Nuova pagina 2

SEZ. 3       SENT.  42924  DEL 19/12/2002  (UD.23/10/2002)        RV.  223033
     PRES. Toriello F                 REL. Grillo C               COD.PAR.326
     IMP. Lorusso A        PM. (Diff.) Fraticelli M                         
599005  REATI CONTRO L'INCOLUMITA' PUBBLICA - CONTRAVVENZIONI - GETTO PERICOLOSO  DI  COSE - Immissioni di polveri nell'atmosfera - Elemento materiale del reato - Configurabilita'.                                  
COD.PEN ART. 674 

Nuova pagina 1
                                                           
    Nel  concetto  di  "gettare o versare" di cui all'art. 674 cod. pen., che punisce  il getto pericoloso di cose, rientra anche quello di diffondere polveri  nell'atmosfera.  (Fattispecie relativa a emissione di polveri in dipendenza  del  carico  e  scarico di sabbia ad opera di impresa e nella quale la Corte ha escluso la applicabilita' delle disposizioni di cui al d.p.r. n. 203 del  1988  non provenendo le emissioni da un impianto come definito dall'art. 2 del citato d.p.r.).                                                       
CONF     199400447 195922                                                   
VEDI     198804497 178090                                                    
Nuova pagina 1

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MORIELLO Francesco - Presidente - del 23/10/2002
1. Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
2. Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - N. 1989
3. Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
4. Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 13894/2002
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso, proposto da:
LORUSSO ANNA, nata a Gravina il 3/3/1957;
avverso la sentenza n. 10/02 del 25/1-7/2/2002, pronunciata dal Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Monopoli.
- Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
- udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M. Grillo;
- udite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. M. Fraticelli, con le quali chiede il rigetto del ricorso;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Bari - Sezione distaccata di Monopoli, con la decisione indicata in premessa, condannava Lorusso Anna, opponente a decreto penale, alla pena di euro 600,00 di ammenda in ordine al reato di cui all'art. 13, comma 5, D.P.R. n. 203/1988, perché - quale legale rappresentante della ditta "S.I.C.I. srl" - in assenza di autorizzazione, in quanto non ancora ottenuta, produceva "emissione in atmosfera di polveri, derivanti dal carico e scarico di sabbia, senza adottare misure idonee ad evitare un peggioramento delle emissioni".
L'imputata ricorre contro detta decisione, nonché avverso l'ordinanza 26/4/2000 emessa dal G.I.P. con cui veniva rigettata l'istanza di oblazione formulata con l'opposizione al decreto penale di condanna, deducendo: 1) in relazione all'ordinanza, inosservanza di norme processuali (art. 141 disp. att. c.p.p. e 464, comma 2, c.p.p.), avendo il menzionato art. 141, quale legge posteriore, tacitamente abrogato la normativa contenuta nell'art. 162 c.p., per cui l'istanza di oblazione non doveva essere ritenuta inammissibile dal G.I.P. per il mancato contestuale deposito della somma da versare; 2) manifesta illogicità della motivazione dell'impugnata sentenza per erronea applicazione della legge penale (art. 13, comma 5, D.P.R. n. 203/1988), in quanto la detta norma pone l'obbligo, per l'impresa in regime di autorizzazione provvisoria, di adottare tutte le misure necessarie ad evitare un peggioramento, anche temporaneo, delle emissioni, per cui non è sufficiente la circostanza dell'avvenuta dispersione di polveri in atmosfera, essendo indispensabile la valutazione comparativa delle emissioni precedentemente prodotte; 3) manifesta illogicità della motivazione della sentenza per erronea applicazione della legge penale (art. 2 D.P.R. n. 203/1988), giacché difetta completamente nella sentenza ogni valutazione tecnica sulla natura delle sostanze la cui dispersione possa integrare la fattispecie costitutiva del reato, e cioè l'inquinamento atmosferico; 4) mancata assunzione di prova decisiva, in particolare escussione testi e indagine tecnica sulla composizione chimica delle emissioni e la conseguente attitudine inquinante di esse, giacché è pacifico che le polveri erano prodotte dalle operazioni di caricamento e scaricamento di sabbia naturale; 5) erronea applicazione della legge penale (artt. 2 e 13 D.P.R. n. 203/1988), avendo i giudici del merito erroneamente equiparato ad un impianto fisso soggetto ad autorizzazione "l'esercizio di impresa di scaricazione portuale a mezzo di autobenna"; invero la movimentazione di merce (di natura diversa), dalla nave alla banchina e viceversa, è attività la cui sfera di controllo (e quindi di eventuale autorizzazione) non sarebbe predeterminabile, e dunque catalogabile e controllabile. All'odierna udienza il P.G. conclude come riportato in epigrafe. Il ricorso merita accoglimento.
La quinta doglianza, dalle quali le altre restano assorbite, merita accoglimento.
Ritiene, infatti, il Collegio che la condotta incriminata non rientri tra quelle disciplinate dal D.P.R. n. 203/1988, come affermato dal Tribunale.
Deve ricordarsi che detta normativa è stata emanata in attuazione di ben quattro direttive comunitarie, di cui tre dettano norme in materia di qualità dell'aria in relazione a specifici agenti inquinanti (anidride solforosa, particene in sospensione, piombo e biossido di azoto), mentre la quarta (n. 84/360) si riferisce specificamente all'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali, e non da altri tipi di installazioni.
Il D.P.R. n. 203/1988 si prefigge, dunque, la "tutela della qualità dell'aria ai fini della protezione della salute e dell'ambiente su tutto il territorio nazionale", mediante la regolamentazione di ogni impianto che possa dar luogo ad emissioni nell'atmosfera, delle caratteristiche e dell'impiego dei combustibili, dei valori di soglia e dei limiti delle emissioni inquinanti (art. 1). Il decreto, quindi, disciplina non tutte le emissioni inquinanti, ma solo quelle provenienti da impianti industriali, come si ricava, oltre che dal contenuto della delega legislativa (di cui all'art. 15, comma 1, L. n. 183/1987) e dal titolo della legge, anche dalla definizione di "emissione" fornita dall'art. 2 n. 4 "qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico"). Orbene, pure se l'elaborazione giurisprudenziale ha considerevolmente ampliato l'ambito di applicazione della normativa in esame, aldilà del dato letterale, affermando che il decreto presidenziale non ha inteso limitare la tutela della salubrità dell'aria ed il controllo delle emissioni atmosferiche solo in relazione agli impianti definibili industriali ai sensi dell'art. 2195 cod. civ., ma intende riferirsi anche agli altri impianti non industriali che pure possano avere uguale o maggiore potere inquinante, attesa la portata generale dell'art. 1, che si riferisce a tutti gli impianti potenzialmente produttivi di emissioni nell'atmosfera (Cass. Sez. 3^, 3 maggio 1995, n. 7692, PM/Vinella; recentemente: Cass. Sez. 3^, 23 maggio 2001, n. 27366, Feletto ed altro), è comunque fuor di dubbio che le emissioni prese in considerazione debbano comunque provenire da un impianto, così come definito dall'art. 2 n. 9 ("lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale"), alla luce dell'ulteriore specificazione apportata dal D.P.C.M. 21 luglio 1989, che - all'art. 1 - ribadendo l'ambito di applicazione del D.P.R. n. 203/1989, e meglio precisando cosa debba intendersi per "impianto" ai sensi di tale decreto, indica: "gli impianti industriali di produzione di beni o servizi, ivi compresi gli impianti di imprese artigiane di cui alla L. 8 agosto 1985, n. 443, nonché gli impianti di pubblica utilità, che diano luogo ad emissioni inquinanti convogliate o tecnicamente convogliabili".
Tanto considerato, è evidente come il decreto presidenziale in questione non sia assolutamente applicabile alla fattispecie in esame, giacché le emissioni asseritamente inquinanti erano prodotte, pacificamente, non da un insediamento fisso, ma dalle operazioni di carico e scarico di sabbia (da un'imbarcazione alla banchina o viceversa), effettuate dall'impresa dell'imputata, a mezzo di una benna mobile. Detta attività, peraltro, anche a prescindere dalle considerazioni "in diritto" che precedono, sarebbe comunque difficilmente "autorizzabile" ex D.P.R. n. 203/1988, per la non omogeneità delle emissioni correlate alla diversa natura delle merce di volta in volta movimentata dalla ditta S.I.C.I., donde la loro non facile catalogabilità e controllabilità. Infine il reato ascritto alla prevenuta (violazione dell'art. 13, comma 5, del detto decreto) postula la titolarità, da parte della stessa, di una autorizzazione provvisoria, di cui non vi è traccia in atti, in attesa del provvedimento definitivo.
Ritiene, pertanto, il Collegio che sia errata la qualificazione giuridica del fatto ascritto all'imputata, da inquadrare piuttosto nella fattispecie penale prevista dall'art. 674 c.p., alla luce dell'orientamento di questa Corte Suprema, che, nel concetto di "gettare" o "versare" di cui all'art. 674 cod. pen., fa rientrare anche quello di diffondere, comunque, polveri nelle aree circostanti (così, in un caso simile: Sez. 1^, 22 settembre 1993, n. 447, Pasini).
La contravvenzione codicistica, anch'essa punita con pena alternativa, commina, però, una sanzione pecuniaria inferiore nel massimo a quella irrogata all'imputata, per cui il giudice del merito dovrà determinare la pena. In sede di rinvio valuterà il Tribunale eventuali nuove istanze di oblazione da parte dell'imputata in relazione alla nuova ipotesi criminosa.
Peraltro, e solo per completezza, rileva il Collegio che il provvedimento del G.I.P., impugnato dal ricorrente, con cui è stata dichiarata inammissibile l'istanza di oblazione per il mancato contestuale deposito della somma da versare, ex art. 162-bis c.p., non tiene conto del successivo art. 141, comma 4, disp. att. c.p.p.;
tale norma, secondo la quale il giudice, se ammette l'oblazione, deve fissare con ordinanza la somma da versare, dandone avviso all'interessato, è evidentemente incompatibile con la prima, per cui, in base al principio stabilito dall'art. 15 disp. prel. cod. civ. (lex posterior derogat priori), l'art. 162-bis c.p., per quanto concerne la parte incompatibile con l'art. 141 c.p.p. deve ritenersi abrogato (Sez. 3^, 29 settembre 1997, n. 3027, Di Cecco). P.Q.M.
La Corte, qualificato il fatto come reato di cui all'art. 674 c.p., annulla la sentenza impugnata e rinvia, limitatamente alla determinazione della pena, al Tribunale di Bari.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2002.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2002