TAR Piemonte Sez. I n. 1543 del 16 dicembre 2016
Ambiente in genere.Accertamento del nesso causale tra operatore e inquinamento

In materia di accertamento del nesso causale, tra operatore e inquinamento, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, il criterio oggi maggiormente applicato è quello del “più probabile che non”, secondo cui per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%), escludendo invece la possibilità di applicare il criterio penalistico che richiede una certezza al di là di ogni ragionevole dubbio

Pubblicato il 16/12/2016

N. 01543/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00831/2015 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 831 del 2015, proposto da:
Iao Industrie Riunite S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Carlo Merani C.F. MRNCLL63H23F205J, Roberto Serventi C.F. SRVRRT81D05B111V, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Carlo Merani in Torino, Galleria Enzo Tortora, 21;

contro

Provincia di Asti, Comune di Asti, non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Alcatel Lucent Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Vivani C.F. VVNCLD68M29L219G, Stefano Verzoni C.F. VRZSFN61C13G388H, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Claudio Vivani in Torino, corso Galileo Ferraris, 43;
Agenzia Regionale Protezione Ambientale Per il Piemonte - Arpa, Arvin Meritor Suspension Aystem S.r.l. non costituiti in giudizio;

per l'annullamento

- della determinazione del Dirigente n. 1262 datata 11.5.2015 della Provincia di Asti, Servizio Ambiente, Ufficio area Tecnica Ambientale (Acqua, Aria, Energia, Rifiuti Suolo), avente ad oggetto "Contaminazione da cromo esavalente e solventi clorurati presso lo stabilimento sito in Via Antica Cittadella 2 nel Comune di Asti, in corrispondenza dell'area "Vecchia Cromatura" - diffida ad effettuare la bonifica", con la quale la Provincia di Asti individua, in modo indiretto, la società ricorrente quale uno dei possibili responsabili dell'inquinamento;

- di ogni altro atto preparatorio, presupposto, consequenziale o comunque connesso al provvedimento impugnato, tra i quali, in modo particolare:

- la nota prot. n. 91312 datata 3.11.2014 dell'ARPA Piemonte (Dipartimento Provinciale di Asti) avente ad oggetto "Sito in Bonifica ARVIN-IAO area "Vecchia Cromatura" - Asti;

- la nota prot. 27260 datata 31.3.2015 della Provincia di Asti con cui questa ha richiesto al Comune di Asti un parere in merito all'emissione del provvedimento finale;

- la nota prot. 29418 del 1 aprile 2015 del Comune di Asti con la quale il Comune ha comunicato alla Provincia di Asti di condividere le conclusioni da questa assunte nella propria precedente nota ed ha espresso parere favorevole all'emanazione dell'impugnato provvedimento


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Alcatel Lucent Italia S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2016 la dott.ssa Silvana Bini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La società IAO è proprietaria dal 1986 di un terreno nel Comune di Asti, di 90.000 mq, destinato prevalentemente ad attività produttive.

Su una porzione dell’area, in via Cittadella n.2, insiste uno stabilimento, occupato dalla società Way Assauto, che fin dal 1907 svolgeva attività nell’ambito delle lavorazioni meccaniche.

IAO ha utilizzato lo stesso stabilimento in proprio per il periodo dal 1986 al 1993, per l’attività di produzione di ammortizzatori.

L’attività è stata poi ceduta tramite affitto di ramo d’azienda, alla società Arvin Meritor Suspension System, che ha svolto la medesima attività fino al 2005, anno in cui ha ceduto all’Astigiana Ammortizzatori, che a sua volta ha svolto l’attività fino al 2010, anno del fallimento.

Da tale momento l’area è stata sottoposta al controllo del curatore fallimentare.

L’area è suddivisa in due zone, all’interno delle quali si è svolta l’attività di “vecchia cromatura” fino al 1981 e “nuova cromatura” dal 1981 in poi.

Le aree interessate dai provvedimenti gravati sono solo quelle della vecchia cromatura.

Nel corso dell’istruttoria è poi stata accertata la presenza di due fattori inquinanti, cromo esavalente e solventi clorurati.

La ricorrente ha rappresentato i profili societari.

Titolari dello stabilimento in Via Cittadella 2 sono stati Alcatel dal 1908 al 1986, IAO dal 1986 al 1993 e quindi Arvin fino al dicembre 2010.

Lo stabilimento dal 1906 al 1981 era di proprietà di Fabbriche Riunite Way Assauto, che divenne poi IAO Industrie Riunite, (soggetto differente rispetto all’attuale ricorrente), la quale venne incorporata nel dicembre 2001 nella società SIETTE spa, che ne assumeva tutti i diritti e gli obblighi, tra cui quindi anche gli eventuali obblighi di risarcimento derivanti da attività svolte.

La SIETTE venne poi incorporata nel 1991 in Alcatel Face, divenuta poi Alcatel Lucent Italia, odierna controinteressata (da ora anche solo Alcatel).

La IAO è subentrata nella gestione dello stabilimento dal 1 dicembre 1986 al 1 luglio 1993, data alla quale ha conferito il complesso aziendale e la proprietà degli impianti del reparto cromatura alla Way Assauto, mantenendo solo la proprietà degli immobili, degli impianti e delle macchine.

La Way Assauto nel 1998 è divenuta Arvin Suspension System Italia srl e poi Arvin Meritor Suspension System Italia nel 2000, gestendo in modo diretto lo stabilimento fino al 2005, anno in cui l’ha ceduto alla Astigiana Ammortizzatori, fallita nel 2010.

L’area è stata interessata da un rilevante inquinamento, da cui è scaturito un complesso contenzioso.

Una prima causa civile è sorta dalla richiesta risarcitoria da parte dei privati per l’inquinamento delle acque, determinato anche da un incidente avvenuto nel 1999: nel relativo giudizio la sentenza del Tribunale di Asti n. 180/2012 ha riconosciuto la responsabilità della società Alcatel Lucent Italia nell’inquinamento dell’area e riscontrato un grave inquinamento nelle acque dei pozzi dei quartieri limitrofi.

È poi in corso un giudizio civile, relativo alle responsabilità delle società che si sono succedute nella gestione dello stabilimento.

Con provvedimento dirigenziale n. 1262 dell’11 maggio 2015 la Provincia di Asti ha diffidato la società Alcatel Lucent Italia a procedere alla bonifica dello stabilimento in via Cittadella 2 in corrispondenza dell’area “vecchia cromatura”.

Poiché la diffida richiama nelle premesse la sentenza del Tribunale di Asti e la consulenza tecnica d’ufficio depositata nel giudizio d’appello, in cui viene accertata la responsabilità anche in capo a IAO, la IAO ha proposto il presente ricorso, avverso la diffida e gli atti presupposti, lamentando i seguenti profili di illegittimità:

1) Violazione ed erronea applicazione degli artt. 242 e 244 D. Lgs. 153/2006; violazione dell’art 4 L.R. n. 42/2000; incompetenza: la Provincia ha omesso di effettuare la comunicazione di cui all’art 244 D. Lgs. 153/2006 alla Regione e al Comune, avviando una istruttoria, pur non essendo l’ente competente. Infatti in base all’art 4 della L.R. 42/2000 la Provincia è competente ad emanare i provvedimenti in materia ambientale solo nell’ipotesi in cui il territorio ricada tra più comuni, presupposto che non è presente, in quanto l’area interessata ricade interamente nel Comune di Asti;

2) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, arbitrarietà, carenza e illogicità della motivazione, eccesso di potere per carenza di istruttoria, difetto di motivazione, violazione dell’art 244 D. Lgs. 153/2006: il provvedimento richiama la sentenza del Tribunale di Asti e la consulenza tecnica d’ufficio depositata nel giudizio d’appello, non ancora concluso: la sentenza del Tribunale ritiene responsabile in via solidale la IAO per l’inquinamento storico della vecchia cromatura da cromo esavalente ai sensi dell’art 2051 per il solo fatto di aver operato in un breve periodo di tempo nell’area de qua.

La ricorrente contesta questo presupposto, perché la vecchia cromatura fu chiusa nel 1971 e gli impianti smantellati nel 1980, mentre la IAO acquistò l’area nel 1986.

Quanto invece all’inquinamento storico da solventi clorurati, la sentenza si limita a dichiarare una forma di responsabilità solidale in capo a IAO.

La determina è viziata per difetto di istruttoria perché richiama la sentenza del Tribunale di Asti, assumendone in modo acritico le conclusioni, citando perizie prodotte in giudizi differenti, senza svolgere una adeguata istruttoria autonoma, e richiamando la motivazione per relationem a provvedimenti giurisdizionali non ancora definitivi.

Si è costituita in giudizio la società Alcatel, che, oltre ad affermare la propria estraneità ai fatti di inquinamento, ha richiamato la sentenza di questo Tribunale n. 647/2016, con cui è stato respinto il ricorso proposto dalla stessa Alcatel avverso la determina oggetto del presente giudizio.

La sentenza è stata impugnata e pertanto la Alcatel ha chiesto la sospensione del processo, ai sensi dell’art 79 c.p.a. e 295 c.p.c.

In data 5 settembre 2016 la ricorrente ha prodotto la sentenza della Corte d’Appello n. 2214 del 16 dicembre 2015, con cui è stata riformata parzialmente la sentenza del Tribunale di Asti che l’amministrazione provinciale aveva posto a fondamento della chiamata in responsabilità della ricorrente.

In particolare, la sentenza di appello ha affermato che “in realtà né la relazione della CTU prof.ssa Zanetti in atti né gli altri documenti forniscono emergenze probatorie certe in ordine alla provenienza e datazione delle presunte infiltrazioni da cromo esavalente precedenti all’incidente del reparto ‘nuova cromatura’ verificatosi nel 1999, né in ordine alla sicura provenienza del cromo diffusosi per dilavazione, in area imprecisata, dal reparto ‘vecchia cromatura’ [...] né, soprattutto (e questo appare dirimente), in ordine ai quantitativi ed alle percentuali di cromo immesso nelle acque e pervenuto ai pozzi dei privati ubicati a valle dell’area del sito industriale...”.

All’udienza del 26 ottobre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1) Torna all’esame di questo Tribunale il provvedimento n. 1262 datato 11.5.2015, con cui il Dirigente della Provincia di Asti, Servizio Ambiente, Ufficio area Tecnica Ambientale (Acqua, Aria, Energia, Rifiuti Suolo), ha diffidato ad effettuare la bonifica dello stabilimento sito in Via Antica Cittadella 2 nel Comune di Asti.

Come emerge dalla ricostruzione in fatto, la diffida è rivolta alla società Alcatel, ma la società IAO ha ritenuto di impugnare il medesimo atto (già impugnato con ricorso n.849/2015 da Alcaltel), in quanto nelle premesse viene richiamata la sentenza del Tribunale di Asti nella parte in cui afferma che l’inquinamento riscontrato nelle acque dei pozzi del quartiere San Fedele di Asti “è riferibile causalmente alla condotta, commissiva e omissiva di Arvinmeritor, IAO e Alcatel”, diffidando però solo Alcatel alla esecuzione della bonifica.

Il ricorso proposto avverso la determina da parte della diretta destinataria dell’ordine, cioè la Alcatel, è stato respinto con sentenza n. 674 del 13 maggio 2016, avverso la quale pende impugnazione.

Non sussistono però i presupposti per disporre la sospensione del processo.

La non definitività della sentenza di primo grado, a causa della presentazione dell’appello non comporta la sospensione del giudizio de quo: la sospensione ex art. 295 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo in virtù dello specifico richiamo di cui all'art. 79, c. 1, c.p.a., può esser applicata, anche su istanza delle parti, ma solo quando il Giudice adito "...o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa...". Deve, dunque, trattarsi (cfr. Cass. VI, 6 novembre 2015 n. 22784) di un'effettiva e necessaria pregiudizialità, che va intesa in senso non meramente logico, ma tecnico giuridico (cfr. id., 2 marzo 2016 n. 4183). Essa si realizza quindi quando nel giudizio, che abbia per parti le medesime della causa pregiudicata, debba esser emanata una pronuncia di portata vincolante, o che sia destinata a spiegare efficacia di giudicato, nella causa pregiudicata. In tal caso solamente si può dire che la risoluzione del processo pregiudiziale è idonea a definire, in tutto o in parte, la res controversa nel processo del quale si chiede la sospensione.

Tra il ricorso in esame e quella avanti il Consiglio di Stato avverso la sentenza n. 674/2016 non vi è alcun rapporto di pregiudizialità, trattandosi solo di due giudizi avverso il medesimo provvedimento, proposti da soggetti differenti.

È inoltre diffuso nella giurisprudenza civile (cfr., per tutti, Cass., II, ord.za, 15 marzo 2006 n. 5767; id., VI, 25 novembre 2010 n. 23906;) un orientamento di sostanziale disfavore per la sospensione del giudizio ope iudicis al di fuori delle fattispecie previste, perché essa comporta l'arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato, così dilatando i tempi della decisione finale del giudizio e le aspettative ad una sua rapida definizione che le parti, le quali si oppongano a siffatta sospensione, legittimamente possono vantare (arg. ex Cons. St., V, 17 febbraio 2016 n. 640).

Né si può ipotizzare nel caso in esame un'eventuale sospensione facoltativa, giacché per essa l'art. 296 richiede l'istanza di tutte le parti in causa, qui non avveratasi, quale espressione del principio della ragionevole durata del processo, alla realizzazione del quale devono cooperare le parti e questo Giudice, ai sensi dell'art. 2, c. 2, c.p.a. (cfr. Cons. St., V, 11.7.2014 n. 3573).

2) La ricorrente articola due motivi avverso la determina dirigenziale, di cui il primo dello stesso tenore di quello proposto dalla Alcatel, sostenendo l’incompetenza della Provincia ad adottare la diffida, trattandosi di un inquinamento circoscritto ad un’area collocata nello stesso Comune.

È sufficiente richiamare quanto affermato nella decisione n. 674/2016, in cui si è evidenziato che “la Provincia ha agito in base a quanto prescritto dall’art. 244, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, a norma del quale spetta alle Province, “dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida[re] con ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere ai sensi del presente titolo”. La competenza ad adottare l'ordinanza finalizzata ad assicurare la tutela ambientale, nelle ipotesi di accertato superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), è stata quindi assegnata, dal legislatore nazionale, alla Provincia e non al Comune, in ragione verosimilmente dei molteplici interessi pubblici coinvolti in episodi di inquinamento i quali normalmente trascendono l'ambito territoriale comunale (cfr., in giurisprudenza, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. n. 959 del 2010). Non conferente, peraltro, è il richiamo alla normativa regionale piemontese dalla quale, invero, non discende la competenza dei Comuni per l’adozione delle ordinanze di diffida ma solo, a tutto voler concedere, quella relativa all’approvazione ed all’autorizzazione dei progetti di bonifica predisposti dai privati”.

Il motivo va quindi respinto.

3) Nel secondo motivo viene invece esaminata la posizione della ricorrente rispetto all’inquinamento. Sostiene la difesa della IAO la sua assoluta estraneità e quindi l’assenza di ogni forma di responsabilità, neppure sotto forma di responsabilità solidale, rispetto all’inquinamento storico da cromo esavalente e da solventi clorurati: quando IAO acquistò il sito nel 1986 la vecchia cromatura era già terminata e smantellata.

Lamenta la ricorrente il difetto di istruttoria, in quanto la conclusione cui è giunta la Provincia, di “estendere” la responsabilità anche alla IAO è assunta solo sulla base della sentenza del Tribunale di Asti, poi riformata, senza indicare la natura dell’inquinamento, la soglia di contaminazione e la riconducibilità dell’inquinamento all’attività di IAO.

Va evidenziato che la ricorrente non si sofferma tanto sul profilo della “successione societaria”, al fine di escludere la propria responsabilità, ma contesta in radice la propria responsabilità, censurando l’istruttoria condotta dalla Provincia, laddove è giunta a ritenere che anche la IAO possa avere responsabilità per l’inquinamento dell’area vecchia cromatura.

Anche questo motivo non può essere accolto.

Ritiene il Collegio che la conclusione cui è giunta la Provincia sia corretta: dalla ricostruzione dei fatti non può escludersi che anche per il breve periodo in cui ha svolto l’attività IAO possa aver contribuito all’inquinamento del sito.

In materia di accertamento del nesso causale, tra operatore e inquinamento, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, il criterio oggi maggiormente applicato è quello del “più probabile che non”, secondo cui per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo ad uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%) (cfr. Tar Lazio Roma, n. 998 del 2014; Cassazione sentenza n. 21619 del 2007), escludendo invece la possibilità di applicare il criterio penalistico che richiede una certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (T.A.R. Pescara, (Abruzzo), sez. I, 30/04/2014, n. 204).

In applicazione dei principi sopra riportati, non pare illegittima la conclusione cui è pervenuta la Provincia di indicare come responsabile anche la società IAO.

Non appare analiticamente ed efficacemente contestato dalla ricorrente che le sostanze inquinanti rinvenute nelle acque costituiscono scarti e prodotti industriali tipici dell'attività esercitata anche da IAO e che l’area della vecchia cromatura, nonostante le opere di bonifica approntate negli ultimi anni, risulti contaminata dalle medesime sostanze.

Ne deriva che la contaminazione della falda discende ragionevolmente dalla contaminazione interna del sito, nel quale anche IAO ha svolto attività per la quale sono utilizzate le suddette sostanze inquinanti.

Né può escludersi una responsabilità della IAO alla luce della sentenza della Corte d’Appello di Torino, laddove si afferma la mancanza di “emergenze probatorie certe” sulle infiltrazioni da cromo esavalente precedentemente all’episodio dell’incidente del 1999: va infatti evidenziata la differente indagine che il giudice civile ha compiuto per affermare la responsabilità dei danni subiti dai cittadini, rispetto a quella posta in essere dall’Amministrazione (e oggetto di valutazione da parte del giudice amministrativo), sull’accertamento del nesso causale.

Il giudizio civile aveva ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dai residenti, a causa dell’inquinamento diffuso nonché di un incidente avvenuto nel 1999, che ha provocato una immissione massiccia di sostanze inquinanti.

Il giudice civile ha escluso la responsabilità della IAO ritenendo che nel corso del giudizio non fosse stata raggiunta la prova che prima dell’incidente del 1999 vi fosse effettivamente una contaminazione delle acque dei pozzi privati che superasse la soglia di rischio per la salute umana e che tale contaminazione provenisse dalla vecchia vasca di cromatura dismessa negli anni 80.

Al fine di accertare una responsabilità risarcitoria è infatti necessario provare l’esistenza del nesso causale tra l’evento e il danno: in tal caso il Giudice d’appello ha ritenuto che non fosse provato che il danno lamentato dai cittadini fosse causalmente riconducibile all’attività di IOA.

Differente è l’indagine che deve compiere l’Amministrazione nella ricerca dei soggetti responsabili dell’inquinamento e quindi tenuti alle opere di bonifica: in base al principio del “più probabile che non” la P.A. può presumere l'esistenza di un nesso di causalità alla luce di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore (così, ad es., TAR Sicilia, Catania, sez. I, sent. n. 2117 del 2012), tutti elementi indiziari che ben ricorrono nella presente fattispecie e che sono rinvenibili nella citata perizia della prof.ssa Zanetti e dagli accertamenti effettuati nel corso del procedimento: la collocazione del laboratorio “Vecchia Cromatura” sull’area ove si è riscontrato il maggior inquinamento, la pacifica corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e le sostanze utilizzate dall’operatore nell’esercizio della propria attività industriale (si vd., al riguardo, con specifico riferimento ai solventi clorurati, quanto riporta la perizia Rabitti-Sommaruga a pag. 124: “... la metà degli anni ’50 è il periodo in cui si iniziano ad usare massicciamente i solventi clorurati e perché inizia la produzione di ammortizzatori. Siamo arrivati fino alla metà del 1966 perché il 3 giugno di quell’anno è la data dell’ultimo scarico di solventi ricavabile dal registro carico-scarico”).

Non può quindi escludersi una responsabilità della IAO per l’effettiva attività che ha svolto dal 1986 al 1993, di produzione di ammortizzatori, comprendente attività di cromatura, in cui si utilizzano le stesse sostanze rinvenute nelle acque, ed una omissiva, in quanto nella sua veste di proprietaria dell’intera area, non ha posto in essere quelle condotte per eliminare la situazione dannosa e permanente riscontrata nel sito.

Il motivo va quindi respinto.

4) La Alcatel contesta la ricostruzione dei fatti compiuta dalla ricorrente: in particolare al punto 1) del ricorso laddove viene affermato che Alcatel sarebbe stata proprietaria del sito dal 1908 al 1986 e che sarebbe subentrata nei diritti e negli obblighi di SIETTE.

Si tratta in ogni caso di una ricostruzione che non assume rilievo in questo giudizio, che ha come oggetto l’annullamento della determina nella sola parte in cui ritiene IAO responsabile dell’inquinamento, mentre è estranea da questa controversia il profilo della ripartizione di responsabilità tra le differenti società.

5) Il ricorso va quindi respinto in quanto infondato.

Le spese di giudizio possono essere compensate in considerazione della complessità della situazione di fatto.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2016 con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Silvana Bini, Consigliere, Estensore

Giovanni Pescatore, Primo Referendario

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Silvana Bini        Domenico Giordano