Cass.Sez. III n. 39455 del 8 ottobre 2012 (Ud.22 mag 2012)
Pres.Mannino Est.Franco Ric.Giorgino
Ambiente in genere.Scalinata nella roccia in area demaniale

La realizzazione di un'opera senza autorizzazione su area demaniale può integrare il reato permanente di abusiva occupazione se il godimento dell'area viene sottratto alla fruibilità collettiva, mentre, configura il reato istantaneo di illecita innovazione nel caso in cui la nuova opera non determini alcuna limitazione al godimento comune del bene. (Fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto integrato il reato di illecita innovazione su area demaniale in relazione all'abusiva realizzazione di una scalinata su una parete rocciosa che conduce al mare).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente - del 22/05/2012
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 1401
Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - N. 15296/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Giorgino Nicoletta, nata ad Andria il 24.11.1949;;
avverso la sentenza emessa il 13 luglio 2010 dal giudice del tribunale di Marsala;
udita nella pubblica udienza del 22 maggio 2012 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. SALZANO Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Gobbi Fabrizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Marsala dichiarò Giorgino Nicoletta colpevole del reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. per avere abusivamente occupato 243 mq. di area demaniale marittima mediante una scalinata costruita sulla parete rocciosa, omettendo di rimuoverla e permanendo nella occupazione anche dopo la delimitazione del confine avvenuta il 20.10.2005, e la condannò alla pena di Euro 516,00 di ammenda, mentre la assolse, perché il fatto non sussiste, dalla contestata occupazione della restante area demaniale marittima indicata in imputazione. Il giudice osservò, per quanto qui interessa: - che nel 1982 la srl El Gadyr (di cui l'imputata era legale rappresentante dal 1987) aveva chiesto una concessione demaniale per la realizzazione di una discesa a mare per uso collettivo; -che la capitaneria di porto avviò il procedimento di delimitazione della zona; - che il 18 marzo 1987 si accertò che era stata già realizzata una scalinata di 215 gradini nella pietra lavica per consentire la discesa in mare; - che il 7.4.1987 la capitaneria aveva emesso una ordinanza di sgombero, poi sospesa nel 1993 dall'assessorato regionale; - che il 20.10.2005 fu effettuata la delimitazione del suolo demaniale e si accertò che permaneva nel demanio marittimo la sola scalinata di 215 gradini in pietra lavica per la discesa a mare, avente superficie di mq. 243; - che la scalinata era stata realizzata tra il 1982 e il 18 marzo 1987 e che era irrilevante che in detta epoca non era ancora intervenuta la dichiarazione di demanialità; - che il reato era permanente perché l'innovazione aveva consentito anche una abusiva occupazione dell'area demaniale; - che sulla richiesta di concessione non si era formato il silenzio-assenso, perché l'istituto non è applicabile ai provvedimenti concessori e non è previsto dalla L.R. n. 4 del 2003, art. 7; - che responsabile del reato era la Giorgino perché, pur essendo divenuta legale rappresentante della società dopo la costruzione della scalinata, aveva continuato l'occupazione abusiva. L'imputata, a mezzo degli avv.ti Oreste Dominioni e Fabrizio Gobbi, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione degli artt. 54 e 1161 cod. nav. in relazione alla ritenuta sussistenza dello elemento oggettivo del reato contestato di occupazione abusiva del demanio marittimo mediante la costruzione di una scalinata. Osserva che l'errore principale risiede nell'assunto di ritenere che la realizzazione della scalinata integri una occupazione abusiva del demanio. In realtà, nella specie, stante la specifica conformazione della scalinata, non è configurabile neppure astrattamente una occupazione abusiva, trattandosi di una scalinata ricavata scavando all'interno di un roccione conducente al mare, che non ha mai materialmente occupato una porzione di suolo demaniale e non ha mai compresso o limitato il godimento del tratto di costa da parte della comunità, ma al contrario ne ha reso possibile l'accesso. Mancano quindi i tratti caratteristici della occupazione abusiva. Poiché la costruzione non ha determinato un ampliamento della zona occupata o una diminuzione dello spazio demaniale, non si tratta di una occupazione, ma del reato di realizzazione abusiva di innovazioni che ha natura di reato istantaneo, che si è consumato nel 1984 con l'ultimazione della realizzazione dell'opera. Ne consegue che il reato non può essere addebitato all'imputata e che lo stesso comunque si è prescritto. 2) erronea applicazione degli artt. 54 e 1161 cod. nav. in relazione alla ritenuta responsabilità soggettiva della ricorrente e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Osserva che, poiché la scalinata non ha determinato una occupazione abusiva del demanio, non sussiste alcuna responsabilità della imputata che non era legale rappresentante della società all'epoca della realizzazione della innovazione non autorizzata.
3) violazione dell'art. 157 cod. pen. e artt. 54 e 1161 cod. nav. e mancanza di motivazione in ordine alla omessa rilevazione degli effetti della sospensione dell'ordine di demolizione della scalinata. E difatti, con il provvedimento del 7.5.1993 dell'assessorato regionale che sospende il precedente ordine di sgombero, la autorità competente ha legittimato il proprietario a non rimuovere la scalinata, sicché non può nemmeno ipotizzarsi una situazione di permanenza illecita, quanto meno dal 1993. Il reato era quindi prescritto già prima dell'esercizio dell'azione penale. 4) mancanza di motivazione sulla eccepita insussistenza dei requisiti di demanialità intrinseca sulla zona interessata dalla scalinata. Lamenta che il giudice ha totalmente ignorato l'eccezione secondo cui al momento della realizzazione della scalinata, non vi erano i presupposti della demanialità marittima ne' una loro evidenza in relazione alla scogliera in questione, trattandosi di zona non suscettibile di alcun godimento o utilizzo.
5) erronea applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 20 (intervenuto silenzio-assenso sulla richiesta di concessione), del d.m. attuativo 765/94 e della L. R. n. 4 del 2003, art. 7, con conseguente cessazione della condotta contestata comunque a far data dal 1990 ed estinzione del reato per prescrizione, nonché manifesta illogicità della motivazione sul punto. Invero, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice, l'istituto del silenzio-assenso si applica anche alle concessioni demaniali, mentre è irrilevante che non sia espressamente previsto dalla L. R. n. 4 del 2003, che peraltro lo menziona esplicitamente all'art. 7, comma 2. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo, ed assorbente, motivo è fondato.
La sentenza impugnata si basa infatti su una distorta comprensione della giurisprudenza di questa Corte, ed in particolare del principio affermato dalla sentenza di questa Sezione 3.5.2006, n. 20766, Ferrante, m. 234481 e della distinzione ivi contenuta tra l'ipotesi di abusiva occupazione di area demaniale marittima e l'ipotesi di illecite innovazioni su area demaniale. Il giudice sembra avere erroneamente ritenuto che questa distinzione si basi sulla circostanza che la nuova opera sia stata realizzata all'interno di un'area demaniale già legittimamente occupata dal soggetto, nel qual caso si avrebbe propriamente l'ipotesi della innovazione non autorizzata, ovvero sia stata realizzata in un'area non legittimamente occupata, nel qual caso si avrebbe sempre ed inevitabilmente una abusiva occupazione. Si tratta però di un assunto basato su un equivoco e comunque non condivisibile perché privo di fondamento logico.
Il discrimine tra le due ipotesi, invero, è dato dall'essersi o non essersi determinata, a seguito della innovazione non autorizzata, una nuova occupazione di una area demaniale marittima, a prescindere dalla circostanza - di per sè non decisiva - dell'essere o non essere intervenuta la nuova opera in una area già lecitamente occupata. Contrariamente a quanto riportato dalla sentenza impugnata, la citata massima di questa Corte affermò il principio che "il reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area demaniale, di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., ha natura di reato istantaneo, in quanto la consumazione cessa con la ultimazione delle opere che costituiscono l'innovazione, a meno che non si determini un ampliamento abusivo dell'area già occupata, nel qual caso si configura il reato di occupazione arbitraria a natura permanente". Con la motivazione questa decisione, richiamando anche la precedente conforme giurisprudenza di legittimità, affermò che "qualora le innovazioni non autorizzate non determino una abusiva occupazione dell'area demaniale ovvero quando vengano eseguite in una area demaniale che il soggetto già occupa legalmente, essendo munito della relativa concessione, e le stesse non determinino alcun abusivo ampliamento dell'area occupata, si configura il solo reato di realizzazione abusiva di innovazioni nell'area demaniale, il quale, al contrario del reato di arbitraria occupazione, non ha natura permanente, in quanto la consumazione cessa con l'ultimazione delle opere che costituiscono l'innovazione non autorizzata. Il permanere delle innovazioni, infatti, è un semplice effetto naturale della condotta dell'agente e non già, come l'occupazione, un evento che si protrae nel tempo con la permanente violazione della legge, sicché il termine prescrizionale comincia a decorrere dall'ultimazione dell'innovazione abusiva ... l'autorità competente ha in ogni tempo, ed anche dopo l'eventuale scadenza del termine di prescrizione, il potere, ai sensi dell'art. 54 cod. nav., di ingiungere la remissione in pristino delle cose entro un termine a tal fine stabilito (e, in caso di mancata esecuzione dell'ordine, di provvedere di ufficio a spese dell'interessato) e che la violazione di tale ordine è sanzionata dall'art. 1164 cod. nav., che ora prevede un illecito amministrativo".
L'errore del giudice, pertanto, consiste anche nell'aver ritenuto apoditticamente che la sola realizzazione di una scalinata nella roccia integrasse di per sè una occupazione abusiva del suolo demaniale. Come emerge anche dalla sentenza impugnata, nella specie si trattava di una scalinata di 215 scalini in pietra lavica per la discesa a mare, ricavata scavando all'interno di un roccione conducente al mare, sita in un tratto di costa assai scosceso e dunque difficilmente fruibile dalla collettività. Si trattava perciò di un'opera che di per se stessa - a meno che, ovviamente, non siano apposte recinzioni, cancelli, sbarramenti o altre simili limitazioni che possano limitare in qualsiasi modo il godimento collettivo ovvero che venga comunque impedito o limitato l'accesso di chiunque alla scalinata stessa - non era neppure astrattamente idonea a configurare l'elemento oggettivo del reato di occupazione abusiva, tenendo conto della tipologia e della struttura della scalinata (scavata all'interno di una roccia) e della conformazione geologica ove tale roccia si trova (una scogliera assai impervia e scoscesa). Dalla sentenza impugnata non risulta alcun elemento che possa far ritenere che la scalinata abbia mai determinato una occupazione materiale di suolo demaniale o abbia mai vietato, o compresso, o limitato il godimento di quel tratto di costa da parte della comunità (avendone invece reso possibile a tutti l'accesso e il camminamento, come sostiene la ricorrente, sul punto non smentita dalla sentenza impugnata).
Va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "il reato di occupazione abusiva di area demaniale ha natura permanente, in quanto per il protrarsi dell'uso e del godimento il bene resta nell'esclusiva disponibilità di chi lo occupa, sottraendolo al demanio" (Sez. 3^, 27.6.2007, n. 32362, Cavazza); che ®attraverso il protrarsi dell'uso e del godimento del bene demaniale i beni vengono mantenuti nella esclusiva disponibilità di chi li utilizza, con sottrazione alla fruibilità collettiva" (Sez. 3^, 18.1.2006, n. 9644, Carrea, m. 233557; Sez. 3^, 12.12.2003, n. 6915/04, Duro, m. 227562); che, ad esempio, integra il reato la "condotta del soggetto agente che, per impedire il passaggio a mare attraverso il proprio fondo ab immemorabile esercitato da una collettività, aveva realizzato una recinzione ed apposto un cancello nel bene di sua proprietà, in tal modo ostacolando il passaggio al lido alla generalità degli aventi diritto e riservandolo del tutto arbitrariamente, ai condomini del fondo privato" (Sez. 3^, 16.2.2001, n. 15268, Ciarallo, m. 219015). In definitiva, "il reato di occupazione arbitraria di bene demaniale marittimo consiste nell'acquisire e mantenere senza autorizzazione il possesso o la detenzione dello stesso in modo corrispondente all'esercizio non transeunte di un diritto di proprietà o di godimento, in modo da impedirne la fruibilità da parte di potenziali utenti o da comprimerne in maniera significativa l'uso" (Sez. 3^, 29.9.2011, n. 42404, Farci, m. 251400), conseguenze queste che nel caso in esame non sono state nemmeno prospettate dal giudice.
Da quanto risulta dalla sentenza impugnata, la condotta tenuta nella specie, consistita nell'intagliare i gradini nella parete rocciosa che conduce al mare, non ha di per sè causato alcuna abusiva occupazione (intesa in senso proprio) di suolo demaniale, ne' alcun impedimento alla libera discesa a mare o all'uso della scogliera da parte della collettività. Si tratta perciò di una opera nuova realizzata sul suolo demaniale senza autorizzazione che non ha comportato l'integrazione dell'ipotesi di reato di natura permanente, prevista dall'art. 1161 cod. nav., di occupazione abusiva, bensì l'integrazione dell'altra ipotesi di reato, prevista dalla medesima disposizione, di innovazione senza autorizzazione nell'area demaniale, la quale ha però natura istantanea, in quanto la consumazione cessa con la ultimazione delle opere che costituiscono l'innovazione.
È poi evidente che se, anche in futuro, l'accesso al mare attraverso la scalinata non fosse consentito indiscriminatamente a tutti, ma venisse in qualsiasi modo limitato ad una cerchia ristretta di soggetti (in ipotesi ai soli possessori del fondo confinante) si verrebbe a configurare una occupazione abusiva del bene demaniale sottratto così alla fruibilità collettiva. Resta inoltre integro il potere della amministrazione competente di ingiungere in ogni tempo, anche dopo la presente declaratoria di prescrizione del reato, ai sensi dell'art. 54 cod. nav., la remissione in pristino del bene demaniale entro un dato termine, scaduto il quale potrà provvedere di ufficio a spese dell'interessato, il quale sarà soggetto alla sanzione amministrativa prevista dall'art. 1164 cod. nav. per la violazione dell'ingiunzione.
La sentenza di primo grado ha accertato che la scalinata in pietra lavica di 215 gradini era già stata realizzata alla data del 10 marzo 1987, in cui fu effettuato il sopralluogo nella zona. La prescrizione è quindi iniziata a decorrere al più da tale data. Il reato di innovazione non autorizzata sul suolo demaniale, ravvisabile nella condotta oggetto di contestazione, è perciò da tempo estinto per prescrizione.
Dagli atti non emergono in modo evidente cause di proscioglimento nel merito, in quanto anche la dedotta esclusione della responsabilità dell'odierna ricorrente, per non essere stata essa a commettere il fatto, richiederebbe un accertamento di fatto non consentito dall'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio per essere il reato contestato, come dianzi qualificato, estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2012