Corte di Giustizia
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE PAOLO MENGOZZI
presentate il 6 novembre 2008
Causa C‑473/07
Association nationale pour la protection des eaux et rivières – TOS
Association OABA
contro
Ministère de l’Écologie, du Développement et de l’Aménagement durables
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Direttiva 96/61/CE – Prevenzione e riduzione dell’inquinamento – Ambiente – Nozioni di “pollame” e di “posti” – Inclusione o meno di quaglie, pernici e piccioni nell’ambito di applicazione della direttiva – Numero massimo di volatili per posto – Regimi di dichiarazione e di autorizzazione preventive degli impianti per l’allevamento intensivo di pollame»
I –    Introduzione

1.        Con la presente domanda di pronuncia pregiudiziale il Conseil d’État (Consiglio di Stato francese) interroga la Corte circa l’interpretazione del punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (2).

2.        La domanda è stata presentata nell’ambito di alcuni ricorsi proposti dinanzi al giudice del rinvio dall’Association nationale pour la protection des eaux et rivières (in prosieguo: l’«ANPER–TOS») e dall’Association OABA e diretti all’annullamento del decreto 10 agosto 2005, n. 2005-989, che modifica la nomenclatura degli impianti classificati (3).

3.        In sostanza, si tratta, da un lato, di stabilire se le quaglie, le pernici e i piccioni debbano essere considerati pollame rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 96/61, la quale istituisce un regime di autorizzazione preventiva degli impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 40 000 posti. Dall’altro, e in caso di risposta affermativa, si tratta di stabilire se un sistema nazionale di «animali equivalenti», come quello previsto dal decreto n. 2005-989, che pondera gli animali in funzione del tenore di azoto effettivamente prodotto e che viene utilizzato per calcolare la soglia a partire dalla quale gli impianti sono assoggettati al regime di autorizzazione preventiva, sia conforme alla direttiva 96/61.

II – Il contesto normativo
A –    La normativa comunitaria
4.        L’art. 1 della direttiva 96/61 dispone quanto segue :

«La presente direttiva ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente dalle attività di cui all’allegato I. Essa prevede misure intese a evitare oppure, qualora non sia possibile, ridurre le emissioni delle suddette attività nell’aria, nell’acqua e nel terreno, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso, lasciando impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/337/CEE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati nonché altri requisiti comunitari».

5.        L’art. 2 della direttiva 96/61, intitolato «[D]efinizioni» stabilisce:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
(…)
3) «impianto», l’unità tecnica permanente in cui sono svolte una o più attività elencate nell’allegato I (…)

4) «impianto esistente»: un impianto in funzione, o, nell’ambito della legislazione vigente anteriormente alla data di messa in applicazione della presente direttiva, un impianto autorizzato o che abbia costituito oggetto, a parere dell’autorità competente, di una richiesta di autorizzazione completa, a condizione che esso entri in funzione al massimo entro un anno dalla data di messa in applicazione della presente direttiva;

(…)

9) «autorizzazione», la parte o la totalità di una o più decisioni scritte, che autorizzano l’esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti della presente direttiva

(…)»
6.        Ai sensi dell’art. 4 della direttiva 96/61:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che nessun nuovo impianto funzioni senza autorizzazione come previsto dalla presente direttiva (…)»

7.        L’art. 5 della direttiva 96/61 dispone quanto segue:

«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità competenti vigilino, mediante autorizzazioni rilasciate a norma degli articoli 6 e 8, ovvero, in modo opportuno, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle condizioni, che entro un massimo di otto anni successivi alla messa in applicazione della presente direttiva gli impianti esistenti funzionino secondo i requisiti di cui agli articoli 3, 7, 9, 10 e 13, all’articolo 14, primo e secondo trattino, nonché all’articolo 15, paragrafo 2, fatte salve altre disposizioni comunitarie specifiche.

2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per applicare le disposizioni degli articoli 1, 2, 11, 12, 14, terzo trattino, dell’articolo 15, paragrafi 1, 3 e 4, degli articoli 16, 17 e 18, paragrafo 2, agli impianti esistenti a decorrere dalla messa in applicazione della presente direttiva».

8.        L’art. 9 della medesima direttiva, intitolato «[C]ondizioni dell’autorizzazione», stabilisce quanto segue:

«1. Gli Stati membri si accertano che l’autorizzazione includa tutte le misure necessarie per soddisfare le relative condizioni di cui agli articoli 3 e 10 al fine di conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso attraverso una protezione degli elementi ambientali aria, acqua e terreno.

(…)

3. L’autorizzazione deve includere valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti, in particolare quelle elencate nell’allegato III, che possono essere emesse dall’impianto interessato in quantità significativa, in considerazione della loro natura, e delle loro potenzialità di trasferimento dell’inquinamento da un elemento ambientale all’altro (acqua, aria e terreno). (…) Se del caso, i valori limite di emissione possono essere integrati o sostituiti con altri parametri o misure tecniche equivalenti.

Per gli impianti di cui al punto 6.6 dell’allegato I, i valori limite di emissione fissati in conformità delle disposizioni del presente paragrafo tengono conto delle modalità pratiche adatte a tali categorie di impianti.

4. Fatto salvo l’articolo 10, i valori limite di emissione, i parametri e le misure tecniche equivalenti di cui al paragrafo 3 si basano sulle migliori tecniche disponibili, senza l’obbligo di utilizzare una tecnica o una tecnologia specifica, tenendo conto delle caratteristiche tecniche dell’impianto in questione, della sua ubicazione geografica e delle condizioni locali dell’ambiente. In tutti i casi, le condizioni di autorizzazione prevedono disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere e garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo insieme.

(…)».
9.        L’art. 16, n. 2, della direttiva 96/61 dispone quanto segue :

«La Commissione organizza lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e i relativi sviluppi. La Commissione pubblica ogni tre anni i risultati degli scambi di informazioni».

10.      Ai sensi dell’art. 18 della direttiva 96/61:

«1. Su proposta della Commissione il Consiglio stabilisce, secondo le procedure previste dal trattato [CE], valori limite di emissione per:

–        le categorie di impianti di cui all’allegato I, (…) e
–        le sostanze inquinanti di cui all’allegato III

per le quali sia stata riscontrata la necessità di un’azione comunitaria in base, segnatamente, allo scambio di informazioni di cui all’articolo 16.

2. In mancanza di valori limite comunitari di emissione definiti in applicazione della presente direttiva, i pertinenti valori limite di emissione minimi quali fissati nelle direttive di cui all’allegato II e alle altre regolamentazioni comunitarie, si applicano ai sensi della presente direttiva agli impianti di cui all’allegato I

(…)».

11.      Il punto 6.6 dell’allegato I della direttiva 96/61, intitolato «[C]ategorie di attività industriali di cui all’art. 1» prevede:

«Impianti per l’allevamento intensivo di pollame (…) con più di:
a) 40 000 posti pollame;
(…)».

12.      L’allegato III della direttiva 96/61, intitolato «[E]lenco indicativo delle principali sostanze inquinanti di cui è obbligatorio tener conto se pertinenti per stabilire i valori limiti di emissione» dispone quanto segue:

«Aria
(…)
2.      Ossidi di azoto e altri composti dell’azoto
(…)
5.      Metalli e relativi composti
(…)
Acqua
(…)
2.      Composti organofosforici
(…)
5.      Metalli e loro composti
(…)
11.      Sostanze che contribuiscono all’eutrofizzazione (nitrati e fosfati, in particolare)
(…)».
B –    Normativa nazionale

13.      Ai sensi dell’art. 1 del decreto n. 2005-989, la tabella costitutiva della nomenclatura degli impianti classificati (…) diviene l’allegato I al decreto stesso.

14.      La rubrica 2111 dell’allegato I al decreto n. 2005-989 dispone quanto segue:
«Pollame e selvaggina da penna (allevamento, vendita, ecc.), escluse attività specifiche previste in altre rubriche:
1.      Oltre 30 000 animali equivalenti: autorizzazione
2.      da 5 000 a 30 000 animali equivalenti: dichiarazione

Nota. – Il calcolo del pollame e della selvaggina viene effettuato utilizzando i seguenti valori espressi in “animali equivalenti”:

quaglie = 0,125;
piccioni e pernici = 0,25
galletti = 0,75
polli leggeri = 0,85

galline, polli, polli “marchio”, polli biologici, pollastre, galline ovaiole, galline da riproduzione, fagiani, faraone e germani reali = 1

polli pesanti = 1,15
anatre da arrosto, anatre da ingrasso e anatre da riproduzione = 2
tacchini leggeri = 2,20
tacchini “medium”, tacchini da riproduzione e oche = 3
tacchini pesanti = 3,50
palmipedi grassi da ingozzo = 7».
III – Controversia nella causa principale e questione pregiudiziale

15.      Come emerge dalla decisione di rinvio, l’ANPER–TOS sostiene che le modalità di calcolo stabilite dal decreto n. 2005-989 sono in contrasto con la direttiva 96/61, mentre il ministre de l’Écologie, du Développement et de l’Aménagement (Ministro francese dell’Ecologia e dello Sviluppo sostenibile) afferma, da un lato, che nella direttiva le quaglie, le pernici e i piccioni non sono menzionati tra il pollame cui essa fa riferimento e, dall’altro lato, che i valori in animali equivalenti sono stati calcolati per meglio tenere conto della quantità di azoto effettivamente prodotta dalle diverse specie.

16.      Il giudice del rinvio osserva che, ai sensi della direttiva 96/61, gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 40 000 posti devono essere assoggettati a un regime di autorizzazione. Inoltre, la direttiva stessa, al contrario di altri atti comunitari applicabili al pollame che, a seconda dei casi, menzionano o escludono dal loro rispettivo ambito di applicazione le quaglie, le pernici e i piccioni, non definisce la nozione di pollame.

17.      Riscontrando quindi una concreta difficoltà nello stabilire se si debba ritenere che gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 40 000 posti includono nel loro ambito di applicazione le quaglie, le pernici e i piccioni, il Conseil d’État ha sospeso il giudizio, chiedendo alla Corte di stabilire «se il punto 6.6, lett. a), dell’allegato I della direttiva 96/61 (…) debba essere interpretato: 1) nel senso che esso include nel suo ambito di applicazione le quaglie, le pernici e i piccioni; 2) in caso di soluzione affermativa, nel senso che esso autorizza un sistema che porta a calcolare le soglie di autorizzazione in base a un meccanismo di animali equivalenti, che pondera il numero di animali per posto pollame in funzione delle specie, al fine di tenere conto del tenore di azoto effettivamente prodotto dalle diverse specie».

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

18.      Ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, l’ANPER–TOS, l’Association France Nature Environnement, interveniente nella causa principale, i governi francese e greco nonché la Commissione delle Comunità europee hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Inoltre, le difese delle stesse parti sono state ascoltate nel corso dell’udienza svoltasi il 18 settembre 2008, ad esclusione della ricorrente e dell’interveniente nella causa principale, le quali non si sono fatte rappresentare in udienza.

V –    Analisi

19.      Come osservato dal giudice del rinvio, dalle disposizioni della direttiva 96/61 e dal suo allegato I, punto 6.6, lett. a), emerge che gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 40 000 posti sono soggetti ad un regime di autorizzazione preventiva.

20.      Per contro, come emerge sempre dalla decisione di rinvio, il decreto n. 2005-989 prevede, alla rubrica 2111 della nomenclatura degli impianti classificati, una soglia di autorizzazione di 30 000 animali equivalenti per gli allevamenti di pollame e di selvaggina da penna, stabilendo in particolare un coefficiente di conversione di 0,125 per le quaglie e di 0,25 per le pernici e i piccioni. Questa modalità di calcolo, dovuta all’intento di tenere in maggior considerazione il quantitativo di azoto effettivamente rilasciato nell’ambiente dalle diverse specie, permette ad un allevamento di oltre 40 000 quaglie, pernici o piccioni di funzionare sulla base di un sistema di dichiarazione preventiva. Più precisamente, gli impianti di allevamento di quaglie saranno soggetti ad autorizzazione preventiva solo se superano un limite di 240 000 animali, mentre gli allevamenti di pernici o piccioni solo se superano il limite di 120 000 volatili (4).

21.      L’ambito di applicazione del punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 è definito sulla base di tre elementi cumulativi, ossia che l’allevamento dev’essere di tipo intensivo, che deve trattarsi di allevamento di pollame e che gli impianti considerati debbono comprendere oltre 40 000 posti.

22.      È incontestato che la direttiva non definisce la nozione di «allevamento intensivo» né i termini «pollame» e di «posti».

23.      Per quel che riguarda l’allevamento intensivo, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte il governo francese sostiene che, a differenza delle specie domestiche, come polli e anatre, le quaglie, le pernici e i piccioni, a causa della loro origine selvaggia, non possono essere oggetto di allevamento intensivo né, di conseguenza, possono rientrare nell’ambito di applicazione del punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61.

24.      A questo proposito, occorre sottolineare che il problema sollevato dal giudice del rinvio, che riguarda esclusivamente l’interpretazione da attribuire ai termini «pollame» e «emplacement» [«posti» nella versione italiana della direttiva] contenuti nella direttiva 96/61, si basa sul presupposto che le quaglie, le pernici e i piccioni, indicati nel decreto n. 2005-989, possano essere oggetto di allevamento intensivo. Nella motivazione della decisione di rinvio non si specifica affatto che tale circostanza abbia costituito oggetto di discussione tra le parti nella causa principale.

25.      Orbene, secondo una costante giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’art. 234 CE, fondato su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, ogni valutazione dei fatti di causa rientra nella competenza del giudice nazionale, mentre spetta alla Corte, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici comunitari e i giudici nazionali, considerare il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dalla decisione di rinvio (5).

26.      Suggerisco pertanto alla Corte di non esaminare il problema sollevato dal governo francese, secondo cui le quaglie, le pernici e i piccioni non sarebbero idonei ad essere allevati in modo intensivo.

27.      Anche nel caso in cui la Corte dovesse ritenere necessario risolvere tale questione, l’obiezione del governo francese mi sembra comunque infondata.

28.      Difatti, a meno di una dimostrazione debitamente documentata che non esiste nel caso di specie, non si può escludere a priori che possano già sussistere, o che possano esistere in futuro, impianti che praticano l’allevamento intensivo di quaglie, di piccioni e di pernici. Il semplice fatto, menzionato dal governo francese, che gli allevamenti francesi di quaglie e di piccioni comprendono, in media, 3 000 animali non esclude che alcuni allevamenti di queste stesse specie animali possano superare la soglia di 40 000 posti fissata dalla direttiva 96/61.

29.      Vero è che un allevamento intensivo non si misura unicamente sulla base del numero di animali presenti nell’impianto. Esso viene determinato anche sulla base di altri elementi, come la densità di animali per metro quadrato, l’assenza di percorsi all’aria aperta, il ricorso all’allevamento senza terra (in batteria) o l’uso di modalità industriali di produzione, come la meccanizzazione delle operazioni di allevamento, così come sostenuto dall’associazione ricorrente e dall’associazione interveniente nella causa principale, nonché dal governo francese. Al riguardo, faccio osservare che il decreto ministeriale del 18 settembre 1985 (6), che è stato prodotto dinanzi alla Corte dall’ANPER–TOS e che si riferisce all’efficienza economica degli impianti agricoli, attribuendo a questi ultimi una serie di vantaggi fiscali e sociali, precisa che la superficie minima degli impianti per l’allevamento senza terra è di 200 000 quaglie vendute vive e di 120 000 quaglie vendute morte. Vero è, come sostenuto in udienza dal governo francese, che tale decreto ministeriale non precisa il carattere intensivo o meno degli allevamenti esistenti. Tuttavia, a mio giudizio tale documento costituisce un indizio serio del fatto che alcuni allevamenti intensivi dei suddetti volatili, come quelli costituiti dagli allevamenti senza terra, non sono a priori esclusi in Francia e possono comunque superare la soglia di 40 000 posti prescritta dalla direttiva 96/61. Quello che vale per le quaglie può altresì valere per i piccioni, espressamente previsti dal suddetto decreto, o per le pernici.

30.      Ciò detto, occorre ora prendere in esame la nozione, non definita, di «pollame», ai sensi della direttiva 96/61.

31.      A questo proposito, occorre accertare se si debba dare un’interpretazione ampia di tale nozione, come sostenuto dalla ricorrente e dall’interveniente nella causa principale, nonché dalla Commissione o se, al contrario, se ne debba suggerire un’interpretazione restrittiva, come affermato dal governo francese.

32.      La soluzione a tale questione, a mio avviso, va data anzitutto alla luce del sistema generale e della finalità della direttiva 96/61, come risulta dalla giurisprudenza (7).

33.      Quanto al primo di tali due punti, va sottolineato che l’uso, al punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61, del termine generico «pollame», che secondo l’accezione comune indica l’insieme dei volatili allevati per le uova o per la carne (8), contrasta con la precisione del dettato delle lett. b) e c) del medesimo punto, che riguarda i «suini da produzione (di oltre 30 kg)» [lett. b)] e le «scrofe» [lett. c)]. Orbene, come indicato in udienza dalla Commissione, il fatto che al menzionato punto 6.6, lett. a), venga utilizzato un termine così generico come quello di «pollame», ha lo scopo di evitare le carenze dovute ad un elenco delle specie volatili che potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 96/61: gli elenchi di questo tipo, infatti, sono spesso, se non sempre, lacunosi.

34.      Inoltre, a mio parere, anche l’esame della finalità della direttiva 96/61 porta ad accogliere un’interpretazione ampia della nozione di pollame. Occorre ricordare, in proposito, che la suddetta direttiva ha lo scopo di stabilire un quadro generale di principi per la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento nell’aria, nell’acqua o nel terreno, al fine di evitare che approcci distinti possano incoraggiare il trasferimento dell’inquinamento tra i vari settori ambientali (9). Tale approccio integrato si concretizza in un efficace coordinamento della procedura e delle condizioni di autorizzazione degli impianti industriali aventi un grande potenziale di inquinamento, che consenta di raggiungere un elevato livello di tutela dell’ambiente nel suo complesso. In tutti i casi, le suddette condizioni debbono prevedere disposizioni per ridurre al minimo l’inquinamento a grande distanza o attraverso le frontiere e garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo insieme (10).

35.      È dunque evidente che la direttiva 96/61 ha uno scopo ampio.

36.      Orbene, a mio avviso tale scopo sarebbe pregiudicato se la nozione di pollame fosse intesa in maniera restrittiva, in modo da sottrarre alla procedura e alle condizioni di autorizzazione previste dalla direttiva 96/61 alcune categorie di impianti industriali, come quelli che praticano l’allevamento intensivo di quaglie, pernici o piccioni, malgrado il fatto che detti impianti abbiano oltrepassato la soglia prevista dal punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 e siano quindi idonei a produrre un inquinamento notevole e non controllato dell’aria, dell’acqua e/o del terreno.

37.      Alla luce di tali osservazioni, ritengo non sia necessario pronunciarsi sulla discussione, avviata dal giudice del rinvio e dibattuta altresì tra le parti che hanno presentato osservazioni alla Corte, relativa alla rilevanza della nozione di pollame contenuta in altri strumenti comunitari adottati nel settore della polizia sanitaria (11) e dell’ambiente (12).

38.      Nel caso in cui invece la Corte, al pari di quanto sostenuto dal governo francese e dalla Commissione, dovesse ritenere che la direttiva 85/337, possa essere rilevante per l’interpretazione della nozione di «pollame» contenuta nella direttiva 96/61, in particolare a causa dell’obiettivo comune condiviso dai due atti (13), ritengo che non sia possibile dedurne, come affermato dal governo francese, che l’ambito di applicazione della direttiva 96/61 dovrebbe essere esteso unicamente a polli e galline. È vero che ai sensi del punto 17, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 85/337, i progetti riguardanti gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 85 000 posti per polli da ingrasso o più di 60 000 posti per galline sono soggetti alla valutazione preventiva prevista dall’art. 4, n. 1, della direttiva stessa. Tuttavia, l’ambito di applicazione della direttiva 85/337 non è limitato ai suddetti impianti, ma comprende altresì, come stabilito dal punto 1, lett. e), dell’allegato II alla direttiva stessa, i progetti che riguardano «impianti di allevamento intensivo di animali (progetti non contemplati nell’allegato I)». Sebbene i progetti elencati in tale ultimo allegato non siano sottoposti ad una valutazione preventiva sistematica, secondo quanto stabilito dall’art. 4, n. 2, della direttiva 85/337, tutti gli impianti di allevamento intensivo, compresi quindi quelli di allevamento di pollame non elencati al punto 17, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 85/337, rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva stessa. Non si può pertanto sostenere, con riguardo alle disposizioni della direttiva 85/337, che gli impianti di allevamento intensivo di quaglie, pernici o piccioni sfuggono all’ambito di applicazione della direttiva 96/61.

39.      Inoltre, contrariamente all’argomento dedotto dal governo francese, non ritengo che si possano trarre indicazioni dal documento di riferimento, pubblicato nel luglio 2003 dalla Commissione, sulle migliori tecniche disponibili per l’allevamento intensivo di pollame e suini (in prosieguo: il «documento BREF 2003») (14) circa l’interpretazione che è opportuno dare al termine «pollame» ai sensi della direttiva 96/61.

40.      Vero è che, a mio parere, siffatto argomento non si può respingere semplicemente per il fatto che i documenti BREF sono privi di valore giuridico vincolante, come suggerito in via principale dalla Commissione.

41.      Occorre infatti rilevare che, malgrado la mancanza di simile valore vincolante, la Corte, nell’ambito dell’ordinanza Saetti e Frediani (15), pronunciata ai sensi dell’art. 104, n. 3, del suo regolamento di procedura, ha già avuto occasione di far riferimento, tra l’altro, alle indicazioni contenute in un documento BREF, adottato in base alla direttiva 96/61, riguardo alle condizioni di produzione e di utilizzo del coke da petrolio in una raffineria, per verificare se tali condizioni consentissero di escludere la definizione di «rifiuto» ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (16).

42.      Tuttavia, le indicazioni del documento BREF menzionate dalla Corte nell’ordinanza Saetti e Frediani, citata, riguardavano le modalità di utilizzo più frequenti del coke da petrolio e non vertevano, al contrario di quanto accade nella causa in oggetto, su un problema di interpretazione di una nozione di diritto comunitario e di delimitazione dell’ambito di applicazione della direttiva 96/61. Inoltre, tali indicazioni sono state riprese dalla Corte nel quadro dell’esigenza prescritta dalla giurisprudenza secondo cui l’esistenza effettiva di un rifiuto va accertata alla luce dell’insieme delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva 75/442 e in modo da non pregiudicarne l’efficacia (17). Orbene, dalla detta ordinanza emerge che le indicazioni contenute nel documento BREF costituiscono solo uno degli elementi informativi che possono consentire al giudice del rinvio di verificare le condizioni per la produzione e l’utilizzo del coke da petrolio in una raffineria.

43.      Tenuto conto pertanto del contesto in cui la Corte ha fatto riferimento ad un documento BREF, nonché della natura delle informazioni che questa ha estrapolato dal suddetto documento, mi sembra disagevole tentare di estendere l’approccio seguito nella citata ordinanza Saetti e Frediani alla situazione della causa in esame.

44.      Per quanto riguarda il documento BREF 2003, va messo in rilievo che, sebbene quest’ultimo elenchi solo le galline ovaiole, le galline da riproduzione, i tacchini, le anatre e le faraone e prenda in esame dettagliatamente soltanto le prime due categorie di pollame, appare evidente che detto elenco è valido soltanto «in questo documento» (18), senza pregiudizio, quindi, per l’interpretazione che dev’essere attribuita alla nozione di «pollame» ai sensi della direttiva 96/61. Del resto, come la Commissione ha ricordato nelle sue osservazioni scritte, il documento intitolato «IPPC BREF Outline and Guide», da essa pubblicato nel mese di dicembre 2005 (19), precisa espressamente che un documento BREF non è interpretativo della direttiva 96/61. A questo riguardo, aggiungo che attribuire una portata interpretativa di tale direttiva al documento BREF 2003 significherebbe, per esempio, escludere le oche dall’ambito di applicazione della nozione di «pollame», ai sensi della suddetta direttiva, mentre tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte dinanzi alla Corte concordano, giustamente, nel considerare che questi animali appartengono a tale categoria generica. In altri termini, il fatto che soltanto alcune categorie di pollame siano menzionate e/o esaminate nel documento BREF 2003 non significa che la portata del termine «pollame» ai sensi della direttiva 96/61 sia limitata alle suddette categorie. Inoltre, accogliere un’interpretazione restrittiva della nozione di pollame, limitata alle specie elencate nel documento BREF 2003 metterebbe a repentaglio la finalità della direttiva 96/61, come ho già avuto modo di mettere in rilievo nelle presenti conclusioni.

45.      Infine, ritengo che occorra respingere anche la tesi del governo francese secondo la quale la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle emissioni degli impianti industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), presentata dalla Commissione il 21 dicembre 2007 (20), e diretta a rifondere in un unico testo giuridico diversi strumenti comunitari tra cui la direttiva 96/61, rafforzerebbe l’idea di una concezione restrittiva della nozione di «pollame» ai sensi di quest’ultima direttiva. Infatti, basta osservare che, indipendentemente dal contenuto della suddetta proposta, questa indubbiamente non rappresenta lo stato attuale del diritto comunitario (21).

46.      Suggerisco pertanto di risolvere la prima parte della questione pregiudiziale dichiarando che il punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 dev’essere interpretato nel senso che esso include le quaglie, le pernici e i piccioni nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

47.      Quanto alla seconda parte della questione pregiudiziale, va ricordato che il giudice del rinvio intende sapere se il punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 osti a che uno Stato membro istituisca un regime che porta a fissare le soglie di autorizzazione preventiva degli allevamenti intensivi di pollame in base alla nozione di animali equivalenti, sulla base di un sistema che pondera il numero di animali per posto in funzione delle specie, al fine di tenere conto del tenore di azoto effettivamente prodotto dalle diverse specie. Nel caso concreto, è pacifico che tale meccanismo fa sì che gli impianti di allevamento intensivo di quaglie sono soggetti ad una procedura di autorizzazione preventiva solo se superano i 240 000 capi, mentre gli impianti di allevamento intensivo di pernici o di piccioni sono soggetti ad autorizzazione preventiva solo se superano la soglia di 120 000 volatili.

48.      Come indicato in precedenza, dal punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 emerge che gli impianti per l’allevamento intensivo di pollame vanno assoggettati ad una procedura di autorizzazione preventiva quando contano «più di 40 000 posti», indipendentemente dalle specie di pollame interessate.

49.      Vero è che il termine «emplacement» non viene definito nella direttiva 96/61, ma tale termine a mio parere non diverge dal senso comune, nel senso che sta ad indicare un posto o un luogo occupato da qualcuno o da qualcosa (22). Questo approccio mi sembra confermato dal confronto tra diverse versioni linguistiche dell’art. 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 che, per la maggior parte, usano il termine «posti» (23). Dato che, in linea generale, un posto può essere occupato da un solo essere, nel nostro caso da un solo animale, sembra logico stimare che degli impianti di allevamento intensivo di pollame con più di «40 000 posti» stanno ad indicare, in realtà, impianti la cui capacità di allevamento o di produzione supera i 40 000 volatili, a prescindere dalla specie di pollame di cui si tratta. In effetti, la lettera dell’art. 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 non distingue affatto tra i volatili che rientrano nell’ambito di applicazione della nozione di pollame ai sensi di detta direttiva.

50.      Questa interpretazione mi sembra derivare altresì dall’economia della direttiva 96/61. Infatti, da un lato, la soglia di 40 000 posti va applicata in particolare ai nuovi impianti destinati all’allevamento intensivo di pollame e che dispongono di tale numero di posti: pertanto, essa non può dipendere dall’occupazione effettiva degli impianti stessi, che del resto può oscillare a seconda delle stagioni, ma si avvicina piuttosto ad una capacità di allevamento o di produzione. Dall’altro, le altre disposizioni del punto 6 dell’allegato I alla direttiva 96/61 si riferiscono espressamente a capacità di produzione o a capacità di trattamento o di consumo.

51.      Questo non vuol, dire, naturalmente, che la dimensione di ciascun posto sia identica a seconda che l’allevamento riguardi oche, anatre o quaglie. Tuttavia, una volta definite le dimensioni di un posto a seconda di ciascuna specie – e detto compito può benissimo rientrare nella competenza di ogni Stato membro – nel momento in cui un impianto dispone di più di 40 000 posti pollame, la sua attività deve necessariamente essere assoggettata alla procedura di autorizzazione preventiva prevista dalla direttiva 96/61.

52.      Ritengo pertanto che un sistema come quello previsto dal decreto n. 2005-989, che porta ad assoggettare alla procedura di autorizzazione preventiva prevista dalla direttiva 96/61 solo gli impianti di allevamento intensivo di quaglie, piccioni o di pernici che superano rispettivamente la soglia di 240 000 quaglie o di 120 000 pernici o piccioni, non è conforme al punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61.

53.      Questa valutazione non mi sembra invalidata dall’argomento, di carattere generale, fatto valere dal giudice del rinvio e dal governo francese, secondo cui la ponderazione delle specie di pollame, prevista dal decreto n. 2005-989, sarebbe motivata dalla volontà di tenere in considerazione il livello di azoto effettivamente prodotto dalle diverse specie e sarebbe quindi conforme all’obiettivo perseguito dalla direttiva 96/61.

54.      A questo riguardo, va messo in rilievo che il governo francese non ha contestato le norme di riferimento prodotte dinanzi alla Corte dall’ANPER–TOS ed estrapolate dagli allegati alla circolare del ministère de l’Écologie, du Développement et de l’Aménagement durables, del 7 settembre 2007, relativo agli impianti classificati (allevamento, pollame) – utilizzo di nuovi riferimenti per le emissioni (24). Orbene, dalle suddette informazioni deriva che il rapporto tra le emissioni di azoto di una quaglia, di un piccione o di una pernice e quelle di un pollo standard non corrisponde con evidenza alla ponderazione tra queste stesse specie di pollame prevista dal sistema degli animali equivalenti del decreto 2005‑989. Difatti, tale decreto prevede che un pollo standard equivale ad otto quaglie, quattro piccioni o quattro pernici, mentre dalle norme di riferimento allegate alla circolare emerge che gli escrementi di una quaglia contengono un tenore di azoto pari alla metà di quello di un pollo standard, tenore che è leggermente superiore per le pernici, mentre quello emesso da un piccione è cinque volte superiore (25). Sulla base di questi dati ufficiali, e attenendosi esclusivamente al tenore di azoto, come fatto valere dal giudice del rinvio e dal governo francese, bisogna concludere, come sostenuto dall’associazione ricorrente e da quella intervenuta nella causa principale, che il decreto 2005-989 porta ad escludere dalla procedura di autorizzazione preventiva prevista dalla direttiva 96/61 gli impianti francesi di allevamento intensivo che contano da 40 001 a 240 000 quaglie, o da 40 001 a 120 000 piccioni o pernici, malgrado il fatto che detti impianti possano emettere un quantitativo di azoto superiore a quello prodotto dagli impianti di allevamento intensivo che constano di 40 000 polli standard (26).

55.      Il governo francese, pertanto, non è riuscito a spiegare in che modo le soglie fissate dal decreto n. 2005-989, che si riferiscono agli impianti di allevamento intensivo di quaglie, di pernici o di piccioni rispondevano all’obiettivo, perseguito dalla direttiva 96/61, di garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

56.      Aggiungo, per essere del tutto chiaro, che contrariamente alla conclusione inizialmente suggerita dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte e poi sfumato prudentemente in occasione dell’udienza, tale valutazione non significa che un sistema di animali equivalenti, come quello previsto dal decreto n. 2005‑989, sia di per sé contrario alla direttiva 96/61. Infatti, tale direttiva non osta affatto a che uno Stato membro istituisca un sistema di questo tipo allorché, come avviene per gran parte del pollame interessato dal decreto n. 2005-989, esso conduca a fissare soglie per l’autorizzazione preventiva degli impianti di allevamento intensivo che siano inferiori o uguali alla soglia prevista dal punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61.

57.      Di conseguenza, ritengo che alla seconda parte della questione pregiudiziale si debba rispondere nel senso che il punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 osta ad una normativa nazionale che porta a calcolare le soglie di autorizzazione in base a un meccanismo di animali equivalenti, che pondera il numero di animali per posto in funzione delle specie, al fine di tenere conto del tenore di azoto effettivamente prodotto dalle diverse specie, allorché detto sistema equivale ad escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 96/61, e in particolare dalla procedura di autorizzazione preventiva da quest’ultima istituita, gli impianti di allevamento intensivo di pollame che superano i 40 000 posti, tanto più qualora, in realtà, il sistema stesso sembri rispondere all’obiettivo fissato dalla normativa nazionale, e conforme a quello perseguito dalla direttiva 96/61, di garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso.

VI – Conclusione

58.      Alla luce delle considerazioni testé esposte, suggerisco alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale posta dal Conseil d’État nel modo seguente:

«Il punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento, che riguarda gli impianti di allevamento intensivo di pollame con più di 40 000 posti, dev’essere interpretato nel senso che esso include nel suo ambito di applicazione le quaglie, le pernici e i piccioni ed osta ad una normativa nazionale che porta a calcolare le soglie di autorizzazione in base ad un meccanismo di animali equivalenti, che pondera il numero di animali per posto in funzione delle specie, al fine di tenere conto del tenore di azoto effettivamente prodotto dalle diverse specie, allorché detto sistema equivale ad escludere dall’ambito di applicazione della direttiva 96/61, e in particolare dalla procedura di autorizzazione preventiva da quest’ultima istituita, impianti di allevamento intensivo di pollame che superano i 40 000 posti, tanto più qualora, in realtà, il sistema stesso sembri rispondere all’obiettivo fissato dalla normativa nazionale, e conforme a quello perseguito dalla direttiva 96/61, di garantire un livello elevato di protezione dell’ambiente nel suo complesso».


1 – Lingua originale: il francese.

2 – GU L 257, pag. 26.

3 – JORF del 13 agosto 2005, pag. 13195.

4 – Infatti, la direttiva 96/61 stabilisce una soglia fissa di 40 000 posti a partire dalla quale un impianto di allevamento intensivo dev’essere soggetto ad autorizzazione preventiva; invece, in base al regime istituito dal decreto n. 2005‑989, la soglia di autorizzazione di 30 000 animali equivalenti varia a seconda delle specie interessate.


5 – V., in particolare, sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑341/05, Laval un Partneri (Racc. pag. I‑11767, punti 45 e 47).

6 – Arrêté du ministère de l’Agriculture fixant les coefficients d’équivalence pour les productions hors sol (Decreto del Ministero dell’Agricoltura che stabilisce i coefficienti di equivalenza per le produzioni senza terra; JORF dell’8 ottobre 1985, pag. 11683).


7 – V., a tal proposito, segnatamente, sentenza 24 ottobre 1996, causa C‑72/95, Kraaijeveld e a. (Racc. pag. I‑5403, punto 38), riguardo all’interpretazione di un’espressione non definita nella direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, 85/337/CEE.


8 – Secondo la definizione data dal Grand Robert de la langue Française, Dictionnaire Le Robert, Parigi, 2005.

9 – V. settimo e ottavo ‘considerando’ e art. 1 della direttiva 96/61.

10 – V. quattordicesimo, diciassettesimo e ventisettesimo ‘considerando’ nonché art. 9 della direttiva 96/61.

11 – Come la direttiva del Consiglio 15 ottobre 1990, 90/539/CEE, relativa alle norme di polizia sanitaria per gli scambi intracomunitari e le importazioni in provenienza dai paesi terzi di pollame e uova da cova (GU L 303, pag. 6), che nel suo ambito di applicazione include le quaglie, le pernici e i piccioni, o la direttiva del Consiglio 15 febbraio 1971, 71/118/CEE, relativa a problemi sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili da cortile (GU L 55, pag. 23), che esclude dal suo ambito di applicazione la carne dei suddetti volatili.


12 – Come la direttiva 85/337.

13 – Siffatto approccio sembra potersi dedurre dalla sentenza 7 settembre 2004, causa C‑127/02, Waddenvereniging e Vogelbeschermingsvereniging (Racc. pag. I‑7405, punto 26), nella quale la Corte ha ammesso che la nozione di «progetto», così come definita nella direttiva 85/337, era rilevante al fine di trarne la nozione di «piano» o di «progetto» ai sensi della direttiva del Consiglio 21 maggio 1992, 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206, pag. 7) in quanto quest’ultima direttiva, «al pari della direttiva 85/337 mira soprattutto ad evitare che attività che possano pregiudicare l’ambiente siano autorizzate senza preventiva valutazione delle loro incidenze sullo stesso». La rilevanza della direttiva 85/337 ai fini dell’interpretazione delle nozioni contenute nella direttiva 96/61 sembra essere altresì confermata dai riferimenti incrociati contenuti in questi due atti. In particolare, la direttiva 85/337, come modificata dalla direttiva del Consiglio 3 marzo 1997, 97/11/CE (GU L 73, pag. 5) precisa, all’art. 2 bis, che gli Stati membri possono prevedere una procedura unica per soddisfare i requisiti previsti nelle due direttive.


14 – La versione integrale di tale documento BREF, intitolato «Integrated Pollution and Control (IPPC – Reference Document on Best Available Techniques for Intensive Rearing of Poultry and Pigs), è reperibile su Internet all’indirizzo http://eippcb.jrc.ec.europa.eu/pages/FActivities.htm.


15 – Ordinanza 15 gennaio 2004, causa C‑235/02, Saetti e Frediani (Racc. pag. I‑1005, punti 41-44).

16 – GU L 194, pag. 39.

17 – Ordinanza Saetti e Frediani, cit. (punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

18 – V. pag. i) della sintesi del documento BREF, prodotto dinanzi alla Corte dall’ANPER–TOS.

19 – Tale documento può essere consultato su Internet all’indirizzo http://eippcb.jrc.ec.europa.eu/pages/FActivities.htm.

20 – COM (2007) 844 def.

21 – Occorre anche far rilevare che tale proposta costituisce attualmente oggetto di una prima lettura dinanzi al Parlamento europeo, la cui commissione dell’ambiente, della salute pubblica e della sicurezza alimentare ha presentato una proposta di emendamento con riferimento, in particolare, al punto 6.6, lett. a), dell’allegato I alla direttiva 96/61 [v. il progetto di rapporto della commissione dell’ambiente, della salute pubblica e della sicurezza alimentare del Parlamento europeo, 2007/0286 (COD), 2 luglio 2008, pagg. 39 e 40].


22 – V., per esempio, la definizione data dal Grand Robert de la langue française (op. cit.).

23 – Come avviene nelle versioni di tale testo in lingua danese («40 000 pladser»), tedesca (40 000 «Plätzen»), inglese («40 000 places»), italiana («40 000 posti»), olandese (40 000 «plaatsen»), finlandese («40 000 paikkaa») e svedese («40 000 platser»). Nella versione spagnola viene impiegato il termine «emplazamientos», mentre la versione portoghese non offre nessuna precisazione.


24 – Bulletin officiel du ministère de l’écologie, du développement et de l’aménagement durables, 30 ottobre 2007, MEDAD 2007/20, texte 15, pag. 1. Va sottolineato che, sebbene l’adozione di tale circolare segua di qualche mese la proposizione del ricorso d’annullamento dinanzi al Conseil d’État nella causa principale, essa si basa comunque sui dati emersi dai lavori, compiuti nel 2006, dal gruppo «Volailles» del Comité d’orientation pour les pratiques agricoles respectueuses de l’environnement (CORPEN) [Comitato di orientamento per le pratiche agricole nel rispetto dell’ambiente], posto sotto l’egida dei Ministeri francesi dell’Agricoltura e della Pesca nonché dell’Ecologia, dello Sviluppo e della Gestione durevole, come indicato dalla suddetta circolare e dimostrato dai documenti prodotti dinanzi alla Corte dall’ANPER–TOS.


25 – V. i dati della tabella A intitolata «Quantités d’éléments maîtrisables produits, après déduction des pertes en bâtiment et au stockage (en g par animal sauf Cu et Zn en mg)» [Quantitativi di elementi controllabili, dopo aver dedotto le perdite in edificio e in sede di stoccaggio (in g/animale ad eccezione di Cu e Zn in mg)], allegata alla circolare precedentemente citata.


26 – Per di completezza, va rilevato che l’associazione ricorrente e quella intervenuta nella causa principale hanno anche documentato, nelle osservazioni scritte presentate alla Corte, le emissioni di fosforo, rame e zinco, ossia di sostanze e metalli anch’essi ricompresi nelle tabelle elaborate dal CORPEN e allegate alla circolare ministeriale sopra citata. In base ai dati contenuti in tali tabelle, il tenore di fosforo, di rame e di zinco proveniente dagli escrementi di 240 000 quaglie, di 120 000 pernici o di 120 000 piccioni è superiore, e a volte notevolmente superiore, a quello contenuto negli escrementi di 40 000 polli standard.