Cass. Sez. III n. 33047 del 28 luglio 2016 (Ud 19 apr 2016)
Pres. Ramacci Est. Andreazza Imp. Mozer e altri
Beni ambientali,Reato paesaggistico e dichiarazione di parziale incostituzionalità del comma 1bis art. 181 dlv 42\2004

In tema di reati paesaggistici, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 23 marzo 2016 che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 , integra la contravvenzione prevista dal comma primo di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati.

RITENUTO IN FATTO

1.Mozer Vilardo Nicola, Baronti Marco e Tognoni Claudio hanno proposto ricorso nei confronti della sentenza della Corte d'Appello di Genova che, in riforma della sentenza del Tribunale di La Spezia, ha dichiarato Tognoni Claudio rresponsabile dei reati di cui ai capi 2 (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 181, comma 1 bis), 3 (art. 323 c.p.) e 4 (art. 323 c.p.) dell'imputazione e M. e B. colpevoli del reato di cui al capo 2, dichiarando non doversi procedere in relazione al reato di cui al capo 1 (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) perchè estinto per prescrizione.

2. Con un primo motivo di ricorso T.C. lamenta l'insussistenza del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, posto che le opere in oggetto erano consentite sotto il profilo paesaggistico ricadendo all'interno dell'ambito disciplinato dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149 e dunque non soggette ad autorizzazione nè, trattandosi di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria, a nulla osta del Parco. Correttamente il Tribunale aveva concluso nel senso che l'area sulla quale erano stati realizzati i lavori non fosse da considerare di notevole interesse pubblico in virtù del D.M. 24 aprile 1985, in ragione della natura temporanea delle misure indicate dallo stesso decreto, scaduto e superato del nuovo assetto di tutela paesaggistica di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, e della vastità dell'area vincolata, non compatibile con il concetto di apposito provvedimento espresso dall'art. 181, comma 1 bis, da ritenere riferito a un determinato immobile e ad un'area specifica. Aggiunge che anche il D.M. 29 ottobre 1952, tardivamente richiamato dal P.M. nell'atto d'appello in luogo di quello originariamente indicato, presenterebbe in ogni caso le medesime caratteristiche, non essendo in nulla più dettagliato con riferimento alla zona in esame. Inoltre, contrariamente a quanto richiesto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 140, nessuna notifica delle dichiarazioni di notevole interesse pubblico è stata nella specie effettuata. Specifica inoltre come l'intero complesso delle opere previste nel permesso di costruire n. 229 del 2007 non sia mai iniziato, con conseguente inconfigurabilità del reato ascritto; in ogni caso l'opera sarebbe divenuta lecita comunque a seguito dell'ottenimento del provvedimento di sanatoria e di compatibilità paesaggistica successivamente intervenuto.

3. Con un secondo motivo lamenta la mancata applicazione della cosiddetta doppia conformità ai fini dell'intervenuta sanatoria urbanistica e paesaggistica essendo ampiamente comprovato che l'autorità competente ha rilasciato la doppia conformità sia edilizia che paesaggistico - ambientale con conseguente estinzione di entrambi i reati.

4. Con un terzo motivo, con riferimento al reato di cui all'art. 323 c.p., lamenta la insussistenza del necessario dolo intenzionale non potendo ogni illegittimità amministrativa sfociare in una condotta penale se non risulti dimostrata la precisa volontà dell'agente, cui il fatto è stato contestato semplicemente in quanto capo ufficio tecnico, di arrecare ad altri un ingiusto vantaggio; e ciò, tanto più in presenza di una vicenda urbanistica particolarmente complessa e della presenza addirittura di una responsabile del procedimento, incomprensibilmente prosciolta dal G.i.p. senza alcuna impugnazione da parte del P.M..

5. Con un primo motivo B.M. lamenta, quanto al reato di cui all'art. 181, comma 1 bis, la inosservanza di legge e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Dopo avere premesso che il Tribunale era giunto ad assoluzione ritenendo non rilevante ai fini della protezione paesaggistica, sotto il profilo del notevole interesse pubblico, il decreto ministeriale del 1985 in considerazione della sua temporaneità, della vastità della zona interessata dal decreto e dell'assenza della procedura prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 136 e segg., lamenta che la Corte d'appello sia giunta sul punto a diverse conclusioni semplicemente sulla base del richiamo della affermazione in tal senso da parte della Sovrintendenza, delle previsioni in ogni caso del D.M. 28 ottobre del 1952, dell'assenza di termini di scadenza nel decreto ministeriale del 1985 e dell'assenza di alcuna previsione abrogatrice di dette norme all'interno del D.Lgs. n. 42 del 2004. Contestati tali assunti, il ricorrente, richiamandosi alle argomentazioni già adottate dalla sentenza di primo grado, rileva come in ogni caso la Corte d'appello non abbia per nulla considerato che a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 157, lett. c) conservano efficacia quelle sole dichiarazione di notevole interesse pubblico precedenti alla normativa che siano state debitamente notificate (ciò che sarebbe rilevante anche ai fini dell'elemento soggettivo del reato) essendo invece nella specie mancata alcuna notifica; nè ha considerato che la testuale necessità di un apposito provvedimento dichiarativo dell'interesse pubblico notevole è inconciliabile con un decreto che abbia ad oggetto un intero territorio di varie estensioni.

6. Con un secondo motivo lamenta che la Corte d'appello abbia ritenuto la fondatezza dell'appello proposto dal P.M. assorbente rispetto alle doglianze svolte dagli imputati con gli appelli incidentali.

7. Con un terzo motivo lamenta l'inosservanza degli artt. 42 e 43 c.p. e la omessa motivazione in ordine alle deduzioni svolte con riguardo alla necessaria natura dolosa del reato contestato cosicchè la Corte avrebbe dovuto verificare se l'evento fosse stato preveduto e voluto come conseguenza delle azioni od omissioni dell'imputato anzichè sostanzialmente considerare la condotta posta in essere come una contravvenzione.

8. Con un quarto motivo ha lamentato la violazione dell'art. 181, comma 1 bis da considerarsi circostanza aggravante rispetto all'art. 181, comma 1 (con conseguente applicabilità della previsione di estinzione del reato a seguito dell'accertamento di compatibilità o della riduzione in pristino) senza che alcuna motivazione sia stata adottata sul punto dalla sentenza impugnata.

9. Con un quinto motivo ha lamentato la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 44 e 29 in relazione alla mancanza di qualifica di direttore dei lavori e omessa motivazione sul punto, giacchè anche con l'atto di appello incidentale si era argomentato che, per le attività provvisionali e di cantiere, non è prevista nè è necessaria la figura di direttore dei lavori e che comunque tale incarico non era mai stato accettato dall'imputato limitatamente alle opere eseguite sino al sequestro; in ogni caso, poichè il direttore dei lavori risponde unicamente della conformità delle opere al permesso per costruire e non alla normativa urbanistica, si sarebbe trattato di impedire opere che fino al momento del sequestro erano state regolarmente assentite con efficace permesso di costruire.

10. Con un sesto motivo ha lamentato la violazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 del in relazione al danno paesaggistico e mancanza di motivazione, tanto più a fronte dell'intervenuto accertamento di compatibilità.

11. Con un settimo motivo ha lamentato l'inosservanza dell'art. 181, comma 1 bis, e del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 44 in relazione all'innalzamento di un pilastro sullo spigolo di levante del fabbricato a e della modifica delle aperture degli edifici nonchè mancanza di motivazione sul punto. In particolare deduce che la Corte d'appello ha erroneamente ritenuto che nella richiesta di sanatoria non fossero ricomprese dette opere. Si duole del fatto che la Corte non abbia considerato che il pilastro e la modifica delle aperture erano opere provvisionali e di cantiere destinate a scomparire una volta avviati i lavori e non rientranti nell'ambito del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 36, 44 e 181.

12. Con un ultimo motivo lamenta infine la violazione gli artt. 516, 518, 581 e 522 c.p.p. nonchè mancanza di motivazione avendo la Corte d'appello recepito, a fondamento della violazione di cui all'art. 181, comma 1 bis, la prospettazione del P.M. che in luogo del originario riferimento al decreto ministeriale del 1985 ha assunto come parametro della dichiarazione di notevole interesse pubblico altro e diverso decreto ministeriale, ovvero quello del 28 ottobre 1952, mai contestato in precedenza.

13. Con un primo motivo M.V.N. ha lamentato la inosservanza del D.Lgs. n. 42 del 2004, artt. 136 e 157 e art. 181, comma 1 bis e illogicità della motivazione; deduce che la sentenza impugnata ha sovvertito l'epilogo assolutorio del giudizio di primo grado senza un'idonea motivazione di tale diversa conclusione, essendosi limitata la Corte d'appello a fare riferimento al convincimento circa l'applicabilità all'area della dichiarazione di notevole interesse pubblico espresso dalla sovrintendenza, alla mancanza di un termine di validità rinvenibile nel decreto ministeriale del 1985, alla mancanza di una previsione abrogativa in seno al D.Lgs. n. 42 del 2004 e alla assenza di qualunque notificazione del provvedimento di notevole interesse pubblico.

14. Con un secondo motivo lamenta la violazione del principio della cosiddetta motivazione rafforzata in ordine alle statuizioni riformate e alle allegazioni difensive posto che la Corte d'appello che ribalti il giudizio assolutorio di primo grado deve dimostrare puntualmente l'insostenibilità sul piano logico giuridico degli argomenti della sentenza assolutoria anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, nella specie contenuti in memoria, che viene integralmente trascritta in ricorso, di cui la sentenza impugnata non ha tenuto conto. In particolare denuncia l'assoluta mancata motivazione in ordine alle allegazioni svolte circa la necessità di conoscibilità da parte dell'imputato dell'effettivo contenuto precettivo della norma tanto più in quanto la sentenza del Tribunale dà atto di un pacifico errore di trasposizione tra la cartografia ufficiale del parco e quella approvata ed allegata al piano urbanistico del Comune di Lerici da cui emergeva che l'area di pertinenza dello stabilimento in oggetto non era ricompresa all'interno del perimetro dell'area parco.

CONSIDERATO IN DIRITTO

15. Con riguardo anzitutto alle censure mosse, con i vari motivi di ricorso, alla motivazione della sentenza impugnata laddove la stessa ha confermato l'affermazione di responsabilità per il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, di cui al capo 2) dell'imputazione, va anzitutto premesso che le doglianze di cui al primo motivo del ricorso di T.C. intese ad argomentare per la insussistenza di un vincolo gravante sulla zona interessata dalle opere appaiono manifestamente infondate. E' incontestato che, come dato atto dalla sentenza impugnata, l'area suddetta ricadeva interamente nel perimetro del Parco naturale regionale di (OMISSIS) e più in particolare nella componente 7.7 Riserva Generale Orientata della costa di (OMISSIS) ed era inquadrata nel livello 1 del "programma di recupero e riqualificazione degli insediamenti in area protetta o contigua" contenente le prescrizioni del piano del Parco per specifici livelli di protezione; di qui, dunque, la impossibilità, secondo quanto previsto dalla L.R. Liguria n. 12 del 1995, art. 20, lett. b), di costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti ed eseguire opere di trasformazione del territorio, potendo unicamente essere consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture necessarie alle stesse e alle attività dell'Ente, nonchè gli interventi di gestione delle risorse naturali a cura del parco ed essendo altresì ammessi gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria nel rispetto dei caratteri e dei materiali tradizionali.

E, nella specie, sempre la sentenza impugnata, riprendendo il contenuto della sentenza di primo grado, ha dato atto di una complessiva opera, realizzata sino alla data del 21/10/2008, quale data del sopralluogo, certamente non circoscritta, come preteso dai ricorrenti, all'interno di una mera attività di manutenzione (demolizione totale degli interni, messa in opera di nuovi scarichi, ampliamento dei varchi d'accesso con nuova edificazione di un pilastro, demolizione delle cabine ecc.) e per la quale, dunque, era necessario il preventivo Nulla Osta dell'Ente Parco e la necessaria relazione di incidenza.

16. Ciò posto, ed in tal modo essendo dunque tra l'altro infondata anche la doglianza di cui al secondo motivo del ricorso di B. (relativo alla mancata considerazione dei motivi di appello incidentale volti ad ottenere l'assoluzione nel merito), quanto al nucleo essenziale e di maggiore pregnanza delle censure svolte, ovvero la riconducibilità o meno della zona in area dichiarata di notevole interesse pubblico (riconducibilità esclusa dal Tribunale e ritenuta invece dalla Corte genovese), con conseguente integrazione o meno del reato di cui all'art. 181, comma 1 bis, in luogo dell'art. 181, comma 1 (di cui al primo e secondo motivo del ricorso di T., al primo, terzo, quarto e ottavo motivo del ricorso di B., e al primo e secondo del ricorso di M.), va preliminarmente considerata la circostanza sopravvenuta, la cui efficacia certamente coinvolge anche i fatti posti in essere antecedentemente ad essa, rappresentata dalla sentenza della Corte cost. n. 56 del 11/01/2016, pubblicata sulla G.U. del 30/03/2016, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale dell'art. 181, comma 1 bis, cit. nella parte in cui lo stesso prevede: ": a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142 ed".

Con tale pronuncia, infatti, la Corte ha ritenuto che la differenziazione normativa delle due ipotesi rispettivamente ascrivibili all'art. 181, comma 1 e al comma 1 bis, sia il frutto di una disciplina irragionevole resa manifesta "dalla rilevantissima disparità tanto nella configurazione dei reati (nell'un caso delitto, nell'altro contravvenzione), quanto nel trattamento sanzionatorio, in relazione sia all'entità della pena che alla disciplina delle cause di non punibilità ed estinzione del reato"; di qui la necessità, sempre secondo la Corte costituzionale, della "riconduzione delle condotte incidenti sui beni provvedimentali alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1 bis".

Sicchè, rientrando oggi nel comma 1 bis, a seguito dell'intervento appena ricordato, unicamente i lavori "che abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi", la condotta contestata nella specie viene a ricadere all'interno del comma 1, quale norma che, per la sua generale e onnicomprensiva formulazione, è destinata ad "accogliere" tutte quelle condotte che, ad esclusione di quelle appena ricordate, concernono i lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.

Ma se così è, mentre, da un lato, perdono ogni rilevanza le tematiche poste dai ricorsi con riguardo appunto alla corretta o meno individuazione nella specie delle necessarie caratteristiche della dichiarazione di notevole interesse pubblico, dall'altro, in ragione della acquistata veste contravvenzionale del reato contestato, non può non prendersi atto, come già accaduto per il reato di cui all'art. 44, lett. c) contestato al capo 1 dell'imputazione, della intervenuta prescrizione dello stesso in data 21/04/2013 (ovvero alla scadenza del termine di anni quattro e mesi sei a decorrere dal 21/10/2008 quale data dell'accertamento non seguita da prosecuzione).

Va solo aggiunto che la constatata maturazione del termine prescrizionale preclude ogni valutazione circa la non punibilità per l'intervenuto accertamento di compatibilità paesaggistica, già ritenuta dalla sentenza di primo grado ed esclusa, invece, dalla sentenza impugnata anche in ragione delle discrepanze tra le opere concretamente realizzate e quelle descritte nelle richieste di sanatoria. Così come la constatata causa estintiva esime dal considerare la censura (di cui al quinto motivo di ricorso di B.) in relazione alla mancanza di qualifica, in capo a B., di direttore dei lavori perchè volta a far emergere ragione di proscioglimento nel merito che sarebbe comunque sprovvista del necessario requisito dell'evidenza ex art. 129 c.p.p., comma 2; nè, per le stesse ragioni, e tenuto conto della natura di reato di pericolo della fattispecie ex art. 181, comma 1, cit. (tra le altre, Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289), possono trovare esito la doglianza circa la mancanza di motivazione in ordine al danno conseguente al reato (di cui al sesto motivo del ricorso di B.) nonchè le ulteriori considerazioni circa l'entità delle opere poste in essere (di cui al settimo motivo del ricorso di B.).

17. Quanto infine alla censura mossa alla sentenza impugnata con il terzo motivo del ricorso di T.C., la stessa è fondata.

Va ricordato anzitutto che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo posto in evidenza le coordinate motivazionali da cui la sentenza di appello che giunga a riformare la sentenza assolutoria di primo grado non può prescindere; in particolare, il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione, ha l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova (da ultimo, Sez. 5, n. 21008 del 06/05/2014, P.G. e P.C. in proc. Barzaghi e altri, Rv. 260582); non è pertanto sufficiente, per il giudice di appello limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 1253 del 28/11/2013, P.G. in proc. Ricotta, Rv. 258005) In definitiva, il giudice di appello non può sottrarsi all'onere di dimostrare in maniera persuasiva la fallacia dell'impianto argomentativo della sentenza impugnata, fallacia che non può dirsi tale per il solo fatto che all'argomentare del primo giudice si possano contrapporre argomentazioni di pari se non addirittura superiore plausibilità e valore logico ma che deve in definitiva scaturire dalla conclusione che rispetto alla decisione del secondo giudice non sono concepibili ragionevoli alternative di sorta.

17.1. Ciò posto, la sentenza di primo grado, che era giunta ad assolvere T. dal reato di abuso d'ufficio contestatogli ai capi 3) e 4) per insussistenza dell'elemento psicologico necessariamente rappresentato dal dolo intenzionale, aveva posto in rilievo gli elementi che deponevano per tale mancanza in particolare sottolineando: 1) il fatto che la stessa responsabile del procedimento, Mo.Wa., non rilevando particolari questioni problematiche, aveva ritenuto compatibili gli interventi con la normativa urbanistica e paesaggistica in particolare dando atto, nelle proprie relazioni, dopo avere visionato la cartografia allegata al PUC del parco di (OMISSIS) (che presentava però un errore di trasposizione rispetto alla cartografia ufficiale del Parco), che l'area dei lavori non ricadeva in zona parco e che da tali determinazioni T. non avrebbe potuto discostarsi, ex L. n. 241 del 1990, art. 6, se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale; 2) la circostanza che, comunque, non potesse ritenersi provato che T., nonostante quanto risultante dalla cartografia allegata al PUC, fosse consapevole della inclusione della zona dell'(OMISSIS) all'interno dell'area Parco giacchè in tal senso non poteva deporre la mera proposta, risalente ad otto anni prima, dell'assessore all'urbanistica del Comune di Lerici, e controfirmata da T., dell'inserimento nel Parco, tra le altre, della penisola di (OMISSIS), da detto inserimento essendo esclusa proprio la spiaggia dell'(OMISSIS) (ovvero quella in fondo al cosiddetto "seno di mezzana"); 3) il fatto quindi che non potesse affermarsi con certezza che T. fosse l'unica persona consapevole, nonostante quanto risultante dalla cartografia ufficiale depositata in Comune, dell'inclusione nel Parco dell'area "a fronte dell'elevato numero di persona qualificate (architetti estensori del PUC, tecnici comunali, tecnici della Provincia, componenti delle Commissioni Bellezze Naturali ecc.) che non si erano mai avvedute dell'errore"; 4) l'irrilevanza, nel senso della intenzionalità del dolo, del fatto che l'imputato, pur avvedutosi dell'errore e dell'assenza del necessario nulla - osta, non ebbe a disporre l'immediata sospensione dei lavori giacchè, avendo egli semplicemente ricevuto una comunicazione di attività limitata "allestimento dell'area di cantiere ed alle opere di demolizione", doveva ritenere plausibile la spiegazione data dall'interessato che, una volta accortosi dell'errore, aveva cercato, non essendo i lavori edilizi veri e propri ancora iniziati, di sanare la situazione dal punto di vista amministrativo chiedendo all'Ente Parco il rilascio del preventivo Nulla Osta nel rispetto del principio di conservazione dell'atto ed anche al fine di evitare possibili ritorsioni civilistiche da parte del privato; 5) la mancata emersione di alcun elemento da cui fosse possibile desumere l'esistenza di contatti o di rapporti di conoscenza, sia pure minimi, tra la committente M. e il progettista B., da una parte, e l'architetto T. dall'altra.

A fronte di ciò, la sentenza impugnata, questa volta nel senso della ritenuta sussistenza della prova del dolo intenzionale, ha a propria volta sottolineato: 1) la competenza specifica del T. e la conoscenza del territorio avendo egli svolto fin dal 1986 il ruolo di responsabile dell'ufficio tecnico; 2) la richiesta dello stesso Comune di Lerici di inserimento della località (OMISSIS) all'interno dell'Ente Parco; 3) il rilascio del permesso di costruire n. 229 illegittimo in quanto mancante del necessario nulla osta e il rilascio del permesso di costruire n. 118 parimenti illegittimo in quanto adottato in relazione ad un immobile per il quale risultava ancora pendente la pratica di condono edilizio, entrambi significativi del dolo intenzionale in quanto adottati in palese violazione della normativa di settore; 4) la mancata successiva adozione, una volta avuta contezza dell'eventuale errore commesso, di revoca del permesso o di notifica di un ordine di immediata sospensione essendosi invece egli limitato a richiedere un nulla osta successivo peraltro in contrasto con la normativa di riferimento; 5) l'irrilevanza della mancata prova di rapporti personali del T. con il destinatario del provvedimento.

Ora, tuttavia, così motivando, la sentenza impugnata non pare avere compiutamente applicato i principi, già ricordati sopra, cui dovrebbe uniformarsi la sentenza di appello che riformi pronuncia assolutoria di primo grado.

Lungi dall'avere evidenziato elementi di prova non considerati dal Tribunale che avrebbero dovuto far deporre per l'assoluta insostenibilità delle conclusioni raggiunte o per l'erroneità sul piano giuridico delle argomentazioni della sentenza di primo grado o ancora per la illogicità delle considerazioni sempre svolte dal Tribunale, la sentenza pare avere, in realtà, operato una complessiva diversa lettura dei medesimi elementi, nel segno della volontà dell'imputato di favorire il destinatario del provvedimento, che non solo finisce per porsi su un medesimo piano di logica plausibilità proprio anche della sentenza di primo grado, ma che appare soprattutto significativamente contrassegnata dalla mancata confutazione del dato fattuale, ineludibile, dell'errore cartografico e che non può non avere una efficacia significante quanto meno neutralizzante il segno in senso opposto dato, secondo la Corte, dalla competenza specifica.

Nè la Corte pare avere considerato, laddove pone in rilievo l'elemento della proposta del Comune di Lerici cui avrebbe "partecipato" anche l'imputato, l'ulteriore osservazione del Tribunale circa il fatto che proprio la spiaggia del "seno di mezzana" non rientrava nella proposta di inserire la località (OMISSIS) all'interno dell'Ente Parco.

Va aggiunto che la stessa Corte territoriale, correttamente ricordando che la prova del dolo intenzionale non richiede necessariamente l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire (cfr. Sez. 6, n. 38133 del 25/08/2011, P.G. e pc. In proc. Farina, Rv. 251088), ha specificato che la volontà di favorire il terzo può trovare la propria genesi in altre e diverse motivazioni, senza che tuttavia, di tali motivazioni sia poi stato fatto concretamente cenno, tanto che, in definitiva, la natura "intenzionale" del dolo viene fatta dipendere dalle "reiterate anomalie" riscontrabili nell'attività del T. la cui evidenza o meno appare però, ancora una volta, fondamentalmente dipendere dall'inclusione della zona all'interno dell'Ente Parco e, quindi in definitiva, dal significato attribuibile all'errore cartografico riscontrato.

18. Deriva dunque da quanto sin qui detto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato di cui all'art. 181, comma 1, cit., in esso rientrante la fattispecie di cui al capo 2, estinto per prescrizione e, quanto ai reati di cui ai capi 2 e 3, l'annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Genova; deve solo precisarsi, a tale ultimo proposito, che la valorizzazione, ad opera della sentenza impugnata, delle condotte tenute dal T. anche in epoca successiva al rilascio dei permessi a costruire induce a ritenere che la sentenza abbia valutato la condotta di abuso di ufficio come proseguita sino, in definitiva, al momento dell'accertamento posto in essere in data 21/10/2008 sì che i reati non appaiono, ad oggi, prescritti.

P.Q.M.

Riqualificato il reato di cui al capo 2) dell'imputazione ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere lo stesso estinto per prescrizione.

Annulla la sentenza impugnata relativamente ai reati di cui ai capi 3) e 4) dell'imputazione con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova. Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2016.