Consiglio di Stato Sez. IV n. 1776 del 21 febbraio 2023
Ambiente in genere.Inquinamento e responsabilità
In materia ambientale, l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti - accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati - si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento. Per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione
Pubblicato il 21/02/2023
N. 01776/2023REG.PROV.COLL.
N. 05148/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5148 del 2016, proposto dal Comune di Rapino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Manuel De Monte, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
contro
la società Sagifur s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mirco D'Alicandro e Giuliano Milia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giancarlo Guarino in Roma, via Cesare Ferrero di Cambiano, 82;
la signora Mari Maria Cristina, non costituitasi in giudizio;
nei confronti
dei signori Micucci Palma Concetta, Campana Lorenza, Micucci Domenico, Di Sipio Filomena, Micucci Giuseppe, Di Fabio Giovanni, Lisio Rosanna, Di Sipio Antonio Domenico, Carideo Marina, Cellucci Gennaro, De Ninis Tonino, Mascioli Silvestro Elmiro, Mancuso Rosalia, Mascioli Innocenzo, Montalbano Maria, Arcari Laura Patrizia, Bruno Giovan Battista, Arcari Agostino, Cacciapuoti Angela, Minghetti Sabrina, Della Ripa Sofia Filomena, Amoroso Maria Concetta, Amoroso Sandra, Di Fulvio Katia, Della Valle Nicola, Paolucci Mario, Miccoli Gianluca, Nardone Michele, Guadagnini Giuseppe, Di Fazio Gino, Gallucci Muriel, Santovito Annamaria, De Nardis Donato, Gallo Teresa, Micucci Rocco, Rosano Rita, Pasquale Rocco, Cellucci Antonio, non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara (Sezione prima) n. 00457/2015, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Sagifur s.r.l. in liquidazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;
Relatore all'udienza straordinaria del giorno 14 dicembre 2022 il consigliere Silvia Martino;
Viste le conclusioni delle parti, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del contendere è l’ordinanza sindacale n. 21 del 18 luglio 2011, con la quale il Comune di Rapino ha ingiunto alla società Sagifur di attivare tutte le necessarie misure di messa in sicurezza di emergenza della falda nel sito ubicato in Via Madonna della Libera, oggetto della relazione A.r.t.a. (l’Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente dell’Abruzzo), n. 2906 del 25 maggio 2011, nonché di predisporre il piano di caratterizzazione per il suddetto sito da presentare al Comune stesso ed agli altri Enti competenti.
1.1. La società odierna appellata impugnava detta ordinanza innanzi al T.a.r. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, sulla base di sei mezzi di gravame (da pag. 12 a pag.22).
Al ricorso principale faceva seguito la proposizione di due atti di motivi aggiunti, con i quali sono venivano dedotte ulteriori censure.
2. Il T.a.r., nella resistenza del Comune di Rapino - con l’intervento ad opponendum di alcuni residenti del Comune e con l’intervento ad adiuvandum della proprietaria del sito - dopo aver fatto espletare due verificazioni, ha accolto il ricorso e condannato il Comune al pagamento delle spese di lite.
3. L’appello dell’Amministrazione, rimasta soccombente, è affidato ai seguenti motivi:
3.1. Con il primo motivo, l’Amministrazione deduce la violazione e la mancata applicazione degli artt. 1 e 2 c.p.a. per aver il giudice di prime cure sostanzialmente disapplicato il principio “chi inquina paga”.
3.2. Con il secondo motivo, l’appellante si duole dell’erronea applicazione degli artt. 41 e 35 c.p.a. e della mancata valutazione della relazione dell’A.r.t.a. sulla base della quale il Comune ha adottato gli atti impugnati.
3.3. Con il terzo motivo, il Comune lamenta la violazione ed erronea applicazione degli artt. 63 e 64 c.p.a.
L’Amministrazione ha fatto osservare che l’I.s.p.r.a. (Istituto superiore per la prevenzione e la ricerca ambientale) incaricato della seconda verificazione, non ha avuto alcuna collaborazione da parte della Sagifur per accedere al sito. Inoltre, anche il consulente della società ha fornito limitate informazioni sul ciclo produttivo dell’azienda.
Sebbene i tecnici dell’Istituto non abbiano potuto individuare le sorgenti primarie dell’inquinamento, essi hanno tuttavia rilevato che i punti contaminati sono tutti a valle della Sagifur, l’origine della contaminazione è identificabile con l’area Sagifur e la tipologia delle sostanze inquinanti rilevate è compatibile con l’attività esercitata dalla Sagifur.
3.4. Con il quarto motivo, l’appellante censura la sentenza per l’erronea valutazione degli elementi probatori disponibili.
In primo luogo, l’A.r.t.a. ha individuato nel sito della Sagifur la fonte primaria dell’inquinamento, sia con la Relazione da cui è scaturita l’ordinanza impugnata, sia attraverso quella depositata in esecuzione degli incombenti disposti dal T.a.r..
Anche l’I.s.p.r.a ha imputato alla società l’inquinamento, principalmente sulla base della compatibilità delle sostanze ordinariamente utilizzate in attività analoghe, e comunque in relazione all’assenza di altri fattori di possibile inquinamento, a monte e a valle del sito.
In primo grado, sono stati messi a disposizione del giudice:
- gli accertamenti dell’A.r.t.a., che fanno piena prova fino a querela di falso in ordine ai rilievi eseguiti;
- le rilevazioni effettuate dagli Organi di Polizia giudiziaria e dal Consulente tecnico del Pubblico Ministero nel parallelo procedimento penale, secondo cui (relazione del 9 luglio 2012), la tipologia di inquinante rinvenuto nelle acque (trielina) e l’ubicazione dei piezometri in cui è stata riscontrata la contaminazione (a valle del sito Sagifur), comprovano che la contaminazione ha origine dalla Sagifur stessa;
- le già richiamate conclusioni dell’I.s.p.r.a.
3.5. Con il quinto motivo, viene dedotta l’erronea applicazione dell’art. 242, 244, comma 2, e 250 del d.lgs. n. 152/2006, nonché delle linee di indirizzo di cui alla delibera di G.R. n. 257/2007.
3.6. Con il sesto motivo, l’appellante ha contestato la statuizione sulle spese processuali.
3.7. Con il settimo motivo, la sentenza è stata censurata anche per aver escluso ogni obbligo e responsabilità della proprietaria dell’area, mera interventrice ad adiuvandum.
4. Si è costituita, per resistere, la società Sagifur in liquidazione.
5. In data 27 gennaio 2022 e 13 settembre 2022 il Comune ha confermato la permanenza del proprio interesse alla definizione dell’appello.
6. Il Comune di Rapino e la società appellata hanno depositato memorie conclusionali.
7. Il Comune ha depositato anche una memoria di replica.
8. L’appello, infine, è stato trattenuto per la decisione all’udienza straordinaria del 14 dicembre 2022.
9. L’appello è fondato e deve essere accolto.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
10. Giova ricordare che, in materia ambientale, l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti - accertamento che evidentemente rileva per decidere se determinati interventi per eliminarlo siano giustificati - si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019; successivamente, sez. IV, 7 gennaio 2021 n.172).
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell'addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento.
Per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d'applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione” (Corte giust. UE, n. 534 del 2015; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9.3.2010, in causa C – 378/08).
La prova può quindi essere data “in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.” (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).
Il soggetto individuato come responsabile, inoltre, “non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi” ma deve “provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento” (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017, cit..).
11. Nella fattispecie, deve convenirsi con il Comune appellante che tutti gli accertamenti acquisiti al processo risultano convergenti nel ricondurre l’inquinamento alle attività della società appellata.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
11.1 La ditta Sagifur ha svolto dal 1995 al 2001 attività di nobilitazione, tintoria e lavaggio delle pelli.
Secondo quanto riportato nella Relazione I.s.p.r.a. (pag. 27 e ss.), la ditta “è di fatto l’unica attività industriale presente nell’area, inserita in un contesto per lo più agricolo (oliveto specializzato, seminativo arborato) [...] con presenza di insediamenti rurali e residenziali sparsi [...]”.
Pur non avendo potuto reperire informazioni dirette circa il sito produttivo - non avendo la società fornito alcuna informazione in merito - l’Istituto ha preso in considerazione i principali processi connessi alle attività di conceria desunti dalla letteratura, con particolare riguardo ai prodotti chimici tipici utilizzati in questo tipo di attività.
Le sostanze riscontrate nelle acque sotterranee son state valutate come potenzialmente compatibili con i cicli di lavorazione effettuati nel tempo dalla Sagifur (pag. 42).
L’I.s.p.r.a. ha accertato, altresì che “nelle aree a monte dello stabilimento ed in quelle immediatamente a valle non si riscontrano potenziali fattori di pressione (i cui processi produttivi abbiano previsto l’utilizzo di sostanze compatibili con la contaminazione riscontrata sia in termini di cicli produttivi che di volumi di sostanze utilizzate) agenti nel presente e/o nel passato sulle matrici ambientali” (pag.41).
Per quanto riguarda lo stato di inquinamento relativo all’area in esame ha quindi affermato che:
- le acque sotterranee costituiscono una sorgente secondaria di contaminazione, la cui estensione comprende l'areale sotteso da R14, R13, R12, S0, P13, P19 per una lunghezza nell’asse del flusso di falda che alla data di esecuzione delle analisi era pari a circa 1 chilometro;
- i piezometri R14, R13 e R12 si trovano in posizione di valle idrogeologica rispetto al perimetro della Sagifur. Essi risultano contaminati.
- i piezometri R3 e R2 e parzialmente R4 occupano una posizione di monte idrogeologico rispetto al citato perimetro e risultano non contaminati.
- il piezometro R7 si trova rispetto al flusso di falda in una posizione tale da escludere rapporti di tipo monte-valle col perimetro Sagifur. Tale piezometro è risultato non contaminato.
- i piezometri R1, R5, R6 ed R8 si trovano su un fronte della superficie freatica (direzione del flusso verso NW) diverso da quello della Sagifur, il che esclude rapporti di monte-valle tra gli stessi piezometri ed il perimetro della società. Tali piezometri non risultano contaminati.
Alla luce di quanto precede l’Istituto ha concluso che “appare evidente l’esistenza nell’area in esame di una sorgente secondaria di contaminazione rappresentata dalle acque sotterranee contaminate da sostanze organoclorurate (principalmente Tetracloroetilene) e che l’origine di tale contaminazione sia identificabile geograficamente con l’area SAGIFUR. La tipologia di sostanze inquinanti rilevate, è compatibile con l’attività esercitata dalla SAGIFUR” (pag. 47).
11.2. Di particolare rilievo sono poi le Relazioni dell’A.r.t.a., a partire da quella che ha comportato l’adozione del provvedimento impugnato (prot. 2906 del 21 maggio 2011).
11.2.1. Dai prelievi effettuati in contradditorio con i tecnici incaricati dalla ditta è emerso “il superamento delle CSC dei solventi clorurati cancerogeni e non cancerogeni (Tetracloroetilene, Tricloroetilene, Sommatoria Organoalogenati Cancerogeni e 1,2-dicloropropano); in aggiunta è possibile notare nel punto S2 la presenza di Cromo totale, frequentemente connesso alle attività industriali di trattamento delle pelli”.
Inoltre “Le misure della soggiacenza (profondità rispetto al piano campagna delle acque di falda), rilevate nel corso del sopralluogo del 06/04/2011 (ved. Tab. l), hanno consentito di ricostruire il probabile andamento delle acque sotterranee, dalle quali si evince che il piezometro S2, il quale presenta le più alte concentrazioni di contaminanti, costituisce il punto di valle idrogeologico del sito cioè il punto in cui le acque di falda escono dal sito” (pag. 8).
11.3. Particolarmente significativa è poi la Relazione A.r.t.a. del 7 ottobre 2011, n. 5463, in quanto si basa anche sui certificati analitici delle acque di scarico acquisiti dalle compenti Autorità di controllo al tempo in cui lo stabilimento era ancora attivo.
Una verifica accurata di tali certificati “ha evidenziato la presenza, quando ricercati, di solventi clorurati” (pag. 4).
Tali prelievi vennero richiesti “proprio a causa dei numerosi esposti fatti dai cittadini per la presenza di forti odori di solventi, che risalivano dalle tubazioni fognarie, dentro le abitazioni”.
I solventi clorurati rinvenuti sono composti derivati dagli idrocarburi alifatici, nei quali uno o più atomi di idrogeno sono sostituiti da altrettanti atomi di cloro. Si tratta di sostanze dotate, nella massima parte, di un ottimo potere solvente e di scarsa infiammabilità.
Per le loro caratteristiche trovano largo impiego nell’industria chimica, tessile, della gomma, delle materie plastiche, nelle operazioni di sgrassaggio e pulitura di pelli, metalli e tessuti.
Negli ambienti di lavoro i solventi possono presentarsi sotto forma di liquidi volatili e vapori e sono tutti, in genere, potenzialmente tossici per l'organismo umano.
I solventi non rimangono tal quali nel prodotto finito (polimero, strato adesivo, film superficiale, ecc.), ma evaporano più o meno velocemente, contribuendo così ad inquinare l’ambiente anche dopo il loro utilizzo.
Questi composti quando sversati sul terreno e conseguentemente per percolazione nella falda, essendo più densi dell'acqua formano una fase separata non acquosa denominata DNAPL (Dense Non -Aqueous Phase Liquid), che si sposta verso il basso lungo la colonna di acqua (mobile DNAPL). La fase separata non acquosa tende ad infiltrare ed a rimanere intrappolata tra le particelle di suolo (residual DNAPL). Ciò fa sì che tali composti agiscano come una sorgente persistente e a lento rilascio per molti anni. anche quando la sorgente primaria sia stata rimossa.
I risultati delle analisi chimiche e lo studio dei livelli piezometrici e delle quote topografiche hanno consentito di ricostruire la distribuzione della contaminazione, che partendo dalla ditta si muove concordemente alla direzione di flusso della falda da ovest verso est nel settore collinare (Madonna della Libera pozzi P14, P6, P9, P4, P3, P5) entro una fascia di circa 100 m. di larghezza e 340 m. di lunghezza, per poi diffondersi lungo il versante (pozzi P12, P13 e SO ) fino a raggiungere la propaggine terminale del centro abitato (Pozzi P1, P2, P18, P19) per una distanza di almeno 1100 m.
La presenza di picchi di concentrazione a valle dell’impianto può essere ragionevolmente attribuita alla migrazione del contaminante avvenuta preferenzialmente laddove lo sfruttamento intensivo dei pozzi ha operato nel tempo un effetto di richiamo e una lisciviazione meccanica dei composti.
11.4. Ad analoghe conclusioni l’Agenzia è giunta anche nella Relazione di verificazione depositata in giudizio.
I risultati delle indagini ambientali hanno chiaramente dimostrato che la falda che scorre al di sotto dell’impianto Sagifur è distinta da quella individuata in corrispondenza della discarica comunale presente nell’area indagata.
La stratigrafia, rappresentata nelle sezioni stratigrafiche ricostruite, mostra la presenza di due distinti acquiferi. Tale osservazione concorda con i risultati analitici delle acque sotterranee che evidenziano (loc. Madonna della Libera) la totale assenza dei composti clorurati nei piezometri posti:
- a monte della società Sagifur: piezometri R2, R4, R7;
- a monte del fosso Sterparo: piezometri Rl, R5, R6;
- a valle della discarica: piezometro R8.
Inoltre, anche le acque campionate a valle delle aree estrattive e dell’opificio TPM (Contrada Foce), campionate nei piezometri R9, R10, R11, risultano prive dei composti clorurati.
Pertanto, le indagini eseguite, le analisi chimiche, lo studio dei livelli piezometrici e delle quote topografiche del tetto delle argille “hanno consentito di ricostruire e di dimostrare con certezza che la contaminazione ha origine dal sito Sagifur e si muove concordemente alla direzione di flusso della falda da ovest verso est nel settore collinare (Madonna della Libera) nei piezometri R14, R13, R12 15 e nei pozzi ad uso irriguo/potabile precedentemente analizzati, fino ad interessare la propaggine a nord (Via Lucina) della cittadina di Rapino” (Relazione A.r.t.a. 26 luglio 2013, pag. 2).
11.5. Analoghi rilievi sono contenuti nella CTU svolta per conto della Procura della Repubblica di Chieti dal dottor Roberto Mastracci.
Anche in tale Relazione si mette in luce che i composti organici clorurati rinvenuti nelle acque sotterranee come il tricloroetilene (commercialmente detto trielina) e il tetracloroetilene trovano larga applicazione come solventi e sgrassatori nelle industrie tessili, grazie alle loro caratteristiche e alle loro proprietà come la capacità e la rapidità con cui sono in grado di dissolvere una vasta gamma di composti organici.
La tipologia di inquinante e l’ubicazione dei piezometri in cui è stato riscontrato il superamento della CSC per tali inquinanti “fa concludere che la contaminazione ha avuto origine dalla Sagifur stessa”.
Il consulente ha anche spiegato – come già fatto dall’A.r.t.a. e confermato dall’I.s.p.r.a. – che una delle caratteristiche che tali composti presentano è quella di avere una densità maggiore dell’acqua.
In caso di rilascio di solventi clorurati nella matrice acqua, le proprietà che caratterizzano l’inquinante favoriscono il movimento verticale dello stesso sotto l’effetto della forza di gravità: una volta raggiunta la falda acquifera, esso tende a sedimentare sul fondo dove può permanere per lungo tempo compromettendo la qualità della risorsa idrica per diversi anni.
Tali proprietà favoriscono contemporaneamente la migrazione del contaminante attraverso il suolo fino al raggiungimento della falda.
Il meccanismo di dispersione del tricloroetilene e del tetracloroetilene giustifica la presenza della contaminazione da solventi clorurati nelle acque sotterranee ma non nel terreno analizzato.
Inoltre, dalle prove condotta dall’A.r.t.a. è emerso che in prossimità dell’opificio la concentrazione più elevata di solventi clorurati è stata rilevata nella porzione più alta dell’acquifero mentre allontanandosi dal sito la concentrazione aumenta nella parte inferiore dello stesso.
Questa modalità di distribuzione dell’inquinante risponde esattamente ai meccanismi di dispersione descritti poiché l’inquinante, seguendo la direzione della falda, tende mano mano a sedimentare per effetto della gravità.
12. I contributi tecnici acquisiti nel corso del processo offrono indizi precisi e concordanti in ordine alla responsabilità di Sagifur nell’inquinamento riscontrato.
La tesi di una fonte esterna alla quale la contaminazione sarebbe riconducibile in via esclusiva è rimasta una mera ipotesi della società, priva di qualsivoglia concreto riscontro.
12.1. Non è sufficiente a revocare in dubbio le conclusioni degli accertamenti tecnici sopra richiamati il fatto che l’I.s.p.r.a. non abbia rinvenuto nel sito (dismesso da più di dieci anni) le “sorgenti primarie” della contaminazione.
Tale circostanza si spiega infatti con i particolari meccanismi di trasporto e diffusione nelle matrici ambientali delle sostanze DAPNL, in precedenza descritti.
Inoltre, non vi è alcuna prova che le altre attività svolte nell’area circostante lo stabilimento (che rappresenta di fatto “l’unica attività industriale presente nell’area” – pag. 26, Relazione I.s.p.r.a.) abbiano comportato o comportino la produzione o l’impiego delle sostanze contaminanti rinvenute nella falda mentre, al contrario, queste ultime sono state verosimilmente impiegate nel ciclo produttivo dello stabilimento Sagifur.
In tal senso depongono sia i certificati analitici rinvenuti dall’A.r.t.a. nei propri archivi, sia il fatto che la società non abbia fornito alcuna informazione utile sul ciclo produttivo.
12.2. In definitiva, mentre non è stato addotto dalla società alcun elemento idoneo a supportare la tesi di una sorgente esterna della contaminazione, vi sono invece più che sufficienti elementi per ritenere che la stessa sia il risultato dell’attività svolta presso lo stabilimento, secondo il criterio del “più probabile che non”, non correttamente applicato dal primo giudice quanto all’accertamento del nesso causale.
13. Per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere accolto.
Ne consegue, in riforma della sentenza impugnata, la reiezione del ricorso instaurato in primo grado.
14. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, n. 5148 del 2016, di cui in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso instaurato in primo grado.
Condanna la società Sagifur s.r.l. in liquidazione alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore del Comune di Rapino che liquida complessivamente in euro 15.000,00 (quindicimila/00), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Gambato Spisani, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Sergio Zeuli, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere