Cass. Sez. III n. 13089 del 28 aprile 2020 (UD 19 nov 2019)
Pres. Aceto Est. Liberati Ric. Recca
Acque.Natura istantanea del reato di scarico con superamento dei limiti tabellari
Il reato di scarico di acque reflue industriali, di cui all’art.137, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, non può essere ritenuto di natura permanente, a meno che non si provi in concreto che si tratta di scarico continuo, e cioè che l'alterazione dell'accettabilità ecologica del corpo recettore si protrae nel tempo senza soluzione di continuità per effetto della persistente volontà del titolare dello scarico
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26 febbraio 2019 la Corte d’appello di Palermo, provvedendo sulla impugnazione proposta dal pubblico ministero nei confronti della sentenza del 11 settembre 2017, del Tribunale di Sciacca, con cui Agostino Recca era stato assolto dai reati a lui ascritti, ne ha affermato la responsabilità in relazione al reato di cui agli artt. 137, commi 1 et 5, d.lgs. 152/2006, di cui al capo a) della rubrica (contestatogli per avere, quale amministratore della S.r.l. Recca Agostino Conserve Alimentari, realizzato uno scarico di reflui non depurati provenienti dalla attività ittico conserviera di tale impresa, con elevatissimo carico inquinante, sistenaticamente riversati sulla strada pubblica adiacente allo stabilimento, mediante tubazioni interrate provenienti dall’interno della struttura produttiva; in Sciacca, fino al 2 ottobre 2014), condannandolo alla pena di 3.000,00 euro di ammenda.
2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
2.1. In primo luogo ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 533, comma 1, e 603, comma 3 bis, cod. proc. pen. e l’insufficienza della motivazione, a causa del mancato rispetto del canone di giudizio dello al di là di ogni ragionevole dubbio, in quanto era stata riformata la decisione assolutoria di primo grado, pervenendo alla affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui al capo a), solamente sulla base di una diversa valutazione delle medesime prove dichiarative (tra cui le testimonianze dei testi Puleo e Scimecca, che avevano svolto gli accertamenti presso l’impianto utilizzato dall’impresa dell’imputato), di cui non era però stata rinnovata l’assunzione in secondo grado, pur ritenendole decisive. Ha lamentato anche la mancanza della necessaria motivazione rafforzata, richiesta dalla giurisprudenza di legittimità e da quella convenzionale, recepita dall’art. 603, comma 3 bis, cod. proc. pen., introdotto dalla l. n. 103 del 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, nel caso, come quello in esame, di ribaltamento in appello di una decisione assolutoria resa in primo grado.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla affermazione della configurabilità del reato di cui all’art. 137, commi 1 et 5, d.lgs. 152/2006, cui la Corte d’appello era pervenuta in modo illogico, nonostante il sistema di pompaggio delle acque non fosse in funzione al momento del sopralluogo compiuto dalla polizia giudiziaria e giudicando inverosimile senza altra giustificazione che tale sistema fosse stato predisposto solamente per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza; ha, inoltre, lamentato la mancata adeguata considerazione delle risultanze istruttorie (sulla base delle quali il primo giudice era pervenuto alla decisione di assoluzione), dalle quali era emerso che i campioni di reflui prelevati all’interno dello stabilimento dell’imputato non erano coincidenti con quelli prelevati all’esterno e che in occasione del sopralluogo non vi erano scarichi in atto.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., con riferimento alla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, che era stata giustificata dalla Corte d’appello sottolineando il carattere permanente del reato di cui all’art. 137 d.lgs. 152/2006, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare nella sentenza n. 8688 del 2014, circa la natura istantanea di tale reato in mancanza dell’accertamento, nella specie mancante, della natura continua dello scarico; ha anche sottolineato la compatibilità, affermata nella sentenza n. 47039 del 2015 di questa Corte, tra il reato permanente e la particolare tenuità del fatto, non essendo tale reato qualificabile come comportamento abituale, e anche la mancanza di motivazione in ordine alla entità del pericolo o del pregiudizio provocati dalla condotta contestata, essendo, tra l’altro, stata applicata la sola pena pecuniaria e in misura prossima al minimo edittale.
2.4. Infine, con un quarto motivo, ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., l’errata applicazione degli artt. 62 bis e 175 cod. pen. e la carenza della motivazione, nella parte relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della non menzione della condanna, cui la Corte d’appello era pervenuta con motivazione generica, priva di effettiva considerazione delle modalità e della reale offensività della condotta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato solamente in relazione al terzo e al quarto motivo.
2. Il primo e il secondo motivo, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con gli stessi formulate, tutte concernenti, in realtà, la valutazione degli elementi di prova disponibili e la sufficienza e la logicità della motivazione, nella parte relativa alla ricostruzione della vicenda e alla affermazione di responsabilità dell’imputato che ne è conseguita, non sono fondati.
2.1. Per quanto riguarda, anzitutto, la doglianza relativa alla omessa rinnovazione della assunzione delle prove dichiarative diversamente valutate, imposta nel caso, come quello in esame, di ribaltamento da parte del giudice dell’impugnazione di una decisione assolutoria, va osservato che la Corte d’appello è pervenuta alla riforma della sentenza di assoluzione impugnata dal pubblico ministero diversamente considerando i medesimi elementi di prova già valutati dal Tribunale di Sciacca e non, come sostenuto dal ricorrente, a seguito di una diversa valutazione delle prove dichiarative già assunte, delle quali non era pertanto necessaria una nuova assunzione, che è imposta solamente quando delle stesse si dia una diversa lettura.
Il Tribunale di Sciacca era, infatti, pervenuto alla assoluzione dell’imputato dai reati allo stesso contestati, ritenendo non sussistenti i relativi fatti, in considerazione del fatto che al momento del sopralluogo presso lo stabilimento dell’impresa amministrata dall’imputato non era in atto uno scarico di reflui, il sistema di pompaggio degli stessi non era in funzione, il pozzetto di ispezione risultava asciutto e la tubazione di collegamento con le vasche di raccolta dei reflui di lavorazione non presentava segni di passaggio di materiale riconducibile agli scarti di lavorazione.
La Corte d’appello di Palermo, dopo aver ricostruito analiticamente lo stato dei luoghi riscontrato in occasione del sopralluogo eseguito presso detto stabilimento il 2 ottobre 2014, sottolineando che nello stesso vi sono due vasche di accumulo dei reflui derivanti dalla lavorazione, che all’interno di una di tale vasche di raccolta vi è una tubazione verticale che, mediante una condotta sottotraccia, la collega al pozzetto di ispezione, nella quale vi è una elettropompa sommersa, funzionante anche se non attiva all’atto dell’ispezione, ha evidenziato quanto emerso in occasione degli accertamenti eseguiti in occasione di tale sopralluogo (nel corso del quale era stato immesso nella tubatura sottotraccia un liquido contenente un tracciante, che era fuoriuscita da due tubi corrugati sottotraccia, ubicati all’esterno dello stabilimento, riversandosi in un impluvio sottostante, distante circa 50 metri dal cancello di ingresso allo stabilimento). Sulla base di tali risultanze, senza diversamente valutare le prove dichiarative, ma solo considerando logicamente i plurimi elementi indiziari emersi a seguito del sopralluogo e degli accertamenti svolti, la Corte d’appello ha ritenuto raggiunta la prova della realizzazione di uno scarico di reflui dallo stabilimento di detta impresa verso l’esterno, alla luce del sistema predisposto per scaricare i reflui provenienti dalla attività produttiva verso l’esterno senza neppure passare attraverso l’impianto di depurazione.
Non vi è stata, dunque, alcuna diversa valutazione o apprezzamento delle prove dichiarative assunte nel corso del giudizio di primo grado, posto che sono stati considerati i medesimi elementi utilizzati dal primo giudice, attribuendo loro una diversa portata per effetto di una diversa valutazione complessiva degli stessi, che ha condotto a diverse conclusioni circa l’esistenza di uno scarico non autorizzato di reflui dall’impianto industriale in questione, con la conseguente insussistenza dell’obbligo di procedere alla rinnovazione della assunzione di tali prove dichiarative, che determina l’infondatezza della censura sollevata sul punto dal ricorrente.
2.2. Le censure in ordine alla mancanza di motivazione rafforzata e alla illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della provenienza dei reflui riscontrati all’esterno dello stabilimento dalla attività produttiva svolta dall’impresa amministrata dal ricorrente, sono anch’esse infondate.
La Corte d’appello, nel riformare la sentenza assolutoria di primo grado, ha, infatti, considerato il percorso argomentativo seguito dal primo giudice, che aveva valorizzato l’assenza di scarichi in atto e anche di tracce degli stessi, sottolineando quanto emergente in proposito dalle fotografie scattate in occasione del suddetto sopralluogo del 2 ottobre 2014 (dalle quali si ricava la presenza di due tubi in corrugato di colore nero al di sotto dei quali scorreva acqua scura e maleodorante, che si riversava nel letto di un impluvio posto all’esterno dello stabilimento, a circa 50 metri dall’ingresso), nonché l’irrilevanza del fatto che l’elettropompa non fosse in funzione, essendo stato accertato che la stessa era in grado di funzionare e che essa non era neppure indispensabile, in quanto i reflui defluivano per caduta anche in mancanza della pompa, riversandosi all’esterno dello stabilimento senza passare attraverso l’impianto di depurazione; è stato poi escluso che tale sistema di deflusso delle acque di lavorazione fosse stato realizzato solamente per le situazioni di emergenza, giacché per tali evenienze avrebbe dovuto essere realizzata una apposita vasca di stoccaggio.
Sulla base di tali rilievi sono, dunque, state superate le diverse considerazioni svolte dal primo giudice, evidenziando l’univoca valenza indiziaria dei plurimi elementi considerati, tale da superare il giudizio di insussistenza del fatto formulato dal primo giudice e da consentire di affermare, in modo logico, stante l’univoca portata dimostrativa degli elementi indiziari considerati della realizzazione da parte dell’imputato di uno scarico di reflui industriali non autorizzato derivante dagli elementi disponibili.
Ne consegue, in definitiva, la sussistenza di motivazione idonea, sia a superare quella della sentenza di primo grado, sia a giustificare l’affermazione della realizzazione di detto scarico, con la conseguente infondatezza dei rilievi svolti dal ricorrente con il secondo motivo.
3. Il terzo e il quarto motivo, anch’essi esaminabili congiuntamente, in considerazione dell’analogia del loro contenuto, giacché con entrambi il ricorrente si duole della insufficienza della motivazione in ordine alle proprie richieste subordinate e della errata applicazione degli artt. 131 bis, 62 bis e 175 cod. pen., sono in parte fondati.
3.1. La doglianza di difetto di motivazione e violazione di legge penale per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è inammissibile, non essendo stata avanzata tale richiesta all’atto della formulazione delle richieste conclusive, cosicché risulta ora preclusa la deduzione di un vizio di motivazione o di violazione di legge penale su tale punto, di cui il giudice dell’impugnazione non era stato investito e in ordine al quale non aveva quindi l’obbligo di fornire una specifica risposta.
3.2. La doglianza in ordine alla insufficienza della motivazione nella parte relativa alla esclusione della riconoscibilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. è fondata.
La Corte d’appello ha giustificato tale esclusione con il carattere permanente del reato di realizzazione di uno scarico di reflui industriali in assenza di autorizzazione, in ragione della perdurante compromissione dell’interesse protetto, senza altro aggiungere.
La Corte territoriale ha, però, omesso di considerare, come sottolineato anche dal ricorrente, che il reato di scarico di acque reflue industriali, di cui all’art.137, comma 5, d.lgs. n. 152 del 2006, non può essere ritenuto di natura permanente, a meno che non si provi in concreto che si tratta di scarico continuo, e cioè che l'alterazione dell'accettabilità ecologica del corpo recettore si protrae nel tempo senza soluzione di continuità per effetto della persistente volontà del titolare dello scarico (Sez. 3, n. 8688 del 22/01/2014, Oliva, Rv. 259053), giacché solo in tal caso la prosecuzione della compromissione del bene protetto termina con il rilascio della autorizzazione o il rilascio della autorizzazione (cfr. Sez. 3, n. 1154 del 09/01/1995, P.M. in proc. Dazzo ed altri, Rv. 201485). Nel caso in esame non vi è stato alcun accertamento in ordine alla protrazione nel tempo della attività di scarico non autorizzata, cosicché il riferimento alla permanenza della condotta risulta manifestamente illogico.
D’altra parte, va anche considerato che il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell'alveo del comportamento abituale che preclude l'applicazione di cui all'art. 131 bis cod. pen. (cfr. Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, P.M. in proc. Derossi, Rv. 265448, nella quale è stato anche precisato che essa comporta comunque la necessità di attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza; v. anche Sez. 2, n. 19932 del 29/03/2017, Di Bello, Rv. 270320), cosicché anche sotto tale profilo la motivazione risulta illogica, non essendo state adeguatamente accertate le caratteristiche della condotta e la sua eventuale reiterazione.
Ne consegue la sussistenza del vizio di illogicità della motivazione, che impone un nuovo esame da parte dei giudici del merito sul punto, allo scopo di accertare sia l’entità del pregiudizio o, comunque, del pericolo provocato dalla condotta, sia la eventuale reiterazione della stessa, onde verificare la sussistenza dei presupposti per l’eventuale riconoscimento della causa di esclusione della punibilità invocata dal ricorrente.
3.3. Anche la giustificazione del mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna è insufficiente, avendo sul punto la Corte territoriale fatto riferimento esclusivamente alle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., non meglio indicate, e alle modalità della condotta, non specificate, cosicché anche su tale aspetto è necessario un nuovo esame.
4. In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla configurabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. e alla riconoscibilità del beneficio della non menzione della condanna, con rinvio per nuovo giudizio su tale punto ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.
Il ricorso deve nel resto essere respinto, con la conseguente irrevocabilità della affermazione di responsabilità e l’irrilevanza della eventuale prescrizione maturata successivamente, posto che nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto (e di applicazione del beneficio della non menzione), il giudice di rinvio non può dichiarare l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata successivamente alla sentenza di annullamento parziale, stante la formazione del giudicato progressivo in punto di accertamento del reato e affermazione di responsabilità dell'imputato (Sez. 3, n. 38380 del 15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264796; Sez. 3, n. 50215 del 08/10/2015, Sarli, Rv. 265434; Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, Mazzoccoli, Rv. 267590).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziario spedito a richiesta di privati e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo giudizio sul punto.
Rigetta il ricorso nel resto e dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto.
Così deciso il 19/11/2019