Consiglio di Stato Sez. VI n. 4013 del 16 agosto 2017
Urbanistica.Sanzione pecuniaria in luogo della demolizione

L'art. 34 TU edilizia va interpretato, in modo coerente con la valenza derogatoria della disposizione rispetto alla regola generale della demolizione degli interventi e delle opere realizzati ”in difformità”, nel senso che la sanzione pecuniaria si applica soltanto se sia oggettivamente impossibile procedere alla demolizione. Affinché possa trovare applicazione la sanzione pecuniaria deve risultare cioè in modo inequivoco che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso. La sanzione pecuniaria prevista dal secondo comma dell’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 per gli interventi in parziale difformità dal titolo edilizio deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi prevista dal primo comma: è perciò applicabile solo quando sia «oggettivamente impossibile» procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, per le sue conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio


Pubblicato il 16/08/2017

N. 04013/2017REG.PROV.COLL.

N. 06856/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6856 del 2016, proposto dai signori Maria Michelacci, Monica Michelacci e Luigi Ferretti, rappresentati e difesi dagli avvocati Vittorio Paolucci e Massimo Letizia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Letizia in Roma, via Monte Santo, n. 68;

contro

il Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giulia Carestia, Maria Montuoro e Giorgio Stella Richter, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giorgio Stella Richter in Roma, via Orti della Farnesina, n. 126;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna, Sede di Bologna, Sez. II, n. 78 del 2016, resa tra le parti, concernente la declaratoria di inefficacia di una SCIA (segnalazione certificata di inizio di attività) in sanatoria e la demolizione coattiva di un manufatto;


Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Bologna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 6 luglio 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti l’avvocato Massimo Letizia per gli appellanti e l’avvocato Giorgio Stella Richter per il Comune appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Giunge in decisione l’appello proposto dai signori Michelacci e Ferretti contro la sentenza n. 78 del 2016, con la quale il Tribunale amministrativo regionale dell’Emilia –Romagna – Sede di Bologna ha respinto, con spese a carico, i ricorsi, riuniti, proposti dai ricorrenti stessi.

In primo grado, è stato dapprima proposto il ricorso n. RG 673 del 2012, diretto contro:

- il provvedimento del Comune di Bologna del 19 aprile 2012, di «declaratoria di inefficacia della SCIA a sanatoria PG n. 262716/2011», presentata nel 2011 dai proprietari di un fabbricato (sito in Bologna, Via Siepelunga, 6, situato nella zona pedecollinare della Città, sottoposta a vincolo paesaggistico con d. m. del 4 febbraio 1955), per la chiusura di un portico al piano seminterrato allo scopo di realizzarvi una camera di letto;

- la precedente comunicazione n. PG 280443 del 2 dicembre 2011 e, ove del caso, l’art. 14 delle Schede tecniche di dettaglio del Regolamento Urbanistico Edilizio (RUE) del Comune.

E’ stato poi proposto il ricorso n. RG 597 del 2014, avverso:

- l’ordinanza comunale di demolizione coattiva del 14 maggio 2014, riferita sia al manufatto oggetto della SCIA a sanatoria del 2011, dichiarata inefficace con il provvedimento del 19 aprile 2012, e sia all’opera abusiva realizzata al primo piano dell’edifico e consistita nella chiusura di una terrazza con un ampliamento fuori sagoma;

- la nota comunale del 23 aprile 2014, con la quale era stato concluso in termini negativi per i ricorrenti il procedimento relativo alla richiesta di applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001;

- la precedente nota comunale del 6 febbraio 2014;

- il d. m. del 4 febbraio 1955, di apposizione del vincolo paesaggistico.

2. Con la sentenza impugnata il Tar, in sintesi, per quanto riguarda il primo ricorso ha ritenuto esistente il contrasto rilevato dal Comune tra le opere realizzate, vale a dire la chiusura con infissi del porticato nel seminterrato, e il R.U.E., il quale ha ad oggetto la disciplina della superficie utile (S.U.) e della superficie accessoria (S.A.), e che all’art. 14 ammette la trasformazione da S.A. a S.U. solo per «logge chiuse su tre lati…esistenti alla data di entrata in vigore del PSC», con esclusione della possibilità di sanare interventi similari effettuati, come nel caso in esame, su porticati.

Dopo avere rilevato che la normativa applicabile è eccezionale e come tale di stretta interpretazione, il giudice di primo grado ha evidenziato che la tesi del Comune, nella parte in cui distingue la «loggia» dal «porticato», trova conferma nella sentenza dello stesso Tar n. 461 del 2012, confermata in appello con la decisione di questa Sezione n. 4089 del 2013, pronunciata nei confronti degli stessi ricorrenti odierni, e i cui passaggi motivazionali più salienti vengono trascritti (v. da pag. 6 a pag. 10 sent.).

Infatti, con la sentenza n. 461/2012, il TAR ha deciso «un’altra controversia “inter partes”, avente a oggetto un diniego parziale di condono edilizio ex d. l. n. 269 del 2003 riguardante non solo l’intervento in questione ma anche altri interventi, ugualmente abusivi, realizzati dai ricorrenti nello stesso fabbricato: sicché “l’accertato, effettivo contrasto tra l’intervento oggetto di SCIA in sanatoria e la disciplina del vigente RUE di Bologna determina il venire meno di ogni interesse della ricorrente per le altre censure del ricorso», in quanto dirette ad aggredire il provvedimento impugnato, «plurimotivato», che si regge su una ragione giustificativa effettivamente sussistente, come si è visto basata «sul contrasto tra la SCIA in sanatoria e l’art. 14 del R.U.E.».

Circa il ricorso n. RG 597 del 2014, per quanto in questa sede rileva, il Tar ha osservato che «il Comune ha dato espresso e motivato riscontro negativo all'istanza dei ricorrenti di mutamento della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, relativamente all'abuso consistente nella chiusura di un terrazzo al primo piano dello stesso fabbricato sito in via Siepelunga, con esso valutando la piena fattibilità dell'operazione di demolizione del manufatto abusivo senza arrecare pregiudizio alla parte legittimamente realizzata del fabbricato. Tale provvedimento, datato 6.2.2014 e pervenuto agli odierni ricorrenti in data 12.2.2014 … è stato da costoro impugnato unicamente con il presente gravame, notificato al Comune di Bologna in data 25.6.2015 e, quindi, ben oltre il termine decadenziale di sessanta giorni previsto dal Cod. proc. amm… Infine, … nessuna rilevanza può avere, al fine di porre rimedio alla accertata tardività della censura impugnativa di tale atto, l'argomentazione con cui si segnala la successiva nota comunale in data 23.4.2014 … con la quale il Comune, a riscontro di un'istanza di riesame presentata dai ricorrenti, con atto meramente confermativo del diniego opposto con la predetta nota 6.2.2014, ha pedissequamente ribadito, in assenza di nuovi elementi, le ragioni ostative alla trasformazione della sanzione» demolitoria in sanzione pecuniaria.

In sentenza sono stati poi ritenuti inammissibili, avendo i ricorrenti impugnato «un atto oggettivamente scollegato ed estraneo ai procedimenti in riferimento ai quali i ricorrenti hanno agito» in giudizio, i motivi aggiunti del 9 maggio 2015 proposti contro la nota del 26 marzo 2015, con la quale il Comune, a detta dei ricorrenti medesimi, aveva «risposto negativamente alla loro richiesta di pre-parere tecnico formulata in data 28 novembre 2014, concernente sempre la questione circa l'attuale possibilità o meno di demolire il manufatto abusivo al primo piano realizzato mediante chiusura di una terrazza, senza pregiudicare la parte del fabbricato legittimamente realizzata».

Viene infatti in questione – si legge in sentenza - una «mera richiesta di "sottoporre ad esame la relazione di perizia extra giudiziale a firma dell'ing. Aldo Barbieri allegatae della conseguente formulazione di una risposta, da parte dell'amministrazione che, per le suddette ragioni, oltre ad essere privo di qualsivoglia efficacia lesiva, nemmeno determina un arresto procedimentale».

3. Nell’atto d’appello (composto da 64 pagine e che per la sua mole si è discostato dal principio affermato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a.), gli appellanti, dapprima, hanno riassunto i termini della vicenda, amministrativa e processuale di primo grado, svoltasi a partire dal 2011 (v. da pag. 3 a pag. 31 ric. app.).

Quindi (v. da pag. 32 ric. app.), gli interessati hanno contestato, con numerosi motivi, le statuizioni e i singoli passaggi motivazionali della sentenza del TAR, deducendo anche il vizio di «omessa pronuncia» da parte del giudice di primo grado, in relazione a taluni affermazioni formulate in primo grado, e riproponendo inoltre integralmente le doglianze già dedotte, con riguardo anche alla mancata applicazione dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, sul mutamento della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, in relazione «alla chiusura della terrazza al primo piano», contestando in particolare l’affermazione del Comune, e del TAR, sulla fattibilità della operazione di demolizione del manufatto abusivo senza arrecare pregiudizio alla parte del fabbricato realizzata in modo legittimo.

Parte appellante ha poi criticato la sentenza impugnata, laddove il TAR ha giudicato il ricorso principale irricevibile per tardività con riferimento all’atto, datato 6 febbraio 2014, pervenuto ai ricorrenti il 12 febbraio 2014 e gravato con ricorso notificato al Comune di Bologna il 25 giugno 2015, vale a dire oltre un anno dopo la comunicazione dell’atto, ritenuto lesivo, contenente, per il TAR (v. pag. 11 sent.), un «espresso e motivato riscontro negativo alla istanza dei ricorrenti di mutamento della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria, relativamente all’abuso consistente nella chiusura di un terrazzo al primo piano del fabbricato».

Tale atto, viceversa, per gli appellanti non aveva i contenuti di un diniego e doveva considerarsi privo di valenza provvedimentale.

Inoltre, per gli appellanti non risponde al vero che la successiva nota comunale del 23 aprile 2014 dovesse essere qualificata come atto meramente confermativo, come tale non impugnabile, rispetto al diniego del 6 febbraio 2014.

I vizi dedotti – si soggiunge con l’appello - si ripercuotono sull’ordinanza di demolizione.

Il Comune di Bologna si è costituito per resistere e ha controdedotto in modo ampio, concludendo per il rigetto del gravame.

L’istanza cautelare è stata accolta dalla Sezione con l’ordinanza n. 4857 del 2016, «per giungere alla definizione del giudizio re adhuc integra».

In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato memorie.

In particolare, dalla memoria di parte appellante del 1° giugno 2017, e dai documenti depositati, si ricava che nel 2016 il R.U.E. è stato modificato in senso favorevole ai privati e che, con riferimento alla questione relativa alla chiusura del portico nel seminterrato, dapprima gli appellanti hanno ottenuto, in data 23 dicembre 2016, l’accertamento di compatibilità paesaggistica riferito all’intervento in discussione; poi, il 3 febbraio 2017, hanno presentato al Comune una nuova SCIA a sanatoria per la chiusura anzidetta, SCIA che l’Amministrazione, con atto del 14 marzo 2017, ha considerato valida, richiedendo soltanto il versamento di una somma, aggiuntiva, di € 1.121, a titolo di contributo di costruzione e di sanzione afflittiva.

«Quanto sopra», – si afferma in memoria - «comprova la fondatezza delle ragioni vantate dai ricorrenti, e -per questa parte del giudizio d'appello afferente al giudizio di primo grado al Tar n. R.G. n.673/2012 col quale era stato impugnato il provvedimento del Comune del 19.4.2012 di declaratoria di inefficacia della SCIA presentata per la chiusura del porticato posto al piano seminterrato- la relativa cessazione della materia del contendere, con conseguente decadenza e/o inefficacia (quantomeno “pro parte”) dell'ordinanza di demolizione coattiva impugnata».

Gli appellanti hanno poi insistito in ordine all’accoglimento del ricorso al TAR n. RG 597/2014 e alla conseguente riforma in parte qua della sentenza, dato che sussisterebbero i presupposti per applicare la sanzione pecuniaria in luogo della eliminazione della chiusura del terrazzo posto al primo piano.

Al riguardo, parte appellante ribadisce tra l’altro che la controversia non può essere decisa senza disporre una C.T.U. o, quantomeno, una verificazione; e che l’accoglimento del motivo comporta riflessi, in termini di decadenza o di inefficacia, nei riguardi dell’ordinanza di demolizione del 14 maggio 2014.

Il Comune ha replicato alle deduzioni di parte appellante.

Quanto in particolare all’intervento di chiusura del porticato nel seminterrato, per il Comune lo svolgersi degli eventi giustifica non una dichiarazione di cessazione parziale della materia del contendere, ma unicamente una dichiarazione di improcedibilità parziale del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, dal che non possono non discendere conseguenze sulle spese del giudizio.

Restano ferme la correttezza della decisione del Tar, anche per non avere accolto la richiesta istruttoria dei ricorrenti di disporre una CTU o una verificazione allo scopo di accertare l’esistenza delle condizioni per ammettere gli interessati al pagamento di una sanzione pecuniaria, in luogo della demolizione dell’opera abusiva realizzata al primo piano (vale a dire l’ampliamento fuori sagoma effettuato con la chiusura della terrazza mediante la installazione di profilati in vetro e alluminio); e la legittimità dell’ordinanza di demolizione coattiva nella parte in cui essa si riferisce all’intervento abusivo non sanabile realizzato al primo piano.

4. L’appello in parte dev’essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse degli appellanti alla decisione e in parte va respinto poiché infondato.

4.1. Va premesso che in alcuni suoi punti l’atto di appello non è intellegibile, sia a causa della sua eccessiva prolissità, sia a causa della mancanza, nel testo digitale e nella versione cartacea, delle pagine 60 e 61.

4.2. Per quanto attiene alla chiusura del porticato nel seminterrato, sulla quale si incentrano quasi tutte le censure formulate nel ricorso in appello – sia in via diretta, contro il corrispondente capo della sentenza gravata, e sia mediante la riproposizione pedissequa dei motivi dedotti in primo grado, come si è anticipato sopra, al p. 2, dagli atti e documenti del giudizio depositati in prossimità dell’udienza di discussione emerge che:

- soltanto nel 2016 il R.U.E. è stato modificato in senso favorevole alla parte privata, nel senso cioè di ammettere, a determinate condizioni, la chiusura dei portici al piano terra;

- gli appellanti hanno chiesto e ottenuto, in data 23 dicembre 2016, l’accertamento di compatibilità paesaggistica riferito all’intervento in discussione;

- il 3 febbraio 2017 hanno presentato al Comune una nuova SCIA a sanatoria per la chiusura anzidetta;

- l’Amministrazione comunale, con atto del 14 marzo 2017, ha considerato sussistenti i presupposti per tale SCIA, richiedendo soltanto il versamento di una somma, aggiuntiva, di € 1.121, a titolo di contributo di costruzione e per sanzione afflittiva.

Pertanto, diversamente da quanto sostengono gli appellanti, e conformemente a quanto ritiene il Comune nella memoria di replica del 12 giugno 2017, risulta evidente come nella fattispecie venga in rilievo non una cessazione parziale della materia del contendere, quanto invece una parziale improcedibilità del ricorso e dell’appello, per sopravvenuto difetto di interesse, a seguito del rinnovato esercizio del potere amministrativo, posto che i ricorrenti hanno ottenuto l’utilità sostanziale perseguita in presenza di una normativa regolamentare di riferimento medio tempore mutata.

Ovviamente, la statuizione di improcedibilità parziale per sopravvenuta carenza di interesse si riverbera sull’ordine di demolizione, nella parte in cui esso si riferisce alla eliminazione della chiusura del porticato nel seminterrato.

Dalla produzione degli effetti della SCIA sopra richiamata e dalla declaratoria di improcedibilità parziale, consegue il venire meno, in parte qua, degli effetti dell’ordinanza di demolizione del 14 maggio 2014, nella parte in cui essa riguarda la chiusura anzidetta.

4.3. Va esaminata adesso la correttezza delle statuizioni della sentenza relative alle opere di chiusura della terrazza al primo piano, con la installazione di profilati in vetro e in alluminio, e con un conseguente ampliamento fuori sagoma, il che ha comportato, a quanto consta, un incremento di volumetria di circa 82 mc, in relazione alla possibilità, o meno, di applicare alle medesime opere la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria, ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380 del 2001, in base al quale «gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell'abuso».

«2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale».

«2-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione di inizio attività».

In proposito, va puntualizzato in via preliminare che la nota comunale del 23 aprile 2014, qualificata dal Tar come atto meramente confermativo del diniego del 6 febbraio 2014, si riferisce non all’intervento di chiusura del terrazzo al primo piano, quanto invece alla chiusura del porticato nel seminterrato (cfr. ord. di demolizione del 14.5.2014).

Ciò posto, questo Collegio d’appello considera corrette sia la statuizione del Tar di irricevibilità del ricorso in parte qua, a causa della impugnazione intempestiva della comunicazione n. 35350 del 6 febbraio 2014, contenente la risposta alla domanda di irrogazione della sanzione pecuniaria in luogo del ripristino dello stato dei luoghi per l’intervento al primo piano, e sia l’asserzione, sia pur sinteticamente svolta in sentenza, secondo la quale ai ricorrenti è stata data, dal Comune, una motivata risposta negativa in ordine al mutamento della sanzione da quella demolitoria a quella pecuniaria, ex art. 34, comma 2, cit. , avendo l’Amministrazione legittimamente valutato come fattibile la demolizione dell’intervento abusivo al primo piano, senza che ciò arrecasse pregiudizio alla parte del fabbricato eseguita in conformità.

Sul primo punto, il Comune, con la comunicazione del 6 febbraio 2014, aveva risposto ai ricorrenti, negando l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, con riferimento alla «veranda sul terrazzo al primo piano», motivando come segue: «l’art. 34 del DPR 380/2001 ammette (l’applicazione della sanzione pecuniaria in luogo della demolizione) solo quando “la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. La relazione tecnica allegata riporta che la demolizione della copertura del terrazzo, pur non costituendo un pericolo per l’intero edificio, costituirebbe un indebolimento della struttura per l’accumulo di neve e in caso di sisma. Non sembra quindi che ricorrano le puntuali condizioni richieste dalla norma per applicare la sanzione alternativa. Si rammenta inoltre che, trattandosi di zona sottoposta a tutela in base all’art. 142 del d. lgs. n. 42/2004, l’accertamento di compatibilità paesaggistica può avvenire solo per le opere previste dal comma 4 dell’art. 167, quindi non per aumenti di volume e pertanto non risulterebbe applicabile in questa fattispecie».

La qualificazione della nota sopra trascritta come diniego è senz’altro corretta.

La natura di motivata reiezione della istanza risulta evidente, sicché la statuizione del TAR sulla tardività della sua impugnazione è corretta e va confermata.

Del resto, in disparte il rilievo difensivo del Comune secondo cui l’assenza dell’accertamento di compatibilità paesaggistica avrebbe comunque precluso l’accoglimento della istanza dei ricorrenti, venendo in discorso la pretesa di mantenere un’opera abusiva in un contesto di pregio paesaggistico, anche andando alla sostanza della questione resta che dalla valutazione – in atti - del tecnico comunale emerge che, per quanto riguarda la chiusura del terrazzo al primo piano, la rimozione dell’abuso non comporterebbe un pregiudizio statico alla porzione legittima del fabbricato (cfr. fasc. P. A. primo grado –ric. n. RG 597/2014).

Pertanto, risulta corretta la valutazione giudiziale di non disporre una CTU o una verificazione, e ciò sul presupposto, solo implicito ma non per ciò meno certo, della non necessità e comunque della non rilevanza del mezzo istruttorio, nel caso particolare.

Al riguardo è corretto, come osserva il Comune appellato, per avvalorare la difendibilità della scelta di non disporre una verificazione o una CTU, che in questa situazione la CTU o la verificazione sarebbero state un aggravamento istruttorio inutile, posto che le perizie prodotte dai ricorrenti non avevano in effetti accertato che la rimozione della chiusura al primo piano avrebbe pregiudicato la parte del fabbricato realizzata legittimamente, ma solo che tale chiusura esercitava un effetto benefico (un contributo migliorativo al comportamento dinamico della porzione di edificio legittima), senza però che della permanenza di tale chiusura si attestasse la necessità in termini strutturali.

Ora, se è innegabile che qualunque struttura sia utile a sostenere quella sovrastante, risulta parimenti evidente che il citato art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 subordina il mantenimento dell’opera abusiva, ferma l’applicazione della sanzione pecuniaria, alla condizione che la rimozione dell’intervento pregiudichi la stabilità della porzione di fabbricato legittimamente costruita.

In definitiva, la valutazione compiuta in via amministrativa in ordine alla insussistenza dei presupposti per ammettere la proprietà al pagamento della sanzione pecuniaria in luogo della eliminazione della volumetria abusiva risulta essere stata formulata in maniera motivata e non irragionevole, e l’apprezzamento del primo giudice in ordine alla non ammissione della CTU o della verificazione risulta non irragionevolmente esercitato.

Del resto, il citato art. 34 va interpretato, in modo coerente con la valenza derogatoria della disposizione rispetto alla regola generale della demolizione degli interventi e delle opere realizzati ”in difformità”, nel senso che la sanzione pecuniaria si applica soltanto se sia oggettivamente impossibile procedere alla demolizione.

Affinché possa trovare applicazione la sanzione pecuniaria deve risultare cioè in modo inequivoco che la demolizione, per le sue conseguenze materiali, inciderebbe sulla stabilità dell'edificio nel suo complesso: la sanzione pecuniaria prevista dal secondo comma dell’art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 per gli interventi in parziale difformità dal titolo edilizio deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi prevista dal primo comma: è perciò applicabile solo quando sia «oggettivamente impossibile» procedere alla demolizione delle parti difformi senza incidere, per le sue conseguenze materiali, sulla stabilità dell’intero edificio (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1484; Sez. VI, 9.4.2013 n. 1912).

La sentenza impugnata va dunque confermata laddove considera immune dalle censure dedotte l’ordinanza di demolizione del 14 maggio 2014, in quanto riferita all’intervento eseguito al primo piano.

E va altresì confermata anche laddove considera inammissibili i motivi aggiunti incentrati sulla impugnazione della nota di risposta alla richiesta del c. d. pre–parere tecnico.

5. L’appello, in conclusione, va in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse e in parte va respinto.

Nondimeno, le suesposte peculiarità della vicenda giustificano in via eccezionale la compensazione delle spese del grado del giudizio per la metà.

Per la restante metà le spese seguono la soccombenza come di regola e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6856 del 2016, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse e in parte lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata, nei sensi indicati in motivazione.

Compensa per metà le spese del secondo grado del giudizio, mentre per la restante metà gli appellanti vanno condannati in solido a rimborsarle al Comune di Bologna: spese che si liquidano nella misura complessiva così ridotta di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre a IVA e a CPA.

Si dispone che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 luglio 2017, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Marco Buricelli        Luigi Maruotti