Consiglio di Stato Sez. VI n. 9851 9 dicembre 2024
Urbanistica. Modifiche di immobile oggetto di istanza di condono

Quando l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile stante la radicale trasformazione dell’oggetto originario. Conseguentemente, l’Amministrazione deve emanare il provvedimento di demolizione del nuovo immobile, costruito abusivamente in luogo di quello già realizzato sine titulo 

Pubblicato il 09/12/2024

N. 09851/2024REG.PROV.COLL.

N. 09918/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9918 del 2020, proposto da
-OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato Enrico Romano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Anacapri e Regione Campania, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. -OMISSIS-/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2024 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che nessuno è presente per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - In data 14 febbraio 2002, gli appellanti sono divenuti proprietari di un immobile sito in Anacapri, alla Prima traversa Lo Pozzo, n. 18, composto da un locale cantina al piano seminterrato di circa 66 metri quadrati, con una corte di accesso di pertinenza di circa 3 metri quadrati, e sono anche divenuti comproprietari di un adiacente terreno. In relazione al locale cantina e alla adiacente corte di accesso era stata presentata dai loro danti causa, in data 18 aprile 1986, una istanza di condono, ai sensi della legge n. 47 del 1985.

2 - In data 1° dicembre 2004, gli appellanti hanno proposto un’ulteriore istanza di condono, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, riguardante: a) il mutamento della destinazione d’uso da cantina ad abitazione; b) l’ampliamento della costruzione per circa 10,41 metri quadrati; c) l’apertura di vani d’accesso e la creazione di una rampa, collegante il piano seminterrato con il sovrastante terrazzamento.

2.1 – Il Comune ha respinto l’istanza di condono del 1° dicembre 2004 ed ha ordinato la demolizione delle opere oggetto di tale istanza, rispettivamente con l’atto n. 10665 del 27 luglio 2015.

3 - In data 27 febbraio 2015 i proprietari hanno presentato al Comune una nuova istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica, riguardante la realizzazione senza titolo: a) di uno sbancamento di un terrapieno di circa 120 metri quadrati e di un muro di contenimento, con creazione di un’area pavimentata di corte; b) di una scala di collegamento, di un ripostiglio, di un locale deposito di circa 4 metri quadrati, di due vasche settiche; c) di una aiuola in sostituzione di parte della pavimentazione, con eliminazione di parte della muratura e dell’infisso del deposito.

3.1 - Con gli atti n. 11258, n. 11262 e n. 11263 del 7 agosto 2015, l’amministrazione: - ha respinto la predetta istanza del febbraio 2015; - ha ordinato la demolizione dell’area di corte ottenuta con lo sbancamento, delle mura di contenimento, di tre nicchie murarie, di due ripostigli, di una scala in muratura, di un deposito di 6 metri quadrati, del sottostante pozzo di raccolta di liquami domestici e di una vasca di raccolta; - ha ordinato la sospensione dei lavori, ai fini ambientali.

3.2 - Con gli ulteriori atti n. 12042 e n. 12043 del 26 agosto 2015, il Comune ha ordinato la demolizione (e la sospensione dei lavori ai fini ambientali): a) di una unità abitativa seminterrata, estesa 27 metri quadrati, con attigua area di corte, estesa 4,35 metri quadrati; b) di una pavimentazione delle coperture dei colmi di fabbrica, di una fioriera e di un box in muratura.

3.3 - Con l’atto n. 2015 di data 8 ottobre 2015, la Regione Campania ha ordinato agli interessati di sospendere i lavori effettuati sull’area in questione.

4 – Gli appellanti hanno impugnato tali atti avanti il Tar per la Campania che, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.

5 – Avverso tale pronuncia hanno proposto appello gli originari ricorrenti per i motivi di seguito esaminati.

5.1 – Con il primo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel capo in cui ha ritenuto che, relativamente ai provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo di rigetto dell’istanza di condono (determina del 27.7.2015, prot. 10665) e dell’istanza di compatibilità paesaggistica (determina del 7.8.2015, prot. 11258), non risultava dovuta la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento delle predette istanze ai sensi dell’art. 10 bis legge n. 241/90.

Gli appellanti sostengono l’illegittimità degli atti impugnati per omesso preavviso di rigetto, in quanto, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, l’istituto del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 troverebbe applicazione anche ai procedimenti di sanatoria o di condono edilizio.

5.2 – Con il secondo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel capo in cui ha ritenuto che, in relazione ai provvedimenti di rigetto gravati, non fosse necessaria l’acquisizione dei pareri tecnici previsti a fini istruttori.

Per gli appellanti, i provvedimenti gravati sono illegittimi in quanto è stato omesso sia il parere sia della Commissione edilizia sia il parere della Commissione Locale sul Paesaggio (ex art. 148 d.lgs. 42/2004).

5.3 – Con il terzo motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel capo in cui ha ritenuto che in relazione alle determinazioni dirigenziali di rigetto (prot. n. 10665/2015 e prot. n. 11258/2015) non fosse necessario il parere dell’Autorità preposta al vincolo paesistico.

Nel caso di specie, per gli appellanti, il Comune avrebbe svolto delle valutazioni discrezionali anticipatorie illegittime, le quali avrebbero escluso ogni effettiva e concreta valutazione di merito da parte dell’organo preposto alla tutela del vincolo dalla normativa.

5.4 – Con il quarto motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel capo in cui ha ritenuto che in relazione alle opere in questione non sussiste alcun vizio di istruttoria relativamente alle diverse tipologie di interventi e, quindi, in relazione al regime sanzionatorio ripristinatorio applicato indistintamente al caso concreto, in cui i singoli interventi vengono considerati in maniera complessiva.

Gli appellanti si lamentano del fatto che, nell’istruttoria compiuta dal Comune, non solo sarebbe stata omessa ogni distinzione e concreta valutazione tra le singole opere oggetto di sanatoria, ma sarebbe stata omessa ogni valutazione sulla percepibilità ambientale delle stesse opere, le quali sono state ritenute tutte incompatibili.

Per gli appellanti, i singoli interventi non risulterebbero in contrasto con gli artt. 146 e 167 del d.lgs. n. 42/2004.

5.5 – Con il quinto motivo gli appellanti censurano la pronuncia nel capo in cui i Giudici di prime cure avrebbero omesso di considerare l’illegittimità degli atti impugnati per difetto istruttoria e difetto di motivazione.

Gli appellanti si dolgono del fatto che le opere sono state tutte e indistintamente ritenute non compatibili urbanisticamente e paesaggisticamente senza alcuna distinzione tra le stesse.

Con riferimento specifico, poi, alla determinazione dirigenziale di rigetto (prot. n. 10665/2015) della istanza di condono edilizio ai sensi della legge 326/2003, gli appellanti sostengono l’illegittimità della stessa nella parte in cui assume, a loro avviso in maniera apodittica e aprioristica, una pretesa generalizzata inapplicabilità al territorio dell’Isola di Capri (in quanto vincolato paesisticamente ai sensi del D.M. 20.3.1951) della normativa condonistica ai sensi dell’art. 32, L. 326/2003.

Per gli appellanti, la normativa condonistica di cui all’art. 32, d.l. 269/2003 non escluderebbe la sua applicabilità anche alle zone che, come l’isola di Capri, risultano vincolate sotto il profilo paesistico

5.6 – Con il sesto motivo gli appellanti censurano la pronuncia nella parte in cui ha ritenuto che le ingiunzioni di demolizione adottate dal Comune di Anacapri sono legittime sebbene interessanti parti già oggetto di condono edilizio pendente e non definito (ex art. 32 e ss. l. n. 47/85, istanza presentata in data 18.4.1986, n. 3559/597).

Nella pronuncia oggetto di gravame il Tar ha sostenuto che allorquando su un immobile, oggetto di una istanza di condono, sono realizzati ulteriori abusi, oggetto a loro volta di una istanza di condono e di accertamento di conformità paesaggistica, l’Amministrazione comunale può esaminare e respingere la seconda istanza, in ragione della autonomia dei due procedimenti e della diversità degli abusi commessi.

Per gli appellanti, tale distinzione fra opere oggetto di condono e interventi successivi non risulterebbe rinvenibile nelle ordinanze di demolizione impugnate e, in ogni caso, il ripristino non escluderebbe anche le opere oggetto della istanza di concessione edilizia in sanatoria presentata in data 18.4.1986, la quale non è mai stata definita.

Per gli appellanti, l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione emergerebbe dal fatto che, ai sensi dell’art. 38 legge 28.2.1985, n. 47 (“Effetti della oblazione e della concessione in sanatoria”), la presentazione della istanza in sanatoria ai sensi della predetta normativa “sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative”.

5.7 – Con il settimo motivo gli appellanti censurano la sentenza nel capo in cui ha ritenuto che sia priva di vizi di legittimità l’ordinanza di sospensione dei lavori emessa dalla Regione Campania, Direzione Generale LL.PP. e Protezione Civile, U.O.D. Genio Civile di Napoli, dell’8.10.2015, prot. 2015, 0673034.

Per gli appellanti, tale ordinanza è illegittima in quanto, a fronte dei diversi interventi aventi entità e tipologie distinte, non sarebbe dato comprendere, dal contenuto dell’ordinanza, a quali opere questa si riferisce. Infatti, in tale provvedimento regionale si indicherebbe soltanto che trattasi di opere site in “Anacapri fg. 6 p.lle 1639 e 1806” senza fornire alcuna altra indicazione.

6 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

Il provvedimento di rigetto dell’istanza di condono reca la seguente motivazione “accertato che l’immobile ricade nella zona “P” – Aree a verde agricolo – del P.R.G. vigente (...) e in zona P.I.R. – Protezione Integrale con Recupero Paesistico Ambientale (…); gli interventi sopra descritti hanno comportato, tra l’altro, la realizzazione di una volumetria ad uso abitativo, per complessivi metri cubi 26 circa, non autorizzabile alla luce degli indici edificabili previsti dalla vigente normativa di attuazione della zona “P” del P.R.G. e della vigente normativa di attuazione della zona “P.I.R.” del P.T.P.; gli interventi realizzati hanno rilevanza sotto il profilo paesistico ambientale e sono stati eseguiti in evidente contrasto con le norme di tutela ambientale ed in particolare con la citata norma prescritta dall’art. 3, comma 3 del P.T.P. in quanto hanno comportato, tra l’altro, la realizzazione di una nuova volumetria per complessivi metri cubi 26; (…) determina di respingere l’istanza di condono edilizio, assunta al prot. 16434, del 1/12/2004 n. 121/04, in quanto presentata per opere comportanti anche nuove superfici, peraltro non conformi alla vigente strumentazione urbanistica, realizzate su territorio dichiarato di notevole interesse pubblico dal D.M. 20.03.1951, circostanza che esclude l’applicabilità della normativa condonistica ai sensi del combinato disposto del comma 27 dell’art. 32, lettera d) l. 326/03”.

6.1 - Ai sensi dell’art. 32, comma 26, lettera a) del D.L. 269/2003: “Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all'allegato 1: a) numeri da 1 a 3, nell'ambito dell'intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4, 5 e 6 nell'ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all'articolo 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47”.

L’art. 32, comma 27, del medesimo decreto legge prevede che: “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora (…) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.

Secondo quanto prevedono le suddette norme, non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 dell'allegato 1 alla citata legge (cd. abusi maggiori), realizzate su immobili soggetti a vincoli a prescindere dal fatto che (anche se) si tratti di interventi conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e al fatto che il vincolo non comporti l'inedificabilità assoluta dell'area. Sono invece sanabili, se conformi a detti strumenti urbanistici, solo gli interventi cd. minori di cui ai numeri 4, 5 e 6, dell'allegato 1 al d.l. n. 326, cit. (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria), previo parere della autorità preposta alla tutela del vincolo.

La giurisprudenza (cfr. Cons. St. n. 1664 del 02 maggio 2016; Cons. St. n. 735 del 23 febbraio 2016, Cons. St. n. 2518 del 18 maggio 2015) ha, infatti, costantemente affermato che, ai sensi dell’art. 32, comma 27, lett. d) del d.l. n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge n. 326 del 24 novembre 2003 (cd. terzo condono), le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se, oltre al ricorrere delle ulteriori condizioni – e cioè che le opere siano realizzate prima della imposizione del vincolo, che siano conformi alle prescrizioni urbanistiche e che vi sia il previo parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo - siano opere minori senza aumento di volume e superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria). Pertanto, un abuso comportante la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in area assoggettata a vincolo paesaggistico non può essere sanato.

L’applicabilità della sanatoria, nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, alle sole opere di restauro o risanamento conservativo o di manutenzione straordinaria, su immobili già esistenti, se ed in quanto conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici è stata poi confermata anche dalla costante giurisprudenza penale secondo cui: “in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dall'art. 32 del D.L. n. 269 del 2003 (convertito, con modificazioni, dalla l. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell'allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l'area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (cfr. Corte Cassazione penale, Sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676).

6.2 – I provvedimenti di diniego innanzi richiamati mettono chiaramente in luce che l’abuso che si intende sanare ha comportato la realizzazione senza titolo di nuova volumetria. È altresì pacifico che l’area in questione è soggetta a vincolo. Ne deriva che, sulla scorta delle precisazioni fornite dalla giurisprudenza innanzi citata, gli abusi in questione esulano dall’ambito applicativo della disposizione speciale sul condono, ai sensi della quale, nelle aree soggette a vincolo paesaggistico il condono è ammesso solo per gli abusi minori (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria) nel cui ambito non possono rientrare l’abuso oggetto della domanda di condono consistente anche in un aumento volumetrico.

6.3 – Va inoltre precisato che la suddetta conclusione deve ritenersi valevole per tutte le opere oggetto dell’istanza di condono.

Al riguardo, deve osservarsi che la valutazione dell’abuso edilizio presuppone, tendenzialmente, una visione complessiva e non atomistica dell’intervento, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio.

Ne consegue che, nel rispetto del principio costituzionale di buon andamento, l’amministrazione comunale deve esaminare contestualmente l’intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell’abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell’intervento finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.

In questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha ribadito che la verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 giugno 2012, n. 3330). Di eguale tenore la recente giurisprudenza penale, secondo cui: “non è ammessa la possibilità di frazionare i singoli interventi edilizi difformi al fine di dedurre la loro autonoma rilevanza, ma occorre verificare l’ammissibilità e la legalità alla luce della normativa vigente, dell’intervento complessivo realizzato” (cfr. Corte di Cassazione penale, 23 febbraio 2017, n. 8885).

6.4 - Va precisato che l’esito negativo della domanda di condono, richiamato nel successivo provvedimento di rigetto dell’istanza di compatibilità paesaggistica, incide inevitabilmente anche su quest’ultima, trattandosi di opere che insistono sulla medesima area soggetta a vincolo.

Avuto riguardo alle specifiche opere oggetto dell’istanza di compatibilità paesaggistica e ribadito che deve aversi riguardo alla globalità dell’intervento, senza frammentare i singoli lavori abusivi, va ricordato che anche l’art. 167 del D. lgs. 42/2004 impedisce la regolarizzazione laddove l’abuso implichi un aumento di volume o superficie utile (“L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”).

La giurisprudenza ha precisato che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, si riferisce a qualsiasi nuova opera comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico e altro tipo di volume, anche interrato (cfr. Cons. di Stato n. 5807/2023).

7 – Le caratteristiche dell’abuso come innanzi descritto e la conseguente impossibilità assoluta di sanatoria, sia alla stregua della disciplina del condono di cui al D.L. n. 269 del 2003, sia in ragione dell’art. 167 cit., in ragione del vincolo gravante sull’area, rendono irrilevanti le dedotte violazioni procedimentali, dovendosi ritenere doveroso e vincolato l’esito del procedimento attivato dalle istanze di parte appellante, le quali esulano dal campo di applicazione delle predette disposizioni, che, come detto, non possono trovare applicazione laddove vi sia un incremento volumetrico in un’area soggetta a vincolo.

Ciò rende irrilevanti sia la dedotta necessità di acquisire i pareri, non dovendosi procedere ad alcuna valutazione discrezionale di compatibilità; sia la dedotta violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/90.

7.1 – Nello specifico, quanto a quest’ultima censura, giova in ogni caso ricordare che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che, sebbene l’istituto del preavviso di rigetto (di cui all’art. 10 bis l. 7 agosto 1990, n. 241), stante la sua portata generale, trovi applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, tuttavia “affinché la violazione dell'art. 10 bis comporti l'illegittimità del provvedimento impugnato, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle proprie garanzie partecipative, ma è anche tenuto ad indicare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (Consiglio di Stato, sez. VI, 16 settembre 2022, n. 8043)" (Cons. Stato, Sez. VII, 2 novembre 2023, n. 9428); - "la violazione dell'art. 10 bis L. n. 241/90 è idonea a determinare l'annullamento del diniego di sanatoria, qualora, alla stregua degli elementi deduttivi e istruttori forniti dalla parte privata, sia dubbio che, in caso in osservanza delle disposizioni procedimentali in concreto violate, il contenuto dispositivo dell'atto sarebbe stato identico a quello in concreto assunto" (Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2023, n. 3672)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 aprile 2024, n. 3050).

7.2 – Anche quanto all’acquisizione dei pareri può richiamarsi quanto già affermato dalla giurisprudenza della Sezione secondo la quale “la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinaria procedura di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria "straordinaria" (o condono), il parere della Commissione edilizia non obbligatorio ma, facoltativo, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato alla semplice verifica dei numerosi presupposti e condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5336/2016, sez. VI, n. 6042/2014). La specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all'ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla sua necessità rendono, per il rilascio della concessione in sanatoria, il parere della Commissione edilizia non obbligatorio, ma al più facoltativo (Cons. Stato, sez. IV, sentenza 12 febbraio 2010, n. 772); in caso di domanda di condono non è sempre necessario il previo parere della commissione edilizia comunale: nei casi di violazione di vincoli assoluti di inedificabilità e infatti, il mero accertamento tecnico degli appositi uffici è da solo sufficiente a legittimare il diniego del provvedimento richiesto (così, Cons. Stato, sez. V, n. 5725/2006)" (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 maggio 2021, n. 4063; Id., Sez. VI, 7 dicembre 2022, n. 10719)” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2023, n. 295). 

7.3 – Non può rilevare neppure la mancata acquisizione del parere dell’Autorità preposta alla salvaguardia del vincolo, da ritenersi necessario solo nel caso in cui vengano in considerazione opere astrattamente sanabili, non invece qualora le opere, stanti le loro caratteristiche, siano escluse dal beneficio del condono, o della sanatoria ex art. 167 cit., direttamente dalla legge, a prescindere da ogni valutazione concreta di compatibilità paesaggistica.

8 – Vanno disattesi anche i rilievi avverso gli ordini di ripristino.

A fronte del rigetto delle istanze di sanatoria, i provvedimenti di demolizione si pongono quale conseguenza necessitata, senza alcun margine di apprezzamento discrezionale in capo all’amministrazione.

Nel caso di specie, non può rilevare neppure la prospettazione per cui per parte delle opere oggetto di ingiunzione sia ancora pendente il procedimento di condono relativamente alla domanda proposta nel 1986.

Al riguardo, va ricordato che la normativa sul condono postula la permanenza dell’immobile da regolarizzare, ammettendo, in pendenza del relativo procedimento, i soli interventi edilizi diretti a garantirne l’integrità e la conservazione. L’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), prevede infatti che: “decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell’oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità le opere oggetto della domanda”. A tal fine: “l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione”. In sostanza, la pendenza dell’istanza di condono non preclude in assoluto la possibilità di intervenire sugli immobili rispetto ai quali pende l’istanza stessa, ma impone che ciò debba avvenire nei limiti e nel rispetto delle procedure di legge.

Nel caso in esame è pacifico che, dopo l’originaria istanza di condono relativa al locale cantina e alla adiacente corte di accesso, tale fabbricato è stato oggetto di successivi interventi, senza alcun titolo autorizzatorio, che l’hanno radicalmente trasformato.

Va infatti ricordato che all’appellante, dopo la presentazione dell’originaria domanda di condono relativa alla cantina, è stata ingiunta la demolizione in relazione: a) al mutamento della destinazione d’uso del volume originario; b) all’ampliamento della costruzione per circa 10,41 metri quadrati; c) all’apertura di vani d’accesso e la creazione di una rampa, collegante il piano seminterrato con il sovrastante terrazzamento. Tali opere non coincidono con quelle oggetto dell’originaria domanda di condono.

Successivamente, con gli atti n. 11258, n. 11262 e n. 11263 del 7 agosto 2015, l’amministrazione ha ordinato la demolizione dell’area di corte ottenuta con lo sbancamento, delle mura di contenimento, di tre nicchie murarie, di due ripostigli, di una scala in muratura, di un deposito di 6 metri quadrati, del sottostante pozzo di raccolta di liquami domestici e di una vasca di raccolta.

Con gli ulteriori atti n. 12042 e n. 12043 del 26 agosto 2015, il Comune ha ordinato la demolizione: a) di una unità abitativa seminterrata, estesa 27 metri quadrati, con attigua area di corte, estesa 4,35 metri quadrati; b) di una pavimentazione delle coperture dei colmi di fabbrica, di una fioriera e di un box in muratura.

In altri termini, l’originaria cantina abusiva, per la quale era stata a suo tempo presentata la domanda di condono, è stata trasformata abusivamente in un appartamento, con un incremento anche volumetrico e con la sistemazione, parimenti abusiva, dell’area circostante.

L’attuale stato di fatto è, pertanto, completamente diverso rispetto al tempo dell’originaria domanda di condono, che per l’appellante avrebbe dovuto essere tenuto in considerazione dall’amministrazione. Ciò rende legittimo l’ordine di demolizione impugnato, tenuto conto che per la giurisprudenza “Quando l’immobile abusivo non è meramente integrato, ma è radicalmente sostituito da un altro edificio, l’istanza di condono già proposta va dichiarata improcedibile stante la radicale trasformazione dell’oggetto originario. Conseguentemente, l’Amministrazione deve emanare il provvedimento di demolizione del nuovo immobile, costruito abusivamente in luogo di quello già realizzato sine titulo” (Cons Stato, Sez. VI, sent. n. 665 dell’1.2.2018).

8.1 – Da un altro punto di vista, come correttamente rilevato dal Tar, gli impugnati ordini di demolizione non hanno riguardato le opere in quanto tali a suo tempo oggetto della istanza di condono del 18 aprile 1986, ma gli abusi commessi sulla medesima area successivamente alla proposizione dell’originaria istanza di condono, mai esitata. Ne deriva come, in ipotesi, non sia precluso il ripristino dello stato dei luoghi, corrispondente al contenuto della prima istanza di condono in relazione al locale cantina e alla adiacente corte di accesso.

9 – Quanto alle censure avverso l’ordinanza di sospensione lavori, fermo il dato per cui la relativa impugnazione deve considerarsi improcedibile avendo il provvedimento esaurito i propri effetti, valgono le considerazioni già esposte innanzi.

Non appare invero necessario che il provvedimento analizzi ogni singola opera come preteso da parte appellante, dovendosi aver riguardo all’abuso globalmente considerato e tenuto anche conto che in presenza di abusi non regolarizzati “gli interventi ulteriori ripetono le caratteristiche di illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché l'ordinamento non può ammettere la prosecuzione di lavori abusivi” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 settembre 2015, n. 8351; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 13).

10 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.

Non è necessario provvedere sulle spese di lite, stante la mancata costituzione di parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche citate nel provvedimento.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere