti i reati per i quali De  Flammineis era stato condannato dal Tribunale (per i motivi che saranno  in  prosieguo precisati) ed ha confermato le statuizioni civili. Per  l'annullamento  della sentenza, l'imputato, anche nella sua qualità di responsabile  civile, ha  proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e  violazione di  legge, in particolare, rilevando:
= che è nullo il decreto di  citazione a  giudizio avanti il Tribunale perché l'avviso di conclusione delle  indagini, dopo  l'interrogatorio dello imputato, avrebbe dovuto essere reiterato;
 = che non era ammissibile la costituzione di parte civile del Circolo  Legambiente, WWF Italia, ASM di Molfetta in quanto la richiesta  risarcitoria  per danno ambientale è attribuita in via esclusiva al Ministro  dell'Ambiente a  sensi dell'art.311 D.L.vo n.152/2006 e, comunque, mancavano i requisiti  richiesti  dalla giurisprudenza per la loro costituzione: inoltre, i primi due enti  non  avevano subito in concreto un danno e quello della ASM era stato oggetto  di  transazione;
 = che era legittimo il provvedimento autorizzatorio che permetteva la  gestione  di 270 tonnellate al giorno (al posto delle precedenti 85) dal momento  che  l'aumento non incideva sulle caratteristiche del ciclo produttivo;  inoltre, era  legittima la ricezione dei rifiuti non pericolosi provenienti da siti  extraregionali;
 = che sussistevano i requisiti temporali e quantitativi per ritenere non   l'abbandono di rifiuti per cui 6 stato condannato ( art.52 c.2 DLvo  22/1997) ,  ma il deposto temporaneo;
 = che non è configurabile il reato di cui all' art.51 c.4 D. L.vo n.  22/1997 in  relazione alla qualità del compost prodotto perché le prescrizioni  riguardavano  le modalità di lavorazione e non il raggiungimento di un risultato;
 = che la giacenza dei rifiuti era dovuta dalla illecita opposizione dei  gerenti  delle discariche di altri bacini di accoglierli: comunque, l'accumulo  non aveva  carattere di definitività e non costituiva una discarica con conseguente   inapplicabilità della previsione dell'art.51 c.3 DLvo 22/1997;
 = che non vi è prova che le emissioni in atmosfera superassero i limiti  indicati  in sede di collaudo per cui è insussistente la violazione all'art.24 c.4  DPR  203/1988;
 = che il reato previsto dall'art.674 cp 6 provato solo dalle sensazioni  soggettive di alcuni testi;
 = che nessuna analisi conferma che il liquido possa qualificarsi  percolato e,  comunque, lo scarico era occasionale con conseguente inesistenza della  contravvenzione ex art.59 c.8 D.L.vo 152/1999;
= che la Corte non ha tenuto  conto  che, per i fatti per cui è processo, l'imputato era già stato giudicato  con  sentenza 117/2005 del Tribunale di Trani;
 = che non è congrua la motivazione sul diniego delle attenuanti  generiche, sulla  quantificazione della provvisionale alle parti civili sulla mancata  rinnovazione  del dibattimento;
 = che i reati sono prescritti.
 L'ultima deduzione è meritevole di accoglimento.
 Si deve rilevare che, per le contravvenzioni (accertate fino al 29  ottobre 2003)  si è maturato il termine previsto dagli artt.157, 160 cp anche tenuto  conto dei  periodi di sospensione del corso della prescrizione.
 Di conseguenza, la Corte deve annullare la impugnata sentenza senza  rinvio per  essere i reati estinti per prescrizione; il contenuto dell'atto di  ricorso-  poiché nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna al  risarcimento  dei danni nei confronti delle parti civili- deve essere esaminato ai  limitati  fini dell'art.578 cpp.
A sensi di tale articolo, la  Corte deve compiere una duplice valutazione: da un  lato, stabilire se siano provati gli estremi dei reati dai quali le  parti civili  fanno discendere il loro diritto al risarcimento e, dall'altro,  accertare, sia  pure in modo sommario, la sussistenza di tale diritto.
 Tanto premesso, si osserva come non sia evidenziabile la nullità del  decreto di  citazione a giudizio prospettata dal ricorrente sotto il profilo della  mancata  reiterazione dell'avviso di chiusura delle indagini in esito  all'interrogatorio  dell'imputato; si è verificato che il Pubblico Ministero - dopo la  emissione  dell'avviso previsto dall'art.415 bis cpp e la scadenza del termine per  espletare le indagini e prima dell'esercizio della azione penale- ha  provveduto  alla audizione dell'imputato.
L'errore procedurale comportava, a sensi dell'art.407 uc cpp, solo la sanzione di inutilizzabilità dello interrogatorio, che non è stato neppure menzionato nelle sentenze dei Giudici di merito.
 Non fondato è il motivo di ricorso concernente la inammissibilità della  costituzione delle partii civili Circolo Legambiente e WWF Italia in relazione alle quali la conclusione dei Giudici di merito è  condivisibile anche  se deve essere sorretta da diverso apparato argomentativo.
 Il principio indiscusso che tutte le associazioni, riconosciute o non,  possono  costituirsi parte civile qualora abbiano subito la lesione di un diritto   soggettivo (o di un interesse giuridicamente rilevante secondo la  Sentenza  delle Sezioni Unite civili n°500 del 1999) da una azione criminosa è  stato  riconosciuto, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, alle  associazioni  ecologiche in relazione ai reati che hanno come ricaduta un danno  ambientale.
Tale nocumento ha dimensioni  diversificate: la giurisprudenza di legittimità ha  chiarito che il danno in esame presenta, oltre a quella pubblica, una  dimensione  personale e sociale quale lesione del diritto fondamentale all'ambiente  salubre  di ogni uomo e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la  personalità:  il danno ambientale in quanto lesivo di un bene di rilevanza  costituzionale,  quanto meno indiretta, reca una offesa alla persona umana nella sua  sfera  individuale e sociale.
 In tale contesto, è riscontrabile in capo alle associazioni ecologiche  un  interesse legittimo alla tutela del territorio ed è stata riconosciuta  la loro  possibilità di costituirsi parti civili nel processo alle seguenti  condizioni.
 Le ricordate associazioni non possono costituirsi parte civile al fine  di  chiedere la liquidazione del danno ambientale di natura pubblica (a  sensi  dell'art.18 L.348/1986 ed ora dell'art.DLVO 152/2006), ma possono agire  in  giudizio - in virtù del principio fondamentale in tema di nocumento  ingiusto  risarcibile enucleato dall'art.2043 cc - per il risarcimento dei danni  patiti dal  sodalizio a causa del degrado ambientale.
 Occorre, inoltre, rilevare che non possono costituirsi parte civili le  associazioni portatrici di interessi meramente diffusi - comuni a più  persone e  non passibili di appropriazione individuale - che non sono suscettibili  di  tutela giurisdizionale; al fine che rileva, necessità che le  associazioni siano  esponenziali di interessi ambientali concretamente individualizzati,  cioè, di  interessi collettivi legittimi (ex plurimis Sezione terza  sentenza 33887/2006).
 Pertanto, non sono  legittimati a costituirsi parte civile gli enti e le  associazioni quando l'interesse perseguito sia quello genericamente  inteso  all'ambiente o, comunque, un interesse che, per essere caratterizzato da  un mero  collegamento con quello pubblico, resta diffuso e, come tale, non  proprio del  sodalizio e non risarcibile.
 Quando, invece, l'interesse allo ambiente non rimane una categoria  astratta, ma  si concretizza in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il  proprio  scopo, esso cessa di essere comune alla generalità dei consociati. In  questo  caso, le associazioni sono centri di tutela e di imputazione  dell'interesse  collettivo all'ambiente che, in tale modo, cessa di essere diffuso e  diviene  soggettivizzato e personificato.
 Poiché una associazione possa essere considerata esponenziale di un  interesse  della collettività, in cui si trova il bene oggetto di protezione,  necessita che  abbia come fine essenziale statutario la tutela dello ambiente, sia  radicata  nel territorio anche attraverso sedi sociali, sia rappresentativa di un  gruppo  significativo di consociali, abbia dato prova di continuità del suo  contributo a  difesa del territorio.
 A tali condizioni, le associazioni ecologistiche sono legittimate in via   autonoma e principale alla azione di risarcimento per il danno  ambientale con  diritto al ristoro del nocumento commisurato alla lesione degli  interesse  collettivi rappresentati.
 Dal testo della sentenza di primo grado, emerge che il Circolo  Legambiente e WWF  Italia avevano i requisiti su richiesti per cui la loro costituzione di  parti  civile è legittima.
 Questi Enti hanno subito, quanto meno, una potenziale lesione di natura  non  patrimoniale attinente alla personalità del sodalizio per il discredito  derivante dal mancato raggiungimento dei fini istituzionali. In  relazione alla  parte civile ASM (per la quale non sono di attualità le problematiche  trattate)  si rileva come l'azienda abbia prospettato, ed in parte provato,  l'esistenza di  danni materiali dovuti ai maggiori costi subiti per lo smaltimento dei  rifiuti  in discariche alternative cui ha dovuto fare ricorso a causa delle  inadempienze  della ditta del l'imputato.
 Il ricorrente ha lamentato che i Giudici di merito, nella condanna  generica al  risarcimento dei danni e nella quantificazione della provvisionale, non  hanno  considerato la transazione intervenuta con la ASM. Ma la parte civile ha   sostenuto - senza essere smentita sul punto - che la transazione era  subordinata  ad una condizione risolutiva che si è verificata. Il problema, peraltro,  può  essere affrontato dal Giudice civile davanti al quale le parti sono  state  rinviate per la liquidazione definitiva del danno.
 In merito alla quantificazione della provvisionale, si osserva come il  relativo  provvedimento non sia impugnabile in Cassazione in quanto, per la sua  natura  insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere superato  dalla  effettiva liquidazione dello integrale risarcimento.
 Le censure sulla configurabilità dei reati non sono meritevoli di  accoglimento.
 La Corte di Appello, nella impugnata sentenza, ha dato atto delle  indagini di  natura tecnica e delle fonti probatorie dalle quali ha tratto il suo  convincimento, ha sorretto la conclusione con motivazione congrua e  completa e,  dopo avere preso in considerazione le deduzioni difensive, e le  correttamente  confutate: la decisione non presenta vizi motivazionali deducibili in  questa  sede.
 In particolare, per la contravvenzione di abbandono dei rifiuti (art.52  c.2 DLvo 22/1997), la Corte territoriale ha ritenuto che non vi fossero  gli estremi  quantitativi e qualitativi e le altre condizioni richieste dalla legge  per  considerare il deposito temporaneo con conseguente deroga alla  disciplina dal DLvo 22/1997: la conclusione, correttamente motivata, ha  come referente i dati  provenienti dallo stesso imputato. Relativamente al reato di violazione  alle  prescrizioni della autorizzazione (art.51 c.4 DLvo 22/1997), i Giudici  hanno  indicato le analisi (ritenute pienamente attendibili ed il cui esito non  è  messo in discussione dal ricorrente) dalle quali risultava come il  compost non  avesse le caratteristi richieste dalla legge e da uno specifico obbligo  contrattuale.
 In riferimento al reato di discarica abusiva (art.51 c.3 DLvo 22/1997),  la  Corte ha avuto cura di indicare gli elementi fattuali dai quali ha  tratto la  conclusione che le aree adiacenti allo impianto fossero diventate  ricettacolo di  rifiuti indifferenziati e di compost fuori specifica; i materiali,  ammassati da  tempo e con caratteri di definitività, non erano destinati al  trattamento ed al  recupero e, pertanto, la conclusione circa la sussistenza di una  discarica  abusiva non merita censure.
 Per superare questa conclusione, il ricorrente ha formulato motivi in  fatto che  esulano dai limiti cognitivi di questa Corte.
 Per quanto concerne la violazione alla disciplina sui rifiuti, la  deduzione  della difesa, secondo la quale l'impianto poteva gestire 270 tonnellate  al  giorno e ricevere rifiuti extraregionali, non ha influenza alcuna sulla  comprovata configurabilità dei reati.
 I rifiuti generavano un percolato che invadeva il suolo e le acque  sotterranee e  questa circostanza ha permesso ai Giudici di merito di affermare la  responsabilità dell'imputato per il reato previsto dall'art.59 c.8 DLvo  152/1999; la tesi del ricorrente circa la natura del liquido e  l'occasionalità dello  scarico non trova conforto nel testo della sentenza impugnata.
 Con riguardo alla contravvenzione prevista dall'art.24 c.4 DPR 203/1988,  la  Corte ha rilevato come l'autorizzazione prevedesse che i processi (ad  eccezione  della fermentazione) fossero effettuati al coperto e che le emissioni  fossero  convogliate, prima dello scarico in atmosfera, in un impianto di  abbattimento;  tali prescrizioni non erano rispettate per cui la gestione avveniva in  modo  difforme da quanto previsto dal progetto approvato dalla Provincia.
 Essendo stata contestata la fattispecie di inosservanza alle ricordate  prescrizioni e non il superamento dei limiti di emissione, la  prospettazione  difensiva sul tema non è conferente.
 Infine, la gestione dell'impianto in generale e dei rifiuti in  particolare senza  il rispetto della normativa di settore ha avuto come ricaduta la  diffusione di  odori che procuravano molestie ai vicini (con conseguente configurabilità della fattispecie di reato prevista  dall'art.674 cp); la circostanza è dimostrata non da soggettive  percezioni, ma dagli  accertamenti tecnici e dalle analisi effettuate.
 La residua deduzione, sulla violazione del ne bis in idem, è già  stata  sottoposta al vaglio dei Giudici di merito e disattesa sotto il profilo che la precedente sentenza n°117/2005 del Tribunale di Trani riguardava  fatti  diversi (per l'epoca dei commessi reati) da quelli per cui si procede;  nulla  ha rilevato il ricorrente per contrastare questa conclusione.
 PQM
 La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati  estinti  per prescrizione; conferma le statuizioni civili; condanna i ricorrenti  alla  rifusione delle spese delle parti civili di questo grado di giudizio  liquidate  in complessivi euro duemilacinquecento per l'ASM di Molfetta, euro  duemila per  WWF, euro 2000 per Legambiente, euro mille ciascuno per le restanti  parti civili  oltre gli accessori di legge.
 Roma 11 febbraio 2010
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 16 APR. 2010
 
                    




