Cass. Sez. III n.31489 del 29 luglio 2008 (Ud. 12 giu. 2008)
Pres. De Maio Est. Lombardi Ric. Sergio
Acque. Frantoi oleari

Lo scarico dei liquami derivanti dalla molitura delle olive, effettuato senza la autorizzazione configura il reato di scarico abusivo anche in caso di recapito in fognatura, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni e che le acque di scarico sono diverse da quelle domestiche. In tema di disciplina degli scarichi, l\'ispezione dello stabilimento industriale, il prelievo ed il campionamento delle acque reflue, le analisi dei campioni, configurano attività amministrative che non richiedono l\'osservanza delle norme del codice di procedura penale stabilite a garanzia degli indagati e degli imputati per le attività di polizia giudiziaria, atteso che l\'unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall\'art. 223 disp. att. c.p.p. che impone il preavviso all\'interessato del giorno, dell\'ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni.

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Palmi, sezione distaccata di Cinquefrondi, ha affermato la colpevolezza di Sergio Sebastiano in ordine al reato di cui all’art. 59 del D.Lgs. n. 152/99, ascrittogli perché, quale titolare di un frantoio oleario, effettuava lo scarico di acque reflue industriali derivanti dalla lavorazione delle olive, facendole fluire in due tubi che scaricavano direttamente nella pubblica fognatura in assenza della prescritta autorizzazione.
Avverso la sentenza ha proposto appello l’imputato e l’impugnazione è stata trasmessa a questa Suprema Corte ai sensi dell’art. 568, ultimo comma, c.p.p..

Motivi della decisione
Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente deduce che il giudice di merito non ha accertato l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, poiché dalle risultanze probatorie è emerso che al momento dell’intervento degli organi di polizia giudiziaria non era in atto alcuno scarico di acque reflue provenienti dalla lavatrice delle olive, ma solo l’esistenza di un rubinetto che aveva fatto presumere che venisse effettuato lo scarico dei reflui direttamente nella pubblica fognatura che, peraltro, l’imputato aveva provato di essere munito di autorizzazione allo spandimento delle acque di vegetazione sul terreno e che la conduttura posta vicino alla lavatrice delle olive era preesistente al momento dell’acquisto dell’impianto.
Si deduce inoltre che il giudice di merito non ha accolto l’eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle analisi effettuate dall’ARPACAL, fondata sul rilievo che il titolare del frantoio aveva ricevuto, contestualmente all’invito a presenziare alle analisi, un invito della Capitaneria di Porto per rendere sommarie informazioni, sicché nel caso in esame doveva ritenersi violato il diritto di difesa dell’indagato con riferimento alla sua mancata partecipazione alle operazioni di analisi dei campioni di acqua.
Si osserva infine che le immissioni occasionali di acque reflue industriali non costituiscono reato, salvo che diano luogo al superamento dei limiti tabellari e che nel caso in esame non risultavano acquisite prove sufficienti del reato di cui alla contestazione.
Il ricorso non è fondato.
Preliminarmente è opportuno osservare in punto di diritto che secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte “lo scarico dei liquami derivanti dalla maltitura delle olive, effettuato senza la autorizzazione prevista dal decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152, configura il reato di cui all’art. 59 del citato decreto, anche in caso di recapito in fognatura, atteso che i frantoi oleari costituiscono installazioni in cui si svolgono attività di produzione di beni e che le acque di scarico sono diverse da quelle domestiche.” (sez. III, 200226614, Iannotti, RV 222121 e giurisprudenza precedente conforme).
Inoltre il giudice di merito, nel rigettare l’eccezione di inutilizzabilità delle analisi effettuate dalla ARPACAL, ha puntualmente applicato il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo il quale “In tema di disciplina degli scarichi, l’ispezione dello stabilimento industriale, il prelievo ed il campionamento delle acque reflue, le analisi dei campioni, configurano attività amministrative che non richiedono l’osservanza delle norme del codice di procedura penale stabilite a garanzia degli indagati e degli imputati per le attività di polizia giudiziaria, atteso che l’unica garanzia richiesta per le anzidette attività ispettive è quella prevista dall’art. 223 disp. att. c.p.p. che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo dove si svolgeranno le analisi dei campioni.” (sez. UI, 200315170, Piropan, RV 224456; conf. sez. III, 200223369, P.M. in proc. Scarpa, RV 221627), osservando che l’interessato risultava essere stato ritualmente avvisato delle operazioni di analisi.
Peraltro, la giustificazione addotta per il mancato intervento alle predette operazioni si palesa del tutto pretestuosa, non avendo il ricorrente - come già osservato dal giudice di merito - neppure provato dì aver reso edotto l’ente che procedeva alle analisi di detto impedimento.
Anche sul punto della assenta discontinuità dello scarico effettuato dall’impianto per la lavorazione delle olive è stato già affermato da questa Corte che “In tema di disciplina degli scarichi, lo scarico discontinuo di reflui, sia pure caratterizzato dai requisiti della irregolarità, intermittenza e saltuarietà, se collegato ad un determinato ciclo produttivo, ancorché di carattere non continuativo, trova la propria disciplina nel decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152” (sez. III, 200416720, Todesco, RV 228208).
Nel resto i rilievi del ricorrente si esauriscono nella censura fattuale della valutazione delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito, dalle quali è stato desunto che la conduttura, che collegava la lavatrice delle olive alla pubblica fognatura, veniva utilizzata per lo scarico delle acque di vegetazione provenienti da detto macchinario in assenza della prescritta autorizzazione.
Tali rilievi sono, pertanto, inammissibili in sede di legittimità.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.