Cass. Sez. III n. 12393 del 17 aprile 2020 (UD 19 feb 2020)
Pres. Di Nicola Est. Corbetta Ric. Mascia
Rifiuti.Concorso tra le fattispecie rispettivamente previste dall’art. 256 e dall’art. 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006

Relativamente al concorso tra le fattispecie rispettivamente previste dall’art. 256 e dall’art. 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006 deve rilevarsi che differente, anche sotto il profilo della gravità, è la condotta oggetto di incriminazione da parte delle due fattispecie: in un caso la realizzazione o la gestione di una discarica non autorizzata, punita come mera contravvenzione (art. 256, comma 3); nell’altro l’appiccamento del fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata, che integra una fattispecie delittuosa, applicabile “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, di talché è configurabile il concorso di reati, stante la minore gravità della figura criminosa ex art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006. Del resto, la realizzazione di un reato non implica necessariamente la consumazione anche dell’altro, stante l’autonomia, logica e giuridica, delle condotte rispettivamente incriminate dalle fattispecie in esame.


RITENUTO IN FATTO
 
1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Cagliari confermava la decisione resa dal G.i.p. del Tribunale di Cagliari all’esito del giudizio abbreviato e appellata dall’imputato, la quale, ritenuta la continuazione, applicate le attenuanti generiche e la riduzione per il rito, aveva condannato Maurizio Mascia alla pena di un anno di reclusione, in relazione ai reati di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 256, comma 1, lett. b) e comma 3, 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006 (capo A) e 81 cpv., 674 cod. pen. (capo B). In particolare la Mascia si contesta di avere esercitato senza autorizzazione attività di gestioni di rifiuti speciali anche pericolosi (batterie di automezzi esauste, onduline in eternit, elettrodomestici, ecc) all’interno di un terreno nella sua disponibilità e di aver appiccato il fuoco a cumuli dei medesimi rifiuti, così provocando una colonna di fumo acre e denso, che si propagava nelle vicinanze.

 2. Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 522 cod. proc. pen. Assume il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe rigettato l’eccezione di nullità ex art. 522 cod. proc. pen., nonostante la mancanza di correlazione tra la data del commesso reato indicata nel caso di imputazione, cioè il 2 settembre 2014, e i fatti accertati, ossia il 10 e il 18 agosto 2014, solo l’ultimo dei quali, peraltro, avvenuto in presenza dell’imputato.
 2.2. Con il secondo motivo si deduce il vizio di motivazione e l’inosservanza di norme penali con riferimento agli artt. 546 lett. e) cod. proc. pen., 256, comma 1, lett. b), e 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello avrebbe confermato la penale responsabilità in relazione al delitto di cui all’art. 256, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 152 del 2006 nonostante l’assenza di qualsivoglia forma organizzativa deputata alla gestione dei rifiuti, non avendo gli agenti, intervenuti in loco in relazione all’episodio del 10 agosto 2014, assistito alla raccolta di rifiuti da parte dell’imputato, il quale non possedeva alcun automezzo, e considerando che il fondo era accessibile a chiunque.
Si censura, inoltre, la motivazione nella parte in cui ha ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006, non essendo prova che l’imputato abbia dato fuoco ai rifiuti e, in ogni caso, se avesse consapevolezza di ciò che stesse bruciando.
Infine, si contesta il concorso tra le figure di reato in esame, essendo tra loro inconciliabili, in considerazione della netta differenza della condotte in esse previste.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta il vizio di motivazione con riferimento al reato di cui all’art. 674 cod. pen. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe limitata a ritenere provata la riconducibilità al Mascia del reato in esame sulla base della mera presenza sul posto dell’imputato, senza considerare che, essendo il luogo aperto al transito di terzi, chiunque avrebbe potuto dar fuoco ai rifiuti. La sentenza, inoltre, non avrebbe dato risposta né al motivo inerente la potenziale offensività dei fumi, né a quello concernente l’assorbimento della fattispecie ex art. 674 cod. pen. in quelle previste dagli artt. 256, comma 1, lett. b), e 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1 Si osserva che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, con conseguente violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va di conseguenza esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (S.U., 17 maggio 2010 n. 36551, Carelli, Rv.248051).
La nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va perciò coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice), risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (Sez. 1, 18 giugno 2013 n. 35574, Rv. 257015; Sez. 4, 15 gennaio 2007 n. 10103, Rv. 236099).
2.2. Nel caso in esame, l’errore in relazione alla data del commesso reato indicata nel capo di imputazione (che coincide con quella della redazione della c.n.r.) non ha minimamente inciso sul diritto di difesa, in quanto non solo il fatto, nella  sua materialità, è descritto con precisione ma, in ogni caso, come rilevato dalla Corte territoriale, i due episodi contestati in continuazione (ossia il 10 e il 18 agosto 2014) cadono nel perimetro temporale indicato nel capo di imputazione.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato in tutti i profili dedotti.

4. Secondo quanto accertato dai giudici di merito, il 10 agosto 2014, personale del corpo forestale e di vigilanza ambientale della R.A.S., stazione di Capoterra, verso le ore 16 fu allertato per la presenza di un incendio, che fu localizzato vicino alla vecchia discarica del Comune di Decimomanni, in località Pedra Bianca. Giunti sul posto, gli operanti accertarono che non si trattava di un incendio boschivo, bensì dall’incenerimento di cumuli di rifiuti eterogenei (quali elettrodomestici, reti di letto, parti di televisori, rifiuti ferrosi, ecc.) ancora fumanti, presenti sul terreno, che era detenuto in comodato dal Mascia, il quale viveva in una casupola ubicata all’interno del terreno. Al momento dell’intervento, il personale della protezione civile vide, dietro un cumulo di rifiuti formato da frigoriferi e lavatrici in disuso, un individuo, poi identificato nel Mascia, che dapprima intimò, ai soggetti intervenuti, di andarsene, affermando che quella era “casa sua”, quindi minacciò di appiccare un altro incendio, cercando di dare fuoco, con un accendino, al fondo di una vecchia sedia, e, infine, si scagliò contro i volontari, impegnati nello spegnimento dell’incendio ancora attivo, provocando anche il ferimento di alcuni di essi.

5. Ciò posto, è eccentrico il motivo, nella parte in cui contesta la sussistenza del reato di cui all’art.  256-bis, comma 1, lett. b) d.lgs. n. 152 del 2006, perché il fatto, come emerge sia dalla contestazione, sia dalla motivazione di primo grado, è riconducibile nella previsione del comma 3, che punisce la gestione non autorizzata di rifiuti.

6. Invero, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018 - dep. 28/08/2018, Caprino, Rv. 273918; Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013 - dep. 29/11/2013, Caminotto, Rv. 257996).
Va inoltre ricordato che, in tema di deposito incontrollato di rifiuti, ove esso si realizzi con plurime condotte di accumulo, in assenza di attività di gestione, la distinzione con il reato di realizzazione di discarica non autorizzata si fonda principalmente sulle dimensioni dell'area occupata e sulla quantità dei rifiuti depositati (Sez. 3, n. 25548 del 26/03/2019 - dep. 10/06/2019, Schepis, Rv. 276009)

7. Nel caso di specie, si è accertata la presenza di numerosi cumuli di rifiuti, tale da interessare tutta l’area intorno alla casupola in cui alloggiava il Mascia, desumendo dall’eterogeneità di essi e dall’attività di pregresso abbruciamento come detta area fosse stata oggetto di una sistematica, ripetuta nel tempo e non modesta attività di conferimento di rifiuti, smaltiti illegalmente mediante, appunto, abbruciamento.

8. Inammissibile, perché fattuale, è anche il profilo relativo alla riconducibilità dell’abbruciamento dei rifiuti al Mascia, non confrontandosi il ricorrente con quanto accertato dai giudici di merito in relazione all’episodio del 10 agosto 2014, dinanzi descritto, in cui il personale della protezione civile, recatosi sul luogo da cui si era levata una densa nube nera, accertò la presenza del Mascia, il quale, con l’accendino in mano, minacciò di appiccare un altro incendio.

9. Manifestamente infondato è anche il profilo inerente al concorso tra le fattispecie rispettivamente previste dall’art. 256 e dall’art. 256-bis d.lgs. n. 152 del 2006.
Invero, deve rilevarsi che differente, anche sotto il profilo della gravità, è la condotta oggetto di incriminazione da parte delle due fattispecie: in un caso, ai fini che qui rilevano, la realizzazione o la gestione di una discarica non autorizzata, punita come mera contravvenzione (art. 256, comma 3); nell’altro l’appiccamento del fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata, che integra una fattispecie delittuosa, applicabile “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, di talché è configurabile il concorso di reati, stante la minore gravità della figura criminosa ex art. 256, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006.
Del resto, la realizzazione di un reato non implica necessariamente la consumazione anche dell’altro, stante l’autonomia, logica e giuridica, delle condotte rispettivamente incriminate dalle fattispecie in esame.

10. Il terzo motivo è inammissibile perché fattuale.
Anche in tal caso, il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, laddove ha dato atto, come sopra si è detto, che personale della protezione civile intervenne il 10 agosto 2014 sul terreno nella disponibilità del Mascia, da dove si era levata una colonna di fumo nero e dove fu constatata non solo la presenza di rifiuti anche pericolosi che stavano bruciando, ma anche la presenza dell’imputato con un accendino in mano.

11. Essendo il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 19/02/2020.