Cass. Sez. III n. 19986 del 20 maggio 2021 (UP 8 apr 2021)
Pres. Sarno Est. Di Stasi Ric. Antoniazzi
Ambiente in genere.Procedura estintiva contravvenzioni

Gli art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 non stabiliscono che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato e l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 05/06/2019, il Tribunale di Treviso dichiarava Antoniazzi Diego responsabile del reato di cui all’art. 29-quattordecies, comma 3 lett.a) d.lgs 152/2006 – perché, nella qualità di amministratore unico di Everest s.r.l,, non rispettava le prescrizioni contenute nel decreto n. 345/2012 della Provincia di Treviso, che autorizzava la predetta società allo scarico di acque reflue nei limiti stabiliti nella tabella 3, allegato 5, Parte terza del d.lgs. 152/2006, superando il parametro relativo al boro.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Antoniazzi Diego, a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al tema difensivo della buona fede e della mancanza dell’elemento soggettivo della colpa.
Espone che la mattina del controllo programmato da parte dell’Arpav si era verificato un blocco dell’impianto di depurazione e tale circostanza era stata riferita ai tecnici Arpav dal tecnico della società, il quale, nella erronea convinzione che tale incidente, per effetto del corretto funzionamento dell’impianto di allarme, non avesse avuto conseguenze, invitava i predetti tecnici ad effettuare comunque i prelievi. Tale fatto era stato indicato, in sede di discussione, quale circostanza che aveva determinato la buona fede e, quindi, la carenza dell’elemento soggettivo del reato per scusabilità dell’errore. Il Tribunale non aveva motivato sul punto, pur essendo emerso in dibattimento un fatto non prevedibile integrante il caso fortuito o forza maggiore, e, cioè, il mancato corretto funzionamento dell’impianto di allarme.
Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 318 bis e ss. d.lgs 152/2006 e correlato vizio di motivazione.
Lamenta che gli organi accertatori avevano omesso di giustificare la non attivazione della procedura estintiva del reato prevista dalle suddette norme e che tale omissione, in presenza di tutti i presupposti previsti dalla norma, avrebbe dovuto indurre il Tribunale a dichiarare la non rilevanza penale della condotta e la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa per l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 318 quater, comma 2, d.lgs 152/2006; sul punto nulla aveva argomentato il Tribunale.
Con il terzo motivo violazione dell’art. 131-bis cod.pen. e correlato vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale aveva denegato l’applicata della predetta causa di esclusione della punibilità con motivazione generica e carente, perché non basata sulla valutazione di tutti i parametri di cui all’art. 133, comma 1, cod.pen.; inoltre, erano stata valorizzati, in maniera inadeguata, anche i precedenti penali dell’imputato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Si è proceduto in camera di consiglio senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, in base al disposto dell’art. 23, comma 8 d.l. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale (cfr pag 2 della sentenza impugnata) ha correttamente ritenuto che il blocco dell’impianto di depurazione avvenuto la mattina stessa del campionamento effettuato dai tecnici dell’A.R.P.A.V. non costituisse fatto imprevedibile tale da escludere ogni profilo di colpa dell’imputato.
Va ricordato che questa Corte ha affermato che il caso fortuito e la forza maggiore hanno, quale fondamento, la eccezionalità del fatto e la imprevedibilità dello stesso e che, in materia di inquinamento idrico, tali evenienze non sono ravvisabili nel verificarsi di guasti tecnici dell’impianto ( nella specie, rottura di un a condotta che determini la fuoriuscita dei reflui) trattandosi di accadimenti che, sebbene eccezionali, ben possono essere in concreto, previsti ed evitati (Sez.3, n.24333 del 13/05/2014, Rv.259195 – 01 )
Nella citata decisione, si è ricordato “che, con riferimento a fenomeni di inquinamento addebitabili ad inconvenienti di natura tecnica, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso l'applicabilità dell'art. 45 cod. pen. con riferimento alla rottura di un tubo (Sez. 3 n.
11410, 7 ottobre 1999;Sez. 3 n.5863del 10 maggio 1999; Sez. 3 n. 6954, 9 Iuglio l996), al guasto ad una pompa che determini il cattivo funzionamento di impianti di depurazione (Sez. 3 n.7497, 12 luglio 1991), alla rottura di una guarnizione o alla mancanza di energia (Sez. 3 n.3954, 12 aprile 1995), alla bruciatura di una resistenza (Sez. 5 n.9134, 11 settembre 1991), alla corrosione di canalette di adduzione dei reflui conseguente all'acidità dei reflui medesimi (Sez. 3 n.1814, 12 febbraio 1998), all'intasamento di un depuratore per la presenza di scorie all'interno (Sez. 3 n.10153, 26 settembre 1998) ed al piegamento di un tubo destinato ad immettere nell'impianto sostanze atte all'abbattimento dei valori di determinati inquinanti (Sez. 3 n.1054, 14 gennaio 2003); e l'insussistenza del caso fortuito è stata ritenuta anche qualora il guasto si sia verificato su impianto che in precedenza non aveva mai manifestato inconvenienti tecnici (Sez. 3 n.5050, 24 aprile 1987). Tali principi, formulati sotto la vigenza delle disposizioni in materia di inquinamento idrico che hanno preceduto quelle ora contemplate dal d.lgs. n. 152 del 2006, sono tuttora validi e vanno pienamente condivisi”.
Del resto, è stato anche affermato che il titolare di un insediamento produttivo ha il dovere positivo di prevenire ogni forma di inquinamento, attraverso l'adozione di tutte le misure necessarie, attinenti al ciclo produttivo, alla organizzazione, ai presidi tecnici, alla costante vigilanza. Di conseguenza l'inclemenza atmosferica (dovuta a pioggia abbondante o freddo intenso), i guasti meccanici dell'impianto di depurazione, i comportamenti irregolari dei dipendenti non sono fatti imprevedibili e pertanto non costituiscono caso fortuito o forza maggiore (Sez.3, n.8828 del 29/03/1989, Rv.181624).
La valutazione del Tribunale è, dunque, conforme ai principi di diritto suesposti.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La procedura estintiva di cui all’art. 318-septies d.lgs 1528/206, consente, con modalità analoghe a quelle stabilite dalle disposizioni che regolano la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (d.lgs. 19 dicembre 1994, n.758), di pervenire alla definizione delle contravvenzioni sanzionate dal d.lgs. 152\06 (artt. 318-bis — 318-octies). Essa si pone, sostanzialmente, come un'alternativa all'oblazione, più vantaggiosa, almeno per quanto riguarda gli importi da versare. Il sistema delle prescrizioni, rispetto alle norme gemelle del d.lgs. 758\94, presenta, inoltre, nell'art. 318-ter, alcuni adattamenti, evidentemente giustificati dalla particolarità della materia, attribuendo il potere di impartire prescrizioni non soltanto all'organo di vigilanza, ma anche alla polizia giudiziaria e stabilendo che la prescrizione sia «asseverata tecnicamente» dall'ente specializzato competente nella materia trattata.
Secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, tale procedura non è affatto obbligatoria e, al pari dell’omologa procedura prevista dalla normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, di cui agli artt. 20 e ss. del d.Lgs. n. 758 del 1994, l'omessa indicazione, da parte dell'organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale (cfr Sez. 3, n. 38787 del 8/2/2018, De Tursi, che affermando tale principio ha richiamato l'attenzione su quanto affermato, da Sez. 3, n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno, Rv.269140 – 01, che, in fattispecie relativa alla disciplina antinfortunistica ha affermato, in motivazione, che secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina dettata dagli artt. 20 e ss. del d. Lgs. n. 758 del 1994, la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l'esercizio dell'azione penale nei casi in cui, legittimamente, l'organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l'imputato può comunque richiedere di essere ammesso all'oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata).
Il parallelismo tra le due normative è stato rimarcato anche da Sez.3, n.36405 del 18/04/2019,Rv.276681, che ha osservato che la procedura di estinzione prevista dal testo unico sull'ambiente è costruita sul medesimo meccanismo previsto dalla normativa di cui al d.lgs. n. 758 del 1994 e ne segue l'interpretazione; nell’esaminare la questione dell'applicabilità della procedura estintiva alle condotte esaurite, ha, quindi, richiamato il dictum della summenzionata Sez. n. 7678 del 13/01/2017, Bonanno, ove si è stabilito, previo richiamo ai precedenti 5 arresti, che l'omessa indicazione, da parte dell'organo di vigilanza, delle prescrizioni di regolarizzazione non è causa di improcedibilità dell'azione penale.
Il principio è stato, poi, da ultimo affermato da Sez. 3, n.49718 del 25/09/2019, Rv.277468 – 01, che ha anche osservato che la obbligatorietà della speciale procedura in esame non può neppure rilevarsi dall'uso dell'indicativo presente da parte del legislatore nell'art. 318-ter d.lgs. 152/06 ("...impartisce al contravventore un'apposita prescrizione asseverata tecnicamente...") trattandosi di una mera scelta dello stile espositivo e ben potendosi in concreto verificare situazioni analoghe a quelle considerate nell'esaminare la simile procedura stabilita in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ad esempio quando l'organo di vigilanza si determini a non impartire alcuna prescrizione perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua; si è, quindi, ribadito, che gli art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 non stabiliscono che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato e che l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale.
Va, conseguentemente, ribadito che gli art. 318-bis e ss. d.lgs. 152/06 non stabiliscono che l'organo di vigilanza o la polizia giudiziaria impartiscano obbligatoriamente una prescrizione per consentire al contravventore l'estinzione del reato e l'eventuale mancato espletamento della procedura di estinzione non comporta l'improcedibilità dell'azione penale.
Ciò premesso, deve osservarsi che, nel caso di specie, l’imputato lamenta che l’organo accertatore non aveva giustificato la non attivazione della procedura in esame e che, inoltre, avendo difesa chiesto al Tribunale, come emerge dalle conclusioni riportate in sentenza, di "valutare la non rilevanza penale della condotta ai sensi degli art. 318 bis e ss del d.lgs n. 152/2006", sul punto nulla era stato argomentato in sentenza.
La deduzione difensiva, alla luce dei principi di diritto suesposti, è destituita di fondamento, attesa la non obbligatorietà della speciale procedura in esame; inoltre, l’imputato non ha neppure comprovato di aver fatto richiesta di attivazione della procedura di cui agli artt. 318 –ter e quater del d.lgs 152/2006, nella fase delle indagini preliminari, all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria, ovvero o al p.m.(nell’ipotesi di cui all’art. 318 quinquies) risultando, preclusa e tardiva ogni richiesta effettuata nella fase dibattimentale del procedimento.
Inoltre, a fronte della manifesta infondatezza della deduzione difensiva, alcun obbligo motivazionale incombeva al Tribunale, secondo il principio consolidato in tema di motivazione della sentenza, in base al quale il giudice non è obbligato a motivare in ordine al mancato accoglimento di istanze, nel caso in cui esse appaiano improponibili sia per genericità, sia per manifesta infondatezza (Sez.2, n.49007 del 16/09/2014, Rv.261423; Sez.3, n.53710 del 23/02/2016, Rv.268705) ovvero non risultino concedibili per il difetto di ogni presupposto che ne giustifichi la concessione od il riconoscimento (Sez.5, n.30410 del 26/05/2011,  Rv.250583; Sez.6,n.20383 del 21/04/2009, Rv.243841; sez. 5, 7212/1989 Rv.184373).
3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il Tribunale, nel valutare la richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod.pen., ha denegato la configurabilità della predetta causa di esclusione della punibilità rimarcando, essenzialmente, sulla base delle risultanze istruttorie, la gravità del fatto sulla base delle modalità e dell’oggetto dell’azione, in ragione del sensibile superamento dei limiti tabellari e della nocività della sostanza presente nelle acque reflue.
Le argomentazioni sono congrue e logiche e la motivazione, pertanto, si sottrae al sindacato di legittimità.
Del resto, questa Corte ha affermato che, ai fini dell'applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell'offesa dev'essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all'art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez 6, n.55107 del 08/11/2018, Rv.274647 - 01).
I rilievi mossi dal ricorrente, peraltro, propongono doglianze eminentemente di fatto, riservate al merito della decisione e, come tali, sono nammissibili in sede di legittimità.
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 08/04/2021