Cass. Sez. III n. 19391 del 16 maggio 2024 (UP 10 apr 2024)
Pres. Ramacci Est. Corbetta Ric. Costa
Acque.Reflui provenienti da struttura sanitaria

Rientrano nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti da una strura sanitaria in quanto non riconducibili nella definizione di "acque reflue domestiche", la quale oltre al riferimento al metabolismo umano, si incentra sul tipo di attività di provenienza di tali scarichi, ossia le "attività domestiche": locuzione che è chiaramente riferita alla convivenza e coabitazioni di persone, ma in un ambito strettamente e necessariamente solo familiare, come, del resto, corroborato dall'etimologia dell'aggettivo che descrive le attività - "domestiche", appunto.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, il Tribunale di Cassino ha condannato Massimo Costa e Maurizio Costa alla pena di 1.000 euro di ammenda ciascuno in relazione al reato di cui agli artt. 113 cod. pen., 137, comma 1 d.lgs. n. 152 del 2006, perché, in cooperazione colposa tra loro, entrambi nella qualità di legali rappresentanti della clinica specialistica “Casa del Sole” sita in Formia, effettuavano uno scarico di acque reflue autorizzate nella rete fognaria adibita ai soli scarichi domestici, in assenza della prescritta autorizzazione. Fatto accertato il 26 marzo 2018. 

2. Avverso l’indicata sentenza, gli imputati, per il ministero del comune difensore di fiducia, con il medesimo atto hanno proposto ricorso per cassazione, che è affidato a tre motivi.  
2.1. Con un primo motivo deduce  la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 318-ter, 137 d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto gli operanti, avendo accertato che non vi era, né vi poteva essere, un concreto ed attuale pericolo di danno, avrebbero dovuto impartire delle prescrizioni tecniche con fissazione di un termine e il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria; l’inosservanza di tale norma comporterebbe, ad avviso del difensore, l’improcedibilità dell’azione penale.
2.2. Con un secondo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 74, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 152 del 2006. Argomenta il difensore che il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine alla qualificazione degli scarichi, ritenuti industriali con una motivazione generica e apodittica, considerando che detti scarichi sono solo quelli derivanti dai bagni della struttura e, quindi, essendo solo quelli conseguenti al metabolismo umano, sono assimilabili a quelli domestici.
2.3. Con un terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione all’art. 101, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006. Sostiene il difensore che, nel caso di specie, troverebbe applicazione l’art. 101, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006, che ritiene assimilabili alle acque reflue domestiche le acque provenienti reflue aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quella domestiche; nel caso di specie, sarebbero applicabili i limiti allo scarico come definititi dal Piano di Tutela delle Acque Regionali, emanato con d.c.r. 27 settembre 2007, n. 42. Rappresenta il difensore che, sulla base delle prove raccolte, le acque reflue emesse dalla clinica sono solo quelle riferibili al metabolismo umano e le analisi hanno certificato il rispetto dei parametri di legge; il Tribunale, inoltre, non avrebbe correttamente valutato la consulenza del dott. Allegretti, la quale  dimostrato l’inadeguatezza – e quindi l’inutilizzabilità – degli accertamenti svolti dagli operanti in relazione alla metodologia di indagine, effettuata, con riferimento alle modalità di campionatura, in violazione delle prescrizioni di  cui all’Allegato 5 d.lgs. n. 152 del 2006.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va preliminarmente rilevato che, non essendo gli ultimi due motivi manifestamente infondati – il che consente l’instaurazione del rapporto processuale – anche calcolando i periodi di sospensione (pari a complessivi 180 giorni, in conseguenza di tre rinvii per legittimo impedimento del difensore alle udienze del 12 giugno 2000, 15 dicembre 2022 e 3 marzo 2023), il reato, commesso il 26 marzo 2016, si è prescritto il 22 settembre 2023.

2. Il primo motivo è manifestamente fondato.
2.1. La procedura estintiva prevista dalla Parte Sesta-bis del D.Lgs. n. 152 del 2006 (artt. da 318-bis a 318-octies), introdotta dalla l. n. 68 del 2015, consente di pervenire alla definizione delle contravvenzioni sanzionate dal d.lgs.  n. 152 del 2006 con modalità analoghe a quelle stabilite dalle disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (artt. 20 ss. d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758), a condizione che esse non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette (art. 318-bis).
2.2. Orbene, secondo l’orientamento espresso da questa Corte di legittimità, espressamente evocato dal Tribunale e qui da ribadire, diversamente da quanto opinato da ricorrente, l'omessa indicazione all'indagato, da parte dell'organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l'estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Fulle, Rv. 277468; Sez. 3, n. 38787 dell’08/02/2018, De Tursi, non massimata).
Nelle decisioni dinanzi indicate si è condivisibilmente affermato gli artt. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 non stabiliscono affatto che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria debba obbligatoriamente impartire una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato, vuoi perché non vi è alcunché da regolarizzare, vuoi perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua, con la conseguenza che l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale.
Non va nemmeno trascurato il dato normativo, dovendosi evidenziare che, nella disposizioni qui al vaglio, non viene mai espressamente affermato che la procedura ex art. 318-ter e ss. d.lgs. n. 152 del 2006 configura una condizione di procedibilità dell’azione penale.
2.3. Va aggiunto, infine, che la Corte costituzionale è intervenuta in due occasioni per scrutinare la disciplina in esame e, in nessuna di esse, ha ricostruito la procedura estintiva quale causa di procedibilità dell’azione penale.
Con una prima decisione (n. 76 del 2019) è stata dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-septies, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede che l’adempimento tardivo, ma comunque avvenuto in un tempo congruo a norma dell’art. 318-quater, comma 1, d.lgs. n. 152 n. 2006, ovvero l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione con modalità diverse da quelle indicate dall’organo di vigilanza, sono valutati ai fini dell’applicazione dell’art. 162-bis c.p., e determinano una riduzione della somma da versare alla metà del massimo dell’ammenda prevista per il reato in contestazione, anziché a un quarto del medesimo ammontare massimo, come invece disposto dall’art. 24, comma 3, d.lgs. 19 dicembre 1994, n. 758  nel caso di contravvenzione alle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro. 
Con una seconda decisione (sent. n. 238 del 2020), è stata dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 318-octies d.lgs. n. 152 n. 2006, nella parte in cui prevede che la causa estintiva del reato, contemplata nel precedente art. 318-septies, non si applichi ai procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della Parte Sesta-bis, introdotta nel cod. ambiente, dall’art. 1, comma 9, della legge 22 maggio 2015, n. 68.
Orbene, come si è anticipato, si osserva che significativamente nelle decisioni appena indicate – le quali hanno compiutamente analizzato la procedura disegnata  dagli artt. 318-ter ss. d.lgs. n. 152 del 2006 evidenziandone gli stringenti punti di contatto con disciplina prevista dagli artt. 20 ss. d.lgs. n. 758 del 1994 per la violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro  - non risulta affatto che il previo esperimento della procedura relativa all’oblazione amministrativa ambientale si ponga quale condizione di procedibilità dell’esercizio dell’azione penale.
2.4. Tale approdo ermeneutico, del resto, è piena in sintonia con quanto affermato in relazione alla speculare disciplina antinfortunistica: anche in tal caso, si è costantemente affermato che l'omessa indicazione, da parte dell'organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale (Sez. 3, n. 3671 del 30/11/2017, dep. 2018, Vallone, Rv. 272454; Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140). 

3. Ciò posto, nel motivo di ricorso si afferma apoditticamente che la procedura ex artt. 318-ter ss. d.lgs. n. 152 del 2006  sia delineata come condizione di procedibilità, senza tuttavia né argomentare tale conclusione, né misurarsi criticamente  con le conclusioni dinanzi indicate; di qui l’inammissibilità del motivo. 

4. I restanti due motivi, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente collegati, sono, come anticipato, infondati.

5. Il Tribunale, infatti, ha correttamente escluso che le acque reflue provenienti dalla clinica specialistica di cui i ricorrenti sono i legali rappresentanti, siano da ricondurre, in prima battuta, nella categoria delle “acque reflue domestiche”, tali essendo, secondo la definizione fornita dall’art. 74, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 152 del 2006, le “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.
Per contro, secondo quanto stabilisce la successiva lett. h), per “acque reflue industriali” si intendono “qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.

6. Orbene, la definizione di “acque reflue domestiche”, oltre al riferimento al metabolismo umano, si incentra sul tipo di attività di provenienza di tali scarichi, ossia le “attività domestiche”: locuzione che è chiaramente riferita alla convivenza e coabitazioni di persone, ma in un ambito strettamente e necessariamente solo familiare, come, del resto, corroborato dall’etimologia dell’aggettivo che descrive le attività - “domestiche”, appunto.
Allo stesso modo, le definizione di “acque reflue industriali” è incentrata sulla provenienza, dovendo dette acque essere “scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni”, purché, ovviamente, siano diverse dalle “reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”.
Di conseguenza, in uno con la dottrina più convincente, deve ritenersi che quello della provenienza sia il criterio cardine per individuare, in prima battuta, il discrimine, all’interno delle acque reflue, tra quelle “domestiche” e quelle “industriali”.
 
7. Questa interpretazione, che appare la più rispettosa del dato normativo e letterale, trova conferma nell’evoluzione legislativa. 
Invero, la primigenia versione dell’art. 74, comma 1, lett. h), forniva la seguente definizione di acque reflue industriali: “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento”.
Orbene, la cancellazione sia dell'avverbio "qualitativamente”, sia della  specificazione che faceva confluire le acque meteoriche nella nozione di acque reflue industriali, in base a una loro caratteristica qualitativa - ovvero che fossero "venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento" - conforta la conclusione qui patrocinata, proprio perché il novum normativo ha comportato l’eliminazione di due elementi, che erano entrambi volti a caratterizzare le acque industriali in base alla qualità del refluo.

8. Deve perciò affermarsi che una clinica specialistica – la quale, nel caso di specie, si compone di 117 camere di pazienti - va considerata un edificio dove si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, intendendo per tali i servizi erogati dalla clinica medesima, con conseguente qualificazione degli scarichi quali “acque reflue industriali”.
Del resto, questa Corte, in una vicenda per certi versi analoga  a quella oggetto del presente giudizio, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 137 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, rientrano nella nozione di acque reflue industriali quelle provenienti da un centro di emodialisi, trattandosi di acque derivanti da un'attività terapeutica caratterizzata dall'impiego di sostanze estranee al metabolismo umano ed alle attività domestiche (Sez. 3, n. 35850 del 10/05/2016, Tramontana, Rv. 267946).
Allo stesso modo, si è affermato che  i reflui provenienti dai reparti e relativi laboratori di un presidio ospedaliero non possono definirsi come provenienti da insediamento civile, o ad esso equiparabile, poiché non può affermarsi che tale scarico sia assimilabile a quelli provenienti da insediamenti abitativi. Ed invero la qualificazione di insediamento produttivo, ai fini della normativa in esame, non può essere collegata solo ad attività di produzione di beni in senso stretto, ma deve essere affermata in relazione ad ogni attività economica, pur se rivolta a prestazione di servizi, quando lo scarico non sia assimilabile a quello proveniente da un normale insediamento abitativo. Ne consegue che le acque reflue in questione non possono neppure considerarsi "domestiche" ai sensi del d.lg. n.152 del 1999, in quanto esse non sono derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (Sez. 3, Sentenza n. 3433 del 17/11/1999, Barbieri, dep.  2000, Rv. 216443).
Nello stesso senso, si collocano alcune decisioni le quali hanno ravvisato il reato previsto dall'art. 137 del D.Lgs. n. 152 del 2006, l'immissione in pubblica fognatura, senza la prescritta autorizzazione, delle acque reflue provenienti dai laboratori odontotecnici, che possono essere equiparate alle acque reflue domestiche solo a condizione che rispettino i parametri indicati dall'art. 2 del d.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227 (Sez. 3, Sentenza n. 29416 del 03/05/2013, Rustioni, Rv. 256378; in senso conforme, Sez. 3, n. 35137 del 18/06/2009, Tonelli, Rv. 244587).

9. Né, nel caso di specie, può soccorrere la previsione dell’art. 101, comma 7, d.lgs. n. 152 del 2006, il quale contempla una serie tassativa di acque reflue che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche, tra cui, alla lett. e),  quelle “aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale”.
L’accertamento della equivalenza  qualitativa delle acque reflue rispetto a quelle domestiche è, evidentemente, una valutazione di fatto, che è riservata al giudice di merito.
Nel caso in esame, come si apprende dalla sentenza impugnata (cfr. p. 3) e dagli allegati prodotti dal ricorrente, sulla base degli accertamenti effettuati dall’A.r.p.a., è stata appurata l’insussistenza di tale equivalenza qualitativa, anche considerando, come rilevato dal Tribunale, la circostanza che si tratta di liquidi provenienti da 117 bagni di pazienti affetti da varie patologie e che assumevano diversi tipi di farmaci.

10. Neppure può trovare applicazione la disciplina prevista dal d.P.R. 19 ottobre 2011, n. 227, il quale prevede l’assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui prodotti dalle piccole e medie imprese, ove siano rispettati dei parametri indicati dall'art. 2, essendo altrimenti applicabili gli artt. 74 e 101 d.lgs. n. 152 del 2006.
L'art. 1 del citato d.P.R. ne individua l'ambito di applicazione, richiedendo la sussistenza di due presupposti: 1) la riconducibilità dello scarico alle categorie di imprese di cui al D.M. attività produttive 18 aprile 2005, art. 2 e, cioè, alle piccole e medie imprese (PMI); 2) l'attestazione, da parte del titolare dell'impresa, dell'appartenenza alla categoria delle piccole e medie imprese mediante dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art. 46 d.P.R. n. 445 del 2000, presentata allo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dello stesso art. 5 d.P.R. n. n. 227 del 2011.
Sul piano oggettivo, si precisa, all'art. 2, che, in assenza di disciplina regionale e fermo restando quanto previsto dall’art. 101, comma 7, lett. e), d.lgs. n. 152 del 2006, trovano applicazione i criteri di assimilazione di cui al precedente comma 1, il quale prevede che, fermo restando quanto previsto dall'art. 101 dall'allegato 5 alla parte terza del d.lgs. n. 152 del 2006, sono assimilate alle acque reflue domestiche: a) le acque che prima di ogni trattamento depurativo presentano le caratteristiche qualitative e quantitative di cui alla tabella 1 dell'allegato A; b) le acque provenienti da servizi igienici, cucine e mense; c) le acque reflue provenienti dalle categorie di attività indicate nella tabella 2 dell'allegato A, con le limitazioni indicate nella stessa.
Nel caso in esame, non risultano accertati i requisiti dinanzi indicati, tanto che nemmeno il ricorrente ha allegato la sussistenza dei presupposti previsto dal citato d.P.R. n. 227 del 2001.

11. Breve: nel caso specifico, per un verso,  mancano i presupposti per la riconducibilità delle acque in esame tra quelle “reflue domestiche”, stante la loro provenienza da un insediamento produttivo,  e, per altro verso, sulla base di un accertamento di natura fattuale - che evidentemente non può essere oggetto di giudizio da parte della Corte di Cassazione – attestante il superamento di taluni limiti, è stata esclusa la assimilabilità dei reflui alle acque domestiche ai sensi dell’art. dall’art. 101, comma 7, lett. e), d.lgs. n. 152 del 2006.
Su queste basi, correttamente il Tribunale è pervenuto all’affermazione della penale responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto in concorso, evidentemente – da un punto di vista formale – ai sensi dell’art. 110 cod. pen., trattandosi di ipotesi contravvenzionale, e non già, come indicato nel capo di imputazione, dell’art. 113 cod. pen., disposizione che dà copertura, ai sensi dell’art. 42, comma 2, cod. pen., al concorso di persone nel delitto colposo.

12. Nondimeno, come si è anticipato, stante la non manifesta infondatezza del secondo e del terzo motivo,  la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvia perché il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 10/04/2024.