Cass. Sez. III n. 38402 del 29 ottobre 2010 (Cc. 23 set. 2010)
Pres. Teresi Est. Lombardi Ric. Monaco
Acque. Irregolarità nel campionamento
La violazione delle regole da osservarsi in sede di campionamento non determina alcuna nullità delle operazioni effettuate, trattandosi eventualmente di irregolarità la cui incidenza sul risultato delle analisi deve necessariamente essere verificata in sede di accertamento di merito.
UDIENZA del 29.10.2010
SENTENZA N. 1171
REG. GENERALE N.10803/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Signori:
Presidente Dott. Alfredo Teresi
Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi
Amedeo Franco
Guicla I. Mulliri
Santi Gazzara
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
- Sul ricorso proposto dagli Avv. Carmelo Peluso e Attilio Floresta, difensori di fiducia di M. G., n. a Acireale il xx.ad.xxx, avverso l'ordinanza in data 29.1.2010 del Tribunale di Catania, con la quale è stato confermato il provvedimento del G.I.P. del Tribunale di Catania in data 10.12.2009.
- Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
- Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
- Udito il difensore del Monaco, Avv. Attilio Floresta, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 10.12.2009, con il quale è stato disposto il sequestro preventivo di un'area sulla quale la S.r.l. Ofelia Ambiente, di cui è amministratore unico M. G., esercita attività di recupero ambientale ex art. 5 DM 5.2.1998 e di recupero di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
In sintesi, il Tribunale del riesame ha escluso che la S.r.l. Ofelia Ambiente svolgesse l'attività di recupero rifiuti in assenza della prescritta autorizzazione, per essere quella in suo possesso scaduta, come ipotizzato dalla pubblica accusa, ma ha ritenuto sussistente il fumus delle altre violazioni ascritte alla predetta società, riconducibili alla fattispecie di cui all'art. 256, comma 4, del D. Lgs n. 152/2006 e per alcune violazioni anche all'ipotesi di cui al secondo comma del predetto articolo, nonché la violazione di cui agli art. 181 del D. Lgs n. 42/2004 e 44 lett. c) del DPR n. 380/2001.
In particolare è stato ritenuto sussistente il fumus dei reati di cui al citato art. 256, stante anche la violazione delle norme tecniche riportate nell'allegato 3 al DM 12.6.2002 n. 161:
1) per essere stata accertata dall'ARPA la presenza di rifiuti pericolosi nell'area destinata a recupero ambientale con superamento dei valori limite relativamente alla presenza di sostanze nocive;
2) la messa in riserva di rifiuti pericolosi, costituiti dalle scorie di fusione secondaria del piombo, all'aperto, esposti agli agenti atmosferici, in area destinata a deposito di pietrisco.
Sul punto l'ordinanza ha osservato che, pur essendo stato accertato, nel corso di un successivo sopraluogo, che le scorie erano state concentrate in un box ivi esistente permaneva la difformità della destinazione del sito rispetto alla planimetria;
3) la presenza in una vasta area, non confinata, di un cumulo di notevoli dimensioni, privo di segnaletica identificativa del materiale, ottenuto dalla lavorazione delle scorie di fusione secondaria del piombo, non classificabile come semilavorato in attesa di riscontro analitico, mentre le successive analisi avevano dimostrato il superamento dei limiti fissati dalla legge per la concentrazione di piombo, selenio e solfati;
4) il deposito all'aperto in area destinata alla messa in riserva di rifiuti pericolosi, costituiti da terre e rocce da scavo da trattare per la produzione di terre definite "da coltivo", in assenza della prescritta cartellonistica.
Analoghe carenze di segnalazioni venivano rilevate in ordine alla presenza di cumuli di fanghi provenienti dal trattamento di acque reflue industriali; alla presenza di cumuli di terre e rocce con livelli di contaminazione da idrocarburi pesanti tali da rendere il materiale incompatibile con qualsiasi forma di recupero.
Con riferimento alle violazioni urbanistiche e paesaggistiche l'ordinanza ha rilevato che l'area, da ritenersi agricola e sottoposta a vincolo paesaggistico fin dal 1993, era stata progressivamente trasformata attraverso la realizzazione di ulteriori opere rispetto a quelle preesistenti, realizzate dalla azienda Betonsider, che aveva operato nella stessa zona.
Il Tribunale ha altresì ritenuto sussistenti le esigenze cautelari connesse al pericolo di protrazione o aggravamento delle conseguenze dei reati ovvero della commissione di altri illeciti, nonché derivanti dall'aggravio del carico urbanistico per l'esercizio in zona agricola di attività industriali. Avverso l'ordinanza hanno proposto ricorso i difensori dell'indagato, che denunciano violazione di legge e vizi di motivazione.
Il ricorrente denuncia:
1) Violazione ed errata applicazione degli art. 191 c.p.p. e 223 disp. att. c.p.p. con la conseguente inutilizzabilità delle attività di campionamento e dei risultati delle analisi eseguite dall'ARPA. Premesso che la prospettata violazione delle norme processuali era già stata dedotta dinanzi al Tribunale del riesame, si deduce che le attività di campionamento e di analisi sono state eseguite dall'ARPA successivamente alla delega di indagini, in relazione all'attività svolta dalla Ofelia Ambiente, conferita dal P.M. alla polizia giudiziaria, con la conseguenza che le attività di campionamento e di successiva analisi dovevano, a pena di nullità, essere comunicate al ricorrente per l'esercizio delle facoltà previste dall'art. 223 disp. att. c.p.p..
2) Violazione dell'art. 3 del DM 471/1999 in relazione all'allegato 1 stesso testo con la conseguente inutilizzabilità dei referti analitici.
Si deduce che il prelievo dei campioni, dalle cui analisi è emerso il superamento dei limiti, non è stato effettuato all'ingresso dei materiali, come prescritto dalla disposizione citata, bensì dopo che gli stessi erano stati "abbancati" sui siti di destinazione unitamente ad altre materie prime, con la conseguente carenza di validità dei risultati delle analisi.
3) Mancanza e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione dell'art. 321 c.p.p. in relazione alla ritenuta sussistenza del periculum.
Si deduce, in sintesi, che il fumus dei reati è stato fondato esclusivamente sulle risultanze delle indagini effettuate a suo tempo dall'ARPA senza tener conto della situazione esistente al momento del sequestro, in cui risultavano essere state eliminate tutte le irregolarità riscontrate in precedenza, come verificato anche dal consulente del P.M. in sede di ispezione in data 3.12.2009 e risultante dalla relazione del tecnico.
In particolare si deduce che le scorie di fusione secondaria del piombo erano state prima concentrate sotto il box esistente in loco e successivamente avviate alla collocazione definitiva prevista in progetto; che tutta l'area era stata munita della cartellonistica indicante la caratterizzazione dei rifiuti; che erano state rimosse le scorie di fusione secondaria del piombo ed i fanghi. Si contesta inoltre che dalle risultanze degli accertamenti sia emersa la incompatibilità delle rocce e terre con qualsiasi forma di recupero a causa dell'inquinamento da idrocarburi.
4) Violazione ed errata applicazione dell'allegato 3 al D.M. 12.6.2002 n. 161 art. 4 e mancanza di motivazione.
Si deduce che il Tribunale del riesame ha erroneamente ritenuto applicabili alle rocce e terre da scavo rinvenute sul piazzale pavimentato le disposizioni del citato D.M., che si riferiscono alle prescrizioni da osservarsi nell'attività di messa in riserva (R13), mentre le predette rocce e terre da scavo costituiscono rifiuti sottoposti a trattamento di recupero (R5) per biossidazione, con addizione di compost e carica batterica per l'abbattimento dei contaminanti idrocarburici.
Si contesta inoltre l'inosservanza di prescrizioni di legge nella raccolta delle acque meteoriche, avvenendo la stessa in conformità delle prescrizioni dettate dalla Provincia Regionale di Catania con provvedimento del 23.3.2000 prot. N. 11941.
5) Violazione ed errata applicazione degli art. 44 lett. c) del DPR n. 380/2001; 181 del D. Lgs n. 42/2004; 6 della legge regionale della Sicilia n. 37/1985 e vizi di motivazione.
Si deduce, con riferimento alle violazioni urbanistica e paesaggistica, che il Tribunale del riesame ha omesso di esaminare il provvedimento rilasciato congiuntamente dal Comune di S. Venerina e dalla Provincia Regionale di Catania, dal quale si evince l'esistenza delle prescritte autorizzazioni e che nelle zone a destinazione agricola non viene svolta nessuna attività produttiva.
Si aggiunge che le vasche di raccolta delle acque meteoriche sono esentate dal regime concessorio o autorizzatorio ai sensi dell'art. 6 della citata legge regionale n. 37/85.
Il ricorso non è fondato.
Rileva in via principale la Corte che non sussiste la denunciata violazione dell'art. 223 disp. att. c.p.p. con riferimento al prelievo dei campioni sottoposti ad analisi.
Dai verbali dell'ARPA, redatti per il campionamento dei rifiuti da sottoporre ad analisi, risulta, infatti, che alle operazioni di campionamento era presente il geologo, dr. Trovato Rosario, consulente della "Ofelia Ambiente", il quale nulla ebbe a rilevare in ordine alla regolarità delle operazioni effettuate.
Dagli stessi verbali inoltre emerge che sono stati formati ogni volta vari campioni del materiale da sottoporre ad analisi, uno dei quali consegnato al Monaco per eventuali analisi di parte ed altro consegnato e preso in custodia dal DAP di Catania, per essere utilizzato "quale controcampione ufficiale per eventuali analisi in contraddittorio".
Sicché l'azienda di cui è amministratore unico il ricorrente era stata posta in grado di controllare la regolarità dei risultati delle operazioni di analisi e di chiederne la revisione in contraddittorio. Osserva, poi, la Corte in ordine al secondo motivo di gravame che la violazione delle regole in ordine alle modalità con le quali doveva essere effettuato il prelievo dei campioni non è stata denunciata al momento delle operazioni di campionamento; né, come rilevato, risulta essere stata chiesta la revisione delle analisi effettuate.
La dedotta violazione delle regole da osservarsi in sede di campionamento, peraltro, non determina alcuna nullità delle operazioni effettuate, trattandosi eventualmente di irregolarità la cui incidenza sul risultato delle analisi deve necessariamente essere verificata in sede di accertamento di merito. E' appena il caso di rilevare sul punto che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte (cfr. sez. V, 18.5.2005 n. 23240, Zhu, RV 231901; sez. VI, 27.1.2004 n. 12118, Piscopo, RV 228227; sez. un. n. 23 del 1997, Bassi ed altri, RV 206657), la verifica demandata al Tribunale del riesame, in materia di misure cautelari reali, è limitata al riscontro della sussumibilità degli elementi prospettati dalla pubblica accusa nella fattispecie di reato oggetto di indagine, mentre esula dal potere del giudice del riesame l'accertamento della concreta fondatezza dell'ipotesi accusatoria.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Le risultanze dell'accertamento effettuato dal consulente del P.M. in data 3.12.2009, che peraltro si palesa quasi concomitante temporalmente con la emissione del provvedimento del G.I.P., non risultano essere state sottoposte all'esame di detto giudice al momento della emissione della ordinanza genetica della misura cautelare, sicché le stesse non erano neppure valutabili dal, Tribunale del riesame, che doveva verificare la legittimità del sequestro in relazione alle risultanze delle indagini prospettate in quella sede.
Pertanto, le risultanze delle ulteriori indagini tecniche, ove abbiano accertato la intervenuta eliminazione delle irregolarità riscontrate nei precedenti sopraluoghi, devono essere poste a fondamento di una richiesta di restituzione degli impianti.
E' evidente, infine, che con gli ulteriori motivi di gravame si contesta nel merito la fondatezza dell'ipotesi accusatoria; contestazione nel merito non solo inammissibile in sede di legittimità, ma, come già rilevato, sottratta alla cognizione del giudice del riesame, che non poteva verificare la concreta fondatezza dell'accusa in relazione alle ulteriori fattispecie contravvenzionali di cui il ricorrente nega la sussistenza.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 23.9.2010.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 29 Ott. 2010