Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22925 del 18/05/2006 Ud. (dep. 04/07/2006 ) Rv. 234483
Presidente: Papa E. Estensore: Sarno G. Relatore: Sarno G. Imputato: Grotta. P.M. Salzano F. (Diff.)
(Annulla con rinvio, Trib. Trento, 3 marzo 2004)
PRODUZIONE, COMMERCIO E CONSUMO - PRODOTTI ALIMENTARI (IN GENERE) - REATI - IN GENERE - Presenza di residui di anidride solforosa - Limiti di cui al D.M. 19 maggio 2000 - Riferibilità anche ad aggiunte post raccolta di uva - Esclusione - Fondamento.

In tema di disciplina igienica dei prodotti destinati all'alimentazione, la aggiunta di anidride solforosa e solfiti sull'uva fresca configura il reato di cui all'art. 5, comma primo lett. g) della legge n. 283 del 1962, atteso che il D.M. 19 maggio 2000, che fissa i limiti massimi di residui di sostanze attive di prodotti fitosanitari tollerati nei prodotti destinati all'alimentazione, consente una misura massima di 10 mg/kg di anidride solforosa solo quale effetto residuo dei trattamenti effettuati sul campo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 18/05/2006
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 00883
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 024968/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) GROTTA VITTORIO N. IL 12/01/1957;
avverso SENTENZA del 03/03/2004 TRIBUNALE di TRENTO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. SARNO GIULIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. SALZANO Francesco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore FORTE Gaetano di Ferrara.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 22 febbraio 2002, i tecnici dell'azienda per i servizi sanitari della provincia di Trento procedevano al prelievo, presso l'esercizio pubblico "Dole Italia s.p.a. - filiale di Trento", di campioni di uva fresca proveniente dall'estero.
L'uva in questione si trovava all'interno di cinque casse di cartone, chiusa rispettivamente in altrettanti sacchi di plastica al cui interno vi erano "tappetini trapuntati" con scritto: "Preserva Uvas - Active Ingredients: anhydrous sodium bisulfite (Na SO"). I campioni prelevati venivano sottoposti alle analisi da parte del "Settore laboratorio e controlli" dell'Agenzia Provinciale per la Protezione dell'Ambiente che, nell'accertare che i residui dei fitofarmaci ricercati e della sostanza attiva "solfiti alcalini e alcalino terrosi" espressi come "anidride solforosa"erano inferiori al limite massimo consentito dal D.M. 19 maggio 2000 e successive modificazioni ed integrazioni, affermavano che "l'apposizione di un foglio di carta trapuntato con metabisolfito di sodio all'interno del sacco di plastica chiuso contenente l'uva ... integra ... un'aggiunta di additivo conservante "Anidride Solforosa" non consentito dal D.M. 27 febbraio 1996, nr. 209 e successive modificazioni ed integrazioni" (certificati di analisi del 17.4.2002).
Grotta Vittorio veniva pertanto giudicato e condannato dal Tribunale di Trento in data 3.03.2004 alla pena di Euro 1600,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali per il reato p. p. dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. g) e art. 6 per aver commercializzato dell'uva di varie qualità in confezioni originali chiuse mediante sacco in plastica all'interno delle quali era presente un tappetino di carta con funzione di generare SO2, raffigurando ciò un trattamento post-raccolta con additivo conservante non consentito dalla Legge; in Mattarello di Trento il 22.02.2002.
E ciò sul rilievo che tutte le sostanze non alimentari che sono deputate a proteggere il prodotto alimentare dai microorganismi debbono essere considerate additivi.
Avverso tale decisione propone ricorso per Cassazione l'imputato che eccepisce:
1) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lettera b). Erronea applicazione del D.M. n. 209 del 1996, ed in particolare dell'all.to 11^ parte B dello stesso, avendo ritenuto il giudice che l'impiego di anidride solforosa e dei solfiti, viene in tale allegato previsto per la frutta essiccata (tra cui l'uva), ma non per quella fresca. Inoltre, secondo il ricorrente, l'inciso: "l'uva era coperta da tappetini traforati che, contenenti anidro sodio bisolfito (Na2S203), rilasciavano anidride solforosa", non troverebbe giustificazione ne' nel D.M. n. 209 del 1996, art. 1 (che impone come logica conseguenza che l'additivo diventi esso stesso parte del prodotto alimentare), nè nella L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. g), ove il legislatore vieta la vendita di alimenti" ... con aggiunta di additivi chimici non autorizzati", mentre di tali additivi - secondo lo stesso Giudice - non vi sarebbe traccia sull'uva analizzata.
Infine l'iter argomentativo della sentenza impugnata non terrebbe conto ne' della lettera della legge in quanto il D.M. n. 209 del 1996, art. 2 sancisce che "il presente decreto disciplina gli additivi alimentari ... ancora presenti nel prodotto finale", laddove non vi era invece presenza di anidride solforosa sul prodotto finito;
nè delle decisioni della Corte di Cassazione che considera additivi chimici quelli che: "... diventino per ragionevole presunzione componenti della sostanza alimentare". (Cass. Pen. Sez. 3^ 1936/97). 2) Erronea applicazione dei principi contenuti nella L. n. 283 del 1962.
La L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. g), sostiene il ricorrente, ha quale bene giuridico tutelato la salute del consumatore ed è un reato commissivo di pericolo presunto ragione per cui, se per la sussistenza del reato non è necessario dimostrare la concreta tossicità del prodotto, non si può comunque prescindere dalla dimostrazione della presenza dell'additivo.
3) Inosservanza degli artt. 42 e 43 c.p. essendo stato dimostrato che la Dole Italia S.p.a. è impresa di grandi dimensioni, con varie unità locali all'interno del paese che importava i prodotti tramite altre società che provvedevano a far arrivare il prodotto già confezionato direttamente dal Sud Africa nel porto di Amburgo ove venivano svolte le necessarie verifiche.
4) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lettera e) potendosi al più ravvisare nella specie, secondo il ricorrente, la violazione del D.P.R. n. 777 del 1982, art. 2, lett. a), depenalizzata dal D.Lgs. n. 507 del 1999 - che disciplina i materiali destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari e mancando, inoltre, qualsiasi prova circa la presenza di additivo sul prodotto. Impropriamente, peraltro, la sentenza impugnata avrebbe operato, sempre secondo il ricorrente, una assimilazione tra l'anidride solforosa ed i gas di imballaggio, che richiedono altro tipo di confezionamento (atmosfera protettiva) del D.Lgs. n. 109 del 1992, ex allegato 2^, sezione 2^. Ai sensi dell'art. 585 c.p.p., comma 4, in relazione anche alle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, la difesa ha depositato i seguenti ulteriori motivi:
5) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lettera b), per erronea applicazione del D.M. n. 209 del 1996 ribadendo che la corretta lettura della norma rende evidente che il presupposto del reato in esame è solo la presenza dell'additivo sul prodotto alimentare mentre, nella specie, l'uva non recava traccia dell'anidride solforosa; ed aggiungendo anche che numerosi altri procedimenti analoghi erano stati già archiviati;
6) Violazione dell'art. 606 c.p.p., lettera e); contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli atti del procedimento essendo risultato nel prodotto assente qualsiasi sostanza additivante ed avendo per contro il Dott. Paolo Pucci, chimico, affermato che il tappetino svolge una funzione di filtro dell'aria che serve a rallentare sensibilmente la proliferazione microbica ed il Prof. Vincenzo Brandolini, ordinario di chimica presso l'Università degli Studi di Ferrara, evidenziato che non solo il tappetino si trovava sopra altri fogli di separazione e, quindi, isolato dall'uva ma che, lungi dal rappresentare un trattamento del prodotto, rispondeva alla necessità di tutelare i consumatori con specifico riferimento alle norme HACCP limitando, in un punto critico quale può essere l'apertura non ermetica della confezione, l'ingresso di ossigeno ed aria contaminata da microrganismi patogeni e tossigeni.
In ogni caso il ricorrente contesta ancora una volta la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato evidenziando che la società avrebbe nella specie adempiuto a quanto prescritto nel manuale di autocontrollo delegando a laboratori specializzati il controllo del prodotto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e merita quindi accoglimento nei limiti di seguito indicati. Il primo motivo pone sostanzialmente due questioni. Rispetto alla prima appare condivisibile l'affermazione del giudice di merito secondo la quale l'uva fresca non può essere additivata con anidride solforosa e solfiti. Correttamente, infatti, il tribunale evidenzia che l'allegato 11 al D.M. 27 febbraio 1996, n. 209 fornisce una lista positiva dei prodotti alimentari che possono essere additivati, senza ricomprendervi l'uva fresca e che, per ciò che concerne specificatamente l'anidride solforosa e i solfiti, il loro impiego viene in tale allegato previsto per la frutta essiccata (tra cui l'uva), ma non per quella fresca.
Opportunamente aggiunge anche in motivazione il tribunale che il D.M. 19 maggio 2000 (Limiti massimi di residui di sostanze attive dei prodotti fitosanitari tollerati nei prodotti destinati all'alimentazione) prevede che l'anidride solforosa possa essere presente nell'uva fresca nella misura massima di 10 mg/kg, ma solamente come effetto residuale di trattamenti in campo a base di solfiti alcalini e alcalino-terrosi. Venendo ora all'esame della seconda questione posta dal ricorrente, la sentenza impugnata ricostruisce esattamente il quadro normativo vigente evidenziando che il D.M. 27 febbraio 1996, nr. 209, art. 1 definisce additivo alimentare "qualsiasi sostanza, normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti ... aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, di trasformazione, di preparazione, di trattamento, di imballaggio, di trasporto o immagazzinamento degli alimenti, che si possa ragionevolmente presumere diventi ... un componente di tali alimenti direttamente o indirettamente" e che fra gli additivi, l'art. 14 di tale D.M. elenca i "conservanti", qualificati come le "sostanze che prolungano il periodo di conservazione dei prodotti alimentari proteggendoli dal deterioramento provocato da microorganismi" e i "gas d'imballaggio", spiegati come "i gas differenti dall'aria introdotti in un contenitore prima, durante o dopo avere introdotto in tale contenitore un prodotto alimentare". In maniera altrettanto corretta il tribunale cita inoltre il D.M. 31 marzo 1965, art. 3 (Disciplina degli additivi chimici consentiti nella preparazione e per la conservazione delle sostanze alimentari), richiamato espressamente dal D.M. n. 209 del 1996, secondo cui "sono considerati additivi chimici quelle sostanze ... che si aggiungono in qualsiasi fase di lavorazione alla massa o alla superficie degli alimenti per conservare nel tempo le caratteristiche chimiche, fisiche o fisicochimiche, per evitarne l'alterazione spontanea". Possono rientrare, pertanto, come afferma il giudice di merito, nella nozione di additivo anche quelle sostanze finalizzate a proteggere il prodotto, che, pur non facendo strutturalmente parte del prodotto alimentare stesso, ne alterino comunque la composizione per effetto del contatto.
Esattamente rileva tuttavia al riguardo il ricorrente che, ai sensi dell'art. 2, condizione indispensabile per l'applicazione del D.M. n. 209 del 1996 è che la presenza di additivi sia comunque effettivamente riscontrata sul prodotto alimentare, eventualmente anche in forma modificata.
Orbene, rispetto alle doglianze indicate ritiene il Collegio che effettivamente la sentenza impugnata evidenzi limiti motivazionali. Il tribunale perviene, infatti, alle sue conclusioni limitandosi ad assimilare l'uso dei tappetini a quello dei gas d'imballaggio citati nel D.M. n. 209 del 1996 sul rilievo che anche l'anidride solforosa liberata dal metabisolfito in essi contenuto ha capacità espansiva all'interno del contenitore.
Omette, tuttavia, la sentenza impugnata di motivare sulle testimonianze rese dai testi Pucci e Brandolini i quali, oltre ad affermare che l'uso del tappetino rispondeva all'esigenza di tutelare il consumatore nel rispetto delle norme HACCP evitando la contaminazione del prodotto in caso di accidentali aperture della confezione, hanno soprattutto evidenziato, in relazione ai profili che in questa sede più direttamente rilevano, che i tappetini medesimi erano isolati rispetto al prodotto essendo "avvolti in altri fogli di separazione", in tal modo escludendo qualsiasi possibilità di contatto con l'uva.
E la mancanza appare tanto più rilevante ove si confermi la circostanza affermata dal ricorrente che l'uva fresca oggetto di campionamento ed analisi non recava traccia di anidride solforosa in quanto ciò escluderebbe in radice la contaminazione e l'alterazione del prodotto.
La sentenza va pertanto annullata sul punto ed in sede di rinvio il giudice dovrà farsi carico di esaminare nella motivazione anche gli elementi testè indicati.
Rimangono così assorbiti i restanti motivi di ricorso. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Annulla l'impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Trento. Così deciso in Roma, il 18 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2006