Cass. Sez. III n.35235 del 12 settembre 2008 (Cc. 10 lug. 2008)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Cioffi
Rifiuti. Nozione di sottoprodotto dopo il D.Lv. 4/2008

Con il decreto legislativo n 4 del 2008 il legislatore ha apportato alcune modificazioni alla nozione di sottoprodotto eliminando anzitutto quelli che erano stati qualificati ex lege sottoprodotti. In particolare si è stabilito che per essere qualificati sottoprodotti i residui devono essere originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; si è ribadita la certezza del riutilizzo, ma si è precisato che il reimpiego deve essere certo sin dalla fase della produzione, deve essere integrale e deve avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito (sembra che si sia ritornati alla sentenza Niselli);si è ribadita l\'assenza di trattamenti preliminari e la corrispondenza agli standars merceologici ed alle norme di sicurezza ambientali , ma si è aggiunto che devono avere un valore economico di mercato. Si è attribuita cioè esplicita rilevanza al criterio del vantaggio economico al quale si è già fatto riferimento e che talvolta già in precedenza, sia pure sporadicamente, è stato utilizzato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria . Tutte le anzidette condizioni, come prima, devono esistere contestualmente e in mancanza di una sola di esse il residuo rimane soggetto alla disciplina dei rifiuti. La certezza del reimpiego non deve più desumersi dall\'autocertificazione che è stata eliminata.
Il deposito dei residui di produzione nel luogo dove gli stessi vengono prodotti o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono.


Con ordinanza del 17 marzo del 2008, il tribunale di Terni, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, respingeva la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di Cioffi Giuseppe avverso il decreto di convalida del sequestro probatorio di un’area di circa 7000 mq adibita, secondo l’accusa, a discarica di rifiuti provenienti dal ciclo produttivo.
Secondo il provvedimento impugnato, a seguito di un’ispezione nella sede della Tarkett s.p.a., sita in Narni, era emerso che su un’area di circa 7000 mq, posta all’interno dell’azienda, erano stati depositati 4000 tonnellate di rifiuti, costituiti dagli scarti della lavorazione di pavimenti di linoleum, il tutto secondo gli inquirenti si trovava in completo stato di abbandono. A carico dell’attuale ricorrente, quale amministratore della società Tarchett s.p.a., è stato ipotizzato il reato di gestione di discarica abusiva di cui all’articolo 256 terzo comma del decreto legislativo n 152 del 2006.
A seguito di riesame proposto dal Cioffi, il tribunale annullava il sequestro in base al rilievo che quel materiale non era un rifiuto ma un sottoprodotto da riutilizzare. Questa corte, adita su ricorso del pubblico ministero, annullava con rinvio l’ordinanza per carenze motivazionali sulla natura di sottoprodotto e più precisamente per omessa motivazione sulla certezza dell’utilizzazione e sulla necessità, ai fini della prova della riutilizzazione, di una dichiarazione del produttore o detentore controfirmata dal titolare dell’impianto. Il tribunale del rinvio, con provvedimento reso il 22 marzo del 2007, ribadiva l’annullamento del sequestro. Osservava che la natura del materiale rinvenuto nell’area appariva compatibile con l’impianto ordinato dalla società per la polverizzazione degli scarti di linoleum; che non era necessaria alcuna dichiarazione sull’effettivo riutilizzo, posto che il produttore si identificava con il riutilizzatore.
Questa corte, adita nuovamente su ricorso del procuratore della Repubblica, annullava con rinvio il provvedimento impugnato sostenendo la necessità dell’autocertificazione da parte del produttore o detentore del rifiuto anche se il riutilizzatore era lo stesso produttore o detentore.
Il tribunale del riesame in sede di rinvio respingeva l’istanza avanzata nell’interesse del Cioffi rilevando che trattavasi di rifiuto per lo stato di abbandono in cui il materiale si trovava, come documentato dalle fotografie, e per la mancanza di documentazione idonea a provare l’effettivo riutilizzo.
Ricorre per cassazione l’indagato per mezzo del suo difensore denunciando:
la violazione dell’articolo 183 lettera p) del decreto legislativo n 152 del 2006 e successive modificazioni nonché carenza motivazionale sul punto, per avere il tribunale omesso di considerare che con il decreto legislativo n 4 del 2008 era stata riformulata la nozione di sottoprodotto escludendo la necessità della “dichiarazione” precedentemente richiesta;
la violazione degli artt 623 e 649 perché il tribunale del riesame, invitato a verificare la sussistenza della menzionata dichiarazione, aveva esteso la propria indagine ad altri requisiti dell’articolo 183 del decreto legislativo n 152 del 2006 ormai coperti dal giudicato; precisava che quel materiale non era in stato di abbandono ma era stato stoccato nell’area di pertinenza dell’azienda nell’attesa di una definitiva decisione sul sequestro prima del riutilizzo;
mancanza di motivazione sulle prove documentali prodotte dalla difesa: quali ad esempio la relazione di verifica della D.N.V. Italia del 19 aprile del 2006 nella quale si dava atto dell’intenzione dell’Azienda di avviare a riutilizzo gli scarti della produzione

IN DIRITTO

Il ricorso è in parte fondato e va accolto per quanto di ragione
La violazione degli artt 623 e 649 c.p.p. dedotta con il secondo motivo, per avere il tribunale, al fine di escludere la qualità di sottoprodotto di quegli scarti, fatto riferimento alla situazione di abbandono apparente in cui si trovava quel materiale ed in genere ad altri elementi già valutati in precedenza, non è fondata in quanto il tribunale, facendo riferimento all’apparente stato di abbandono, non ha espresso alcuna valutazione di merito su questioni già coperte dal giudicato. Questa corte con l’ultima sentenza di rinvio, affidando al giudice del merito il compito di stabilire se nella fattispecie sussistesse la dichiarazione di cui all’articolo 183 lettera n) del decreto legislativo n 152 del 2006 nel testo all’epoca vigente, non ha inteso assolutamente circoscrivere l’indagine a tale accertamento, anche se questo costituiva l’elemento più rilevante del compito demandato al giudice del merito. Invero la questione controversa era e continua ad essere costituita dall’accertamento della natura del materiale in questione e consiste tuttora nello stabilire se esso sia o no un sottoprodotto da riutilizzare. Quindi nell’ambito di tale accertamento qualsiasi elemento poteva essere utilizzato dal giudice del merito.
Va altresì chiarito che la decisione di questa corte n 15559 del 2007, pronunciata in merito alla richiesta di sequestro preventivo, non esplica alcuna efficacia nel presente procedimento incidentale non solo e non tanto perché in questo processo si discute del sequestro probatorio, ma anche e soprattutto perché questa corte non si è pronunciata sulla configurabilità del reato, ma ha rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di sequestro preventivo avanzata dal medesimo pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari, per la sua genericità e per il fatto che erano state dedotte carenze motivazionali non deducibili in materia di sequestro a norma dell’articolo 325 c.p.p Quindi questa corte, con la decisione anzidetta, non ha assolutamente escluso l’astratta configurabilità del reato o la qualificazione di rifiuto del residuo in esame.
Ciò premesso, nel resto il ricorso è sostanzialmente fondato e va pertanto accolto
La questione che la fattispecie pone consiste nello stabilire se il residuo della produzione di pavimenti di linoleum costituiti dai ritagli di teli utilizzati per la produzione costituisca uno scarto o un sottoprodotto, Gli scarti sono rifiuti, i sottoprodotti no, La distinzione tra scarti e sottoprodotti non è , o almeno non era in passato, sempre agevole perché il decreto Ronchi non conteneva una definizione di sottoprodotto e, d’altra parte, l’inclusione di un residuo nel catalogo dei rifiuti non è determinante per qualificarlo tale, dovendo a tal fine concorrere anche la volontà del detentore o produttore di disfarsene (si pensi ai residui della lavorazione dei metalli, compresi i metalli preziosi, o alla crusca che è un residuo della lavorazione del frumento o al siero di latte, che viene utilizzato attualmente per alimentare i suini, ecc). Prima del decreto legislativo n 152 del 2006 i criteri maggiormente utilizzati dagli interpreti per distinguere lo scarto dal sottoprodotto erano i seguenti: a) l’utilizzazione del residuo come combustibile quando la sostanza non era stata prodotta appositamente a tal fine in sostituzione del combustibile ordinario: se la sostanza viene prodotta proprio per essere usata come combustibile ordinario non può considerarsi rifiuto; b) il residuo era considerato rifiuto quando aveva una composizione non idonea per il riutilizzo senza trattamenti preliminari; c) il grado di certezza dell’utilizzazione da parte del produttore; d) la durata del deposito; e) il vantaggio economico tratto da riutilizzo: la probabilità che si tratti di sottoprodotto è alta quanto è possibile trarre dal riutilizzo un vantaggio economico. L’imprenditore non si disfa di un residuo se può ancora utilizzarlo ricavandone utili, riutilizzandolo nel proprio ciclo produttivo o vendendolo. La vendita è operazione commerciale che reca vantaggi al venditore ed all’acquirente e non gestione di un rifiuto. La gestione degli scarti comporta costi ed oneri, quella dei sottoprodotti arreca invece vantaggi. Il valore economico del residuo (il detentore si disfa delle cose che non gli servono più ma non di quelle che possono ancora procuragli vantaggi economici) è un elemento determinante per la distinzione tra scarto e sottoprodotto anche se spesso è stato trascurato dagli interpreti e dallo stesso legislatore. Ma è stato esplicitamente ripreso con il decreto correttivo n 4 del 2008, come si evidenzierà in seguito. Requisito immancabile per qualificare un residuo di produzione come sottoprodotto era la certezza del riutilizzo. Su tale elemento non sussistevano dubbi in dottrina e giurisprudenza, comunitaria e nazionale. I contrasti, prima del decreto legislativo n 152 del 2006, sussistevano invece in ordine alle modalità del riutilizzo nel senso che, secondo alcune decisioni comunitarie, il riutilizzo doveva avvenire nello stesso processo di produzione ed all’interno dell’impresa di provenienza, doveva cioè sussistere una identificazione soggettiva del produttore ed utilizzatore ed oggettiva del luogo di produzione; secondo altre il riutilizzo poteva avvenire anche in un processo successivo sotto forma di sfruttamento o commercializzazione. La vendita del residuo non è gestione di un rifiuto ma, come già detto, operazione commerciale. Nel primo senso si è pronunciata la CGCE con la sentenza dell’ 11 novembre 2004, Niselli, nonché questa sezione con la sentenza n 20499 del 2005. Per la seconda soluzione CGCE ordinanza del 15 gennaio del 2004 Saetti e Frediani nonché CGCE sentenza 8 settembre del 2005 n 416, secondo cui una sostanza non può considerarsi rifiuto se viene utilizzata con certezza anche da operatori diversi da chi l’ha prodotta. In questi termini si è pronunciata questa sezione con le sentenze nn 32235 e 47904 del 2003. Il contrasto è stato risolto dal legislatore con il decreto legislativo n 152 del 2006, ma potrebbe risorgere con le modifiche correttive disposte con il decreto legislativo n 4 del 2008.
Invero l’articolo 183 lettera n) del decreto legislativo n 152 del 2006 nel testo vigente prima delle modifiche, applicabile al momento dell’adozione del sequestro, definiva sottoprodotto quello dell’attività dell’impresa che, pur non costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiva in via continuativa dal processo industriale dell’impresa ed era destinato ad un ulteriore impiego ed al consumo. In particolare rientravano, prima dell’ intervento correttivo, nel sottoprodotto tutti i beni riutilizzati direttamente dall’impresa ovvero commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l’impresa stessa direttamente per l’impiego o il consumo e senza necessità di trasformazioni preliminari. Il riferimento al consumo lasciava, invero, intendere il superamento della sentenza Niselli e la condivisione dell’opposto orientamento. Dopo tali enunciati la norma apriva una parentesi per indicare una serie di sostanze o ex rifiuti che il legislatore escludeva dalla disciplina dei rifiuti per qualificarli direttamente sottoprodotti. Indi si soffermava sul requisito della certezza indicando gli elementi dai quali desumere tale elemento, tra i quali assumeva particolare rilevanza l’attestazione del prodotto all’effettivo riutilizzo.
Con il decreto legislativo n 4 del 2008 il legislatore ha apportato alcune modificazioni alla nozione di sottoprodotto eliminando anzitutto quelli che erano stati qualificati ex lege sottoprodotti. In particolare si è stabilito che per essere qualificati sottoprodotti i residui devono essere originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; si è ribadita la certezza del riutilizzo, ma si è precisato che il reimpiego deve essere certo sin dalla fase della produzione, deve essere integrale e deve avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito (sembra che si sia ritornati alla sentenza Niselli); si è ribadita l’assenza di trattamenti preliminari e la corrispondenza agli standards merceologici ed alle norme di sicurezza ambientali , ma si è aggiunto che devono avere un valore economico di mercato. Si è attribuita cioè esplicita rilevanza al criterio del vantaggio economico al quale si è già fatto riferimento e che talvolta già in precedenza, sia pure sporadicamente, è stato utilizzato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria . Tutte le anzidette condizioni, come prima, devono esistere contestualmente e in mancanza di una sola di esse il residuo rimane soggetto alla disciplina dei rifiuti. La certezza del reimpiego non deve più desumersi dall’autocertificazione che è stata eliminata. Le modifiche legislative nel frattempo sopravvenute non sono irrilevanti nella fattispecie, in quanto se, da un lato, per la valutazione della legittimità del sequestro, si deve tenere conto della normativa vigente all’epoca in cui il vincolo è stato adottato, per la sua conservazione, non si possono ignorare le modificazioni nel frattempo sopravvenute.
Fatta questa premessa sulla nozione di sottoprodotto e sui criteri per individuarlo e distinguerlo dallo scarto di produzione , doverosa per la complessità della materia, per i contrasti ai quali ha dato luogo e per le modifiche succedutesi nel corso del processo, si rileva che nella fattispecie il giudice del merito ha ritenuto applicabile la disciplina sui rifiuti facendo leva su due circostanze:
a) l’assenza di autocertificazione prevista espressamente dall’articolo 183 lettera n) nel testo vigente prima della modificazione introdotta con il decreto legislativo n 4 del 2008;
b) la situazione di apparente abbandono.
In ordine al primo elemento, come sopra precisato, esso non è più determinante per individuare la certezza del riutilizzo. Si tratta di circostanza che il giudice del merito poteva legittimamente utilizzare per confermare eventualmente la legittimità del sequestro a suo tempo adottato ma non per la sua conservazione attuale, se la certezza del riutilizzo risultava da altri elementi.
In ordine al secondo dato si osserva che il deposito dei residui di produzione nel luogo dove gli stessi vengono prodotti o nelle vicinanze o in altro luogo non costituisce di per sé elemento univoco per qualificarli come rifiuti se dalle modalità del deposito, dalla sua durata e da altre circostanze non può desumersi con certezza una situazione di effettivo abbandono. Nella fattispecie in relazione a tale elemento l’indagato ha fornito delle giustificazioni e prodotto documenti che non sono stati adeguatamente apprezzati dal tribunale. Invero l’indagato ha fatto presente di non avere finora riutilizzato quel materiale per la pendenza del giudizio e, per escludere la sussistenza di una situazione di abbandono, ha prodotto alcuni documenti tendenti a dimostrare l’effettiva utilizzazione. Il giudice ha escluso la valenza probatoria di tali documenti solo perché privi di certezza sulla provenienza e la data in quanto prodotti in fotocopia. Invece tali incertezze potevano essere colmate, interpellando l’interessato, il quale, secondo il difensore, era presente, ovvero con l’invito a produrre gli originali o con la richiesta di attestazione di conformità. Purtroppo ancora una volta la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio perché dal provvedimento impugnato non emerge con certezza se l’indagato abbia accumulato quel materiale nell’area della propria azienda per smaltirli con la costituzione di una discarica abusiva per risparmiare i costi dello smaltimento regolare o abbia effettivamente intenzione di riutilizzarli per conseguire un vantaggio economico. Determinante in proposito può essere l’utilizzazione del criterio economico. Tale elemento, come sopra precisato, anche se è stato esplicitamente richiamato dal legislatore solo con il decreto correttivo n 4 del 2008, poteva legittimamente essere utilizzato anche prima del richiamo esplicito da parte del legislatore del 2008. Invero il residuo del processo produttivo non viene abbandonato ma gestito come sottoprodotto se il detentore o il produttore di sostanze ricavate da un processo produttivo destinato principalmente ad altre produzioni riceve un vantaggio economico anche dall’utilizzo dei residui. Ovviamente il vantaggio economico non esclude la certezza dell’utilizzazione, anzi la presuppone. Sia per la dottrina che per la stessa giurisprudenza il vantaggio economico fornisce un elevato grado di probabilità di riutilizzo del residuo e ridimensiona drasticamente le stesse ragioni logiche e giuridiche che giustificano l’applicazione della disciplina sui rifiuti.
L’imputato assume di avere acquistato un costoso macchinario proprio per il riutilizzo. Si tratta di stabilire se ha sostenuto tale costo perché si ripromette di ricavare un utile dal riutilizzo dei ritagli di linoleum o per ridurre i costi di uno smaltimento dei propri scarti di produzione. Tale accertamento non può essere compiuto da questa corte , ma dal giudice del merito.
Alla stregua delle considerazioni svolte il provvedimento impugnato va annullato con rinvio.
Il giudice del rinvio dovrà riesaminare la fattispecie tenendo conto dei principi prima esposti ed in particolare, ai fini della valutazione della prova del riutilizzo, non potendo più tenere conto dalla mancata adozione dell’ autocertificazione,dovrà esaminare la documentazione prodotta dall’indagato a favore della propria tesi, dopo avere, all’occorrenza, accertato la conformità della stessa all’originale.
Anche se la questione non ha formato oggetto di specifica censura, questo collegio ritiene di dovere puntualizzare che non si può utilizzare un sequestro probatorio per soddisfare esigenze cautelari per le quali è previsto il sequestro preventivo. Secondo il provvedimento impugnato il sequestro in esame non è stato disposto per espletare accertamenti peritali sui residui in questione, che pure potevano essere utili per individuare le possibilità di una loro effettiva riutilizzazione (in tale caso le esigenze probatorie avrebbero dovuto essere esplicitate dal pubblico ministero, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa corte con la sentenza Ferrazzi del 2004), ma solo per assicurare la prova del reato, esigenza questa che poteva essere garantita anche con mezzi diversi dal sequestro, come precisato dal tribunale nel primo provvedimento con cui si è accolta la richiesta della difesa.