Consiglio di Stato Sez.VI n. 2630 del 14 marzo 2023
Urbanistica.Motivazione diniego di sanatoria

Non è illegittima una motivazione, anche succinta, di un diniego di sanatoria (al quale ben può equipararsi una dichiarazione di irricevibilità della domanda di sanatoria) di opere in quanto nel sistema non è ravvisabile a carico dell’amministrazione l’obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio nella bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost.

Pubblicato il 14/03/2023

N. 02630/2023REG.PROV.COLL.

N. 03344/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3344 del 2017, proposto da
Massimo Stefano Chelucci, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Ghelli, con domicilio eletto presso lo studio Anna Mattioli in Roma, Piazzale Clodio n. 61;

contro

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Federica Paci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 1450/2016, resa tra le parti, concernente il diniego di sanatoria prot. 52452, notificato in data 23.9.2000 del Comune di Pistoia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Pistoia;

Viste le memorie delle parti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza straordinaria del giorno 19 dicembre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e udito per le parti l’avvocato Andrea Ghelli in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma Microsoft Teams.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Massimo Stefano Chelucci chiedeva al Comune di Pistoia la sanatoria di un impianto industriale abusivo, composto da una tettoia e da alcuni silos, sito su un terreno da egli acquistato da un’asta fallimentare a seguito di decreto di trasferimento del Tribunale di Pistoia 4.5.1994, n. 1061. L’immobile era rappresentato al N.C.E.U. del Comune di Pistoia al foglio 221, partt. 405 e 409 ed era sottoposto a vincolo, ai sensi dell’allora vigente L. 29.6.1939 n. 1497, apposto dal D.M. 3.2.1966 ai sensi del quale: “la zona predetta ha notevole interesse pubblico perché, costituita da una serie di colline separate da brevi valli più o meno profonde, e dagli impluvi di torrenti che scendono verso la piana pistoiese fino a confluire nell’Ombrone, forma uno scenario naturale che inquadra la città, la cinge, e ne costituisce la cornice naturale”. Al fine di sanare gli abusi realizzati dai precedenti proprietari, consistenti in due fabbricati destinati a magazzino ed uffici ed un piazzale per il deposito di macchinari e materiali per l’edilizia, il sig. Chelucci presentava al Comune di Pistoia, in data 10.8.1994, richiesta di condono edilizio, ai sensi della legge 28.2.1985, n. 47.

Il Comune, con nota prot. 52452 del 2000, negava l’accertamento di conformità sulla base del parere di incompatibilità paesaggistica rilasciato dalla commissione edilizia integrata, secondo il quale le opere abusive consistevano in strutture precarie inaccettabili dal punto di vista del decoro ambientale che non avrebbero potuto inserirsi nel contesto paesaggistico circostante.

2. L’istante impugnava il suddetto provvedimento dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, lamentando il difetto di motivazione del parere, impostato stereotipamente anche alla luce del fatto che non era stato l’autore materiale dell’abuso, avendo acquistato l’immobile, con le annesse costruzioni, da una procedura fallimentare.

L’esponente affermava, inoltre, che l’impatto delle opere avrebbe potuto essere mitigato con barriere vegetali come altre volte consentito dal Comune di Pistoia, il quale aveva rilasciato sanatorie subordinate ad apposite prescrizioni.

3. Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con sentenza n. 1450 del 2016, respingeva il ricorso. Secondo il collegio di primo grado, inter alia, il parere della commissione comunale era adeguatamente motivato, in quanto era stato dichiarato che le opere abusive erano da ritenersi inaccettabili dal punto di vista del decoro e non potevano ritenersi consone con la tutela paesaggistica a cui l’area era sottoposta, trattandosi di grandi silos e di strutture coperte visibili anche da lontano.

4. Massimo Stefano Chelucci ha proposto appello avverso la suddetta pronuncia, chiedendone l’integrale riforma e denunciando: “1. Violazione di legge (artt. 1 e 3 l. 7.8.1990, n. 241, e principi desumibili; art. 32 l. 28.2.1985, n. 47) Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione; 2. Violazione di legge (artt. 1 e 3, l. 7.8.1990, n. 241, e principi desumibili; art. 32 l. 28.2.1985, n. 47, e principi desumibili; art. 62 N.T.A. P.R.G. Comune di Pistoia). Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione”; 3. Violazione di legge (artt.1 e 3 l. 7.8.1990, n. 241 e principi desumibili, artt. 32 e 40 l. 28.2.1985, n. 47, e principi desumibili). Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione; 4. Violazione di legge (artt. 1 e 3 l. 7.8.1990, n. 241 e principi desumibili). Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione.”

5. Il Comune di Pistoia si è costituito in resistenza, concludendo per il rigetto dell’appello.

6. Le parti, con successive memorie, hanno ribadito le proprie difese.

7. All’udienza straordinaria del 19 dicembre 2022, la causa è stata assunta in decisione.

DIRITTO

8. Con il primo motivo, l’appellante deduce che con il ricorso di primo grado ha censurato il provvedimento di diniego, rilevando l’evidente difetto di motivazione, atteso che il contenuto si è risolto nell’affermazione che le strutture in questione costituiscono “strutture precarie inaccettabili dal punto di vista del decoro ambientale e che comunque non si inseriscono coerentemente nel contesto ambientale”, mentre a tale riguardo il giudice di prima istanza si è limitato ad asserire che “la documentazione fotografica versata in atti rende chiaro a cosa di riferisse la motivazione del parere della commissione comunale allorchè ha dichiarato che le opere abusive sono da ritenersi inaccettabili dal punto di vista del decoro e non possono ritenersi inaccettabili dal punto di vista del decoro e non possono ritenersi consone con la tutela paesaggistica a cui l’area è sottoposta, trattandosi di grandi silos e di strutture coperte visibili anche da lontano”. Secondo l’appellante, la tecnica motivazionale adottata dal T.A.R., fondata sul richiamo per relationem di precedenti giurisprudenziali, risulterebbe in evidente contrasto col principio di cui all’art. 111 cost., avendo menzionato un preteso indirizzo giurisprudenziale senza neppure indicare in quali pronunce esso avrebbe trovato espressione. La pronuncia, inoltre, sarebbe palesemente errata laddove ritiene che il provvedimento impugnato è esente dal vizio di difetto di motivazione, posto che lo stesso si sostanzierebbe in una mera e astratta valutazione, senza che il Comune si sia in alcun modo sforzato di indicare le fonti e le ragioni del suo convincimento e gli elementi che giustificherebbero tale valutazione. Né tale inconsistenza potrebbe essere superata, come pretenderebbe la sentenza impugnata, dalle considerazioni relative alla documentazione fotografica in atti.

L’appellante denuncia che il giudice di prime cure si sarebbe sostituito al Comune di Pistoia nel selezionare ed apprezzare asserite ragioni di incompatibilità paesaggistica, giungendo di fatto ad integrare, sulla base degli elementi acquisiti in giudizio, la motivazione degli atti impugnati.

9. Con il secondo motivo, l’appellante censura la sentenza nella parte in cui qualifica come ‘grandi silos e strutture coperte visibili anche da lontano’ le opere in contrasto con il vincolo paesaggistico, mentre in realtà si tratterebbe di strutture di dimensioni molto modeste, specialmente se rapportate all’area nella quale sono inserite e al particolare tipo di vincolo opposto. Si rileva che i manufatti oggetto di domanda di condono sono addossati alla montagna dalla quale non sono visibili e posizionato lungo la strada provinciale, pertanto, sarebbe stato agevole eliminare ogni pur limitato impatto visivo mediante l’adozione di una sanatoria con prescrizioni, tese ad eliminare la visibilità delle opere, anche attraverso semplici schermature con barriere vegetali. L’appellante denuncia, pertanto, che il giudice di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto impossibile disporre una sanatoria con prescrizioni, anche se, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa proprio in relazione alla domanda di condono ai sensi della l. 28.2.1985, n. 47, per immobili sottoposti a vincolo, l’amministrazione deputata al rispetto dei vincoli può assentire un progetto, introducendo tuttavia delle prescrizioni che ne condizionano l’efficacia. Il provvedimento impugnato, in quanto fondato su una motivazione sostanzialmente inesistente, avrebbe di fatto omesso ogni motivazione su questo specifico punto.

10. Con il terzo mezzo, l’appellante deduce di avere rilevato nel corso del giudizio di primo grado che il provvedimento impugnato aveva omesso di considerate l’evidente favor del legislatore per il recupero delle opere abusive oggetto di trasferimento in sede esecutiva o concorsuale, come espresso dall’art. 40, comma 5, della l. 28.2.1985, n. 47, il quale determina la nuova decorrenza, a favore degli acquirenti di immobili in sede di procedure esecutive o concorsuali, dei termini per presentare la relativa domanda di condono. Anche tale censura sarebbe stata respinta dal giudice di prime cure, il quale ha ritenuto sufficiente per la reiezione l’affermazione che anche per gli immobili acquistati in sede fallimentare sarebbe necessaria la sanatoria edilizia. Il T.A.R. ometterebbe di considerate che l’immobile era stato costruito nel 1976, non aveva mai subito contestazioni da parte del Comune ed era stato ritenuto, in sede fallimentare, suscettibile di vendita.

11. Con la quarta doglianza, il ricorrente lamenta che pur avendo dedotto in primo grado una disparità di trattamento con casi analoghi, il collegio di prima istanza avrebbe respinto la critica assumendone l’inammissibilità, in quanto generica, pur essendo stati documentati due tra i tanti casi analoghi per i quali la procedura di sanatoria è risultata apposto, producendo due concessioni in sanatoria rilasciate dal Comune, che aveva accolto le relative domande subordinandole ad alcune prescrizioni riguardanti il colore della tinteggiatura ed il materiale della coperture, tese a mitigare l’impatto ambientale delle opere.

12. Le suddette critiche, in quanto logicamente connesse, vanno trattate congiuntamente.

L’appello è infondato, per i rilievi di seguito enunciati.

12.1. I manufatti oggetto del presente giudizio sono pervenuti all’appellante tramite procedura fallimentare e consistono, sostanzialmente, in opere funzionali al deposito di materiali edili, e in particolare, in “quota pari ad un mezzo su appezzamento di terreno della superficie di mq. 4200 circa, adibito a piazzale per deposito materiali con sovrastanti silos per cemento ed una vasta tettoria con struttura portante a volta, realizzata in ferro, con manto di copertura in eternit e plastica”.

Le opere sono state realizzate in assenza di titolo edilizio e insistono su area del Comune di Pistoia paesaggisticamente tutelata con vincolo ai sensi della legge n. 1497/1939 imposto con D.M. 3.2.1996, in quanto ritenuto di notevole interesse pubblico “perché, costituita da una serie di colline separate da brevi valli più o meno profonde, e dagli impluvi di torrenti che scendono verso la piana pistoiese fino a confluire nell’Ombrone, forma uno scenario naturale ravvicinato che inquadra la città, la cinge, e ne costituisce la cornice naturale, dietro ad esso le cime più alte si aprono tratto tratto verso i valichi che menano verso nord e le colline stesse si presentano oggi come un vasto affresco paesistico i cui toni di colore sono dati dalle colture agricole, in massima parte oliveti, intersecate da lunghi filari di cipressi che accompagnano il tessuto stradale, e da macchie cupe di boschi misti di quercia, pino e cipresso che sono rimasti abbarbicati sui terreni meno fertili e più declivi..”

12.2. Va subito chiarito, come correttamente precisato dal giudice di prima istanza, che il fatto che l’immobile sia stato acquistato da una procedura fallimentare non esenta dall’obbligo di ottenere la sanatoria edilizia per gli immobili abusivi trasferiti in base alle procedure concorsuali. Invero, l’art. 40 della legge n. 47 del 1985 applicabile “ratione temporis”, stabiliva un termine perentorio ai fini della presentazione dell’istanza di sanatoria per le opere abusive relative a immobili assoggettati a procedure esecutive, senza che da ciò possa desumersi un favor per l’aggiudicatario ai fini della concessione.

Inoltre, come ribadito in più occasioni da questo Consiglio di Stato (ex multis, Cons. Stato n. 1996 del 2017), la vendita all’asta di un immobile nell’ambito della procedura espropriativa non importa l’effetto sanante degli eventuali illeciti edilizi realizzati.

12.3. Ciò premesso, l’appellante deduce sostanzialmente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, precisando, anche con memoria, che l’atto omette qualsiasi raffronto concreto tra l’intervento oggetto di sanatoria ed il vincolo che grava sull’area, giungendo a negare la domanda sulla base di affermazioni stereotipate che si sostanziano in una mera astratta valutazione. Né tale inconsistenza della motivazione potrebbe essere superata, come pretenderebbe la sentenza impugnata, dalle considerazioni relative alla documentazione fotografica agli atti, che non sarebbe stata affatto richiamata dal provvedimento impugnato.

L’assunto non può essere condiviso.

Il Comune di Pistoia ha respinto la richiesta di condono, sulla base del seguente rilievo: “Visto il parere della C.C.E.I. che nella seduta del 6.7.2000 respingeva l’istanza in oggetto in quanto ‘trattasi di strutture precarie inaccettabili dal punto di vista del decoro ambientale e che comunque non si inseriscono coerentemente nel contesto ambientale”.

Orbene, il Collegio rammenta che è pacifico l’orientamento giurisprudenziale per cui, in presenza di vincoli insistenti sul territorio, come è nel caso in esame, non è il provvedimento di diniego, ma quello di assenso alle modificazioni del territorio a richiedere una congrua motivazione che dia conto delle ragioni che rendono possibile la prevalenza di un interesse diverso da quello tutelato in via primaria dalla previsione del vincolo (cfr. Cons.Stato, Adunanza Plenaria, 14 dicembre 2001, n. 9).

Nella fattispecie, il parere della Commissione Edilizia Integrata è adeguatamente motivato, rendendo chiare le ragioni della valutazione negativa dell’impatto ambientale del manufatto, atteso che le opere consistono in strutture precarie inaccettabili dal punto di vista del decoro ambientale, che non potrebbero inserirsi nel contesto paesaggistico circostante.

Secondo l’indirizzo prevalente di questo Consiglio “non è illegittima una motivazione, anche succinta, di un diniego di sanatoria (al quale ben può equipararsi una dichiarazione di irricevibilità della domanda di sanatoria) di opere in quanto nel sistema non è ravvisabile a carico dell’amministrazione l’obbligo di indicare, in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con il paesaggio nella bellezza di insieme tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato, anche per la rilevanza costituzionale che il primo presenta ex art. 9 Cost.”(Cons. Stato, sez. VI, 13 settembre 2010, n. 6572; Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre 1999 n. 1587; Cons. Stato, sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5463).

Dunque, non incombeva all’Amministrazione alcun obbligo di stabilire prescrizioni per rendere compatibili dal punto di vista ambientale gli interventi edilizi realizzati abusivamente e la motivazione del provvedimento impugnato, che richiama il parere negativo della CEI, si iscrive coerentemente nella giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui: “ai sensi dell’art. 31 e ss. della L. 47/85, il parere negativo formulato dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ha valore vincolante e preclusivo del procedimento di condono edilizio. Tale parere può essere sinteticamente motivato nel riferimento alla descrizione delle opere e alle circostanze nelle quali le stesse sono collocate, essendo la difesa del paesaggio valore costituzionale primario” (Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2018, n. 6276).

12.4. Quanto alle critiche prospettate con riferimento ad una assunta disparità di trattamento, in relazione ad altre opere edilizie insistenti sul medesimo sito, il Collegio nota che la società ricorrente non ha dimostrato quell’assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole disparità di trattamento che le sarebbe stato riservata, di cui la giurisprudenza di questo Consiglio richiede che venga fornita dall’interessato una prova rigorosa, fermo restando che “la legittimità dell’operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione” (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323; Cons. Stato, sez. VI, 11 giugno 2012, n. 3401).

12.5. E’, infine, infondata anche la doglianza espressa sulla tecnica motivazionale della sentenza adottata dal giudice di prima istanza, basata sul richiamo per relationem di precedenti giurisprudenziali senza indicazione dei loro estremi. Ciò in ragione del fatto che il rinvio all’indirizzo prevalente (o precedenti conformi ex art. 118 disp. att. c.p.c.) della giurisprudenza sui temi trattati non impone lo specifico riferimento ai precedenti giurisprudenziali richiamati, quando, come nella specie, la condivisione delle decisioni è avvenuta attraverso un autonomo esame critico dei motivi di impugnazione.

13. In definitiva, l’appello va respinto, e la sentenza impugnata va confermata.

14. Le spese del presente giudizio seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite del grado a favore del Comune di Pistoia, che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2022, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9.6.2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6.8.2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Massimiliano Tarantino, Presidente FF

Dario Simeoli, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Thomas Mathà, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore