Il fatto di particolare tenuità e i reati ambientali
di Luigi LEGHISSA
La causa di non punibilità trova applicazione con riferimento a gran parte dei reati ambientali, riguardando, indifferentemente, i delitti e, considerato il limite di pena, tutte le contravvenzioni, cosicché pochissime ipotesi di reato restano escluse.
La causa di non punibilità troverà così applicazione anche alle contravvenzioni ambientali, normalmente integranti reati di pericolo astratto o presunto, ai fini di una tutela anticipata dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice, come già precisato dalla Corte di Cassazione con riferimento, all’istituto previsto dall’art. 34 del D.lvo n. 274 del 2000 1.
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In via generale, ripetendo quanto osservato da RAMACCI (in LEXAMBIENTE.it) si può escludere che una condotta meramente formale, quale l'avvio di un'attività senza autorizzazione, possa, per ciò solo, determinare un danno o un pericolo qualificabile come esiguo, quando, sempre a titolo di esempio, l'effettuazione di uno scarico o la gestione di rifiuti non avrebbe potuto essere autorizzata, ovvero quando questa abbia comunque determinato una compromissione non irrilevante del potere di controllo dell'amministrazione competente sulle attività potenzialmente inquinanti.
Analoghe conclusioni dovrebbero trarsi con riferimento all'inosservanza delle prescrizioni di un'autorizzazione quando, sempre per esempio, il mancato rispetto delle prescrizioni vanifichi anch'esso il controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione su aspetti significativi dell'attività medesima, quali la sicurezza, la salute, etc. Del resto, l'indicazione di specifiche prescrizioni nei titoli abilitativi, per attività quali la gestione dei rifiuti, lo scarico di reflui o le emissioni in atmosfera, consentono una più puntuale e specifica regolamentazione e sono il risultato di una valutazione complessiva e coordinata dell'impatto ambientale di un insediamento, finalizzata anche ad evitare le conseguenze del rilascio di agenti inquinanti.
Va poi osservato che dovrà anche tenersi presente come la esiguità del danno o del pericolo debba essere valutata sulla base di elementi oggettivamente apprezzabili e non anche attraverso una stima meramente soggettiva, considerando, in particolare, che la norma si riferisce a comportamenti tali da poter essere ritenuti penalmente rilevanti e, quindi, certamente collocabili tra quelli non inoffensivi, ma che però devono aver prodotto conseguenze minime, non degne di essere ulteriormente apprezzate in sede penale, perché, in definitiva, ciò che rileva è un fatto che si presenti come «oggettivamente e soggettivamente assai modesto», come affermato dalla Cassazione con riferimento all'art. 34 d.lgs. n. 274\2000.
E’ quindi necessaria una approfondita indagine e valutazione del singolo caso senza affrettate valutazione per lo “smaltimento” del fascicolo.2
L’applicazione della causa di non punibilità è esclusa quando si rileva la “abitualità” della condotta che sussiste anche nella ipotesi in cui l’autore abbia commesso più reati della stessa indole o condotte plurime o reiterate.
Così con riferimento ai reati ambientali opereranno le situazioni ostative di cui al terzo comma dell’art- 131 bis c.p., quando, ad esempio, all'interno di un insediamento industriale si accertino più violazioni che configurino reati della stessa indole - che non devono necessariamente riguardare violazioni della medesima disposizione di legge, ben potendo assumere rilevo anche condotte oggettivamente o soggettivamente omogenee (Cfr., tra le più recenti, Sez. 1, n. 44255 del 17/9/2014 (dep. 23/10/2014), Durdev, Rv. 260800; Sez. 1, n. 27906 del 15/4/2014 (dep. 26/6/2014), Stocco, Rv. 260500) – quali, ad esempio, più violazioni della disciplina dei rifiuti, violazioni di norme sull'inquinamento idrico e delle norme sui rischi da incidente rilevante etc.).
Analogamente, potranno essere apprezzate, quali condotte plurime o reiterate, la effettuazione di più attività di gestione illecita di rifiuti, ripetuti episodi di abbandono di rifiuti etc.
Le persone offese nei reati ambientali
In caso di richiesta di archiviazione per la particolare tenuità del fatto è prevista la necessaria interlocuzione della persona offesa che, unitamente all'indagato, deve essere avvisata dal pubblico ministero. Entrambi devono essere inoltre informati della possibilità di prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta.
Dottrina giustifica la necessità dell'avviso anche all'indagato ritenendo che, i provvedimenti, anche di archiviazione, con i quali viene applicato il nuovo istituto, vanno iscritti nel casellario giudiziale,3 con la conseguenza che la persona sottoposta ad indagini potrebbe avere interesse ad opporsi per evitare l'effetto pregiudizievole dell'iscrizione, ostativa ad una successiva fruizione del beneficio.4
Occorrerà prestare particolare attenzione, trattando i reati ambientali, nell'individuazione della persona offesa, la quale corrisponde al soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito, così distinguendosi dal soggetto danneggiato, poiché la comunicazione da parte del P.M. che richiede l’archiviazione è sempre dovuta.5
Avuto riguardo a tali criteri, la persona offesa potrà essere individuata, ad esempio, nell'amministrazione comunale ed in quella regionale per ciò che concerne le violazioni edilizie (V. ad es., tra le più recenti, anche per i richiami ai precedenti Cass. Sez. 3, n. 7786 del 21/1/2014 (dep. 19/2/2014), P.O. in proc. Caldarale, Rv. 258697 Cass. Sez. 3, n. 50929 del 14/11/2013 (dep. 17/12/2013), P.M. P.C. in proc. Angellotto e altri, Rv. 258018), nell'ente preposto alla tutela del vincolo per le violazioni paesaggistiche o delle norme a tutela delle aree protette (Cfr. Cass. Sez. 3, n. 46079 del 8/10/2008 (dep. 15/12/2008), Ballerio, Rv. 241782) e, per le violazioni ambientali, nello Stato, cui spetta la tutela dell'interesse collettivo alla salubrità dell'ambiente, ovvero nella pubblica amministrazione che direttamente esercita le attività di controllo e di prevenzione per impedire possibili forme di aggressione al bene protetto dalla norma che possano derivare dalle attività illecite dei gestori degli impianti, il cui esercizio è, perciò, subordinato al controllo dell'amministrazione competente a provvedere al rilascio di un'autorizzazione (Così, testualmente, con riferimento reati di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 59\2005 (oggi art. 29-quattordecies d.lgs. 152\06) Cass. Sez. 3, n. 769 del 3/12/2010 (dep. 14/1/2011), P.O. in proc. Ruggeri e altri, Rv. 249167).
Il disastro ambientale colposo
La giurisprudenza, criticata dalla dottrina prevalente, ha applicato la fattispecie del c.d. “disastro innominato” prevista dall’art. 434 c.p. anche a condotte di contaminazione ambientale prodotte da illecite forme di smaltimento dei rifiuti o di scarichi inquinanti nel suolo, sottosuolo e acque e nell’atmosfera che comportano pericolo per la incolumità pubblica; trattasi di fattispecie concrete caratterizzate da un inquinamento progressivo con conseguente danno alla salubrità ambientale e alla salute delle popolazioni interessate.
Nela sua forma colposa, prevista dall’art. 449 c.p., il disastro ambientale potrebbe rientrare, in astratto, nell’ambito di applicabilità della causa di punibilità, essendo punito con la pena edittale massima di cinque anni di reclusione.
Si ritiene tuttavia che la struttura del reato sia incompatibile con la applicazione della causa di non punibilità, trattandosi di condotte per lo più plurime ed abituali e tali da escludere il requisito della “tenuità del danno”.
I reati in materia di smaltimento dei rifiuti
Nel d.lgs. 152\06, tutte le ipotesi di reato rientrano astrattamente entro i limiti di pena indicati dall'art.131-bis cod. pen., fatta eccezione per:
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la combustione illecita di rifiuti pericolosi (art. 256-bis), introdotto dal d.l. 136/2013, convertito con modificazioni nella l. 6/20146;
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le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 260).
Naturalmente le singole contravvenzioni andranno valutate con riferimento alle specificità del caso concreto valutando tutti gli elementi della condotta, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, per valutare anche la “abitualità” della condotta, ossia la presenza o meno di plurime condotte di smaltimento, di trasporti abusivi di rifiuti occasionali o professionalmente esercitati, di perdurante inosservanza nel tempo delle prescrizioni autorizzative, della presenza di molteplicità o meno di violazioni accertate nel caso concreto.
Il reato di discarica abusiva previsto dall’art. 256, comma 3 Dlvo n. 152 del 2006 può ritenersi escluso dalla applicabilità della causa di non punibilità per la struttura del reato che si caratterizza per la ripetitività e non occasionalità dei conferimenti e smaltimenti abusivi tali da ridurre una determinata area quale ricettacolo di rifiuti; pare difficile potersi rinvenire il requisito della tenuità del danno e, soprattutto, la condotta tipica è condotta plurima e abituale.
Stessa conclusione pare doversi sostenere anche nella ipotesi di reato commesso in concorso con terzi ignoti, qualora l’autore concorra con la propria condotta a realizzare la discarica abusiva, anche con pochi smaltimenti, ma in un’area degradata da scarichi provenienti da altri concorrenti, attesa la struttura solidaristica ed unitaria del reato concorsuale.
Sono esclusi, con riferimento alla pena edittale, alcuni reati di smaltimento di rifiuti pericolosi e di discarica abusiva previste dall’art. 6 del D.L. n. 172 del 2008 conv. nella L. n. 210 del 2010 ( stato emergenziale, dichiarato nella Regione Sicilia con il d.P.C.M. 9 luglio 2010 ed in vigore sino al 31 dicembre 2012)7
Reati edilizi.
Secondo Menditto (vedi Linee guida della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lanciano in Diritto Penale Contemporaneo) , se commessi in zone vincolate appare problematica l’applicabilità della causa di non punibilità, salve le violazioni di carattere esclusivamente formale (definizione, quest’ultima, che deve essere definita in modo rigoroso).
In ogni caso per i reati ambientali va dato avviso al Ministero dell’ambiente art. 311 d.lgs. 152/06), oltre all’ente locale; per i reati edilizi all’ente locale.
In linea generale si può ritenere l’applicabilità della causa di non punibilità con riferimento alla contravvenzione prevista dall’art. 44 a) DPR n. 380 del 2001 per violazione delle prescrizioni del permesso di costruire o di attività edilizia in violazione di norme urbanistiche. La valutazione in concreto impone di valutare la natura delle violazioni al permesso di costruire, la sanabilità delle stesse, l’occasionalità delle stesse. Ad es. si può pensare al reato per la mancata presenza del cartello di cantiere con le indicazioni sul titolo autorizzatorio, direttore dei lavori etc, in presenza di una sostanziale regolarità dell’intervento edilizio regolarmente assentito ed eseguito in conformità del titolo.
In linea generale deve escludersi l’applicabilità della causa di non punibilità della “tenuità del fatto” con riferimento alla contravvenzione prevista dall’art. 44 c) DPR n. 380 del 2001 che punisce le abusive trasformazioni del territorio in area sottoposte a vincolo paesaggistico. Sarà eventualmente applicabile la causa estintiva costituita dal permesso in sanatoria se rilasciato e se legittimo
In linea generale si può ritenere l’applicabilità della causa di non punibilità con riferimento alla contravvenzione prevista dall’art. 44 b) DPR n. 380 del 2001 per assenza del permesso di costruire qualora sia rilasciabile il permesso di costruire in sanatoria per doppia conformità (la valutazione del giudice si ritiene possa anche prescindere dal formale rilascio del titolo in sanatoria).
In tutte le altre situazioni di trasformazioni del territorio in assenza del permesso di costruire, non sanabili in quanto in contrasto con la disciplina urbanistica del territorio, la estinzione pare difficilmente applicabile valutando la tipologia dell’intervento.
L’interesse giuridico protetto dalla norma incriminatrice del reato edilizio, infatti, non è soltanto quello di assicurare il controllo preventivo da parte della pubblica amministrazione, ma altresì quello di garantire che lo sviluppo urbanistico si realizzi concretamente in aderenza all'assetto risultante dagli strumenti urbanistici. Una costruzione da demolire in quanto non ammessa dalle norme urbanistiche, ordine obbligatoriamente imposto al Giudice, è difficile da ritenere avere causato esiguità del danno o del pericolo all’interesse protetto.
Pare doversi escludere la applicazione della causa di non punibilità per il reato di lottizzazione abusiva previsto e punito dall’art. 44 lett. c) DPR n. 380 del 2001, che prevede strutturalmente una condotta articolata e plurima , sia nella forma della lottizzazione materiale che nella c.d. lottizzazione cartolare. Anche in questo caso, ritenuta la condotta “abituale” pare far comunque difetto il requisito della tenuità del danno o del pericolo.
Il permesso di costruire in sanatoria costituisce causa estintiva che non è applicabile ad altri reati che hanno una oggettività giuridica diversa rispetto a quella della mera tutela urbanistica del territorio, come quelli relativi a violazioni di disposizioni dettate dalla legge 2 febbraio 1974, n.64, in materia di costruzioni in zona sismica, o dalla legge 5 novembre 1971, n. 1086, in materia di opere in conglomerato cementizio.
Trattasi di una molteplicità di violazioni, per lo più formali, ascrivibili a soggetti diversi. In linea generale si può escludere la applicazione della causa di non punibilità per le violazioni che ineriscono le mancate comunicazioni del progetto esecutivo sui cementi armati alla competente autorità amministrativa, valutando l’applicabilità alle altre ipotesi meramente formali in relazione alla situazione generale accertata e alla molteplicità o meno delle violazioni accertate.
Deve peraltro rilevarsi che, nella pratica, si è normalmente in presenza di una pluralità di violazioni, accertate nel medesimo contesto, tutte formali ma la cui compresenza porterebbe ad escludere la applicabilità della causa di non punibilità configurando una ipotesi di condotta “abituale”.
I reati paesaggistici previsti dall’art. 181 del D.lvo n. 42 del 20048
In linea generale deve ritenersi estremamente difficile potersi applicare la causa di non punibilità in relazione alla condotta di alterazione di area sottoposta a vincolo paesaggistico, sia esso generale ovvero imposto con singolo D.M. che difficilmente, valutata in concreto, può essere ritenuta di particolare tenuità.
Come correttamente osservato da Menditto, con riferimento ai reati, come quelli paesaggistici, per i quali è prevista una specifica causa di non punibilità nel caso di «eliminazione» degli effetti del reato, avendo il legislatore valutato la presenza di un’offesa di rilievo tale da consentire la non punibilità qualora l’autore del reato si attivi per eliminare le conseguenze della sua condotta, appare problematica l’applicabilità della causa di non punibilità de quo.
L'articolo 181, comma 1 quinquies, stabilisce infatti, che la rimessione in pristino delle aree e/o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore "prima che venga disposta d'ufficio dall'autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna" estingue la contravvenzione di cui al comma 1 dello stesso articolo 181 ma non il delitto previsto dall’art. 181, comma 1 bis che viene integrato dai lavori abusivi su area con vincolo particolare (Cass, III n. 33542 del 2012).
Il legislatore valorizza una condotta di pentimento operoso che reintegra quanto era stato alterato prima che lo Stato intervenga sulle pregiudizievoli conseguenze della condotta criminosa, sia a mezzo di attività amministrativa ripristinatoria, sia a mezzo di attività giurisdizionale sanzionatoria. L'impulso che si evince quindi dalla norma come dettato al soggetto che ha commesso il reato è nel senso dell'intervento ripristinatorio attuato il prima possibile, essendo sufficiente già anche un intervento meramente amministrativo per precludere l'estinguibilità del reato. In tal modo vengono perseguiti gli obiettivi da un lato della immediatezza dell'attività ripristinatoria - che di per sé incide in senso riduttivo sugli effetti pregiudizievoli del reato -, dall'altro della spontaneità di tale attività, manifestazione oggettiva della resipiscenza che pure supporta l'estinzione del reato.
In astratto, prescindendo dalle specificità del caso concreto, la causa di non punibilità della “tenuità del fatto” potrebbe essere applicabile al delitto previsto dall’art. 181 comma 1 bis , in relazione al quale non opera la causa di estinzione speciale. Tale conclusone pare tuttavia porre problemi di costituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost., risultando una irragionevole disciplina più favorevole per un fatto più grave. In questo caso una interpretazione costituzionalmente orientata della norma parrebbe imporre l’esclusione della applicabilità della causa di non punibilità anche al delitto.
Questo in astratto, anche se, nella valutazione del caso concreto, in genere normalmente si ravvisano serie difficoltà per ritenere la sussistenza dei presupposti della tenuità del danno o del pericolo nelle condotte che vengono ad integrare il delitto.
E’ principio consolidato nella giurisprudenza che, riguardo agli abusi paesaggistici, il principio di offensività opera in relazione alla attitudine della condotta posta in essere ad arrecare pregiudizio al bene protetto, in quanto la natura di reato di pericolo della violazione non richiede la causazione di un danno e la incidenza della condotta medesima sull'assetto del territorio non viene meno neppure qualora venga attestata, dall'amministrazione competente, la compatibilità paesaggistica dell'intervento eseguito.(da ultimo Cass III n. 11048 del 2015).
Viene esclusa la sanzione penale (c.d. condono paesaggistico) solo con riferimento ai cosidetti abusi minori per i quali può aversi la valutazione di compatibilità paesaggistica nei limiti previsti dall’art. 181, comma 1 ter ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie amministrative.
L’applicabilità della causa di non punibilità, in linea generale, potrebbe ammettersi quindi solo nei limiti in cui è applicabile la compatibilità paesaggistica per le violazioni minori di cui sopra come previsto dall’art. 181, comma 1 ter.
Reati in materia di inquinamento idrico ed atmosferico.
E’ principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i reati ambientali formali siano volti a garantire un controllo preventivo da parte della P.A. e che il bene tutelato dalla norma penale è l'interesse dell'amministrazione competente a monitorare e controllare preventivamente la funzionalità e potenzialità inquinante degli impianti nuovi e di quelli già esistenti (da ultimo Cass. Sez. 3, n.11349 del 10/2/2015 (dep.18/3/2015), Bonifacio, non massimata, con riferimento all'art. 137, comma 1 d.lgs. 152\06 (fattispecie relativa al mantenimento di uno scarico con autorizzazione scaduta) che richiama precedenti analoghi in materia di inquinamento atmosferico).
La particolare tenuità del fatto deve essere valutata in relazione al pericolo cagionato a tale interesse giuridico tutelato dalle norme incriminatrici.
Se, in astratto, la causa di non punibilità appare applicabile alle contravvenzioni consistenti nell’esercizio di una attività di scarico o emissione in atmosfera in assenza di autorizzazione o in violazioni delle prescrizioni, deve aversi riguardo alla situazione nel caso concreto, valutando la tipologia dello scarico o della emissione, il tempo dell’attività abusivamente svolta, la rispondenza sostanziale dell’impianto ai requisiti che avrebbero consentito il rilascio dell’autorizzazione non preventivamente richiesta, il comportamento della parte in relazione alla gravità della colpa nella situazione concreta. Ad esempio non pare costituire fatto di particolare tenuità, uno scarico abusivo che comunque non rispetti i parametri di accettabilità previsti, anche se il superamento dei limiti di accettabilità costituisca mero illecito amministrativo; o un impianto mantenuto abusivamente in esercizio da molto tempo senza avere presentato mai alcuna domanda alla p.a..; dovranno così valutarsi degli indici relativi alla condotta e all’elemento materiale (conformità o meno ai parametri normativi, qualità e volumi dello scarico o della emissione, tipologia dell’impianto di per sé autorizzabile o meno) e indici soggettivi (presentazione o meno della domanda, apertura dello scarico malgrado rigetto della domanda, interlocuzione o meno con la p.a. competente al rilascio del titolo, etc.).
In materia di inquinamento idrico o atmosferico, è previsto come reato autonomo il superamento di determinati parametri di accettabilità dello scarico o della emissione: le contravvenzioni previste dall'art. 137, comma 5 e dall'art. 279, comma 2 d.lgs. 152\06).
In linea generale, come osserva Menditto, non sembra potersi desumere dalla struttura della norma l’inapplicabilità della causa di non punibilità, riverberandosi l’entità del superamento sulla valutazione del requisito dell’esiguità dell’offesa (insieme agli altri indici di carattere soggettivo).
In questi casi peraltro l’applicabilità della causa di non punibilità alla fattispecie penale pare porre problemi di costituzionalità; infatti normalmente il mancato superamento dei parametri previsti per la consumazione del reato, che riguardano, ad es. per gli scarichi, solo specifiche sostanze comprese in una determinata tabella, integra un illecito amministrativo, che, pur valutato dal legislatore come fatto di minore gravità, rimarrebbe comunque sottoposto a sanzione pecuniaria a fronte la non punibilità completa di un fatto comunque ritenuto dal legislatore più grave, tanto da meritare la sanzione penale: si palesa una norma irragionevole che prevede trattamenti differenziati di due condotte che incidono sullo stesso ben giuridico, stabilendo la non punibilità per la condotta più grave e mantenendo la sanzione per quella meno grave. Una interpretazione costituzionalmente orientata della norma dovrebbe imporre l’esclusione della applicabilità della causa di non punibilità per tali reati.
Una eventuale questione di costituzionalità per irragionevolezza della disciplina di legge, difficilmente pare possa essere sollevata nell’ambito del processo penale (nel quale si verrebbe a dolersi della diversa disciplina prevista per il diverso fatto costituente illecito amministrativo) e quindi dove non sarebbe rilevante; potrà essere sollevata innanzi il giudice civile in sede di impugnazione della sanzione amministrativa.
Difficilmente percorribile pare essere la soluzione di applicare comunque la causa di non punibilità per tenuità del fatto e quindi trasmettere comunque gli atti all’autorità amministrativa per l’irrogazione della sanzione, sulla base del principio che, in ogni caso, sussistendo l’illecito penale per superamento dei parametri o delle soglie, sussiste a fortiori il meno grave illecito amministrativo.
Tale ragionamento può valere in fatto per i reati con soglie di punibilità di carattere quantitativo (quali ad es. i reati finanziari o quello dell’art. 316 bis c.p. ) . Già, in fatto, non può applicarsi ad es. con riferimento alla condotta di scarico in violazione dei parametri di accettabilità; in questo caso, infatti, la sussistenza dell’illecito penale o di quello amministrativo, dipende dalla tipologia delle sostanze in relazione ai quali i limiti di accettabilità sono superati; abbiamo una soglia di tipo qualitativo che qualifica il fatto come reato o illecito a seconda che la violazione riguardi sostanze indicate in questa o quella tabella.
In linea di diritto la soluzione proposta sembra essere in violazione del principio di legalità e tipicità dell’illecito amministrativo, dettato dalla norma generale di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 1. Sembrerebbe imporsi la necessità di una specifica disposizione di legge.
Tuttavia la Cassazione (Cass. IV 28.4.2006, RV 234416), in un caso di cui all’art. 186 CDS, reato che presenta dei profili analoghi, ha avuto modo di precisare l’applicabilità dell’istituto previsto dall’art. 34 del D.lvo n. 274 del 2000, senza peraltro affrontare le problematiche sopra indicate, ma soffermandosi solo sulla ritenuta esclusione dell’applicabilità della causa di improcedibilità per avvenuto superamento della soglia indicata dal legislatore, quale limite per la insussistenza del reato:
Non appare, neppure, condivisibile l’argomentazione, secondo cui il mero superamento della soglia di punibilità comporterebbe l’inapplicabilità dell’istituto per un accertamento presuntivo, iuris et de iure, del legislatore, in quanto l’art. 34 d.lg. n. 274 del 2000 prevede l’improcedibilità dell’azione penale in una situazione di fatto concretizzatasi e meritevole di tutela per la presenza di profili oggettivi e soggettivi, caratterizzata pure dall’occasionalità della condotta, sicché esiste un modesto disvalore, il quale, ove non fosse superato il tasso alcolimetrico, non esisterebbe, in quanto non sarebbe configurabile nemmeno il reato (Sez. IV, 13 ottobre 2004, n. 40203, rv 229574)
La particolare tenuità del fatto e la responsabilità dell’ente.
Anche in materia ambientale vari sono i reati presupposto idonei a configurare la responsabilità dell’ente ai sensi del D.lvo n. 231 del 2001.
Si pone pertanto la questione se l’eventuale declaratoria di non punibilità di un reato nell’ambito di un procedimento penale che veda coinvolto anche un ente collettivo influisca o meno sulla responsabilità di quest’ultimo.
Tra i primi commenti (Corso, Responsabilità dell'ente da reato non punibile per particolare tenuità del fatto, www.ipsoa.it, 24 marzo 2015) si è affermato che” in assenza di una deroga espressa, il disposto dell’art. 131-bis c.p., che prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, può estendersi a taluni reati tributari e societari e, in tale ultimo caso, rappresentare una causa di non punibilità anche per le persone giuridiche, le società e le associazioni anche prive di personalità giuridica, nonostante rimanga inalterato il sistema di responsabilità amministrativa “da reato”. Pertanto, il nuovo istituto, salvando la persona fisica, salva anche la persona giuridica, con eccezione dei casi in cui sia ravvisabile una diversa volontà legislativa.”
Tale tesi pare invero poco convincente e viene criticata da altro autore (Arena Maurizio) .
La particolare tenuità del fatto integra una causa di non punibilità del reato e non una causa di estinzione del reato.
In altri termini: il reato sussiste, come fatto antigiuridico, ma non viene punito, in concreto, perché ritenuto di scarsa offensività. Le cause di estinzione del reato operano invece sulla punibilità in astratto, escludendo in radice la stessa configurazione del reato. Tra le cause di estinzione del reato, l’unica che esclude la responsabilità dell’ente è l’amnistia (art 8 d.lg. 231).
Affermare la sanzionabilità dell’ente in presenza di causa estintiva del reato ed invece escluderla in presenza di reato accertato ma non punibile, pare affermazione intrinsecamente irragionevole.
Conforto alla soluzione proposta viene dato anche dalla Relazione governativa al d.lg. 231 che si esprime a chiare lettere nel senso che le cause di esclusione della punibilità non possono influire sulla responsabilità dell’ente, appunto perché non escludono il reato:
Di particolare rilievo è la disposizione dell'art. 8. Essa chiarisce in modo inequivocabile come quello dell'ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato. Se infatti il meccanismo punitivo è stato congegnato in modo tale da rendere le vicende (processuali) delle persone fisiche e quelle dell'ente tra loro strettamente correlate (il simultaneus processus risponde non soltanto ad esigenze di economia, ma anche alla necessità di far fronte alla complessità dell'accertamento), ciò non toglie che in talune limitate ipotesi, l'inscindibilità tra le due possa venir meno. Tanto accade ovviamente quando le persone - fisica e giuridica - adottino diverse strategie processuali (sul punto, infra); prima ancora, con riguardo al momento che qui interessa, la nascita del procedimento, il comma 1 dell'art. 8 lascia sussistere la responsabilità dell'ente anche quando l'autore del reato non sia stato identificato ovvero non sia imputabile.
Omissis.
La responsabilità dell'ente resta ferma anche nel caso in cui il reato sussiste, ma subisce una vicenda estintiva. Si pensi all'utile decorso del termine di sospensione condizionale della pena ovvero alla morte del reo (prima della condanna).
La configurazione della responsabilità dell'ente come un illecito amministrativo (sebbene sui generis) non poteva non implicare una conclusione di questo tipo. L'unica eccezione meritevole è stata rinvenuta nell'amnistia (evidentemente, "propria"), in presenza della quale, dunque, non potrà procedersi neanche nei confronti dell'ente.
Omissis.
E' appena il caso di accennare al fatto che le cause di estinzione della pena (emblematici i casi grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause di non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente, non escludendo la sussistenza di un reato.
Pare corretto sostenere che la persona fisica possa ottenere la declaratoria menzionata, ma ciò non implica una conseguente esclusione della responsabilità della persona giuridica per quel reato.
Si ricorda che la “tenuità dell’illecito dell’ente” è codificata dall’art 12 d.lg. 231 e non esclude la punibilità dell’ente, ma consente solo la riduzione della risposta sanzionatoria.
Essa può essere sancita dal Giudice nelle seguenti ipotesi:
- l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi;
- l’ente non ne tratto vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;
- il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità.
In questi casi la sanzione pecuniaria è ridotta della metà e le sanzioni interdittive non si applicano (art 13 ult. comma).
In conclusione può quindi osservarsi, in conformità con la dottrina citata, che :
“La nuova causa di non punibilità riconosciuta all’indagato/imputato presuppone la ritenuta sussistenza di un fatto di reato.Per la persona giuridica non è prevista dal d.lg. 231 un’analoga possibilità di riconoscimento giudiziale dell’illecito dipendente da reato e di successiva non applicazione della sanzione.
Nel procedimento de societate delle due l’una: o viene escluso l’illecito dipendente da reato (con conseguente archiviazione del PM o sentenza di esclusione della responsabilità ex art 66) o, una volta riconosciuto l’illecito dell'ente, si possono applicare le importanti riduzioni della sanzione ex art 12.”
Caltanissetta, 13 aprile 2015
Dott. Luigi Leghissa
1 Cass. Sez. 4, Sentenza n. 24249 del 28/04/2006 Ud. (dep. 13/07/2006 ) Rv. 234416 ha infatti precisato : Nel procedimento penale davanti al giudice di pace, la causa di improcedibilità di cui all'art. 34 D.Lgs. n. 274 del 2000 (particolare tenuità del fatto) trova applicazione anche in riferimento ai reati di pericolo astratto o presunto, perché anche per essi il principio di necessaria offensività consente l'individuazione in concreto di un'offesa anche minima al bene protetto, e perché la particolare tenuità si appezza per mezzo di un giudizio sintetico sul fatto concreto, elaborato alla luce di tutti gli elementi normativamente indicati e che si individuano nell'esiguità del danno o del pericolo, nell'occasionalità della condotta, nel basso grado di colpevolezza e nell'eventuale pregiudizio sociale per l'imputato. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto la sussistenza della causa di improcedibilità per una condotta di guida in stato di ebbrezza, in ragione dell'esiguità del tasso alcolimetrico, valutato unitamente agli altri indici di tenuità del fatto).
2 Così, ad es. la Cass. ha escluso l’applicazione della causa di improcedibilità di cui all’art. 34 del d.lvo n. 274 dl 2000 ( Cass. Sez. 4, Sentenza n. 36990 del 04/07/2003 Ud. (dep. 26/09/2003 ) Rv. 226377 : Nel procedimento davanti al giudice di pace la particolare tenuità del fatto quale causa di improcedibilità (art. 34 d.lgs.vo n. 274 del 2000) va stabilita avuto riguardo alla esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché alla sussistenza degli ulteriori indici della occasionalità della condotta, del basso grado di colpevolezza e dell'eventuale pregiudizio sociale per l'imputato, i quali ultimi non sono alternativi ma concorrenti con il primo. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il danno o il pericolo non sia esiguo, la declaratoria di improcedibilità è esclusa anche nell'ipotesi in cui sussistano gli altri parametri di giudizio appena enunciati. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto incensurabile la motivazione del giudice di merito, il quale ha escluso la particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 34 d.lgs.vo n. 274 del 2000, nell'ipotesi di guida in stato di ebbrezza (art. 186 c.d.s) di un'autovettura su una pubblica strada, pur considerando l'incensuratezza dell'imputato e l'occasionalità dell'episodio, rimasto isolato).
Cass. Sez. 4, Sentenza n. 34179 del 07/07/2005 Ud. (dep. 23/09/2005 ) Rv. 232230 : Nel procedimento penale davanti al giudice di pace, l'applicabilità della causa di improcedibilità di cui all'art. 34 D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274 (particolare tenuità del fatto), va apprezzata avuto riguardo non solo alla esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, ma anche alla sussistenza degli ulteriori indici normativi della occasionalità della condotta, del basso grado di colpevolezza e dell'eventuale pregiudizio sociale dell'imputato, i quali ultimi non sono alternativi ma concorrenti con il primo. Ne consegue che nell'ipotesi in cui il danno o il pericolo non sia esiguo, al fine di escludere la dichiarazione di improcedibilità, devono essere valutati anche gli altri parametri di riferimento sopra enunciati. (In applicazione di tale principio la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza del giudice di pace, che, nella fattispecie di guida in stato di ebbrezza, caratterizzata da un tasso alcolimetrico non esiguo, ha escluso la particolare tenuità del fatto, senza considerare la giovane età dell'imputato e la sua necessità di inserimento nel mondo del lavoro nonchè il grado di colpevolezza del prevenuto).
3 L’iscrizione nel casellario giudiziale anche del decreto di archiviazione per accertata la sussistenza della particolare tenuità del fatto pare essere adempimento obbligatorio in forza di una interpretazione sistematica della norma malgrado qualche dubbio nascente dalla lettura del dato testuale della norma che sembrerebbe fare riferimento alla definitività del provvedimento. In realtà si può fondatamente sostenere che l’art. 3 lett. f) del DPR n. 313 del 2002 fa riferimento alla definitività del provvedimento solo con riferimento iscrizione dei provvedimenti che hanno prosciolto l’imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità o che hanno disposto una misura di sicurezza, categorie previste dalla norma prima della sua integrazione; la nuova categoria dei provvedimenti che hanno dichiarato la non punibilità ex art. 131 bis c.p. viene introdotta dal D.lvo n. 28 del 2015 integrando il comma predetto con l’aggiunta del riferimento al provvedimento preceduto dalla congiunzione “nonché” (ed inoltre, anche) che non pare essere collegata con la rima parte della norma e quindi con il riferimento alla definitività del provvedimento.
La necessità della iscrizione della archiviazione è imposta dalla esigenza di conoscibilità del provvedimento che si pone o può porsi come elemento ostativo alla applicabilità della causa di non punibilità, per previsione espressa dell’art. 131, bis comma 3 c.p.
4 Una volta ammessa la obbligatorietà della iscrizione nel casellario del decreto di archiviazione, ne consegue la necessità che nella relativa richiesta presentata dal P.M. il fatto reato ascritto sia ben determinato, descritto nei suoi elementi costitutivi essenziali; l’accusa deve cioè abbandonare quella sua fluidità tipica dell’archiviazione ordinaria, per trovare una maggiore cristallizzazione, tale da consentire una corretta iscrizione nel casellario, con l’indicazione del tempo del commesso reato e della condotta ascritta, in modo da poter consentire la valutazione della sussistenza dei requisiti previsti per l’applicazione della causa di non punibilità e valere come “ precedente” per caratterizzare la “abitualità” della condotta, come tale ostativa della futura applicazione della causa di punibilità stessa.
5 La giurisprudenza di legittimità ha precisato che quando l'ordinamento giuridico predisponga una tutela "anticipata" del bene protetto, la persona offesa non viene automaticamente a coincidere con qualsiasi soggetto avente un generico interesse a che la norma che si assume violata venga rispettata, essendo, invece, necessario un quid pluris che ne permetta l'individuazione soggettiva (Cass. Sez. 3, n. 1180 del 11/12/2013 (dep. 14/1/2014), P.O. in proc. Leali e altri, Rv. 257929)
6 256 bis, “Combustione illecita di rifiuti”, ai sensi del quale:
“1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica. // 2. Le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all'articolo 255, comma 1, e le condotte di reato di cui agli articoli 256 e 259 in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti. // 3. La pena e' aumentata di un terzo se il delitto di cui al comma 1 è commesso nell'ambito dell'attività di un'impresa o comunque di un'attività organizzata. Il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa; ai predetti titolari di impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’art. 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. // 4. La pena è aumentata di un terzo se il fatto di cui al comma 1 è commesso in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225. // 5. I mezzi utilizzati per il trasporto di rifiuti oggetto del reato di cui al comma 1 del presente articolo, inceneriti in aree o impianti non autorizzati, sono confiscati ai sensi dell'articolo 259, comma 2, salvo che il mezzo appartenga a persona estranea alle condotte di cui al citato comma 1 del presente articolo e non si configuri concorso di persona nella commissione del reato. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell'autore o del concorrente nel reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi. // 6. Si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e)»
7 decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 260 del 6 novembre 2008), coordinato con la legge di conversione 30 dicembre 2008, n. 210 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale a pag. 1), recante «Misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonche' misure urgenti di tutela ambientale».
Art. 6. Disciplina sanzionatoria
1. Nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225:
a) chiunque in modo incontrollato o presso siti non autorizzati abbandona, scarica, deposita sul suolo o nel sottosuolo o immette nelle acque superficiali o sotterranee ovvero incendia rifiuti pericolosi, speciali ovvero rifiuti ingombranti domestici e non, di volume pari ad almeno 0,5 metri cubi e con almeno due delle dimensioni di altezza, lunghezza o larghezza superiori a cinquanta centimetri, e' punito con la reclusione fino a tre anni e sei mesi; se l'abbandono, lo sversamento, il deposito o l'immissione nelle acque superficiali o sotterranee riguarda rifiuti diversi, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cento euro a seicento euro;
b) i titolari di imprese ed i responsabili di enti che abbandonano, scaricano o depositano sul suolo o nel sottosuolo in modo incontrollato e presso siti non autorizzati o incendiano i rifiuti, ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee, sono puniti con la reclusione da tre mesi a quattro anni se si tratta di rifiuti non pericolosi e con la reclusione da sei mesi a cinque anni se si tratta di rifiuti pericolosi;
c) se i fatti di cui alla lettera b) sono posti in essere con colpa, il responsabile e' punito con l'arresto da un mese ad otto mesi se si tratta di rifiuti non pericolosi e con l'arresto da sei mesi a un anno se si tratta di rifiuti pericolosi;
d) chiunque effettua una attivita' di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza dell'autorizzazione, iscrizione o comunicazione prescritte dalla normativa vigente e' punito:
1) con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni, nonche' con la multa da diecimila euro a trentamila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
2) con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da quindicimila euro a cinquantamila euro se si tratta di rifiuti pericolosi;
e) chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata e' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni e con la multa da ventimila euro a sessantamila euro. Si applica la pena della reclusione da due a sette anni e della multa da cinquantamila euro a centomila euro se la discarica e' destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi; alla sentenza di condanna o alla sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale consegue la confisca dell'area sulla quale e' realizzata la discarica abusiva se di proprieta' dell'autore del reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi;
f) le pene di cui alle lettere b), c), d) ed e) sono ridotte della meta' nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonche' nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni;
g) chiunque effettua attivita' di miscelazione di categorie diverse di rifiuti pericolosi di cui all'allegato G della parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi, e' punito con la pena di cui alla lettera d), numero 2), o, se il fatto e' commesso per colpa, con l'arresto da sei mesi a un anno;
h) chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254, e' punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da diecimila euro a quarantamila euro, ovvero con la pena dell'arresto da tre mesi a un anno se il fatto e' commesso per colpa. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantita' equivalenti.
8 L’art 181 del D.lvo n. 42 del 2004 recita:
1. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall'articolo 44, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 .
1bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:
a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'articolo 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi
1ter. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 167,qualora l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 .
1quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi.
L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni