Consiglio di Stato Sez. IV n. 3843 del 6 maggio 2025
Ambiente in genere.Concessioni ed autorizzazioni amministrative e danno da ritardo risarcibile

In tema di concessioni e autorizzazioni amministrative, il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto juris et de jure, quale effetto automatico del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c. Sul piano delle conseguenze, dunque, il fatto lesivo deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati così che, dal punto di vista dell'onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento non integra piena prova del danno. Il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse.

Pubblicato il 06/05/2025

N. 03843/2025REG.PROV.COLL.

N. 05026/2023 REG.RIC.

logo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5026 del 2023, proposto da Urban Biogas Energy Italy – Urbe I - s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Orazio Abbamonte, Stefano Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Rosanna Panariello, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Quinta), 30 novembre 2022 n. 7500, che ha respinto il ricorso n. 4546/2017 R.G. proposto per l’annullamento:

a) del decreto 9 ottobre 2017 n. 93, trasmesso con nota dello stesso giorno prot. n. 661534, con cui il dirigente dell’Unità operativa autorizzazioni ambientali e rifiuti ha respinto l’istanza 6 luglio 2015 prot. n. 464442, presentata dalla società Urban Biogas Energy Italy s.r.l. per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale – AIA, necessaria ad installare nel Comune di Santa Maria la Fossa (Ce), località Torre Fiorillo, sul terreno distinto al relativo catasto al foglio 28 particelle 26, 73, 89-91, 94, 129, 130, 5084-5086 e 5090 un impianto di eliminazione rifiuti urbani non pericolosi con recupero energetico da biogas- codice IPPC 5.3;

b) dell’esito della conferenza dei servizi conclusa con il verbale 6 settembre 2017 prot. n. 588093 e dei relativi ulteriori verbali;

c) del d.P.C.M. 27 ottobre 2016, di approvazione del Piano di gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell’Appennino meridionale;

d) della deliberazione 16 gennaio 2012, con cui il Consiglio regionale della Campania ha approvato il Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani – P.R.G.R.U.;

e di ogni altro atto connesso, antecedente e consequenziale;

e per la condanna

della Regione Campania al risarcimento del danno da ritardo;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 marzo 2025 il consigliere Paolo Marotta e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Viste le conclusioni delle parti.


1. La società Urban Biogas Energy Italy – Urbe I s.r.l. ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il T.a.r. Campania, Sez. V, ha respinto il ricorso di primo grado proposto dalla predetta società per l’annullamento dei seguenti atti:

a) del decreto dirigenziale della Regione Campania n. 93 del 9 ottobre 2017, con il quale è stata denegata l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) per l’installazione di un impianto IPCC da realizzare nel territorio del Comune di Santa Maria la Fossa;

b) dell’esito della conferenza di servizi conclusa con verbale del 6 settembre 2017 (prot. 588093), in occasione della quale l'autorità procedente per il rilascio dell'AIA, pur prendendo atto dei pareri favorevoli alla realizzazione dell’impianto, ha ritenuto di dover rendere parere negativo in considerazione del sopravvenuto vincolo di cui al d.P.C.M. del 27 ottobre 2016, di approvazione del “Piano di Gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell'appennino meridionale”, nonché di tutti i verbali dei lavori della conferenza di servizi per quanto negativi;

c) per quanto lesivo, del Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Urbani (P.R.G.R.U.) della Campania, approvato dal Consiglio regionale in data 16 gennaio 2012, recepito dalla Giunta regionale, con deliberazione n. 8 del 23 gennaio 2012 e aggiornato con delibera di G.R. n. 685 del 6 dicembre 2016.

Il giudice di primo grado ha respinto anche la domanda di risarcimento del danno da ritardo, formulata ai sensi dell’art. 2 - bis l 241/1990 e s.m.i.

2. La società appellante premette quanto segue.

2.1. Dichiara di aver presentato un’istanza per la realizzazione nel Comune di Santa Maria la Fossa di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte energetica rinnovabile non fossile da biogas per il trattamento finale con processo integrato anaerobico/aerobico e recupero energetico dalla frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU) provenienti dalla raccolta differenziata, della potenza di 0,999 MWe (codice progetto 48/74).

La installazione del predetto impianto è soggetta ad autorizzazione unica, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003 n. 387, in attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità.

2.2. L’istruttoria sulla domanda presentata dall’appellante è stata affidata alla Commissione VIA-VI-VAS; quest’ultima, nella seduta del 21 aprile 2015, ha deciso di escludere il progetto dalla procedura di assoggettabilità a VIA (Valutazione di Impatto Ambientale), fissando alcune prescrizioni (decreto dirigenziale n. 95 del 19 giugno 2015).

2.3. In data 7 luglio 2015 si è tenuta presso la sede della Giunta regionale della Campania la riunione della conferenza di servizi nell’ambito del procedimento di autorizzazione di cui al d.lgs. n. 387/2003, con acquisizione agli atti dei pareri (favorevoli) delle amministrazioni interessate; conseguentemente, l’Amministrazione procedente ha chiuso con esito positivo la conferenza di servizi, subordinando l’emissione dell’atto finale di autorizzazione all’acquisizione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), come prescritto dal decreto dirigenziale n. 95/2015.

2.4. Nell’ambito del procedimento per il rilascio dell’AIA è stata dunque indetta, su istanza dell’appellante del 6 luglio 2015, una conferenza dei servizi alla quale sono stati invitati a partecipare tutti gli enti legittimati ad esprimersi in ordine all’installazione del predetto impianto.

Le riunioni della conferenza di servizi sono state sei: la prima si è tenuta in data 26 gennaio 2016, le altre il 30 maggio 2016, il 13 ottobre 2016, il 20 ottobre 2016, il 25 gennaio 2017 e infine il 6 settembre 2017.

2.5. Nel corso della conferenza di servizi veniva sollevata la problematica dell’applicabilità al caso di specie del vincolo di cui al piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani.

Infatti, in un momento successivo al rilascio del decreto dirigenziale n. 95/2015, l’area prevista per la realizzazione dell’impianto è stata inserita nel piano di gestione rischio alluvioni (P.G.R.A.) in zona qualificata “a pericolosità idraulica elevata” (P3), con rischio idraulico molto elevato (R4), comportando la sua classificazione come area sottoposta a vincolo V01 (rischio R3 ed R4 nonché pericolosità P3 e P4) dal piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani; la nuova qualificazione dell’area non avrebbe consentito la localizzazione in tale zona di impianti di recupero e smaltimento di rifiuti.

2.6. All’esito della conferenza di servizi del 20 ottobre 2016 si riteneva necessario richiedere all’Unità Organizzativa che già aveva espresso il parere di compatibilità ambientale del progetto in questione se la classificazione non ancora pubblicata del piano di gestione del rischio alluvioni incidesse o meno sulla validità del giudizio di compatibilità ambientale, espresso con decreto dirigenziale n. 95/2015; si riteneva altresì di richiedere all’Avvocatura regionale un parere circa la cogenza del vincolo V01 del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani e sulla sua applicabilità al caso di specie.

2.7. Con decreto dirigenziale n. 316 del 15 dicembre 2016, su conforme parere della Commissione VIA-VI-VAS dell’8 novembre 2016, il decreto di compatibilità ambientale n. 95/2015 è stato integrato, confermando l’esclusione dalla procedura di VIA del progetto della società appellante; nel rispondere poi alla richiesta emersa in sede di conferenza di servizi, il decreto dirigenziale n. 316/2016 fissava alcune prescrizioni ulteriori.

2.8. Nell’ultima seduta della conferenza dei servizi del 6 settembre 2017 (indetta per l’acquisizione dell’AIA), l’autorità procedente, pur dando atto di alcuni pareri favorevoli, ha ritenuto di dover concludere i lavori della conferenza con parere negativo in considerazione dei sopravvenuti vincoli di cui al d.P.C.M. del 27 ottobre 2016, successivamente pubblicato il 3 febbraio 2017, di approvazione del “Piano di Gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell’appennino meridionale”.

2.9. Infine, con decreto dirigenziale della Regione Campania n. 93 del 9 ottobre 2017, è stata definitivamente denegata l’Autorizzazione Integrata Ambientale richiesta dalla società appellante.

2.10. Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al T.a.r. Campania, nell’ambito del quale è stata formulata, oltre alla domanda di annullamento del provvedimento impugnato (e degli atti presupposti), anche la domanda di risarcimento del danno da ritardo.

2.11. Con sentenza n. 7500/2022, il T.a.r. Campania ha respinto il ricorso di primo grado.

3. Tanto premesso, l’odierna appellante ha contestato la sentenza di primo grado sotto diversi profili.

4. Si è costituita in giudizio la Regione Campania contestando la fondatezza del gravame.

Nella memoria depositata in data 6 febbraio 2025, la Amministrazione regionale ha evidenziato che, al momento della adozione del provvedimento impugnato, il “Piano di Gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell’appennino meridionale” aveva classificato la zona su cui realizzare l’impianto, qualificandola a pericolosità idraulica elevata (P3) con rischio idraulico molto elevato (R4).

Ha evidenziato, nel contempo, l’irrilevanza del fatto che successivamente il predetto Piano sia stato oggetto di revisione, conclusasi con d.P.C.M. dell’1 dicembre 2022 (“Approvazione del primo aggiornamento di gestione del rischio di alluvioni del distretto idrografico dell’Appennino Meridionale”), che ha riclassificato l’area d’impianto a Rischio R1 (basso) e R2 (medio) e Pericolosità P2 (media), trattandosi di una revisione intervenuta successivamente alla conclusione della conferenza di servizi.

Con riguardo alla domanda risarcitoria ha sostenuto che il ritardo nella conclusione del procedimento sarebbe dipeso dalla necessità di acquisire delle integrazioni documentali, che la società ha dovuto produrre rispetto al progetto originariamente presentato.

Ha sostenuto che la società non avrebbe dato prova degli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. e che i danni lamentati sarebbero stati indicati in maniera generica.

5. La società appellante non ha depositato memorie di replica.

6. All’udienza pubblica del 13 marzo 2025 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

7. La società appellante ha contestato la sentenza impugnata con tre articolati motivi.

7.1. Con il primo motivo di gravame, l’appellante deduce error in judicando: omesso esame di censura sollevata in ricorso; violazione dell’art. 29 – quater, comma 10, d.lgs. n. 152/2006; vizio del procedimento; violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 29 dicembre 2003; violazione degli artt. 2, 14 e 14 – quater della l. n. 241/1990; difetto di motivazione; omesso esame di un punto decisivo della controversia; motivazione apparente.

Evidenzia che il giudice di primo grado ha posto alla base della sua decisione il parere ARPAC, reso nell’ambito della conferenza di servizi del 13 ottobre 2016, nel quale era stato evidenziato che l’impianto in progetto ricade: “... in zona cartografata a pericolosità idraulica elevata (P3) con rischio idraulico molto elevato (R4), ai sensi del Piano di Gestione delle Alluvioni del Distretto idrografico dell'Appennino Meridionale”, adottato dalla competente Autorità di Bacino, con delibera n. 1 del 3 marso 2016; tale Piano è stato poi definitivamente approvato, ai sensi dell’art. 57 d. lgs. n. 152/06, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 ottobre 2016, e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale-Serie generale n. 28 del 3 febbraio 2017.

Il giudice di primo grado ha evidenziato trattarsi di un vincolo immediatamente cogente, in sintonia con quanto prescritto nel Piano Regionale per la Gestione dei Rifiuti Urbani della Regione Campania (PRGRU) (punto 9.1.5), nonché nel successivo aggiornamento pubblicato nel B.U.R.C. n. 85 del 12 dicembre 2016, che impone di considerare come vincoli cogenti a tutti gli effetti le aree di Rischio R3 e R4, nonché quelle a Pericolosità idraulica P3 e P4.

Essendo l’area in questione classificata come area a pericolosità idraulica P3 (elevata) e rischio idraulico R4 (molto elevato), essa era inidonea ad ospitare impianti di gestione rifiuti del tipo di quello proposto dalla ricorrente.

L’odierna appellante si duole del fatto che il giudice di primo grado avrebbe omesso qualsiasi valutazione in ordine al primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, con il quale si era evidenziato che nel corso della conferenza dei servizi vigevano le misure di salvaguardia di cui alla variante del Piano Stralcio di Difesa delle Alluvioni del Basso Volturno (PSDA-bav), come da delibera dell’Autorità di Bacino Liri Garigliano Volturno n. 1 del 3 luglio 2014, secondo le quali l’area ricadeva in fascia retroarginale (R), distante oltre quattro chilometri dall’alveo di piena; area per la quale l’art. 10 delle NTA del piano stralcio medesimo non prevedeva nessun ostacolo per la realizzazione dell’opera da parte della società.

Il procedimento de quo avrebbe avuto una durata incompatibile con le esigenze di semplificazione e accelerazione delle procedure finalizzate alla realizzazione e gestione degli impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili.

7.2. Con il secondo motivo di gravame, la società appellante deduce error in judicando: violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003; difetto di istruttoria e di motivazione; contraddittorietà; irragionevolezza; violazione dell’art. 14 – quater della l. n. 241/1990 nonché dell’art. 41 della Costituzione; omesso esame di un punto decisivo della controversia.

Con riguardo alle note dell’Autorità di Bacino, il giudice di primo grado ha evidenziato quanto segue: “Sul punto, in disparte l’ovvia considerazione per la quale la legittimità dell’atto impugnato va valutata alla luce della situazione fattuale e normativa esistente al momento della sua adozione (la qual cosa già di per sè esclude la denunciata illegittimità), è comunque decisivo rilevare che, ad oggi, tale revisione non ha ancora completato il proprio iter – non essendo le modifiche disposte dall’A.d.B. state approvate con DPCM, ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 152/06 – sicché la cogenza del vincolo in esame va senz’altro affermata anche in epoca attuale”.

La società appellante evidenzia che la classificazione è stata sin da subito oggetto di revisione, come peraltro segnalato in conferenza di servizi (seduta del 6 settembre 2017) dalla stessa Autorità di Bacino (nota 6262 del 6 settembre 2017).

Il T.a.r. avrebbe omesso ogni valutazione sulla dedotta illogicità del P.R.G.A., senza esaminare la censura relativa alla violazione dell’art. 41 Cost., posto che l’esercizio di un potere pianificatorio non può spingersi o ad incidere e ostacolare iniziative economiche, quali quelle di produzione energetica da fonti rinnovabili, promosse e incentivate dall’ordinamento nazionale e comunitario, non giustificate da alcun concreto rischio di alluvione.

Per tali ragioni l’Autorità di Bacino ha evidenziato l’opportunità di rivedere i criteri di equiparazione utilizzati per l’area retroarginale.

In particolare, l’Autorità di Bacino, con nota prot. 7305/2020 del 14 aprile 2020, in risposta ad istanza dell’appellante, ha precisato che: “- a seguito del predetto riesame tutte le aree retroarginali, indicate come Aree R, nella Variante al Piano Stralcio di Difesa delle Alluvioni per il basso Volturno da Capua a mare [PSDA-bav], approvata con DPCM del 10/12/2004 (G. U. del 4/02/05, n. 28), risultano perimetrate nelle nuove mappe del PRGA con livello di pericolosità P2 e diversi gradi di rischio; - in particolare, l’area interessata dalla realizzazione dell’impianto in oggetto [richiesto dalla URBEI, ndr.] risulta classificata come area a pericolosità e rischio medi - P2/R2.”

In altri termini, il livello di rischio idraulico non sarebbe stato ostativo al rilascio della autorizzazione richiesta, trattandosi in ogni caso di rischio superabile con adeguata progettazione.

Evidenzia che l’iter revisionale si è concluso con il d.P.C.M. del 1° dicembre 2022 (“Approvazione del primo aggiornamento di gestione del rischio di alluvioni del distretto idrografico dell’Appennino Meridionale”), codificando l’area d’impianto come originariamente classificata: Rischio R1 (basso) e R2 (medio) e Pericolosità P2 (media).

7.3. Con il terzo motivo di gravame, la società appellante deduce error in judicando: omesso esame del secondo, del quarto e del quinto motivo del ricorso di primo grado.

L’appellante si duole dell’omesso esame dei motivi n. 2, 4 e 5 del ricorso introduttivo del giudizio, che ripropone quindi in grado di appello.

7.3.1. Con il secondo motivo del ricorso di primo grado, la società aveva dedotto: violazione dell’art. 29 sexies d.lgs. n. 152/2006; eccesso di potere per incompetenza; sviamento; violazione dell’art. 12 d.lgs. n. 387/2003.

Evidenzia che il provvedimento di diniego è stato adottato dall’autorità procedente per il rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale.

Secondo quanto disposto dall’art. 29 sexies d.lgs. n. 152/2006, il procedimento concluso con tale diniego è finalizzato ad accertare che il funzionamento dell’impianto in questione non causi danni in termini di emissioni, così da conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

A suo giudizio, non è nel corso di tale procedimento, che potrà darsi rilievo alla circostanza di cui si è invece ivi discusso in conferenza di servizi, ovvero dell’intervenuta riclassificazione dell’area d’impianto in virtù del sopravvenuto piano di gestione del rischio alluvioni.

Trattasi infatti di aspetto pianificatorio circa la possibile allocazione dell’opera che esula dalle verifiche finalizzate all’AIA, fase endoprocedimentale per il rilascio dell’autorizzazione unica in materia di energia elettrica da fonti rinnovabili.

7.3.2. Con il quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio, la ricorrente aveva dedotto: violazione degli artt. 196 e 199 del d.lgs. n. 152/2006; irragionevolezza; incompetenza; violazione dell’art. 197 Cost.

Evidenzia che la materia di gestione dei rifiuti rientra nella tutela dell’ambiente e dell’ecosistema - riservata ex art. 117, co. 2, lett. s), Cost. alla legislazione esclusiva dello Stato; le Regioni possono stabilire livelli di tutela più elevati, ma non possono mai consentire, sia pur in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi suscettibili di pregiudicare il medesimo interesse alla salute in un ambito territoriale più ampio.

Ai sensi dell’art. 196, co. 1, lett. n), d.lgs. 152/2006 la Regione – attraverso il piano regionale di gestione dei rifiuti urbani - detta meri criteri per l’individuazione da parte delle Province delle aree non idonee alla localizzazione degl’impianti di cui all’oggetto, non classificando in via autonoma le aree come P3/R4.

Si deduce quindi l’illegittimità delle disposizioni del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani per la parte in cui, classificando genericamente a rischio idraulico (tavola V-01b) un’ampia zona di territorio, si pone quale ostacolo diretto alla realizzazione dello stabilimento per cui è causa.

7.3.3. Con il quinto motivo del ricorso introduttivo del giudizio la società ricorrente aveva formulato istanza di risarcimento del danno.

La società evidenzia la durata del procedimento di AIA e la circostanza che l’impianto sarebbe stato regolarmente assentito ed avviata la sua realizzazione, qualora il procedimento si fosse tempestivamente concluso.

La società chiede quindi il risarcimento del danno da ritardo, ai sensi dell’art. 2 bis l. 241/1990 e s.m.i., in relazione al procedimento di cui agli artt. 12 d.lgs. 387/2003 e 29 - quater d.lgs. 152/2006.

Il procedimento avrebbe avuto (a suo dire) un esito necessariamente favorevole, essendo la sopravvenienza del vincolo sull’area l’unico elemento posto alla base del diniego; se il procedimento si fosse concluso tempestivamente, la società avrebbe conseguito il bene della vita.

A suo giudizio, il solo ritardo nell’emanazione di un atto amministrativo è elemento sufficiente per configurare un danno ingiusto, con conseguente obbligo di risarcimento, nel caso di procedimento amministrativo lesivo di un interesse pretensivo dell'amministrato, quando tale procedimento sia da concludere con un provvedimento favorevole per il destinatario o se sussistano fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe dovuto ottenerlo (art. 2043 c.c.).

Per quanto riguarda la misura del pregiudizio subito l’appellante rinvia ad una perizia in atti, che quantificherebbe le singole voci di danno economico subito per mancata realizzazione dell’impianto.

In subordine, chiede che questo Consiglio voglia provvedere, accertati i presupposti per la condanna dell’Amministrazione nei sensi innanzi invocati, mediante quantificazione in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c.

8. Le doglianze formulate dalla società appellante sono infondate; esse vengono esaminate congiuntamente attenendo a profili connessi.

8.1. L’oggetto del presente giudizio concerne il provvedimento di diniego di rilascio dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) per la realizzazione nel Comune di Santa Maria la Fossa di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte energetica rinnovabile non fossile da biogas per il trattamento finale con processo integrato anaerobico/aerobico e recupero energetico dalla frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU) provenienti dalla raccolta differenziata, della potenza di 0,999 MWe (codice progetto 48/74).

8.2. Per il principio “tempus regit actum”, ai fini dello scrutinio della legittimità degli atti amministrativi, occorre far riferimento alla disciplina giuridica vigente al momento della adozione degli atti contestati.

Orbene, al momento della chiusura dei lavori della conferenza di servizi indetta nell’ambito della procedura finalizzata al rilascio dell’A.I.A., il “Piano di Gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell’appennino meridionale” aveva riclassificato la zona su cui era prevista la realizzazione dell’impianto, qualificandola a pericolosità idraulica elevata (P3) con rischio idraulico molto elevato (R4).

Si tratta di una qualificazione giuridica dell’area che è all’evidenza incompatibile con la realizzazione dell’impianto di cui sopra.

8.3. Non assume rilievo dirimente, ai fini dell’accoglimento della tesi dell’appellante, il riferimento alle misure di salvaguardia di cui alla variante del piano stralcio di difesa delle alluvioni del Basso Volturno (PSDA-bav), come da delibera dell’Autorità di Bacino Liri Garigliano Volturno n. 1 del 3 luglio 2014 (secondo le quali l’area ricadeva in fascia retroarginale, distante oltre quattro chilometri dall’alveo di piena), atteso che questa disciplina era poi stata superata dal Piano di gestione del rischio di alluvione nel distretto idrografico dell’appennino meridionale.

8.4. Del pari è giuridicamente irrilevante, ai fini dell’accoglimento delle domande proposte dalla società appellante, il fatto che, successivamente alla adozione degli atti impugnati, con d.P.C.M. dell’1 dicembre 2022 (“Approvazione del primo aggiornamento di gestione del rischio di alluvioni del distretto idrografico dell’Appennino Meridionale”), l’area in questione sia stata riclassificata a Rischio R1 (basso) e R2 (medio) e Pericolosità P2 (media), trattandosi di una revisione intervenuta successivamente alla conclusione della conferenza di servizi.

8.5. Infondate sono le censure dirette a contestare l’esercizio dei poteri di pianificazione, per la dedotta violazione dell’art. 41 Cost.

In linea generale, gli strumenti di pianificazione ben possono comportare limitazioni agli insediamenti commerciali e industriali, quando queste limitazioni siano funzionali al perseguimento dell’interesse pubblico ad un ordinato assetto del territorio, alla tutela della salute e alla tutela dell'ambiente urbano; quando la decisione amministrativa non sia mossa da valutazioni estranee alle prerogative istituzionali della Pubblica Amministrazione, ma da motivi imperativi d’interesse generale riconducibili alle categorie di cui all'art. 41, comma 2, Cost., essa non potrà essere ritenuta in contrasto con la libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata.

Nel caso di specie, l’appellante non fornisce nemmeno un principio di prova della deviazione dell’esercizio dei poteri pianificatori dalle finalità istituzionalmente attribuite alle Autorità preposte alla tutela del territorio dal rischio idraulico.

8.6. Infondate sono anche le censure dirette a contestare la legittimità del piano regionale della gestione dei rifiuti, per incompetenza e in relazione agli altri profili sopra richiamati.

L’art. 196 del d.lgs. n. 152/2006 attribuisce espressamente alla competenza delle Regioni “la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all'articolo 199” (comma 1, lett. a) e “la definizione di criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali indicati nell'articolo 195, comma 1, lettera p)” (comma 1, lett. n).

Certamente la qualificazione di un’area come zona a pericolosità idraulica elevata (P3), con rischio idraulico molto elevato (R4), costituisce elemento di cui l’Amministrazione regionale deve tener conto per la localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti.

8.7. Inammissibili, per genericità, e infondate sono anche le deduzioni della società appellante dirette a individuare a carico della Amministrazione una responsabilità per danno da ritardo.

Secondo principi giurisprudenziali consolidati, la cui validità è stata recentemente ribadita da questa Sezione, in tema di concessioni e autorizzazioni amministrative, il danno da ritardo risarcibile non può essere presunto juris et de jure, quale effetto automatico del semplice scorrere del tempo, ma è necessaria la verifica della sussistenza dei presupposti di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) e oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), richiesti per fondare la responsabilità ex art. 2043 c.c. Sul piano delle conseguenze, dunque, il fatto lesivo deve essere collegato da un nesso da causalità ai pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati così che, dal punto di vista dell'onere probatorio, il mero superamento del termine per la conclusione del procedimento non integra piena prova del danno (Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 agosto 2024, n. 7180; 12 aprile 2024 n. 3375; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 23 aprile 2021 n. 7; Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 novembre 2015 n. 5143; Sez. V, 4 agosto 2015 n. 3854).

Il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, è subordinato alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e quindi alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene della vita collegato a tale interesse (Consiglio di Stato, Sez. II, 9 luglio 2024 n. 6129; Sez. IV, 17 agosto 2023 n. 7797).

La tesi della società appellante (secondo la quale, se il procedimento si fosse concluso entro il termine previsto dall’ordinamento giuridico, il provvedimento conclusivo sarebbe stato favorevole, perché la norma del piano di bacino non era ancora entrata in vigore) si fonda su un ragionamento astratto e teorico, che non tiene conto delle concrete modalità di svolgimento dell’articolato procedimento che ha preceduto l’adozione del provvedimento di diniego.

La Regione Campania ha evidenziato che il lungo e articolato iter procedimentale che ha preceduto la conclusione dei lavori della conferenza dei servizi è dipeso, almeno in parte, da carenze della documentazione inizialmente prodotta dalla società; le deduzioni dell’Amministrazione regionale non sono state contestate dalla odierna appellante.

Il danno asseritamente subito non è assolutamente provato dalla ricorrente (odierna appellante); sia nel ricorso introduttivo del giudizio, che nell’atto di appello (pag. 15) si fa riferimento ad una “perizia in atti”, che non si rinviene né nel fascicolo del giudizio di primo grado né in quello del grado di appello.

Inconferente è il riferimento alla valutazione equitativa del giudice; ai sensi degli artt. 30 e 40  c.p.a., il danneggiato deve fornire la prova del quantum del danno che assume di aver sofferto. Ciò in quanto nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.), atteso che quest'ultimo in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra Amministrazione e private; nell’azione di risarcimento dei danni non si riscontra detta asimmetria e, anzi, la vicinanza della prova (al danneggiato) giustifica il riespandersi del principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697, comma 1, c.c.

Inoltre, la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., «è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità — o di estrema difficoltà — di una precisa prova sull'ammontare del danno» (Cons. Stato, Ad. Plen., 12 maggio 2017, n. 2).

9. In conclusione, il ricorso in appello è infondato e va respinto.

10. Le spese del grado di appello, liquidate nel dispositivo, debbono essere poste a carico della società appellante, secondo l’ordinario criterio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società appellante al pagamento in favore della Regione Campania delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in € 7.000,00 (settemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 marzo 2025 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gambato Spisani, Presidente FF

Michele Conforti, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere

Paolo Marotta, Consigliere, Estensore

Rosario Carrano, Consigliere