Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2986, del 16 giugno 2015
Rifiuti.Piano di governo del territorio (PGT) comunale, divieto di spandimento dei fanghi entro i 500 mt. dai centri abitati

Il potere di disciplina attribuito al Comune in sede di pianificazione urbanistica del territorio non è più limitato al solo isolato aspetto della trasformazione fisica dello stesso, ma può più in generale riferirsi anche alla regolamentazione delle attività su di esso esercitabili, tenendo conto della loro sostenibilità anche sotto il profilo ambientale, paesaggistico ed ecologico. Si è in tal modo di fronte ad un potere che è pur sempre di pianificazione urbanistica, in quanto inerente l’attività di “zonizzazione” ( cioè della individuazione delle destinazioni consentite sul territorio comunale), ma dai contenuti più ampi, in quanto connotato, nell’esercizio della relativa discrezionalità, dalla possibilità di considerare interessi che non attengono esclusivamente al territorio quale fatto fisico ma altresì ad ulteriori interessi pubblici, concorrenti ed interferenti, quali quelli della tutela e della sostenibilità paesaggistica ed ambientale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02986/2015REG.PROV.COLL.

N. 08442/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8442 del 2012, proposto da: 
Comune di Gambolo', rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Adavastro, Paolo Re, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2; 

contro

Evergreen Italia Srl, Provincia di Pavia, Arpa; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 01006/2012, resa tra le parti, concernente approvazione del nuovo piano di governo del territorio (pgt)

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2015 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Luigi D'Ambrosio su delega dell'avvocato Francesco Adavastro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con sentenza n. 1006 del 9 febbraio 2012 il TAR per la Lombardia, sezione II, accoglieva il ricorso proposto da Evergreen Italia srl avverso la deliberazione di Consiglio comunale n. 27 del 2 maggio 2011, di approvazione del nuovo “Piano di governo del territorio (PGT)” e, nello specifico, l’articolo 69 del Piano delle Regole e la tavola PR-11 allegata.

In particolare, l’annullamento della deliberazione impugnata veniva disposto “limitatamente alla parte in cui (art. 69 Piano delle Regole e relativa tavola PR-11) pone il divieto di spandimento dei fanghi entro i 500 mt. dai centri abitati”.

La predetta pronunzia giurisdizionale esponeva in fatto che la società Evergreen Italia s.r.l. si doleva di una indebita ingerenza commessa da parte del Comune di Gambolò , mediante l’esercizio del potere di pianificazione urbanistica, delle sfere di rispettiva competenza regionale e provinciale in materia di disciplina dello spandimento al suolo dei fanghi biologici. Tale ingerenza si era verificata in quanto l’ente locale, all’articolo 69 del Piano delle Regole, aveva stabilito il divieto di spandimento dei suddetti fanghi entro la fascia di 500 mt. dai nuclei abitati ( divieto rappresentato in cartografia dalla Tavola PR 11).

Il Tribunale amministrativo, ritenendo fondate le censure proposte da parte ricorrente, evidenziava che era da escludersi ogni competenza comunale in tema di utilizzazione dei fanghi in agricoltura, non potendo tale materia in alcun modo essere ricompresa nella nozione di “governo del territorio”.

Dovendosi ricondurre la regolamentazione dello spandimento dei fanghi alla disciplina dei rifiuti, evidenziava che il legislatore statale era intervenuto con il d.lgs. n. 99/1992, ponendo livelli minimi di tutela ed attribuendo alle Regioni la competenza sia per il rilascio delle autorizzazioni per la gestione dei fanghi sia per stabilire, fra l’altro, le distanze di rispetto per l’applicazione dai centri abitati , dagli insediamenti sparsi, dalle strade, dai pozzi.

Chiariva che la Regione Lombardia era intervenuta con la deliberazione di G.R. 30-12-2003 n. 7/15944, delegando alla Provincia le relative competenze e, nel contempo, fissando una distanza di rispetto per lo spandimento rispetto ai centri abitati di 100 mt. ( in luogo dei 500 prescritti dal Comune).

Concludeva, pertanto, nel senso che doveva considerarsi sottratta ai Comuni ogni potestà regolamentare in materia di fanghi biologici, essendo la stessa attribuita dal legislatore statale alla competenza regolamentare regionale e restando riservata agli stessi comuni solo la potestà di sanzionare la violazione delle disposizioni regolamentari preventivamente stabilite dalla Regione, ove queste si sostanziassero in violazione della normativa regolamentare in materia di igiene.

Il giudice di prime cure, nella considerazione della estraneità della disciplina dei rifiuti alla materia del governo del territorio, accoglieva anche il motivo di ricorso con il quale era stato dedotto l’eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, in quanto il Comune avrebbe utilizzato il P.G.T. per dettare prescrizioni in materia di operazioni di spandimento dei fanghi in luogo di perseguire l’ordinato assetto del territorio.

Avverso la richiamata sentenza n. 1006/2012 proponeva appello il Comune di Gambolò, chiedendo l’annullamento della pronuncia del giudice di primo grado , così confermando la legittimità degli atti impugnati con il ricorso della Evergreen s.r.l.

Denunziava, in particolare, con due articolati motivi, che:

1) “ Ha errato il giudice di prime cure a statuire, in entrambi i capi della sentenza, la non sussumibilità, nell’ambito dei poteri di pianificazione generale territoriale, di quello di disciplina dell’uso agronomico dei fanghi di depurazione e, pertanto, dell’utilizzo dei rifiuti sui terreni agricoli; Erroneità per erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., degli artt. 4, 10, 55 e ss. della legge regionale Lombardia n. 12/2005”;

2) “Ha in ogni caso errato il giudice di prime cure ad annullare la delibera di approvazione del PGT di Gambolò e lo strumento pianificatorio con specifico riferimento all’art. 69 N.T.A. , ravvisando nei medesimi, nel capo I della sentenza, l’esercizio da parte del Comune di potestà regolamentare in materia di fanghi biologici. Erroneità per: travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e conseguente errata applicazione dell’art. 1.9 allegato A dell’allegato II della deliberazione di G.R. 30-12-2003 , n. 7/15944, nonché dell’art. 13, comma 5, della legge regionale Lombardia n. 12/2005.

Non si costituivano in giudizio i soggetti intimati.

Il Comune produceva memoria conclusionale.

La causa veniva discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 5 maggio 2015.

DIRITTO

La Sezione ritiene preliminarmente di evidenziare come la ricostruzione in fatto , come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non sia stata contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art.64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.

Con il primo motivo di appello il Comune di Gambolò censura la sentenza impugnata rilevando in primo luogo che con la disposizione pianificatoria annullata esso non ha inibito l’esercizio dell’attività di spandimento dei fanghi ma “ne ha solo coerentemente regolamentato l’impatto sul territorio, consentendola in aree urbanistiche che con essa, per le ricadute ambientali che questa provoca, non siano compatibili; in ciò, dunque, esercitando poteri discretivi propri di localizzazione di dette attività in aree meglio vocate al loro svolgimento”; in tal modo ne è derivata l’assentibilità su ampia parte del territorio comunale e , per converso, l’impedimento delle medesime nelle sole limitatissime zone individuate dalla tavola PR 11, inibite allo spandimento dei fanghi in quanto eccessivamente vicine all’abitato.

Il potere in concreto esercitato dall’ente locale sarebbe coerente con l’ampia nozione di “governo del territorio”, così come contenuta nell’articolo 117 della Costituzione ed interpretata dalla Corte Costituzionale. Esso troverebbe, poi, fondamento positivo nelle disposizioni della legge regionale Lombardia n. 12/2005, le quali condurrebbero alla conclusione che il Comune può stabilire, oltre a quelli edificatori massimi, anche altri tipi di limiti nel rispetto dell’ordinamento e dei principi generali dell’azione amministrativa.

Nella specie, poi, il potere pianificatorio sarebbe stato esercitato entro i limiti propri della discrezionalità, evidenziando che l’ambito applicativo della norma è stato modulato rispetto alla vocazione del territorio ed alla capacità delle macro aree territoriali contigue agli abitati di accogliere l’attività imprenditoriale di cui trattasi, derivandone che comunque bel oltre i 2/3 della superficie agricola del territorio comunale sono utilizzabili per lo spandimento dei fanghi.

Con il secondo motivo, di poi, il Comune di Gambolò censura la sentenza del TAR nella parte in cui ha rilevato il contrasto degli atti impugnati con le disposizioni della delibera di G.R. n. 7/15944, avendo quest’ultima “fissato (allegato A dell’allegato 2 punto 1.9) una distanza di rispetto per lo spandimento rispetto ai centri abitati di 100 mt.( in luogo dei contestati mt. 500 qui prescritti dal Comune di Gambolò)”.

Evidenzia, invero, che la richiamata deliberazione pone il “divieto di utilizzare rifiuti sui terreni: …-situati in prossimità dei centri abitati …per una fascia di almeno 100 mt.”.

L’utilizzo dell’inciso “almeno” evidenzierebbe che la prescrizione posta dal Piano delle Regole è coerente con le disposizioni regionali , in quanto “adottata nel pieno rispetto della disciplina sostanziale tracciata genericamente dalla Regione Lombardia nella delibera di delega di funzioni alle Provincie”; il divieto di 500 mt. risulterebbe rispettoso di quello di “almeno 100mt.” previsto in delibera regionale.

Rileva, infine, che non può affermarsi che nella specie vi sia stato esercizio di poteri regolamentari al Comune non attribuiti, evidenziando che il Piano è stato adottato, ai sensi dell’art. 13, comma 5, della legge regionale n. 12/2005, in concorso (previo parere vincolante, nella specie favorevole ) con la Provincia, soggetto titolare delle funzioni amministrative in materia di spandimento dei fanghi.

Ciò premesso, ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e meriti accoglimento.

E tanto per le considerazioni che di seguito si espongono.

L’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui “la disciplina dello spandimento dei fanghi sia da ricondurre alla disciplina dei rifiuti “ è certamente condivisibile, sia pure con alcune precisazioni.

L’articolo 127 del decreto legislativo n. 152/2006 prevede che “ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione”, specificando altresì che gli stessi “devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato”.

Il successivo articolo 183, inserito nella parte IV del predetto testo normativo, al titolo I ( Gestione dei rifiuti) , specifica che la “gestione” comprende le attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, definendo il “recupero” come “qualsiasi operazione il cui principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione o di prepararli a svolgere tale funzione, all’interno dell’impianto o nell’economia in generale”.

Orbene, lo spandimento dei fanghi rientra in tale operazione di recupero, sub specie di utilizzazione finale del prodotto “recuperato”, considerandosi che l’articolo 3 del richiamato decreto legislativo n. 99/1992 ammette “l’utilizzazione in agricoltura dei fanghi , tra l’altro, quando siano stati sottoposti a trattamento e sono idonei a produrre un effetto concimante e/o ammendante e correttivo del terreno”.

Ritiene, peraltro, la Sezione di sottolineare la peculiarità del fango oggetto di spandimento nell’ambito della disciplina dei rifiuti, atteso che, pur nella generale previsione normativa di sottoposizione alla disciplina dei rifiuti contenuta nel richiamato art. 127 del d.lgs. n.152/2006, a mente del successivo articolo 184 ter ( cessazione della qualifica di rifiuto), “un rifiuto cessa di essere tale , quando è sottoposto a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici , da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana”.

Venendo ora alla specifica disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 99 del 27 gennaio 1992 (fatta salva dal richiamato articolo 127 del d.lgs. n. 152/2006), va certamente evidenziato che , a mente dell’articolo 6, spetta alla Regione il rilascio delle “autorizzazioni per le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento, come definito dall’art. 12, ed utilizzazione dei fanghi in agricoltura “, come pure la fissazione di “ulteriori limiti e condizioni di utilizzazione in agricoltura per i diversi tipi di fanghi in relazione alle caratteristiche dei suoli” e delle “distanze di rispetto per l’applicazione dei fanghi dai centri abitati…”.

Peraltro, il suddetto potere di disciplina e regolamentazione è giustificato ed è funzionale al perseguimento dell’interesse pubblico specifico oggetto della richiamata normativa, che è quello di tutela dell’ambiente.

Invero, il citato decreto legislativo è rubricato “Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura” e l’articolo 1 (“Finalità”) chiarisce espressamente che “il presente decreto ha lo scopo di disciplinare l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo, incoraggiandone nel contempo la corretta utilizzazione”.

Orbene, non può il Collegio esimersi dal rilevare che la richiamata finalità di tutela ambientale connota la portata della disciplina normativa introdotta.

Ciò vuol dire in primo luogo che essa regolamenta l’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura sotto il profilo della tutela dell’ambiente e, dunque, della compatibilità di essa con tale valore.

Significa, altresì, che le competenze in essa delineate individuano soggetti pubblici e poteri esercitabili per tale specifica finalità, non escludendo, pertanto, che l’attività in questione , ove interessi anche ulteriori profili di interesse pubblico, possa essere oggetto di regolamentazione e disciplina da parte di altri soggetti cui è normativamente attribuita competenza in materia.

Ciò posto, la questione da risolvere nel presente giudizio diviene allora quella di stabilire se il Comune possa comunque dettare regole nella specifica materia di cui si discute nell’esercizio del potere amministrativo di disciplina dell’uso del territorio.

La risposta al quesito, è, a giudizio della Sezione, positiva, nei limiti e sulla base delle considerazioni che di seguito si espongono.

Va , in proposito, preliminarmente evidenziato che non appare dirimente, a tal fine, ed in sé considerata, la modifica apportata, in sede di riforma del Titolo V, all’articolo 117 della Costituzione, nel senso di sostituire la materia della “urbanistica” con quella più ampia di “governo del territorio”.

La disposizione, invero, pur se espressiva del recepimento, in sede costituzionale, di una nozione più ampia della materia urbanistica, tradizionalmente intesa come riferita alla mera trasformazione fisica del territorio, si riferisce non ai poteri attribuiti in materia ai Comuni, bensì al riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni.

Il dato normativo di riferimento, pertanto, non può essere l’articolo 117 della Costituzione, ma piuttosto la normativa dettata dalla Regione in materia di pianificazione urbanistica.

La legge regionale della Lombardia n. 12 dell’11-3-2005 , recante norme in materia di governo del territorio, dispone, all’articolo 6, che sono strumenti della pianificazione comunale: a) il piano di governo del territorio; b) i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale.

Il successivo articolo 7 prevede che il piano di governo del territorio “definisce l’assetto dell’intero territorio comunale ed è articolato nei seguenti atti: a) il documento di piano; b) il piano dei servizi; c) il piano delle regole ”.

L’articolo 10, nell’indicare i contenuti del piano delle regole, prevede, alla lettera e) , che esso individua: “ 1) le aree destinate all’agricoltura; b) le aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologiche;…”.

Di poi, con riferimento a tali ambiti, precisa, al comma 4, che “ a) per le aree destinate all’agricoltura: 1) detta la disciplina d’uso, di valorizzazione e di salvaguardia, in conformità con quanto previsto dal titolo terzo della parte seconda;….b) per le aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologiche detta ulteriori regole di salvaguardia e di valorizzazione in attuazione dei criteri di adeguamento e degli obiettivi stabiliti dal piano territoriale regionale, dal piano territoriale paesistico regionale e dal piano territoriale di coordinamento provinciale”.

Dai contenuti della disciplina sopra richiamata emerge in primo luogo che il Comune può dettare, con riferimento alle aree destinate all’agricoltura, una disciplina d’uso, di valorizzazione e di salvaguardia.

Osserva il Collegio che il termine utilizzato è ampio, non limitandosi alla mera trasformazione fisica del territorio.

Tale conclusione non risulta scalfita dall’inciso, contenuto nella disposizione, secondo cui tanto deve avvenire “in conformità di quanto previsto dal titolo terzo della parte seconda”.

Invero, il fatto che detto titolo terzo contenga “norme in materia di edificazione nelle aree destinate all’agricoltura” (e, dunque, regole e limiti in tale specifico ambito) non significa che il potere di disciplina dell’uso , di valorizzazione e di salvaguardia attribuito al Comune debba necessariamente concernere il solo aspetto della edificazione, ma unicamente che, per le parti in cui la disciplina dettata attenga alla edificazione, dovranno comunque essere osservate le regole stabilite dagli artt. 59 e 60 della legge.

Va, inoltre, evidenziato che i contenuti del piano delle regole, per come emerge dal richiamato articolo 10 della legge, rivelano anche l’esistenza del potere comunale di individuare parti del territorio di valore paesaggistico, ambientale ed ecologico e , per esse, di introdurre ulteriori regole di salvaguardia e valorizzazione.

Le disposizioni sopra riportate mostrano, dunque, che il potere di disciplina attribuito al Comune in sede di pianificazione urbanistica del territorio non è più limitato al solo, isolato aspetto della trasformazione fisica dello stesso , ma può più in generale riferirsi anche alla regolamentazione delle attività su di esso esercitabili, tenendo conto della loro sostenibilità anche sotto il profilo ambientale, paesaggistico ed ecologico.

Si è in tal modo di fronte ad un potere che è pur sempre di pianificazione urbanistica, in quanto inerente l’attività di “zonizzazione” ( cioè della individuazione delle destinazioni consentite sul territorio comunale), ma dai contenuti più ampi, in quanto connotato, nell’esercizio della relativa discrezionalità, dalla possibilità di considerare interessi che non attengono esclusivamente al territorio quale fatto fisico ma altresì ad ulteriori interessi pubblici, concorrenti ed interferenti, quali quelli della tutela e della sostenibilità paesaggistica ed ambientale.

Ritiene la Sezione che le considerazioni sopra svolte evidenzino la legittimità dell’azione posta in essere dal Comune appellante nella redazione del Piano delle regole, per la parte oggetto di contestazione in sede giurisdizionale.

Invero, l’ente locale ha individuato, nella tavola PR 11 del Piano, le aree del territorio comunale nelle quali è consentita l’attività di spargimento dei fanghi di depurazione, distinguendo tra suoli non adatti, suoli adatti con moderate limitazioni, suoli misti e stabilendo un divieto di spandimento per una fascia di 500 metri dai centri abitati.

Ha, quindi, stabilito nell’articolo 69 del medesimo Piano che “ E’ ammessa l’attività di spargimento di fanghi e reflui secondo i limiti indicati nella tavola PR 11- Piano delle Regole-Spargimento dei reflui e dei fanghi rispettando le disposizioni regolamentari igienico-sanitarie in vigore”.

In tal modo il Comune di Gambolò non ha fatto altro che “zonizzare” il territorio comunale con riferimento a tale specifica attività, individuando, all’esito di una considerazione globale della realtà territoriale di cui è ente esponenziale, delle sue caratteristiche, delle tipologie di insediamento ivi esistenti ( tanto con particolare riferimento alla prescrizione di una distanza dai centri abitati) e dei concorrenti profili di interesse ambientale , le parti di esso in cui ne ha ritenuto possibile lo svolgimento.

Né rileva, a giudizio della Sezione, la circostanza che il suo esercizio non comporti trasformazione fisica del territorio, atteso che, per quanto sopra detto, la legge regionale attribuisce comunque il potere di dettare una disciplina d’uso, di valorizzazione e di salvaguardia delle aree destinate all’agricoltura, nonché di emanare regole di salvaguardia a tutela di aree di valore paesaggistico-ambientale ed ecologico.

Va, poi, considerata, in senso decisivo, la peculiarità della attività della quale si discute, ai fini di ritenere sussistente un potere comunale di individuazione delle relative aree di allocazione.

Sarebbe, invero, semplicistico affermare che lo spandimento dei fanghi si riduca ad una mera attività di concimazione del terreno, che, come tale, non è uso agricolo del suolo e, quindi, non ha alcuna attinenza con l’esercizio della potestà pianificatoria in materia urbanistica.

Vi è, invece, che esso costituisce il momento finale di un complesso procedimento di trattamento e di gestione di rifiuti.

Come si è sopra detto, ai sensi dell’articolo 127 del d.lgs. n. 152/2006, i fanghi sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti ed essi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato.

Dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 99/1992 è possibile ricavare i contenuti di tale complesso processo, laddove, nel disciplinare il potere autorizzativo delle Regioni, prevede che queste “rilasciano le autorizzazioni per le attività di raccolta, trasporto, stoccaggio, condizionamento… ed utilizzazione dei fanghi in agricoltura”.

Trattasi, dunque, di un processo che, se pur articolato in varie fasi, presenta la connotazione di una attività unitaria di trattamento del rifiuto, diretta alla trasformazione dello stesso attraverso il “recupero” ovvero il “condizionamento” per consentirne, all’esito, una utilizzazione finale.

La natura dell’attività e l’oggetto della stessa – tra l’altro, ordinariamente svolta in forma imprenditoriale e con finalità economico-lucrative – rendono palese che il Comune possa, nella regolamentazione degli usi del territorio, stabilire le zone in cui essa è consentita e dove, invece, è vietata.

Si è di fronte, come sopra detto, all’ordinario potere urbanistico di “zonizzazione”, esercitabile, per le richiamate peculiarità , anche con riferimento alla sola fase finale dell’attività ( nella specie, lo spandimento), ove svolta nell’ambito territoriale di competenza.

Né può dirsi che vi sia, in tale disciplina, invasione di una sfera riservata alla competenza regolamentare regionale, operando gli enti in ambiti e nell’esercizio di poteri diversi.

Il Comune , infatti, determina , in via generale e nell’esercizio del potere urbanistico di disciplina dell’uso del territorio, le parti di questo in cui ritiene che essa possa essere svolta.

La Regione ( ovvero l’ente delegato) regola, invece, la materia della utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura con specifico ed esclusivo riferimento alla protezione dell’ambiente, in modo da evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull’uomo ( v. art. 1 del d.lgs. n. 99/1992). A tale fine vi è specificazione di limiti, possibilità di verifica e regolamentazione, con riferimento alle caratteristiche , alla composizione del materiale oggetto di spandimento ed ai concreti caratteri degli specifici terreni destinati ad accoglierli.

Da tanto risulta ben evidente che il Comune, con gli atti oggetto di contestazione, non ha inteso “regolamentare” la materia nei sensi stabiliti dal citato d.lgs. n. 99/1992, ma unicamente individuato, in termini generali e pianificatori, le aree del territorio comunale in cui ne è possibile l’esercizio, così limitandosi alla mera “allocazione” dell’attività.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni deve, di conseguenza, essere valutata la prescrizione di divieto di spandimento dei fanghi entro i 500 mt. dai centri abitati, sostanziandosi essa nella individuazione di aree del territorio in cui il Comune ritiene che l’attività non possa essere svolta.

La prescrizione “allocativa” ( in termini di divieto) risulta, di poi, non illogica né irragionevole ( e, come tale , legittima), ove si considerino l’oggetto dell’attività di spandimento (trattasi di fanghi di depurazione, dunque di un oggetto “sensibile” in quanto prodotto da rifiuti e comunque sottoposto a specifiche limitazioni d’uso in relazione alle sostanze in esso presenti) e le caratteristiche del territorio comunale costituenti parametro di riferimento della distanza imposta (centri abitati, dove più massiccia è la presenza dell’uomo).

Né può affermarsi contrasto con le previsioni della citata delibera di G.R. n. 7/ 15944.

Come si è sopra visto, trattasi di limitazioni poste nell’esercizio di poteri diversi, rilevandosi pure che la prescrizione del P.G.T. oggetto di impugnativa rispetta comunque il limite minimo ( almeno 100 mt. ) previsto dalla richiamata delibera regionale.

La potestà di regolamentazione dell’uso del territorio appare, infine, correttamente esercitata anche sotto ulteriore profilo, considerandosi che l’attività di spandimento dei fanghi non risulta inibita né in toto né in maniera sproporzionata, avendo il Comune appellante chiarito che essa resta comunque consentita su di una superficie del territorio comunale pari a circa il 70%.

In conclusione, dunque, l’appello è fondato e va accolto, dovendosi, di conseguenza, in riforma della sentenza appellata, rigettarsi il ricorso proposto da Evergreen in primo grado.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza, riportati nei motivi di appello e sopra richiamati, non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

La peculiarità della controversia e delle questioni affrontate giustificano la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

accoglie l 'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo Regionale per la Lombardia, sez. II, n. 1006/2012, respinge il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Raffaele Potenza, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)