Consiglio di Stato Sez. VI n. 471 del 13 gennaio 2023
Urbanistica.Magazzino e carico urbanistico

Un magazzino può determinare un differente carico urbanistico se è funzionale all’esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all’esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato


Pubblicato il 13/01/2023

N. 00471/2023REG.PROV.COLL.

N. 10386/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10386 del 2015, proposto da
Ely Szajkowicz, Pier Luigi D'Agata, Emilio Zottis, Reto Florin e Romeo Valle, rappresentati e difesi dall'avvocato Elisabetta Rampelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

- Luciani ai Prefetti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Leonardo Lavitola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- Ristomasvit s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Stefano Tarullo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- Pasquale Luciani, non costituito in giudizio;
- Condominio di via del Boschetto n. 27, Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) n. 06898/2015, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, di Luciani ai Prefetti s.r.l. e di Ristomasvit s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2022 il Consigliere Lorenzo Cordì e udita, per parte appellante, l’avvocato Francesca Felici in sostituzione dell'avvocato Elisabetta Rampelli:

Viste le conclusioni rassegnate delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori Ely Szajkowicz, Pier Luigi D’Agata, Emilio Zottis, Reto Florin e Romeo Valle propongono appello avverso la sentenza n. 6898/2015 con la quale il T.A.R. per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge il ricorso, integrato da motivi aggiunti, da loro proposto per l’annullamento: i) della concessione edilizia in sanatoria n. 362829 del 15.01.2014 rilasciata da Roma Capitale alla Luciani ai Prefetti s.r.l.; ii) dell’autorizzazione all’estensione della superficie di somministrazione formatasi per silenzio assenso serbato dall’Amministrazione sull’istanza prot. n. CA/2014/2213 presentata, in data 18.2.2014, dalla Ristomasvit S.r.l.

2. Gli appellanti sono proprietari di unità abitative ubicate nel condominio di via del Boschetto, n. 27, Roma, in aderenza al quale si trova l’immobile di proprietà della Luciani ai Prefetti s.r.l., composto da un piano terra e da un piano interrato, e utilizzato per attività commerciali. In relazione a tale immobile il Sig. Pasquale Luciani presentava domanda di condono per il mutamento di destinazione d’uso da magazzino a cucina dei vani posti al piano interrato. Nelle more del procedimento di condono la Società Luciani ai Prefetti concedeva l’azienda in gestione alla Società Ristomasvit s.r.l., la quale presentava richiesta di riduzione della superficie per variazione dell’attività di somministrazione da bar a ristorante. Gli odierni appellanti chiedevano di accedere agli atti del relativo procedimento, venendo a conoscenza della concessione in sanatoria n. 362829 del 15.1.2014, rilasciata da Roma Capitale per il cambio di destinazione d’uso dei locali interrati.

2.1. La concessione in sanatoria era impugnata dagli odierni appellanti dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma. A sostegno della domanda di annullamento si deduceva: i) la violazione e falsa applicazione della previsione di cui all’art. 32, comma 35, della L. n. 326/2003, evidenziando come l’abuso condonato fosse stato, in realtà, realizzato dopo il 31.3.2003 e come il Sig. Luciani fosse diventato proprietario dell’immobile dopo tale data; ii) la violazione delle previsioni di cui all’art. 4, commi 3 e 5, della L.r. del Lazio n. 12/2004 e l’eccesso di potere per manifesta illogicità, evidenziando come Roma Capitale avesse consentito una illegittima integrazione della domanda; iii) la violazione della previsione di cui all’art. 27, comma 4, lettera c), della delibera del Consiglio comunale n. 18/2008 recante le N.T.A. del P.R.G. di Roma Capitale, che prevede la destinazione d’uso commerciale solo per i locali al piano terreno e mezzanino di fronte strada.

2.2. Con successivo ricorso per motivi aggiunti gli odierni appellanti articolavano un primo motivo di ricorso avverso il provvedimento impugnato con il ricorso principale deducendo l’illegittimo ritardo con il quale l’Amministrazione aveva provveduto al rilascio del provvedimento di condono. Impugnavano, inoltre, il silenzio formatosi sull’istanza di ampliamento della superficie di somministrazione di alimenti e bevande (presentata dalla Ristomasvit s.r.l. in data 18.2.2004) per: i) violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui all’art. 11, commi 9 e 10, della L.r. n. 21/2006; ii) violazione dell’art. 5 del Regolamento regionale n. 1/2009; iii) violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui agli articoli 16 e 17 della delibera del Consiglio comunale n. 35 del 2010; iv) invalidità derivata per illegittimità della concessione in sanatoria del 15.1.2014.

2.3. Si costituivano nel giudizio di primo grado Roma Capitale, Luciani ai Prefetti s.r.l. e Ristomasvit s.r.l. deducendo l’infondatezza del ricorso, come integrato da motivi aggiunti. Ristomasvit s.r.l. eccepiva, inoltre, l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti in quanto non notificato ai procuratori costituiti delle parti.

3. Nel corso del giudizio di primo grado il T.A.R. per il Lazio – sede di Roma emanava l’ordinanza collegiale n. 5786/2014 con cui ordinava a Roma Capitale, “ai fini della completezza della documentazione istruttoria”, di fornire “documentati chiarimenti circa i procedimenti oggetto del […] ricorso e dei motivi aggiunti, in particolare relativamente alla richiesta di ampliamento della superficie di somministrazione”. Acquisiti tali chiarimenti il Giudice di primo grado respingeva il ricorso, come integrato da motivi aggiunti, osservando che: i) il primo motivo del ricorso introduttivo doveva ritenersi infondato in quanto il sig. Luciani era divenuto proprietario in data 22.1.2004 e, pertanto, risultava legittimato alla presentazione della domanda di condono del 10.12.2004; inoltre, l’abuso risultava perfezionato prima del 31.3.2003 avendo riguardo alla nozione funzionale del concetto di “ultimazione”; infatti, dalla documentazione in atti la cucina del piano interrato risultava presente sin dal 1968; in ultimo, doveva considerarsi come il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante fosse solo quello tra categorie funzionalmente autonome con la conseguenza che la tipologia di attività commerciale svolta risultava non decisiva; ii) il secondo motivo del ricorso introduttivo doveva ritenersi infondato in quanto, ferma la data di ultimazione delle opere (antecedente al 31.03.2003) ed il tempestivo pagamento dell’oblazione, l’integrazione postuma della documentazione era consentita dalla previsione di cui all’art. 5 della L.r. del Lazio n. 12/2004 e, comunque, era da ritenersi espressione del principio di leale cooperazione procedimentale; iii) il terzo motivo doveva ritenersi infondato atteso che il P.R.G. del 2008 era successivo alla domanda di condono e che, comunque, il rilascio del titolo poteva ammettersi anche per opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici approvati o adottati; iv) il ritardo nella definizione del procedimento non costituiva ragione di illegittimità del provvedimento di condono, con conseguente infondatezza del primo motivo del ricorso per motivi aggiunti; v) dovevano ritenersi infondate le censure relative alla comunicazione di ampliamento dei locali ove si svolgeva l’attività di somministrazione essendo la dichiarazione conforme al modello legale e rilevando l’eventuale mancato rispetto della normativa comunale come presupposto di un provvedimento repressivo dell’Amministrazione e non come ragione di illegittimità del silenzio assenso serbato sull’istanza di ampliamento della superficie destinata all’attività di somministrazione.

4. Gli appellanti impugnavano la sentenza del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma articolando quattro motivi di ricorso.

4.1. Con il primo motivo deducevano l’erroneità della decisione di primo grado osservando come i locali interrati fossero utilizzati, sino al gennaio 2004, come magazzino per l’attività commerciale di vendita al minuto di oggettistica ed articoli da regalo; inoltre, nel periodo ricompreso tra l’acquisto dell’immobile da parte del Sig. Luciani e il 2013, i locali erano utilizzati per l’attività di bar, con conseguente non necessità di installare cucine industriali. In ultimo, gli appellanti evidenziavano come, nella s.c.i.a. presentata nel 2011 dal Sig. Alessandro Luciani, si affermava che, nei locali interrati, fosse presente un magazzino. Di conseguenza, le dichiarazioni allegate alla domanda di condono dovevano ritenersi non veritiere nella parte relativa all’epoca di realizzazione dell’abuso. Gli appellanti evidenziavano, in secondo luogo, l’erroneità della ricostruzione operata dal Giudice di primo grado in merito all’irrilevanza della tipologia di attività concretamente svolta nell’ambito dell’unitaria destinazione urbanistica, dal momento che, accedendo a tale tesi, non sarebbe stato neppure necessario avviare il procedimento di sanatoria edilizia per la realizzazione della cucina al piano interrato.

4.2 Con il secondo motivo gli appellanti censuravano la decisione di primo grado evidenziando come le integrazioni documentali fossero richieste solo dopo dieci anni dall’epoca di asserita realizzazione dell’abuso. Inoltre, la documentazione fotografica allegata rappresentava lo stato dei luoghi al momento della richiesta di integrazione e non all’epoca di commissione dell’abuso ed era da considerarsi, pertanto, non pertinente.

4.3. Con il terzo motivo gli appellanti osservavano come la legittimità dell’intervento doveva valutarsi alla luce della disciplina urbanistica vigente al momento di emanazione del provvedimento. Pertanto, si sarebbero dovute applicare le regole contenute nel P.R.G. del 2008 che avrebbero precluso il rilascio del titolo, considerato che, nel tessuto T2, le destinazioni a pubblici esercizi sono consentite sono per i locali posti a piano terreno e all’eventuale mezzanino lungo fronte strada.

4.4. Con il quarto motivo gli appellanti deducevano l’erroneità del capo di sentenza con il quale si respingevano le censure contenute nel ricorso per motivi aggiunti avverso la comunicazione di ampiamento della superficie destinata a somministrazione di alimenti e bevande. Sul punto gli appellanti evidenziavano l’erroneità della motivazione nella parte in cui si riteneva completa, ai sensi delle previsioni di cui all’art. 11, commi 9 e 10, della L.r. del Lazio n. 21/2006, la comunicazione effettuata dalla Ristomasvit s.r.l. ai fini del rilascio dell’autorizzazione. Osservavano come le censure originariamente proposte avessero ad oggetto la veridicità di quanto dichiarato tenuto conto che: i) si realizzava un illegittimo mutamento della destinazione d’uso della chiostrina condominiale in spazio adibito alla somministrazione; ii) risultava non conforme alla realtà l’asserito rispetto delle regole sul contenimento dell’inquinamento acustico. In ultimo, osservavano come non potesse predicarsi un difetto di giurisdizione in ordine alle questioni relative alle immissioni sonore non essendo articolata una domanda ex art. 844 c.c. ma, al contrario, una domanda volta a censurare la legittimità dell’autorizzazione all’ampliamento delle superfici destinate alla somministrazione di alimenti e bevande che le norme di settore ammettono solo in caso di rispetto delle regole in tema di inquinamento acustico.

5. Si costituivano nel giudizio d’appello Roma Capitale, Ristomasvit s.r.l. e Luciani ai Prefetti s.r.l., chiedendo di dichiarare l’appello inammissibile o comunque infondato.

6. In vista dell’udienza pubblica del 15.12.2022 le parti depositavano memorie conclusionali. Luciani ai Prefetti s.r.l. eccepiva: i) l’improcedibilità del ricorso per mancanza di attestazione di conformità dell’istanza di fissazione dell’udienza di trattazione del merito ex art. 136, comma 2-ter, c.p.a.; ii) l’inammissibilità del ricorso in appello per carenza di interesse alla decisione che sarebbe stata espressamente riconosciuta dagli stessi appellanti ai fogli 17 e 18 del ricorso in appello ove si evidenzia come ciò che “preme” è che “nell’ambito della destinazione urbanistica impressa alla zona, nel locale venga esercitata l’attività che risulta essere conforme alle previsioni di piano”, e che tale esercizio sia “discreto”. Inoltre, la Luciani ai Prefetti s.r.l. deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso in appello. Ristomasvit s.r.l. eccepiva l’improcedibilità del ricorso in appello per omessa attestazione di conformità dell’istanza di fissazione dell’udienza di merito e deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso in appello. Roma Capitale deduceva l’infondatezza dei motivi di ricorso in appello. Le parti depositavano memorie di replica. All’udienza del 15.12.2022 la causa era trattenuta in decisione.

7. Entrando in medias res il Collegio ritiene di poter prescindere dalla disamina delle eccezioni processuali articolate dalle difese di Luciani ai Prefetti s.r.l. e di Ristomasvit s.r.l., stante l’infondatezza nel merito dei motivi di ricorso in appello per le ragioni che saranno di seguito esposte.

8. Procedendo ad esaminare il primo dei motivi di ricorso in appello il Collegio evidenzia, in primo luogo, come la decisione del Giudice di primo grado sia correttamente calibrata su una delle censure articolate dagli odierni appellanti, relativa al difetto di legittimazione alla proposizione dell’istanza di condono da parte del Sig. Luciani. Pertanto, risulta priva di fondamento la prima censura con la quale si osserva come il Giudice di primo grado non abbia correttamente inteso il contenuto della relativa doglianza articolata nel ricorso introduttivo del giudizio.

8.1. Inoltre, risulta condivisibile in parte qua la motivazione del primo Giudice atteso che la Luciani ai Prefetti s.r.l. acquista l’immobile in questione in data 22.1.2004 e presenta istanza di condono in data 10.12.2004 e, quindi, entro il termine di legge previsto. Divenuta proprietaria, la Società è, quindi, in condizioni di valutare lo stato dell’immobile, di adottare ogni iniziativa utile al fine di regolarizzare eventuali difformità edilizie, e, conseguentemente, di rendere una dichiarazione in ordine all’epoca di realizzazione dell’abuso. Del resto, seguendo la tesi degli appellanti, il proprietario di un immobile acquistato dopo la data del 31.3.2003 risulterebbe sostanzialmente impossibilitato a presentare una domanda di condono, non potendo rendere la necessaria dichiarazione in ordine all’anteriorità dell’abuso rispetto a tale data. Al contrario, una simile preclusione non risulta ricavabile dalle previsioni relative al c.d. terzo condono che, ammettendo la possibilità di presentazione dell’istanza entro il 10.12.2004, implicitamente consentono anche a chi sia divenuto proprietario dopo il 31.3.2003, di richiedere il titolo. Pertanto, la dichiarazione resa dal Sig. Luciani non può ritenersi non veritiera solo perché lo stesso non era proprietario dell’immobile alla data del 31.3.2003. Né risultano, per tale ragione, significative le deduzioni in ordine alla verifica della data di acquisto su cui si incentrano le censure di cui ai fogli 16 e 17 del ricorso in appello. Occorre, invece, accertare in concreto gli elementi a sostegno di tale dichiarazione che, come si esporrà, conducono ad escludere la falsità della stessa e, conseguentemente, la non sussistenza dell’abuso alla data del 31.3.2003.

8.2. Procedendo alla disamina indicata, il Collegio osserva che: i) lo svolgimento dell’attività di vendita al minuto di oggettistica ed articoli di regalo nel periodo tra il 2002 e il 2004 (evidenziata al foglio 12 del ricorso in appello) non è circostanza decisiva per escludere la sussistenza dell’abuso in quanto temporalmente limitata e, comunque, non idonea a provare che nei locali interrati non vi sia, all’epoca, una cucina, sebbene chiaramente non necessaria per l’attività svolta in quel periodo all’interno dell’immobile; ii) la dichiarazione di parte venditrice circa l’assenza di modificazioni che diano o avrebbero potuto dar luogo a richieste di sanatorie (evidenziata al foglio 12 del ricorso in appello) è anch’essa circostanza non decisiva, dovendosi valutare lo stato reale e concreto dei luoghi a prescindere dalle dichiarazioni negoziali dell’alienante; iii) l’esercizio di attività di bar nei locali (che secondo gli appellanti non necessita di cucine industriali per la preparazione dei cibi; cfr. foglio 13 del ricorso in appello) non smentisce la presenza di una cucina, ove si consideri non soltanto che pure per simili attività può risultare necessario un tale impianto ma anche che la deduzione non è sorretta da evidenze in ordine all’insussistenza della cucina (che, in ipotesi, poteva essere presente sebbene non concretamente utilizzata); iv) le dichiarazioni contenute nella s.c.i.a. del 2011 e nella relativa perizia tecnica non risultano decisive in quanto, come già esposto, il punto centrale è la verifica della concreta destinazione d’uso dei locali interrati.

8.3. Incentrando la verifica su quanto concretamente emergente dagli atti di causa, si osserva come l’immobile in esame ospiti per un lungo arco temporale (e, comunque, sin dal 1976) un’attività di ristorazione denominata osteria-trattoria “Frascati”. La presenza di tale attività è accertata dal Giudice di primo grado anche in ragione delle varie dichiarazioni versate in atti e non è contestata dagli appellanti. In sostanza, l’accertamento del Giudice di primo grado risulta sorretto da adeguate evidenze non analiticamente contestate da parte appellante; né le circostanze dedotte sono idonee a smentire la correttezza di tale accertamento alla luce delle considerazioni svolte nel punto che precede. Di conseguenza, la dichiarazione resa in sede di domanda di condono non può ritenersi mendace. Non risultano, quindi, conferenti i precedenti giurisprudenziali richiamati ai fogli 15 e 16 del ricorso in appello che si fondano su un preventivo accertamento in sede penale della falsità delle dichiarazioni, circostanza non sussistente nel caso di specie.

8.4. Risulta parimenti infondata la seconda delle censure contenute nel primo motivo del ricorso in appello (ff. 17-18). Correttamente il T.A.R. osserva come “il mutamento di destinazione di uso giuridicamente rilevante è, infatti, quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico”; “il mutamento di destinazione di uso viene quindi escluso nel caso di mutamento del tipo di attività industriale o in caso di cambio di attività commerciale, che può definirsi urbanisticamente irrilevante, coinvolgendo categorie funzionalmente non autonome, mentre è rilevante il mutamento di destinazione d'uso che comporti il passaggio ad una tipologia considerata urbanisticamente differente ovvero tra categorie autonome, con conseguente mutamento del carico urbanistico”.

8.5. In sostanza, il Giudice di primo grado osserva come la destinazione d’uso commerciale sia unitaria e ricomprenda tutte le attività che afferiscono a tale categoria sia che esse si traducano in una vendita al dettaglio sia che, invece, riguardino la ristorazione. Il segmento di sentenza in esame evidenzia, quindi, come la concreta attività esercitata non sia giuridicamente rilevante per determinare la destinazione d’uso laddove si tratti, comunque, di attività afferente al settore del commercio. Pertanto, nel caso di specie la destinazione d’uso dell’immobile è sempre di tipo commerciale. Ciò non rende inutile la domanda di sanatoria (come dedotto dagli appellanti) ove si consideri che la stessa mira proprio a regolarizzare l’unitaria destinazione dell’immobile, conferendo anche ai locali interrati titolo idoneo a sorreggere il concreto uso che degli stessi è fatto nel tempo. Del resto, tale esigenza di regolarizzazione si comprende osservando come un magazzino possa determinare un differente carico urbanistico se è funzionale all’esercizio di attività produttiva, venendo utilizzato per la gestione di materiali derivanti da un fabbricato industriale, ovvero se è strumentale all’esercizio di attività commerciale, fungendo da deposito di prodotti finiti pronti per essere immessi nel mercato (Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6388). Nel caso di specie, la domanda risulta, quindi, sorretta dalla necessità di un titolo che attesti l’unitaria destinazione commerciale dei locali.

9. Passando al secondo motivo di ricorso in appello il Collegio ne decreta l’infondatezza osservando, in primo luogo, che la previsione di cui all’art. 5, comma 1, della L.r. del Lazio n. 12/2004 consente espressamente all’Amministrazione di verificare la completezza della documentazione e di invitare, nel caso, l’interessato a produrre le integrazioni ritenute necessarie. Circostanza verificatasi nel caso di specie ove, del resto, la richiesta di Roma Capitale è, in gran parte, dovuta all’esposto presentato dagli odierni appellanti che hanno, quindi, imposto all’Amministrazione di effettuare ulteriori verifiche. Inoltre, il momento di realizzazione del materiale fotografico corredato all’istanza non risulta aspetto decisivo, ove si consideri che l’epoca di ultimazione dell’abuso è circostanza provata in base ad ulteriore elementi (esaminati nell’ambito del primo motivo di ricorso in appello); pertanto, la veridicità della dichiarazione resa dal Sig. Luciani e la sussistenza dei presupposti per accedere al condono risultano da tali ulteriori elementi, la cui rilevanza non è scalfita dalla questione su cui si soffermano gli appellanti.

10. Con il terzo motivo gli appellanti deducono l’erronea applicazione da parte del T.A.R. per il Lazio – sede di Roma della normativa urbanistica vigente al momento della presentazione dell’istanza di condono, in luogo di quella sopravvenuta al momento dell’adozione del provvedimento finale.

10.1. Il motivo è infondato considerando, in primo luogo, che la normativa sul condono del 2003 preclude il rilascio del titolo in presenza di non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici solo per gli abusi relativi a beni sottoposti a vincoli. Lo conferma la giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui il combinato disposto dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, comporta che un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non possa essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente le seguenti condizioni: i) l’imposizione del vincolo di inedificabilità avviene prima della esecuzione delle opere; ii) le opere sono realizzate in assenza o difformità dal titolo edilizio; iii) le opere non sono conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è cioè consentita la sanatoria dei soli abusi formali) (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, n. 7341; Id, Sez. VI, 17 settembre 2019, n. 6182; Id., Sez. IV, 29 marzo 2017, n. 1434; Id., Sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Id., Sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Id, Sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4587). A contrario, il condono risulta ammissibile qualora vi sia difformità dalle norme urbanistiche ma l’immobile non ricada in area vincolata.

10.2. In secondo luogo, deve osservarsi come il condono risulta accordabile in presenza dei presupposti previsti dalla normativa che governa tale sanatoria eccezionale senza necessità, quindi, di accertare la conformità delle opere alla normativa urbanistica vigente all’epoca di adozione del provvedimento che non è soltanto sopravvenuta rispetto alla domanda ma, prima ancora, inconferente, non essendo requisito richiesto dalla L. n. 326/2003.

11. In ordine al quarto motivo il Collegio osserva, in primo luogo, come non sia dimostrata la circostanza posta a fondamento della prima delle censure ivi articolate e consistente nel dedotto mutamento di destinazione d’uso (urbanisticamente rilevante) della chiostrina. Infatti, gli appellanti deducono che la chiostrina sarebbe stato un ambiente destinato a fornire aria e luce agli immobili. Circostanza che, però, non dimostra quale sia la precedente destinazione sotto il profilo urbanistico di tale chiostrina che è, comunque, parte dell’immobile all’attenzione del Collegio. Inoltre, il rispetto delle norme in tema di tutela dall’inquinamento acustico non deriva in sé dall’ampliamento della superficie commerciale ma dall’eventuale produzione di immissioni oltre i limiti previsti. Si tratta, quindi, di circostanza che, come evidenziato dal T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, assume rilievo ai fini di un eventuale provvedimento repressivo da parte dell’Amministrazione. Del resto, gli appellanti non deducono alcuna circostanza – emergente al momento della stessa dichiarazione - tale da poter far ritenere mendace l’istanza di ampliamento nella parte in cui si attesta il rispetto della normativa sull’inquinamento acustico. In sostanza, eventuali immissioni acustiche oltre i limiti legali non sono, invero, riferibili alla fase di formazione dell’autorizzazione ma, al contrario, al concreto esercizio dell’attività all’interno della chiostrina. Con la conseguente correttezza della decisione di primo grado nella parte in cui evidenzia come i rimedi a possibili violazioni della normativa sull’inquinamento acustico - non afferendo alla legittimità dell’autorizzazione ma alla conformità dell’esercizio ai limiti anche dalla stessa imposti - vadano ricercati aliunde e, segnatamente, in eventuali richieste di esercizio dei poteri repressivi e sanzionatori dell’Amministrazione nonché nei rimedi civilistici appositamente previsti.

12. In definitiva il ricorso in appello deve essere respinto.

13. Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere eccezionalmente compensate in considerazione delle peculiarità fattuali della vicenda esaminata dal Collegio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa tra le parti costituite le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere