Cass. Sez. III n. 12471 del 3 aprile 2012 (Ud.15 dic. 2011)
Pres. Mannino Est. Andronio Ric.Bocini
Acque.Modalità di campionamento del refluo

Le indicazioni sulle metodiche di prelievo e campionamento del refluo, contenute nell'Allegato 5 alla Parte II del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, pur non stabilendo un criterio legale di valutazione della prova, non possono comunque essere sostituite dall'esame visivo che, al più, può ad esse affiancarsi, restando da solo insufficiente a provare la sussistenza del reato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 15/12/2011
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 2747
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere - N. 19168/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BOCINI LORIANO N. IL 23/07/1949;
avverso la sentenza n. 1655/2009 TRIB.SEZ.DIST. di EMPOLI, del 15/10/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Iacoviello Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del ricorso. RITENUTO IN FATTO
1. - Con sentenza del 15 ottobre 2009, il Tribunale di Firenze - sezione distaccata di Empoli ha condannato l'imputato alla pena dell'ammenda per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, per avere effettuato uno scarico di acque reflue industriali, senza la prevista autorizzazione, attraverso la fognatura delle acque meteoriche.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone, con unico motivo di impugnazione, l'annullamento per manifesta illogicità della motivazione.
Premette la difesa che, presso lo stabilimento industriale dell'imputato, esistono due fognature: una convogliata verso il depuratore gestito da apposito consorzio e destinata a raccogliere le acque del processo produttivo o, comunque, le acque venute a contatto con materiali prodotti o lavorati; l'altra destinata a raccogliere le acque dei servizi igienici e delle docce, nonché le acque meteoriche convogliate. All'atto del sopralluogo ispettivo, i tecnici dell'Arpat avevano rilevato: 1) che acqua contenente una sostanza biancastra stava fuoriuscendo dal tubo di scarico delle acque domestiche e piovane; 2) che due giorni prima si era verificato un incidente per cui un quantitativo di Primal (sostanza utilizzata nel processo produttivo) era fuoriuscito da una cisterna ed era finito, in parte, nello scarico delle acque domestiche; 3) che il rio a valle dello scarico era interessato a tratti dalla presenza di acqua biancastra. Gli ispettori non eseguirono prelievi nel pozzetto immediatamente precedente al punto di scarico, ne' nei tratti di fiume a valle dello scarico interessati da acqua biancastra e, comunque, non rinvennero la sostanza nociva nello scarico in atto.
Ad avviso del ricorrente, la manifesta illogicità della motivazione della sentenza consisterebbe nel fatto che la condanna si sarebbe basata sul semplice esame visivo delle acque, che erano effettivamente di colore biancastro, senza che da nessuna delle analisi chimiche svolte fosse emerso che la sostanza nociva aveva effettivamente raggiunto il corso d'acqua.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
L'accertamento della penale responsabilità dell'imputato è basato sui seguenti assunti: a) la sostanza nociva era presente all'interno del pozzetto prima dello scarico, ma era assente nel campione prelevato nel rio immediatamente a valle dello scarico; b) tale circostanza si spiega "forse per la forte diluizione che il materiale aveva subito", essendo stati effettuati i prelievi due giorni dopo l'iniziale sversamento; c) il tecnico della ditta, teste della difesa, ha precisato che vi era stata una piccola perdita di sostanza nociva nel pozzetto delle acque meteoriche, specificando di non avere accertato se le acque contenenti tale sostanza avessero effettivamente raggiunto il rio; d) l'imputato nega che le acque inquinate contenute nel pozzetto abbiano effettivamente raggiunto il rio; e) il colore biancastro dell'acqua del rio, visivamente constatato, era attribuibile agli scarichi dello stabilimento dell'imputato e non ad altri scarichi.
Deve rilevarsi che, così argomentando, il Tribunale ha sostanzialmente trascurato l'esito negativo del campionamento delle acque del corpo idrico, fondando la decisione sull'indimostrabile petizione di principio secondo cui l'assenza della sostanza nociva nelle acque del rio, riscontrata all'esito dell'analisi chimica, è spiegabile con la diluizione della stessa, visto il lasso di tempo trascorso dallo scarico e visto che, all'esame visivo, le acque apparivano, comunque, biancastre. Tali ultime considerazioni, oltre ad apparire evidentemente frutto di mere supposizioni, configgono con i principi che regolano l'accertamento della responsabilità penale in materia di superamento dei valori limite per gli scarichi. Se è vero, infatti, che - come sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, 16 marzo 2011, n. 16054) - le indicazioni sulle metodiche di prelievo contenute nell'allegato 5 alla parte 2^ del D.Lgs. n. 152 del 2006 consentono all'organo ispettivo d. procedere con modalità diverse di campionamento qualora ciò sia giustificato da particolari esigenze legate alle prescrizioni contenute nell'autorizzazione, al tipo di scarico o al tipo d. accertamento, è parimenti vero che il campionamento del refluo è il metodo di analisi che deve essere comunque utilizzato, non potendo a questo sostituirsi - ma, al più, affiancarsi - l'esame visivo. Ne consegue che qualora - come nel caso di specie - il campionamento dia esito negativo e l'esame visivo dia, invece, esito positivo la responsabilità dell'imputato non può considerarsi accertata al di là di ogni ragionevole dubbio, essendo insufficiente la prova che il fatto sussiste.
4. - La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata senza rinvio, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2012