TAR Toscana Sez. II sent. 187 del 5 febbraio 2010
Rifiuti. Potestà di accertamento

Gli accertamenti che la P.A. è tenuta a svolgere nell'esercizio dei poteri di controllo ed ispettivi su materie affidate ai propri poteri istituzionali, tranne casi in cui vi sia espressa previsione normativa, non richiedono il rispetto del contraddittorio con la parte privata interessata. D’altro canto, la validità probatoria degli accertamenti ispettivi nella fase istruttoria, può prescindere dal contraddittorio con la controparte e, in quanto consacrati in un processo verbale di constatazione (che è atto pubblico facente fede fino a querela di falso), assume validità sul piano della veridicità per quanto concerne le dichiarazioni in esso riportate.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N. 00187/2010 REG.SEN.
N. 01623/2007 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana

(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1623 del 2007, proposto da:
GREEN PLANET s.r.l. con sede in Arezzo, in persona dell’amministratore unico p.t., rappresentata e difesa dall’avv.ti Riccardo Gilardoni e Nicoletta Gagliano ed elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda, in Firenze, via I. Nievo n. 13,

contro

Provincia di Arezzo, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Marco Manneschi, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli n. 40;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

del provvedimento a firma del Dirigente del Servizio Ecologia della Provincia di Arezzo n. 7/EC del 21.06.2007, comunicato alla ricorrente con nota prot. n. 39965/41.AL.01.13 datata 22.06.2007, nella parte in dispone la sospensione delle ricezione, nell’impianto gestito dalla ricorrente medesima, in Loc. San Zeno di Arezzo, di rifiuti , ad eccezione di quelli lignei, fino all’intervenuta regolarizzazione dell’attività produttiva, nonché dell’approvazione, da parte della Provincia e dell’ARPAT, di adeguati e completi manuali d’uso e manutenzione dell’impianto, nonché per la produzione di compost, da prodursi, da parte della Soc. ricorrente, nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento;

nonché per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patito dalla ricorrente in conseguente del provvedimento impugnato;


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Arezzo;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2009 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Con autorizzazione rilasciata il 10 marzo 2005 dalla Provincia di Arezzo la società ricorrente è stata autorizzata a gestire un impianto per il compostaggio di rifiuti speciali non pericolosi, nella località San Zeno, in prossimità dell’impianto di smaltimento condotto dall’AISA, società a controllo pubblico affidataria del relativo servizio.

Con successivo provvedimento dirigenziale del 23 aprile 2007 l’impianto era stato autorizzato ad operare con un carico limite di 1.500 tonnellate di materiale da rifiuto sino al successivo 14 luglio e dal 30 settembre 2007 fino a 3.000 tonnellate.

A seguito di un controllo eseguito dall’ARPAT il 18 maggio 2007 nel corso del quale sarebbero state rilevate gravi irregolarità gestionali, avuto in particolare riguardo alla produzione di odori ammoniacali e di compostaggio interessanti l’ambiente circostante.

Sulla base di tale atto istruttorio l’Amministrazione provinciale ha emesso l’ordinanza in epigrafe con cui la società ricorrente è stata diffidata a sospendere la ricezione di rifiuti, ad eccezione di quelli lignei, fino all’intervenuta regolarizzazione dell’attività produttiva, nonché dell’approvazione, da parte della Provincia e dell’ARPAT, di adeguati e completi manuali d’uso e manutenzione dell’impianto, da predisporsi nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento.

Contro tale atto ricorre la società in intestazione chiedendone l’annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

- Violazione di legge con riferimento all’art. 208 del d.lgs. n. 152/2006 e al d.m. 26 febbraio 2004, all. n. 15. Violazione dell’art. 18 del DPGR N. 14/R del 25 febbraio 2004, all. n. 14. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Con ordinanza n. 973 depositata il 31 ottobre 2007 veniva respinta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 15 dicembre 2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.


DIRITTO


Con il ricorso in esame viene impugnato l’atto in epigrafe con cui la Provincia di Arezzo ha diffidato la società ricorrente a sospendere la ricezione di rifiuti, ad eccezione di quelli lignei, fino all’intervenuta regolarizzazione dell’attività produttiva, nonché dell’approvazione, da parte della Provincia e dell’ARPAT, di adeguati e completi manuali d’uso e manutenzione dell’impianto, da predisporsi nel termine di trenta giorni dalla notifica del provvedimento.

Viene altresì domandato l'accertamento della responsabilità della Provincia, con le correlative statuizione di condanna, per la lesione arrecata alla ricorrente per effetto della mancata ammissione di materiali/rifiuti e la conseguente difficoltà di gestione dei rapporti con la clientela dalla quale sono derivati minori introiti e quindi un danno che viene complessivamente quantificato in € 150.000,00.

Preliminarmente va esaminata l'eccezione di inammissibilità o improcedibilità per carenza di interesse prospettata dalla difesa dell'amministrazione intimata in relazione all'asserita acquiescenza prestata dalla ricorrente alla determinazione impugnata mediante l'esecuzione delle attività richieste, alla quale è conseguita la revoca dello stesso provvedimento.

L'eccezione non può essere condivisa.

E’ noto che la declaratoria dell'improcedibilità del ricorso presuppone una sopravvenienza, in fatto o in diritto, del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del gravame, tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della decisione e la concreta individuazione di tali ipotesi deve essere ancorata a criteri restrittivi, tenuto conto che non deve tradursi in una sostanziale elusione dell'obbligo del giudice di pronunciarsi sulla domanda anche ai fini conformativi dell’ulteriore esercizio del potere amministrativo (cfr. Cons. Stato sez. IV, 28 aprile 2006, n. 2411; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 15 marzo 2007, n. 2218).

Nel caso di specie è evidente che, a prescindere dai rilevanti profili risarcitori introdotti nel giudizio unitamente alla domanda di annullamento, non può considerarsi acquiescente il comportamento della ricorrente che ha inteso ottemperare ai contenuti della diffida operata dall'amministrazione al fine di evitare la revoca dell'autorizzazione alla gestione dell'impianto.

Nel merito il ricorso non è suscettibile di accoglimento.

E’ in primo luogo infondata la tesi della ricorrente secondo la quale non vi sarebbero i presupposti normativi e fattuali per il provvedimento di sospensione.

L’art. 208 del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 stabilisce che “I soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell'impianto e la documentazione tecnica prevista per la realizzazione del progetto stesso dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica”.

L'autorizzazione individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene, tra l’altro, l’indicazione del tipo e dei quantitativi di rifiuti da smaltire o da recuperare; i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ed alla conformità dell'impianto al progetto approvato; le precauzioni da prendere in materia di sicurezza ed igiene ambientale; il metodo di trattamento e di recupero.

Il comma 13 dello stesso articolo (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 2, comma 29 ter, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4) dispone che “Quando, a seguito di controlli successivi all'avviamento degli impianti, questi non risultino conformi all'autorizzazione di cui al presente articolo, ovvero non siano soddisfatte le condizioni e le prescrizioni contenute nella stessa autorizzazione, quest'ultima è sospesa, previa diffida, per un periodo massimo di dodici mesi. Decorso tale termine senza che il titolare abbia adempiuto a quanto disposto nell'atto di diffida, l'autorizzazione è revocata”.

E’ evidente, quindi, che a fronte degli accertamenti eseguiti dall’ARPAT (di cui meglio si dirà di seguito) l’Amministrazione era del tutto legittimata, sotto il profilo normativo, ad imporre la sospensione dell’attività dell’impianto.

Sostiene poi la ricorrente, sotto il profilo procedurale, l’irritualità, nei due sopralluoghi eseguiti il 18 e 21 maggio 2007, della condotta tenuta dai tecnici dell’ARPAT i quali hanno proceduto ad accertare e verbalizzare situazioni ritenute irregolari senza richiedere la presenza di un rappresentante della Green Planet, con ciò violando il principio del contraddittorio.

Mette conto rilevare che gli accertamenti che la P.A. è tenuta a svolgere nell'esercizio dei poteri di controllo ed ispettivi su materie affidate ai propri poteri istituzionali, tranne casi in cui vi sia espressa previsione normativa, non richiedono il rispetto del contraddittorio con la parte privata interessata (T.A.R. Lazio, sez. III, 10 febbraio 1988, n. 178).

D’altro canto, la validità probatoria degli accertamenti ispettivi nella fase istruttoria, può prescindere dal contraddittorio con la controparte e, in quanto consacrati in un processo verbale di constatazione (che è atto pubblico facente fede fino a querela di falso), assume validità sul piano della veridicità per quanto concerne le dichiarazioni in esso riportate.

Ad ogni buon conto, sul piano della ricostruzione dei fatti, occorre rilevare che successivamente agli accertamenti di cui sopra, nei giorni 31 maggio e giugno 2007 i tecnici dell'ARPAT hanno redatto ulteriori, distinti verbali di ispezione e prelievo di campioni all'interno e all'esterno dello stabilimento, questa volta in contraddittorio con il signor Gianni Bulgarelli che ha sottoscritto gli atti nella qualità di “consulente della parte”.

Quanto agli aspetti sostanziali della vicenda che la ricorrente contesta asserendo di non aver violato i limiti imposti normativamente in relazione alle emissioni nocive ovvero sgradevoli, va ricordato che l'autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Arezzo stabiliva che "l'impianto dovrà essere condotto…e l'attività dovrà essere svolta adottando tutte quelle misure necessarie per evitare l'insorgenza di problemi igienico-sanitari e/o ambientali…e devono essere evitati odori, rumori o altre emissioni moleste”.

Le verifiche effettuate dall'ARPAT hanno dimostrato, per contro, la presenza di marcati odori diffusi nell'ambiente circostante e certamente provocati dal compost che non presentava caratteristiche di idoneità, nonché dalle modalità di svolgimento dello stesso processo di compostaggio ritenute "fortemente anaerobiche e responsabili anche dell'emissione di cattivi odori".

Non va neppure sottaciuto che, in violazione di prescrizioni impartite all’esito di precedenti accertamenti, gli ispettori hanno constatato la parziale apertura delle porte dell’impianto e di tre finestre.

Da ultimo occorre rilevare (ed il punto appare decisivo) che, al di là delle sensazioni soggettive, pur sempre opinabili, in ordine alla percezione degli odori sgradevoli emessi dall’impianto in questione, i tecnici ARPAT, come risulta dal verbale redatto il 31 maggio 2007, hanno constatato che, all’interno dello stabilimento, erano rilevabili in atmosfera oltre 60 pp/m di ammoniaca, valore che esorbita quello fissato dall’all. 1 al decreto del Ministero del lavoro delle politiche sociali 26 febbraio 2004 che stabilisce i “valori limite indicativi di esposizione professionale agli agenti chimici” in esecuzione di quanto disposto dal d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626.

Dal che appare del tutto logico inferire che anche le emissioni che si propagavano all’esterno dell’impianto esorbitavano il limite della tollerabilità in relazione alle caratteristiche dell’attività svolta.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per quanto attiene alla domanda di risarcimento del danno proposta in dipendenza di quella di accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione 2^, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in € 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2009 con l'intervento dei Magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere, Estensore

Ivo Correale, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/02/2010