Consiglio di Stato Sez. VI n. 2208 del 6 marzo 2024 
Urbanistica.Valutazione unitaria del complesso delle opere abusive

La valutazione unitaria del complesso delle opere non dipende dalla circostanza che le stesse siano o meno realizzate contestualmente, ben potendo i manufatti essere considerati unitariamente anche quando vengono posti in essere per addizione. Né la circostanza che potenzialmente possano essere di fatto impiegate per scopi distinti assume un qualche rilievo, dal momento che in sede edilizia la valutazione unitaria delle opere dipende dalla loro collocazione, dall’appartenenza allo stesso soggetto, nonché dalla destinazione comune dei manufatti, ponderazione quest’ultima da farsi in astratto, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio. L'amministrazione comunale, pertanto, deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell'intervento finalizzata all'elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.

Pubblicato il 06/03/2024

N. 02208/2024REG.PROV.COLL.

N. 00911/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 911 del 2021, proposto da
Videa Studios Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paola Conticiani, Federico Tedeschini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, largo Messico, n. 7;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Umberto Garofoli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
Ente Regionale Parco Naturale Veio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) n. 14152/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Ente Regionale Parco Naturale Veio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 febbraio 2024 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Federico Tedeschini e Umberto Garofoli.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso integrato da motivi aggiunti proposto dinanzi al Tar Lazio l’odierno appellante invocava l’annullamento: a) dell’ordinanza di demolizione n.797 del 9 aprile 2019 dell’Ente Parco di Veio; b) dell’ordinanza di demolizione n.1081 del 25 giugno 2019 di Roma Capitale (motivi aggiunti depositati il 18 settembre 2019); c) del silenzio-diniego formatosi sull’istanza di sanatoria edilizia del 27 giugno 2019 (motivi aggiunti depositati il 12 novembre 2019); d) del diniego di sanatoria edilizia n.20287 del 7 febbraio 2020 di Roma Capitale (motivi aggiunti depositati l’11 giugno 2020).

2. La vicenda fattuale che fa da sfondo al presente contenzione può essere riassunta nel modo che segue.

2.1. Con provvedimento n. 797 del 9 aprile 2019 l’Ente Parco di Veio ingiungeva alla Videa Studios s.p.a., quale proprietaria del compendio immobiliare sito in via Livigno, 50 (Roma – loc. Prima Porta), la sospensione dei lavori e la riduzione in pristino delle opere ivi realizzate in assenza di titoli autorizzativi e del nulla-osta dell’Ente Parco. Trattavasi, nello specifico, di: I) tensostruttura adibita a riprese video con copertura a volta; II) tensostruttura adibita a camerini con copertura a due falde; III) container con cabina elettrica; IV) manufatto in muratura con centrale idrica; V) tensostruttura ad uso falegnameria e magazzino con copertura a due falde; VI) container con wc; VII) container scarrabile; VIII) piscina fuori terra con struttura metallica; IX) gazebo di collegamento tra le due tensostrutture.

Avverso tale provvedimento la società proponeva ricorso dinnanzi al Tar Lazio, deducendo la violazione nonché l’eccesso di potere sotto sotto plurimi profili, facendo leva soprattutto sulla natura pertinenziale delle opere realizzate.

2.2. Con atto depositato in data 12 novembre 2019, la ricorrente presentava motivi aggiunti avverso il silenzio-diniego formatosi sull’istanza di sanatoria edilizia presentata in data 27 giugno 2019 ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n.380 del 2001.

2.3. Autonoma ordinanza di demolizione avente ad oggetto le stesse opere veniva adottata da Roma Capitale con provvedimento n.1081 del 25 giugno 2019, impugnato a sua volta.

2.4. Roma Capitale rigettava in seguito l’istanza di sanatoria edilizia con provvedimento espresso (n. 20287 del 7 febbraio 2020), segnalando che si era in presenza di opere abusive, prive del nulla-osta dell’Ente Parco, mancanti del parere sul vincolo idrogeologico presente in loco, in area soggetta a vincolo paesaggistico, con relativo accertamento di compatibilità non rilasciabile, avendo l’intervento comportato creazione di superficie utile e volumetria, con alcuni locali poi privi dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria.

Suddetto provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti dell’11 giugno 2020.

3. Con la sentenza indicata in epigrafe il giudice di prime cure ha respinto il ricorso.

4. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originario ricorrente che ne chiede la riforma, lamentandone l’erroneità per le seguenti ragioni.

4.1. Con il primo motivo d’appello è censurata la sentenza nella parte in cui il Giudice ha ritenuto che le opere realizzate “rappresentano un intervento, all’interno del Parco di Veio, di notevolissime dimensioni, da considerarsi unitario, in quanto composto di opere tutte funzionalmente volte alla produzione di una serie televisiva […] in onda da anni e ormai giunta alla sua quinta stagione, con profonda alterazione dunque e in modo permanente dello stato dei luoghi, di pregio ambientale e paesaggistico”.

L’appellante sostiene invece che gli interventi realizzati non possono essere considerati unitari perché: a) non realizzati contestualmente; b) autonomamente individuabili e dotati di specifica autonoma funzione.

In ogni caso, avendo natura temporanea e precaria, le opere sarebbero esenti dal permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e 5), DPR n. 380/2001. Infatti, si tratterebbe di opere strettamente ed oggettivamente funzionalizzate a far fronte ad una chiara, unica, e ben individuata esigenza: la realizzazione della soap opera televisiva, di produzione RAI. A conferma della temporaneità delle opere anche la circostanza che la piscina fuori terra sarebbe già stata rimossa.

4.2. Con il secondo motivo d’appello è censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo l’ordine di demolizione stante l’assenza del preventivo nulla–osta dell’Ente Parco ex art. 28, comma 1 della L.R. n. 29 del 1997. Il potere dell’Ente Parco si sostanzierebbe nel vaglio di conformità tra l’attività in esame e le previsioni del piano del parco, del regolamento del parco e (ove si tratti di attività già assentita) del nulla–osta rilasciato. In particolare, la conformità, o meno, alle previsioni del piano del parco e dell’omonimo regolamento non potrebbe essere verificata dal momento che il Parco di Veio sarebbe privo di quelle necessarie fonti regolatorie di riferimento non essendo stato ancora approvato il Piano d’assetto di quell’area naturale protetta che sarebbe stato solo adottato con la risalente Deliberazione del Commissario straordinario, 13 febbraio 2012, n. 5.

Inoltre, il Tar non avrebbe tenuto conto della decadenza delle misure di salvaguardia di cui all’art. 8 della L.R. n. 29 del 1997. L’Ente Parco avrebbe preteso di imporre alla ricorrente regole di tutela, e connesse misure sanzionatorie, derivanti dalla presunta violazione di misure di salvaguardia legali, ormai inefficaci da anni e, quindi, non più cogenti.

Né tale illegittima ultrattività di quella disciplina di salvaguardia può ritenersi ammessa dal rinvio – operato dall’Ente, nell’atto impugnato in primo grado – all’art. 9, comma 2, della L.R. Lazio n. 24/1998.

A tutto voler concedere, l’asserita violazione dell’art. 8, L.R. Lazio n. 29/1997, in tema di misure di salvaguardia, erroneamente invocata dall’Ente Parco ed avallata dal TAR nella sentenza appellata, sarebbe del tutto inconferente oltre che infondata. Ciò in quanto l’art. 8, comma 3, lett. r), L.R. Lazio n. 29/1997, vieta “qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D), ed F) di cui all’articolo 2 del D.M. 2 aprile 1968 del Ministro per i lavori pubblici”.

Sennonché, i provvedimenti impugnati in primo grado – così come il TAR – non si sarebbero avveduti del fatto che l’area di cui è causa è destinata, dal vigente P.R.G. comunale, a zona agricola; si tratta, cioè, di area che, ai sensi del citato art. 2 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, ricade in zona E. Neppure il vincolo paesaggistico ed idrogeologico potrebbe precludere l’intervento, atteso che, contrariamente a quanto rilevato dall’Ente Parco ed avallato erroneamente dal TAR del Lazio, sarebbero infondati i rilievi svolti da detto ente nella ingiunzione di demolizione ai punti b) e c): I) quanto al punto b) non sarebbe applicabile alla fattispecie in esame il divieto, ai sensi dell’art. 46 n.t.a PTP n. 15/ Veio Cesano, “di modificare il rapporto esistente tra aree libere ed edificate”, in quanto tale prescrizione atterrebbe, all’evidenza, all’attività edilizia in senso proprio volta ad introdurre una stabile trasformazione del suolo e non, invece, all’ipotesi in esame in cui le strutture sono ab origine precarie; II) sul punto c) la invocata inedificabilità, ai sensi dell’art. 35, comma 6, n.t.a. del PTPR (peraltro, decaduto per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 240/2020), della fascia di rispetto dei corsi d’acqua per 150 metri, non si applicherebbe al caso in esame, atteso che il comma 7 del citato art. 35 esenta da tale obbligo “le aree urbanizzate esistenti come individuate dal PTPR corrispondenti al paesaggio degli insediamenti urbani”, che è proprio la tipologia zonizzativa che il PTPR attribuisce all’area della società appellante.

4.3. Con il terzo motivo l’appellante lamenta il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine ai motivi articolati avverso il silenzio diniego formatosi sull’istanza ex art. 36 DPR n. 380/2001 e nei confronti del provvedimento espresso di diniego.

L’appellante insiste sulla natura precaria (di alcune) e pertinenziale (delle altre) opere realizzate, con ogni derivata conseguenza sul connesso regime edilizio, poiché nessun titolo è richiesto per legittimare opere precarie, mentre le pertinenze, ai sensi del combinato disposto dell’art. 3, comma 1, lett. e5) ed e6), dell’art. 6, comma 1, lett. e–bis), dell’art. 6–bis, dell’art. 10, comma 1, e dell’art. 22, del d.P.R. n. 380/2001, non richiedono permesso di costruire e possono realizzarsi in ogni zona del territorio comunale, salve le aree (ma ciò non ricorre in specie) soggette a prescrizioni di inedificabilità assoluta.

4.4. Con il quarto motivo l’appellante lamenta che l’Amministrazione non avrebbe potuto definire l’istanza ex art. 36, d.P.R. n. 380/2001, senza aver previamente acquisito tutti gli occorrenti pareri.

Il Comune, ritenendo le opere non suscettibili di favorevole accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 d.lgs, n. 42/2004 stante la creazione di superfici utili o volumi, si sarebbe sostituito, nel formulare il giudizio, alle Autorità competenti in materia. Mentre, nella fattispecie avrebbe dovuto acquisire il parere idrogeologico, quello dell’ente Parco, quello di Roma Natura e quello ex art. 167, d.lgs. n. 42/2004. Né l’amministrazione avrebbe potuto addurre la mancata allegazione di quei pareri all’istanza dell’appellante, quale legittima causa di reiezione per improcedibilità dell’istanza stessa.

Neppure convincerebbe l’ultimo argomento, anch’esso avallato dal TAR, su cui fonda la pretesa improcedibilità dell’istanza ex art. 36, ove si asserisce che vi sarebbero, “nel padiglione B, ambienti con destinazione uffici carenti dei requisiti igienico sanitari, non essendo rispettato l’art. 46 bis del Regolamento Generale edilizio del Comune di Roma”, dato che, in primis, in violazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990, la norma regolamentare invocata richiama più profili e, nel caso in esame, non viene specificato quale di essi sarebbe violato. In ogni caso, l’assunto sarebbe pure affetto da grave travisamento, in fatto e diritto, e da palese difetto d’istruttoria, giacché il progetto all’esame della P.A. non presenterebbe elementi di contrasto con la normativa invocata o, comunque, le presunte violazioni dell’art. 46 bis, sarebbero inidonee ex se a giustificare il definitivo rigetto dell’istanza.

4.5. Con il quinto motivo è censurata la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non rilevante la circostanza che è in corso la realizzazione del Parco tematico, sull’assunto che “si tratterebbe comunque di un Parco dedicato alla storia del cinema e della televisione e non a un complesso unitario di strutture volto alla produzione di una serie televisiva e che in ogni caso la sua realizzazione sarebbe subordinata alla previa favorevole conclusione del relativo procedimento, essendo preclusi interventi a procedura ancora in corso”, dal momento che non sarebbe stato adeguatamente considerato il legittimo affidamento ingenerato nell’odierna appellante.

4. L’Amministrazione Comunale e l’Ente Regionale Parco Naturale di Veio si sono costituiti in giudizio per il rigetto del gravame, argomentando circa la sua infondatezza.

L’Ente Regionale eccepisce l’inammissibilità della produzione documentale depositata in data 20 luglio 2021 per violazione dell’art. 104 c.p.a.

4.1. Dal canto suo l’appellante insiste nelle proprie conclusioni.

5. Con ordinanza n. 7270 del 29 ottobre 2021 (e successiva n. 8235 del 10 dicembre 2021) questa Sezione ha disposto una verificazione al fine di:

“a) descrivere le opere oggetto di contestazione, con gli atti sopra indicati, indicandone la natura sia degli interventi edilizi singolarmente effettuati sia degli interventi valutati unitariamente, indicando il periodo temporale di realizzazione delle singole opere contestate;

b) indicare la natura di tali opere e, in particolare, se esse siano precarie, anche mediante la valutazione della loro destinazione, e se abbiamo valenza pertinenziale, nel senso di accessorietà con altri immobili, tenendo conto dell’impatto sull’assetto del territorio;

c) indicare la “zona” del territorio in cui le opere sono state realizzate, descrivere la natura dei vincoli esistenti e se tali opere siano conformi o difformi rispetto alle prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche vigenti al momento della loro realizzazione e al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità”.

5.1. Acquisita la documentazione necessaria, esperito un sopralluogo in data 26 gennaio 2023 e, infine, analizzata la strumentazione urbanistica e vincolistica agente, in data 19 giugno 2023 l’Ing. Edoardo Cecere, funzionario in servizio presso l’Agenzia del Demanio, appositamente designato dal Direttore della Direzione Roma Capitale (nota prot.n.1327 del 10 febbraio 2022), ha depositato la verificazione richiesta, giungendo alle seguenti conclusioni.

5.2. Con riferimento al quesito di cui alla lett. a), il verificatore ha constatato che trattasi di “un insieme di manufatti di cui tre dalle dimensioni maggiori destinati ad ospitare funzioni specifiche (denominati Teatro di Posa, Camerini, Falegnameria) ed altri cinque di dimensioni notevolmente più piccole destinati ad ospitare locali tecnico-impiantistici, ad uso pertinenziale e strettamente funzionali ai primi. Un ultimo manufatto […] costituito da una vasca fuori terra ad uso piscina, non più presente ma al suo posto, … , è stata realizzata una ulteriore tensostruttura anch’essa adibita a camerini.

Tutti i manufatti sono realizzati tramite strutture metalliche con profili chiusi o aperti di sezione coerente con le dimensioni dei manufatti stessi. Hanno copertura con teli in pvc, tamponature esterne e partizioni verticali e orizzontali interne in pannelli metallici coibentati

[…]

gli interventi definiscono nel loro insieme uno spazio organizzato quale sede di attività lavorative che si esplicano entro fabbricati di notevole dimensione, ove vengono svolte le funzioni principali, affiancati da fabbricati più piccoli di tipo pertinenziale/tecnico-funzionale.

Relativamente all’inizio delle attività di realizzazione dei manufatti, quanto esperito ha permesso di individuare l’aprile 2018 quale periodo di inizio degli interventi, durante il quale, stante le immagini acquisite presso il portale Google Earth Pro, risulta in corso l’attività di realizzazione della vasca fuori terra e delle sistemazioni del terreno per realizzare il piano di posa per la tensostruttura più grande. Le medesime immagini satellitari danno evidenza che l’anno successivo, alla data del 01/07/2019, sono presenti tutti i manufatti come verificati alla data del sopralluogo della Polizia di Roma Capitale del 16/01/2019. Le ricerche effettuate hanno evidenziato la mancanza di documentazione agli atti e di immagini satellitari relative al periodo compreso tra l’aprile 2018 ed il gennaio 2019 pertanto non è risultato possibile determinare con maggiore esattezza il periodo di realizzazione di ogni singolo manufatto”.

5.3. Con riferimento al quesito di cui alla lettera b), avente ad oggetto la natura delle opere, il verificato ha ritenuto che “i manufatti oggetto di interesse, ed in particolare i principali denominati Teatro di Posa, Camerini e Falegnameria, pur essendo realizzati con sistemi costruttivi metallici e coperture in teli di pvc, tali da poter essere smontati e anche riutilizzati, non possono comunque essere considerati di tipo “precario”, in quanto caratterizzati da dotazioni impiantistiche e finiture specifiche affinché in essi possano efficacemente esplicarsi le funzioni e gli usi per i quali sono stati realizzati.

Questi fabbricati hanno inoltre comportato la modifica dell’assetto vegetazionale e geomorfologico esistente e necessitato di numerose lavorazioni a terra, […] (che) unitamente ai fabbricati stessi ed alle opere impiantistiche ed infrastrutturali poste in essere, hanno alterato e modificato, antropizzandolo, il contesto naturale ove si sono inseriti.

Per questi motivi, per la specificità di sistemi costruttivi, dotazioni impiantistiche e materiali impiegati nonché per i relativi costi e per quelli di sistemazione delle aree circostanti, si ritiene che i fabbricati principali assolvano a funzioni di tipo continuativo in quanto in essi si svolgono funzioni specifiche proprie dell’attività imprenditoriale svolta dalla Videa Studio spa.

Il verificatore ha poi escluso che gli interventi realizzati possano essere assimilati “alle opere di cui all’art.6 lett. e) bis del D.P.R. n.380/2001 e s.m.i. per le quali […] è consentita la realizzazione senza l’acquisizione di alcun titolo abilitativo. I fabbricati rilevati e descritti, per l’uso e le funzioni che vi si svolgono, non sono opere stagionali né risultano dirette “a soddisfare obiettive esigenze, contingenti e temporanee”, consentite “purché destinate ad essere immediatamente rimosse al cessare della temporanea necessità e, comunque, entro un termine non superiore a 75 novanta giorni”.

5.4. Relativamente al quesito di cui alla lett. c), per mezzo del quale è chiesto di indicare la “zona” del territorio in cui le opere sono state realizzate, descrivere la natura dei vincoli esistenti e se tali opere siano conformi o difformi rispetto alle prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche vigenti al momento della loro realizzazione e al momento della presentazione della domanda di accertamento di conformità, il verificatore ha accertato quanto segue: “Il PRG di cui alla D.C.C. n.18 del 12/02/2008 come rappresentato nel “Disegno definitivo degli elaborati prescrittivi Sistemi e Regole e Rete Ecologica del PRG ‘08” approvato con Del. n.48 del 07/06/2016, vigente all’epoca di realizzazione dei manufatti ed anche alla data della presentazione della domanda di accertamento, fa ricadere le aree di intervento entro le “Aree naturali protette nazionali e regionali” facenti parte del Sistema Ambientale Agricolo. Per esse valgono le indicazioni di cui all’art.69 delle NTA nonché le prescrizioni di cui all’art.72 dettate dalla “Rete Ecologica” per le aree facenti parte dell’Agro Romano, di cui si è detto diffusamente e dettagliatamente al precedente paragrafo. Dal punto di vista dei vincoli agenti le aree sono tutelate paesaggisticamente per l’azione dei vincoli ope legis di cui all’art.142 del D.Lgs 42/2004 co.1 lett.c) correlato alla protezione dei corsi d’acqua di cui al Regio Decreto n.1775/1933 - Fosso della Torraccia 76 e relativa fascia di rispetto di 150m ed a quanto descritto alla lett.f) protezione dei parchi e delle riserve naturali istituite dalla LR 29/97 – Parco Naturale Regionale di Veio.

All’epoca della realizzazione dei manufatti così come alla data della presentazione della domanda di accertamento di conformità, le indicazioni e prescrizioni di tutela risultavano dettate dagli elaborati grafici e normativi del PTP n.15/7 Veio-Cesano e laddove più restrittive dagli elaborati grafici e normativi del PTPR della Regione Lazio che in quel periodo risultava essere adottato nonché alle ulteriori indicazioni della LR 29/97 come richiamate nel Piano di Assetto del Parco Naturale Regionale di Veio, anch’esso adottato.

All’epoca della realizzazione dei manufatti così come alla data della presentazione della domanda di accertamento di conformità, sulle aree agiscono regimi di tutela anch’essi vincolanti, correlati ai rischi idrogeologico e sismico che pongono limitazioni all’edificazione ed alle relative modalità costruttive.

Relativamente al primo gran parte delle aree di interesse ricadono in ambiti a Rischio 3 del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico del Bacino del Fiume Tevere. Rispetto alla Classificazione sismica, le aree ricadono in Zona Sismica 3A".

Delineata così la natura dei vincoli, il verificatore ha ritenuto che “i fabbricati realizzati non risultano conformi né alle prescrizioni urbanistiche né a quelle paesaggistiche vigenti sia alla data di realizzazione dei manufatti che alla data della domanda di accertamento di conformità”.

6. In vista dell’odierna udienza entrambe le amministrazioni appellate nelle loro memorie evidenziano come la relazione di verificazione confermi la legittimità dei provvedimenti impugnati.

7. L’appello è infondato e non merita di essere accolto.

7.1. Quanto al primo motivo di appello non merita condivisione la tesi dell’appellante secondo la quale gli interventi realizzati non possono essere considerati unitari. La valutazione unitaria del complesso delle opere oggetto dei provvedimenti in esame non dipende dalla circostanza che le stesse siano o meno realizzate contestualmente, ben potendo i manufatti essere considerati unitariamente anche quando vengono posti in essere per addizione. Né la circostanza che potenzialmente possano essere di fatto impiegate per scopi distinti assume un qualche rilievo, dal momento che in sede edilizia la valutazione unitaria delle opere dipende dalla loro collocazione, dall’appartenenza allo stesso soggetto, nonché dalla destinazione comune dei manufatti, ponderazione quest’ultima da farsi in astratto, giacché il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio. L'amministrazione comunale, pertanto, deve esaminare contestualmente l'intervento abusivamente realizzato, e ciò al fine precipuo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che, in luogo di una corretta qualificazione unitaria dell'abuso e di una conseguente identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato, prospettino una scomposizione virtuale dell'intervento finalizzata all'elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa.

Quanto, invece, alla prospettata natura temporanea e precaria, le opere sarebbero esenti dal permesso di costruire ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e 5), DPR n. 380/2001, la stessa può essere agevolmente esclusa richiamando le condivisibili considerazioni contenute nella relazione di verificazione, illustrate sopra al punto 5.3.

7.2. Non merita condivisione il secondo motivo di appello, atteso che l’area in cui sono stati realizzati gli interventi contestati ricade all’interno dell’area naturale protetta del Parco Naturale di Veio istituito con legge regionale n. 29/1997 zona classificata “Parchi istituiti e tenuta di Castel Porziano” nel vigente PRG del Comune di Roma le cui norme tecniche di attuazione, all’art 107 – Zone territoriali omogenee stabiliscono che le aree naturali protette sono classificate come zona territoriale omogenea F ai sensi del DM 1444/1968. Ciò comporta l’applicazione delle misure di salvaguardia tra le quali il divieto di realizzazione di attività edilizia secondo quanto disposto dall’art 8, terzo comma lett. r) della legge regionale n. 29/1997, secondo il quale: “All'interno delle zone A previste dall'articolo 7, comma 4, lettera a), numero 1), delle aree naturali protette individuate dal piano regionale, sono vietati:.. r) qualsiasi attività edilizia nelle zone territoriali omogenee C), D), ed F) di cui all'articolo 2 del D.M. 2 aprile 1968 del Ministro per i lavori pubblici, ad eccezione degli interventi di cui all'articolo 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), del D.P.R. n. 380/2001, purché non siano in contrasto con le finalità di cui all'articolo 2 e fermo restando quanto previsto dall'articolo 11, comma 3, della L. 394/1991”. Quanto, invece, all’efficacia delle dette misure la durata delle stesse in un primo tempo fissata dall’art. 44, comma 11 della legge regionale n. 29/1997, fino all’approvazione dei relativi piani, e comunque non oltre il 31 dicembre 2019, è poi stata prorogata al 31 dicembre 2024 dall’art. 9, comma 12, lettera b), L.R. 27 febbraio 2020, n. 1. Né è corretto sostenere in alcun modo la decadenza delle misure di salvaguardia per mero decorso del tempo come se si fosse in presenza di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio. È evidente, dunque, che le opere in questione sono state realizzate in assenza del nulla osta dell’Ente Parco ai sensi dell’art. 28 della legge regionale n. 29/1997, che era necessario anche in ragione della natura delle opere poste in essere, in alcun modo non assimilabili all’attività edilizia libera. Del resto la stessa relazione di verificazione ha chiarito che: “i fabbricati hanno inoltre comportato la modifica dell’assetto vegetazionale e geomorfologico esistente e necessitato di numerose lavorazioni a terra, […] (che) unitamente ai fabbricati stessi ed alle opere impiantistiche ed infrastrutturali poste in essere, hanno alterato e modificato, antropizzandolo, il contesto naturale ove si sono inseriti.”, così evidenziando una chiara lesione dei valori che il legislatore ha voluto tutelare con l’istituzione del Parco. Interessi di tale rilevanza da necessitare anche il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica anche in ragione di quanto disposto dall’art 35, sesto comma delle n.t.a. del PTPR che esclude l’applicabilità della fascia di rispetto dei corsi d’acqua da mantenere integra ed inedificata per le zone inserite nel “Paesaggio degli Insediamenti urbani”. Ed in ogni caso da ritenersi lesi anche laddove per ipotesi si dovesse ritenere la disposizione del citato art. 35 non più vigente come sostenuto dall’appellante, trattandosi di manufatti realizzati nel perimetro del Parco.

7.3. Del tutto infondato è il terzo motivo di appello, dal momento che le risultanze della verificazione hanno acclarato la natura non precaria e/o pertinenziale delle opere, sicché nessun difetto di motivazione può essere imputato al diniego di accertamento di conformità, trattandosi di manufatti per i quali è necessario un titolo edilizio, che nella specie non è mai stato rilasciato.

7.4. Non merita di trovare condivisione il quarto motivo di appello nella parte con cui si sostiene che l’amministrazione comunale avrebbe potuto emettere il provvedimento di diniego dell’accertamento di conformità solo dopo aver acquisito il parere idrogeologico, quello dell’ente Parco, quello di Roma Natura e quello ex art. 167, d.lgs. n. 42/2004. La presenza di una pluralità di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza in questione adeguatamente indicati nel provvedimento di diniego, infatti, determina che la richiesta dei pareri in questione si sarebbe tradotto in un inutile aggravio del procedimento. Va anche rilevato che l’accertamento di conformità richiede la doppia conformità. In giurisprudenza della Sezione si è ritenuto che Il procedimento per la verifica di conformità ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001 sfocia in un provvedimento di carattere assolutamente vincolato, il quale non necessita di altra motivazione oltre a quella relativa alla corrispondenza (o meno) dell'opera abusiva alle prescrizioni urbanistico-edilizie (e a quelle recate da normative speciali in ambito sanitario e/o paesaggistico) sia all'epoca di realizzazione dell'abuso sia a quella di presentazione dell'istanza ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001. Ciò determina che in sede di accertamento di conformità è interamente a carico della parte l'onere di dimostrare la c.d. doppia conformità necessaria per l'ottenimento della sanatoria edilizia ordinaria ai sensi dell'art. 36 d.P.R. n. 380/2001 (già, art. 13 l. n. 47/1985), attesa la finalità dell'istituto, secondo il quale il rilascio del permesso in sanatoria presuppone indefettibilmente la c.d. doppia conformità, vale a dire la non contrarietà del manufatto abusivo alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della sua realizzazione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria ( CdS VI n. 2660 del 2023 ). Quindi del tutto fuori fuoco appare la prospettazione di un vizio del rigetto dell’accertamento di conformità in presenza di plurimi vincoli per la sola mancata acquisizione delle Autorità preposte al vincolo.

Il Parco è poi area di protezione integrale. Ciò non è senza conseguenze sulla stessa configurabilità dell’accertamento di conformità. La Sezione ha ritenuto che nel caso di realizzazione di manufatti abusivi in area integralmente protetta, in epoca successiva all'adozione degli atti generali di disciplina del Parco (Piano per il parco e Regolamento del parco), deve considerarsi legittima la condotta dell'Ente Parco che abbia negato il nulla osta ai sensi dell'art. 13, l. n. 394/1991, che è unica disposizione applicabile al caso di specie e configura il nulla osta come atto necessariamente destinato a precedere il rilascio di provvedimenti abilitativi puntuali che riguardino un singolo, specifico intervento da valutarsi preventivamente. Di talché deve desumersi la radicale inammissibilità di pareri postumi dell'Ente Parco e dell'applicazione dell'accertamento di conformità, impropriamente richiesto nel caso di specie, previsto dall'art. 36 d.P.R. n. 380/2001, disposizione che rimane di applicazione generale anche per le aree soggette a vincoli, ma non quelle di protezione integrale ( CdS VI n. 5152 del 2021 ).

7.5. Del tutto inconferente è poi la riflessione sull’eventuale istituzione di un Parco tematico, circostanza che non può aver ingenerato alcun legittimo affidamento in capo alla società appellante che al momento di realizzazione dei manufatti abusivi, la cui costruzione è stato accertato è stata intrapresa a partire del 2018 aveva dinanzi a sé una disciplina giuridica chiara e non incisa in alcun modo dall’eventuale futura istituzione del detto Parco tematico. Peraltro, merita di essere rammentato come l’Adunanza Plenaria con sentenza n. 9/2017, abbia da tempo chiarito che: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

8. L’appello, quindi, deve essere respinto. Le spese di lite e quelle di verificazione sono poste a carico della parte appellante e liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l 'appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge in favore di ciascuna delle parti appellate costituite. Pone le spese di verificazione a carico dell’appellante e le liquida in euro 3499,57 (tremila quattrocento novantanove/57) a saldo dell’onorario e delle spese sostenute e documentate dal verificatore.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere