Consiglio di Stato Sez. VI n. 1002 del 11 febbraio 2022
Urbanistica.Disciplina dei soppalchi

È necessario il permesso di costruire per la realizzazione di soppalco quando quest’ultimo sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico. Si rientra, invece, nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile. Quest’ultima ipotesi si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone. La qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia


Pubblicato il 11/02/2022

N. 01002/2022REG.PROV.COLL.

N. 06245/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6245 del 2015, proposto da
MARIA PIA CASTALDO, rappresentata e difesa dall’avvocato Emilio Paolo Salvia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Cordasco in Roma, via Regina Margherita, n. 46;

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Annalisa Cuomo, Fabio Maria Ferrari, Antonio Andreottola, Andrea Camarda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Nicola Laurenti in Roma, via F. Denza, n. 50/A;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. 6645 del 2014;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2022 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Antonio Cordasco, per delega dell’avvocato Emilio Paolo Salvia, e Massimo Di Nezza, per delega dell’avvocato Annalisa Cuomo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;

Rilevato in fatto che:

- la signora Maria Pia Castaldo ha impugnato il provvedimento del Comune di Napoli n. 151 del 24 gennaio 2006, avente ad oggetto l’ordine di demolizione delle opere abusive realizzate nell’immobile di sua proprietà sito nel Vicoletto Belledonne a Chiaia, n. 6, consistenti nel completamento di un soppalco intermedio di 30 mq, impostato a metri 2,10 dal calpestio e metri 2,00 dal solaio di copertura, completo di scala in muratura di accesso;

- a fondamento della domanda di annullamento, l’istante deduceva svariati motivi incentrati su: natura delle opere interne contestate, non necessitanti di previo titolo edilizio; mancato rispetto delle norme sul giusto procedimento; erroneità dei presupposti, vizio di motivazione e di istruttoria istruttorie; sproporzione della sanzione demolitoria inflitta;

- il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 6645 del 2014, respingeva integralmente il ricorso, con condanna al pagamento delle spese processuali;

- avverso la predetta sentenza ha proposto appello la signora Maria Pia Castaldo, riproponendo nella sostanza i motivi già proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza appellata;

- in particolare, secondo l’appellante, la sentenza di primo grado sarebbe erronea in quanto:

i) non avrebbe considerato le modeste dimensioni del soppalco, riconducibili al regime giuridico delle ‘opere interne’, per le quali il previgente art. 26 della legge n. 47 del 1985 non richiedeva né ‘concessione’ né ‘autorizzazione’ (peraltro, anche dopo l’ingresso della normativa di cui d.P.R. n. 380 del 2001, sarebbe stata sufficiente la sola dichiarazione di inizio attività);

ii) l’amministrazione procedente avrebbe completamente omesso di motivare in ordine al permanere dell’interesse pubblico alla demolizione di un’opera ritenuta abusiva, tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso (nonché tra il verbale di sopralluogo degli agenti di polizia municipale, in data 9 novembre 1999, e l’ordine di riduzione in pristino del 24 gennaio 2006), avendo tale inerzia creato un qualche affidamento nel privato;

iii) l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento non potrebbe giustificarsi facendo generico riferimento al contenuto vincolato che caratterizza gli atti sanzionatori in materia edilizia, in quanto la valutazione e la qualificazione giuridica degli interventi contestati non sarebbe priva di spazi di apprezzamento discrezionale;

- l’appellante ripropone poi le censure rimaste assorbite, e segnatamente:

a) la realizzazione del soppalco interno non si porrebbe in violazione delle prescrizioni di altezza minima degli ambienti abitativi e dei vani accessori, in quanto le disposizioni di cui all’art. 43, comma 2, lettera b), della legge n. 457 del 1978 non troverebbero applicazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente;

b) la realizzazione del soppalco sarebbe ‘opera interna’ non soggetta al previo rilascio di alcun atto abilitativo, bensì alla sola D.I.A. di cui al comma 1 dell’art. 22 del d.P.R. n. 380 del 2001, per la cui violazione è prevista la sola sanzione pecuniaria (lo stesso varrebbe anche per la violazione delle norme di agibilità, disciplinate dall'art. 24 del medesimo d.P.R. n. 380 del 2001);

c) l’assoluta carenza di motivazione in ordine al temine ivi fissato per l'ottemperanza spontanea da parte del destinatario;

- su queste basi, l’appellante insiste nella richiesta di condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni subiti, conseguenti all’illegittimità degli atti impugnati, nonché alla riforma della statuizione sulle spese in considerazione dell’oggettivo stato di incertezza normativa e giurisprudenziale;

- si è costituito in giudizio il Comune di Napoli, insistendo per il rigetto del gravame;

Considerato in diritto che:

- la sentenza di primo grado deve essere confermata;

- l’opera in contestazione è abusiva in quanto realizzata senza il necessario titolo abilitativo;

- la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale, di solito un’abitazione, interponendovi un solaio, va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto;

- secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico;

- si rientrerà invece nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile;

- quest’ultima ipotesi si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 2 marzo 2017, n. 985; sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4166; sez. IV, 8 luglio 2019, n. 4780);

- nel caso di specie, le opere contestate hanno comportato un organismo edilizio nuovo ad uso abitativo, con aumento di superficie e volume utile, come confermato dalla significativa metrature e dalla presenza di un servizio igienico;

- vale anche ricordare che la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 gennaio 2016, n. 19; Sez. VI, 24 luglio 2014, n. 3952; Sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 615);

- anche il richiamato articolo 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, esimeva l’interessato dal richiedere il previo rilascio di titolo edilizio soltanto per le opere interne alle costruzioni che non comportassero «modifiche della sagoma né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari» (anche ai sensi dell’attuale art 10 del d.P.R., costituiscono «interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: […] gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici»);

- è noto che, nel caso in cui il provvedimento impugnato si fondi su una pluralità di ragioni autonome, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze;

- cionondimeno, nel caso di specie (in cui, come si è detto, non può parlarsi di mero recupero del patrimonio edilizio esistente), deve aggiungersi che non sono neppure state rispettate le altezze minime previste per gli ambienti abitativi dall’art. 43, comma 2, della legge n. 457 del 1978: tale disposizione richiede infatti che l’altezza dei locali sottostanti il soppalco non debba essere inferiore a mt. 2,70 per gli ambienti abitativi e a 2,40 per i vani accessori;

- in ragione dell’acclarata abusività dei manufatti rimasti sforniti di titolo abilitativo, l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato ‒ ai sensi dell’art. 31, del d.P.R. n. 380 del 2001 ‒ e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi;

- l’omesso avviso di avvio del procedimento non può dunque comportare l’annullamento dell’ordinanza in quanto il dispositivo dell’ordinanza demolitoria «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990;

- neppure può invocarsi la lesione dell’affidamento in ragione del tempo trascorso;

- secondo la giurisprudenza consolidata, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata;

- se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata;

- in tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria;

- anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse (così la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017);

- da ultimo, va rimarcato che il giudice di primo grado è sempre titolare di un insindacabile potere discrezionale sul capo relativo alle spese di giudizio, con il solo limite che non può mai disporre la condanna alle spese della parte risultata vittoriosa nel giudizio o disporre statuizioni abnormi (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato sez. V, 20 gennaio 2021, n. 623), circostanze che non ricorrono nel caso in esame;

- l’appello va dunque integralmente respinto;

- la liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio segue la soccombenza secondo la regola generale;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6245 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio in favore dell’Amministrazione comunale, che si liquidano in € 3.500,00, oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 febbraio 2022 con l’intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente FF

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere