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Sez. 3, Sentenza n. 3678 del 01/12/2005 Cc. (dep. 31/01/2006 ) Rv. 233291
 Presidente: Papadia U. Estensore: Franco A. Relatore: Franco A. Imputato:  Giusti. P.M. Galasso A. (Diff.)
 (Annulla senza rinvio, Trib. Lucca, 17 Giugno 2005)
 REATI CONTRO L'INCOLUMITÀ PUBBLICA - CONTRAVVENZIONI - GETTO PERICOLOSO DI COSE  - Emissioni di gas, vapori e fumi - Esalazioni maleodoranti - Integrabilità del  reato di cui all'art. 674 cod. pen. - Condizioni - Individuazione.
 
 Anche le emissioni di esalazioni maleodoranti possono integrare il reato di cui  all'art. 674 cod. pen., getto pericoloso di cose, a condizione che presentino un  carattere non del tutto momentaneo ed abbiano un impatto negativo, non  necessariamente fisico ma anche psichico, sull'esercizio delle normali attività  di lavoro e di relazione.
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REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
 Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 01/12/2005
 Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
 Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 1360
 Dott. MANCINI Franco - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. FRANCO Amedeo - est. Consigliere - N. 28008/2005
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 Giusti Stefano, nato a Perugia il 22 ottobre 1963;
 avverso l'ordinanza emessa il 17 giugno 2005, dal tribunale di Lucca, quale  giudice del riesame;
 udita nella udienza in Camera di consiglio del 1 dicembre 2005 la relazione  fatta dal Consigliere Dott. Amedeo Franco;
 udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.  GALASSO Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 Con ordinanza del 17 giugno 2005 il tribunale del riesame di Lucca confermò il  decreto di sequestro preventivo emesso il 26 maggio 2005 dal giudice per le  indagini preliminari del tribunale di Lucca nei confronti di Giusti Stefano ed  avente ad oggetto otto cani da questi posseduti in relazione ai reati di cui  agli artt. 659, 674 e 727 cod. pen..
 Osservò il tribunale che dagli esposti presentati dai vicini del Giusti emergeva  che i cani da costui detenuti all'interno di un suo terreno recintato  disturbavano gli abitanti della zona sia con i loro latrati sia con mefitiche  esalazioni dei loro escrementi, che venivano rimossi solo tre volte alla  settimana e che, anche se il veterinario dell'indagato aveva trovato tutti i  cani belli e puliti, non si poteva escludere che lo fossero stati solo in quella  occasione.
 Il Giusti propone ricorso per cassazione deducendo:
 a) violazione dell'art. 321 c.p.p. per carenza dei presupposti normativi per  l'emissione del sequestro; insussistenza degli elementi di fatto a supporto del  decreto di sequestro e impossibilità di sussumere i fatti attribuiti in una  delle ipotesi di reato contestate. Osserva che non sussiste il fumus di nessuno  dei reati contestati.
 Quanto al reato di cui all'art. 659 c.p. è pacifico che, per essere  sanzionabile, la condotta deve incidere sulla tranquillità pubblica sicché i  rumori devono essere potenzialmente idonei ad essere sentiti da un numero  indeterminato di persone. Nella specie si trattava solo di otto cani (e non di  un numero indeterminato di cani come indicato nella ordinanza impugnata) e non è  stata accertato nemmeno in astratto che i loro latrati avessero travalicato i  limiti della normale tollerabilità.
 Su queste eccezioni l'ordinanza impugnata omette completamente di motivare.
 Quanto al reato di cui all'art. 674 c.p. è pacifico in
 giurisprudenza che le esalazioni maleodoranti - quand'anche nella specie vi  fossero state - non sono idonee ad integrare il reato in questione ma  costituiscono semmai un illecito civile. In ogni caso, si ricadrebbe nella  ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 674 c.p. per il quale la condotta è  illecita solo se è contraria alla legge. Nella specie invece si trattava di otto  cani tutti iscritti all'anagrafe canina e detenuti nel pieno rispetto del  relativo regolamento comunale che ammette il possesso di dieci cani adulti.  Anche su queste eccezioni il tribunale del riesame ha completamente omesso di  motivare.
 Quanto al reato di cui all'art. 727 c.p. manca in modo evidente l'elemento  oggettivo del reato, se non altro perché il veterinario del ricorrente, già in  tempi non sospetti, aveva certificato con una perizia che i cani erano sani,  puliti, in ottima salute, senza segni di trascuratezza o maltrattamenti o di  imbrattamento di feci o urine, e senza aggressività. Vi era inoltre una perizia  del geom. Giannini, redatta anch'essa in tempi non sospetti, che descriveva lo  stato dei luoghi e come il terreno fosse stato dopo l'acquisto completamente  bonificato, fosse permeabile ed adatto alla coltivazione ed esistesse una rete  oscurante alta oltre due metri che lo separava dalla vicina proprietà della  denunziante. Mancava in ogni caso l'elemento soggettivo del dolo essendo  improbabile che il ricorrente avesse maltrattato i propri cani o li avesse  mantenuti in condizioni incompatibili con la loro natura.
 Il tribunale del riesame ha omesso totalmente di motivare su queste eccezioni e  non ha nemmeno preso in esame la perizia del geom. Giannini.
 b) violazione dell'art. 57 c.p.p. e delle norme sulla esecuzione del sequestro  preventivo. Deduce che il sequestro è illegittimo in quanto è stato eseguito non  da ufficiali di polizia giudiziaria ma da vigili urbani, che avevano la  qualifica di semplici agenti di polizia giudiziaria.
 c) violazione dell'art. 369 c.p.p. Deduce la nullità del decreto di sequestro  perché non contiene nemmeno i requisiti della informazione di garanzia. Il  tribunale ha travisato il significato della eccezione rilevando che il sequestro  preventivo non deve essere preceduto dalla informazione di garanzia. Sennonché  il ricorrente aveva avanzato una eccezione diversa, e cioè quella secondo cui,  quando il sequestro preventivo sia effettuato prima che all'indagato sia stata  inviata informazione di garanzia, è necessario che il provvedimento contenga  tutti i requisiti della informazione di garanzia.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 Il ricorso è fondato.
 In via preliminare, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa  Suprema Corte, in tema di sequestro preventivo la motivazione del provvedimento  e dell'ordinanza di riesame non possono consistere nella formulazione di frasi  di stile, nelle quali sia meramente affermata la sussistenza del reato in  concreto e dell'astratta configurabilità dell'ipotesi tipica. In particolare, il  giudice del riesame deve esercitare un controllo non puramente formale ed  apparente della legalità della misura cautelare adottata, ma penetrante e  preciso, sicché è indispensabile che nell'ordinanza stessa siano indicati, in  modo puntuale e coerente, gli elementi in base ai quali il tribunale ritenga  esistente in concreto il fumus del reato configurato e la conseguente  possibilità di sussumere questa fattispecie in quella astratta (cfr. Sez. 3^, 1  luglio 1996, Chiatellino, m. 206.240).
 Nel caso di specie, invece, la ordinanza impugnata non solo non contiene la  benché minima motivazione - se non meramente apparente e del tutto generica, che  si risolve in sole frasi di stile - sulla sussistenza del fumus dei reati  contestati, ma nemmeno contiene la indicazione degli elementi di fatto in base  ai quali potrebbero, anche in via solamente astratta, ritenersi configurabili i  reati stessi. L'ordinanza impugnata, infatti, si limita ad indicare la  circostanza che otto o nove cani erano lasciati liberi all'interno di un terreno  recintato ed a ritenere, del tutto apoditticamente, che tale circostanza sarebbe  di per sè sola "inequivoca prova" di un disturbo "perennemente" arrecato (senza  peraltro specificare da che cosa) agli abitanti della zona e di un disturbo per  le "mefitiche esalazioni degli escrementi".
 Ora, per quanto riguarda in particolare il reato di cui all'art. 659 c.p.  (disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone), è giurisprudenza  costante che, per la configurabilità del reato, è necessario che le emissioni  sonore rumorose siano tali da travalicare i limiti della normale tollerabilità,  in modo da recare pregiudizio alla tranquillità pubblica, e che i rumori  prodotti siano, anche in relazione alla loro intensità, potenzialmente idonei a  disturbare la quiete ed il riposo di un numero indeterminato di persone,  ancorché non tutte siano state poi in concreto disturbate, sicché la relativa  valutazione circa l'entità del fenomeno rumoroso va fatta in rapporto alla media  sensibilità del gruppo sociale in cui tale fenomeno si verifica, mentre sono  irrilevanti e di per sè insufficienti le lamentele di una o più singole persone  (Sez. 3^, 23 maggio 2001, Feletto, m. 219.987; Sez. 1^, 9 dicembre 1999,  Bedogni, m. 215.327; Sez. 1^, 19 novembre 1999, Piccioni, m. 215.139; Sez. 1^,  24 novembre 1999, Ressa, m. 216.107; Sez. 1^, 21 ottobre 1996, Calabria, m.  206.925; Sez. 1^, 24 aprile 1996, Scola, m. 205.274;
 Sez. 1^, 23 maggio 1996, Rinolfi, m. 205.158; Sez. 1^, 28 novembre 1995,  Asquini, m. 203.460).
 Nel caso di specie, invece, come già rilevato, l'ordinanza impugnata ha fatto  derivare la configurabilità del reato esclusivamente ed apoditticamente dalla  presenza di otto o nove cani nel terreno recintato del ricorrente (non solo  senza riferirsi espressamente a rumori o latrati che sarebbero stati dagli  stessi prodotti, ma soprattutto) senza compiere alcuna valutazione sulla entità  del fenomeno rumoroso in relazione alla media sensibilità del gruppo sociale,  sulla esistenza di un concreto superamento dei limiti della normale  tollerabilità e di un concreto pregiudizio alla tranquillità pubblica, nonché  sulla potenziale idoneità dei rumori a disturbare un numero indeterminato di  persone, e senza nemmeno indicare alcun elemento fattuale che permetta di  ipotizzare che, nella specie, gli eventuali possibili latrati dei cani fossero  tali - per la loro intensità e per la conformazione dei luoghi - da permettere  di ritenere sussistenti i suddetti elementi integrativi del reato in questione.  L'ordinanza impugnata ha poi totalmente omesso di esaminare e rispondere alle  diverse e puntuali eccezioni sulla configurabilità del reato sollevate dalla  difesa con la istanza di riesame.
 Per quanto concerne il reato di cui all'art. 674 c.p. (getto pericoloso di  cose), l'ordinanza impugnata ne ravvisa la configurabilità apoditticamente ed  esclusivamente in base al fatto che gli otto o nove cani in questione sarebbero  stati lavati tre volte alla settimana, e ciò avrebbe provocato necessariamente  mefitiche esalazioni da parte dei loro escrementi che avrebbero quindi arrecato  disturbo agli abitanti della zona. Anche in questo caso, però, l'ordinanza  impugnata ha completamente omesso di esaminare le diverse e puntuali eccezioni  sollevate dalla difesa con l'istanza di riesame e con le quali era stato  contestata la configurabilità del reato sia perché le esalazioni maleodoranti  non rientrerebbero nella tutela apprestata dall'art. 674 c.p., sia perché la  norma penale richiede comunque che le emissioni di gas, vapori o fumo avvengano  nei casi non consentiti dalla legge, mentre nella specie questa condizione  mancava (in quanto i cani erano regolarmente registrati all'anagrafe canina ed  il regolamento comunale consentiva ai privati il possesso di dieci cani, che  inoltre disponevano di tutto lo spazio necessario), e sia infine perché, di  fatto, nel caso concreto non vi era alcun indizio o prova della presenza di  esalazioni maleodoranti provenienti dagli escrementi degli animali dato che  questi erano regolarmente lavati e puliti almeno tre volte a settimana.
 Ora, la prima eccezione era non fondata in punto di diritto perché, secondo la  giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche le esalazioni maleodoranti  provenienti da stalle o altri luoghi in cui siano contenuti animali in numero  rilevante e promananti da escrementi prodotti dagli animali stessi, possono,  ricorrendo le altre condizioni, integrare il reato di cui all'art. 674 c.p.  (cfr. Sez. 1^, 29 novembre 1995, Viale, m. 203.793; Sez. 1^, 20 ottobre 1993,  Sperotto, m. 196.370; Sez. 1^, 20 settembre 1993, Grandoni, m. 197.894; Sez. 1^,  30 settembre 1992, Amoretti, m. 192.175, in un caso di escrementi provenienti da  sessanta ovini). Si è tuttavia precisato che le esalazioni di "odore" moleste,  nauseanti o puzzolenti, in tanto possono configurare il reato di cui all'art.  674 c.p. in quanto presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano  "intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile (es.  nausea, disgusto) ed abbiano un impatto negativo, anche psichico, sull'esercizio  delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione (es. necessità di  tenere le finestre chiuse, difficoltà di ricevere ospiti, ecc.)" (Sez. 3^, 21  dicembre 1994, Rinaldi, m. 201.228). Nella ordinanza impugnata manca la benché  minima valutazione ed indicazione sul punto.
 Il tribunale avrebbe comunque dovuto esaminare nel merito la seconda eccezione  perché, se davvero il mantenimento dei cani nel terreno in questione fosse stato  conforme ai requisiti e condizioni prescritti dalle leggi e dai regolamenti e  provvedimenti amministrativi, ne sarebbero potute derivare alcune conseguenze in  ordine agli elementi necessari per la astratta configurabilità del reato. Ed  infatti, secondo la più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte, non è  configurabile il reato di cui alla seconda parte dell'art. 674 c.p. (emissione  di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone), nel caso in cui le emissioni  provengano da una attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti  previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che la  espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa  indicazione della necessità che l'emissione avvenga in violazione delle norme di  settore, il cui rispetto integra una presunzione di legittimità, mentre sarà  applicabile la sola norma civilistica di cui all'art. 844 c.c. qualora le  emissioni, pur essendo contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato o  arrechino concretamente disturbo alle persone superando la normale tollerabilità  (Sez. 3^, 23 gennaio 2004, Pannone, m. 228.010; Sez. 1^, 16 giugno 2000, Meo, m.  216.621). Ma, anche a ritenere - come sembra più corretto - che questo principio  giurisprudenziale non sia applicabile al caso in esame - dal momento che non si  tratta di attività specificamente disciplinata da una normativa di settore  (quale la L. n. 615 del 1966 o il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203) ne' di una  attività consentita da una specifica autorizzazione amministrativa o per la  quale siano normativamente previsti limiti tabellari da rispettare - ugualmente  avrebbe dovuto essere accertato, in punto di fatto, se la detenzione degli otto  o dieci cani sul quel terreno configurasse o meno un "caso non consentito dalla  legge". Nella prima ipotesi, infatti, per la configurabilità del reato, sarebbe  stato sufficiente che le esalazioni maleodoranti fossero idonee a molestare le  persone, avessero cioè una attitudine a cagionare effetti dannosi, un carattere  effettivamente molesto, ossia avvertibile come sgradevole e fastidioso (Sez. 1^,  10 dicembre 2002, Trincali, m. 223.531; Sez. 1^, dicembre 1997, Tilli, m.  209.451; Sez. 1^, 4 giugno 1996, Fragni, m. 206.966; Sez. 1^, 26 ottobre 1995,  Balestra, m. 203.239) mentre nella seconda ipotesi sarebbe stato anche  necessario che esse eccedessero i limiti della normale tollerabilità, secondo i  parametri indicati dall'art. 844 c.c. (cfr. Sez. 1^, 22 settembre 1999, De  Gennaro, m. 214.571; Sez. 1^, 4 dicembre 1997, Tilli, m. 209.450; Sez. 1^, 11  aprile 1997, Sartor, m, 207.383; Sez. 1^, 1 dicembre 1995, Celeghin, m. 203.502;  Sez. 1^, 7 novembre 1995, Guarnero, m. 203.130; Sez. 1^, 25 ottobre 1994,  Montini, m. 199.888).
 Il tribunale del riesame ha altresì omesso di motivare in ordine alla terza  eccezione dell'indagato, con la quale questi contestava la sussistenza nel  merito degli elementi necessari per la configurabilità del reato, sostenendo -  anche sulla base di una perizia redatta da un geometra e della certificazione di  un veterinario, che non sono state nemmeno prese in considerazione - che i cani  erano regolarmente lavati e puliti e che quindi non poteva esservi accumulo di  escrementi da cui potessero provenire esalazioni maleodoranti insopportabili o  comunque idonee a recare danno o molestia ai vicini.
 In realtà, anche per il reato in esame, l'ordinanza impugnata si è limitata ad  affermare apoditticamente che poiché i cani erano lasciati liberi all'interno  del terreno, da ciò doveva ritenersi automaticamente provato che i vicini  dovessero necessariamente essere "disturbati dalle mefitiche esalazioni degli  escrementi" dei cani stessi, e che la pulizia effettuata tre volte a settimana  non poteva nemmeno in ast ritenersi idonea. Tutto ciò, non solo senza compiere  la benché minima valutazione in concreto ne' sull'effettivo accumulo di  escrementi in quantità tale da provocare esalazioni maleodoranti, nè sulla  effettiva idoneità delle concrete esalazioni provenienti dal terreno a cagionare  un fastidio fisico apprezzabile ed un impatto negativo sui vicini e  sull'esercizio delle loro normali attività nè, tanto meno, sull'effettivo  superamento o meno dei limiti della normale tollerabilità, secondo i parametri  indicati dall'art. 844 c.c., ma anche senza fornire alcuna motivazione in  proposito ed anzi senza nemmeno indicare gli elementi di fatto che potessero  permettere di ritenere la configurabilità del reato in questione. Sono poi  evidenti sia la assoluta mancanza di motivazione sia la illegittimità della  statuizione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di cui all'art.  727 c.p. (maltrattamento di animali). Nella specie tale reato era stato  contestato in riferimento alla ipotesi di gravi sofferenze infette ai cani  perché essi erano stati raccolti nel terreno senza alcun controllo (il che  avrebbe determinato che essi si sarebbero provocati ferite reciproche) ed in  condizioni igienico-sanitarie assolutamente inadeguate. Orbene, l'ordinanza  impugnata non contiene nessuna motivazione sulla effettiva presenza degli  elementi di fatto che potrebbero consentire una astratta configurabilità del  reato, essendosi limitata ad affermare apoditticamente che gli animali avrebbero  dimostrato "comportamenti aggressivi sia nei confronti dei loro simili che nei  confronti degli uomini", senza però indicare in base a quali elementi avesse  desunto la presenza di siffatti comportamenti aggressivi, in che cosa essi si  sarebbero estrinsecati, e per quale ragione un comportamento aggressivo di un  cane dovrebbe di per sè dimostrare che esso sia detenuto in condizioni  incompatibili con la sua natura o tali da provocargli gravi sofferenze. Del  resto, gli unici maltrattamenti nei confronti dei cani ravvisabili nella vicenda  non possono sicuramente essere ricondotti al Giusti, dal momento che consistono  nell'avvelenamento di due dei cani (per il quale l'indagato propose denunzia  contro ignoti) e nella improvvisa morte di un altro cane (quello che durante il  sequestro era apparso il più aggressivo ed il capo) immediatamente dopo il  sequestro stesso. Il tribunale del riesame ha poi completamente omesso di  esaminare gli elementi offerti dalla difesa con l'istanza di riesame, fra cui  una perizia certificativa redatta in precedenza dal veterinario Dott.ssa  Granucci (la quale attestava che i cani non presentavano segni e sintomi di  malattie, nè aggressività o intolleranza alla manualità, ne' segni di  trascuratezza o di maltrattamenti o di parassiti o di dermatopatie, nè  imbrattamento di feci o urine), ed una perizia giurata del geom. Giannini  (attestante che il terremo in questione era stato, dopo il suo acquisto,  bonificato dal Giusti e si trovava in buone condizioni, con un impianto di  energia elettrica ed idrico, permeabile, idoneo alla coltivazione ed  adeguatamente separato dalla proprietà confinante), la circostanza che ognuno  dei cani, di peso inferiore a 25 Kg., aveva una superficie a sua disposizione di  almeno 25 mq., ossia conforme ai regolamenti in materia. Tutti questi elementi  non sono stati presi in alcuna considerazione, nemmeno per ritenerli infondati o  irrilevanti, essendosi l'ordinanza impugnata limitata esclusivamente ad  affermare che "è vero che la dottoressa Granucci ha trovato i cani tutti belli e  puliti, ma non si può escludere che gli animali lo siano stati solo in quella  occasione", il che evidenzia non solo una motivazione meramente apparente, ma  anche una non consentita inversione dell'onere della prova. La motivazione è poi  totalmente inesistente sulla ravvisabilità dell'elemento psicologico del reato.
 La totale mancanza di motivazione sul fumus dei reati ipotizzati dall'accusa e  la totale assenza di indicazione di elementi fattuali idonei a dimostrare la  configurabilità, anche in astratto, dei reati stessi, costituisce, a parere di  questa Corte, chiara dimostrazione che in realtà tali elementi sono  insussistenti e in alcun modo ricavabili dagli accertamenti espletati e dagli  atti processuali. Ne deriva che sia la ordinanza impugnata sia il decreto del  giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lucca del 26 maggio 2005,  con il quale è stato disposto il sequestro preventivo, devono essere annullati  senza rinvio con conseguente ordine di restituzione all'avente diritto di quanto  in sequestro.
 Per completezza può osservarsi che allo stesso risultato si dovrebbe giungere  anche qualora non vi fosse la totale carenza di motivazione dianzi rilevata e  ciò a causa della nullità assoluta che inficia il sequestro in questione per le  illegittime modalità con le quali è stato eseguito.
 Il tribunale del riesame (peraltro fraintendendone il contenuto) ha respinto  l'eccezione di nullità del sequestro per violazione dell'art. 349 c.p.p. per il  motivo che le norme sulla informazione di garanzia non potevano trovare  applicazione trattandosi di un sequestro e, quindi, di un "atto a sorpresa".
 Ora, in primo luogo, va rilevato che i principi affermato dalla giurisprudenza  di questa Corte in tema di garanzie difensive nel caso di atti "a sorpresa" non  sembra possano trovare applicazione nel caso di specie, e ciò per la ragione che  il sequestro de quo, per le modalità con le quali è stato eseguito, non può  sicuramente qualificarsi come "atto a sorpresa". Risulta invero che il pubblico  ministero presso il tribunale di Lucca, delegato dal giudice per le indagini  preliminari per la esecuzione del sequestro preventivo, delegò a sua volta  l'esecuzione ai vigili urbani di Lucca con provvedimento del 28 maggio 2005. I  vigili urbani, da parte loro, in esecuzione di tale delega, il giorno 30 maggio  2005, alle ore 19:10 circa, telefonarono direttamente all'indagato Giusti e lo  avvisarono che il giorno dopo avrebbe proceduto al sequestro preventivo dei cani  e quindi lo invitarono a recarsi sul terreno per presenziare al sequestro.  Inoltre, alle ore 8:20 del giorno successivo 31 maggio 2005, sempre i vigili  urbani notificarono personalmente al Giusti il decreto di sequestro preventivo  invitandolo di nuovo a seguirli sul terreno, dove si recarono immediatamente  dopo e, non avendoli il Giusti seguiti, alle ore 10:00 circa fecero tagliare il  lucchetto ed iniziarono la materiale apprensione dei cani. Non è perciò  possibile considerare atto a sorpresa un sequestro della cui esecuzione  l'indagato era stato personalmente preavvertito il giorno prima dagli stessi  vigili incaricati di eseguirlo. Pertanto, poiché per decisione della stessa  autorità incaricata della esecuzione era stato escluso che l'elemento sorpresa  fosse nella specie necessario per assicurare l'efficacia e la genuinità del  sequestro, non vi era più alcun motivo perché nel caso concreto non trovassero  piena applicazione tutte le garanzie difensive, la cui pretermissione trova  giustificazione solo nella necessità di compiere l'atto senza che l'interessato  ne possa venire in qualche modo previamente a conoscenza. Ed infatti, come  emerge dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite sent. n. 7 del 23 febbraio  2000, Mariano, una volta che sia venuta meno l'esigenza preclusiva connessa alla  "sorpresa" riemerge l'obbligo di assicurare all'interessato la pienezza delle  facoltà difensive.
 In ogni caso, nella specie si è trattato di sequestro operato dalla polizia  giudiziaria non di sua iniziativa ma per delega del pubblico ministero, sicché,  ai sensi dell'art. 370 c.p.p., comma 2, trovava applicazione la disposizione di  cui all'art. 365 c.p.p.. Infatti, come più volte specificato dalla  giurisprudenza di questa Corte, la disciplina del titolo 4^ del libro 5^ del  codice di rito, concernente l'attività ad iniziativa della polizia giudiziaria  (artt. 347-357 c.p.p.), attiene ai compiti ivi previsti e non riguarda quelle  altre attività, che si distinguono sotto il profilo funzionale, che lo stesso  organo è chiamato a svolgere in luogo e per conto, oltreché per delega, del  pubblico ministero. Per queste ultime il regime è diversamente e separatamente  strutturato (titolo 5^ del libro 5^, artt. 365-377 c.p.p.), anche per quanto  riguarda gli adempimenti previsti a tutela dei diritti della difesa, che non  possono, pertanto, essere mutuati dalla disposizione di cui all'art. 356 c.p.p.,  che si applica nei casi di attività svolta di iniziativa, ma discendono dalla  espressa disciplina di cui all'art. 370 c.p.p., comma 2, che impone l'osservanza  delle norme di cui agli artt. 364, 365 e 373 c.p.p. (Sez. 3^, 12 luglio 2005,  Rubino; Sez. 1^, 9 febbraio 1990, Duraccio, m. 183.647).
 Pertanto, nel caso di sequestri cui proceda il pubblico ministero a norma  dell'art. 365 c.p.p., la polizia giudiziaria che proceda per delega o per conto  del pubblico ministero ha l'obbligo, in forza del rinvio operato dall'art. 370  c.p.p., comma 2, all'art. 365 c.p.p., di chiedere alla persona sottoposta alle  indagini, che sia presente, se sia o meno assistita da un difensore di fiducia e  di provvedere, in caso negativo, alla designazione di un difensore d'ufficio, e  ciò a differenza di quanto accade nel caso in cui la polizia giudiziaria procede  ad un sequestro probatorio di sua iniziativa, nel qual caso ha soltanto  l'obbligo, previsto dall'art. 114 disp. att. c.p.p., di avvisare la persona  sottoposta alle indagini, se presente, della facoltà di farsi assistere da un  difensore di fiducia (Sez. 1^, 30 giugno 1992, Ritrecina, m. 191.920; Sez. Un.,  n. 7 del 23 febbraio 2000, Mariano, cit.). Deve poi ritenersi implicito quanto  meno l'obbligo - derivante, se non altro, da una applicazione analogica  dell'art. 114 disp. att. c.p.p. - del pubblico ministero o della polizia  giudiziaria che agisca per sua delega di avvertire la persona sottoposta alle  indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di  fiducia o da quello di ufficio nominatole (Sez. 3^, 12 luglio 2005, Rubino).
 Ora, nel caso di specie l'atto di sequestro è iniziato con la notificazione, la  mattina del 31 maggio 2005, del decreto di sequestro personalmente all'indagato  da parte dei vigili urbani, i quali immediatamente dopo, nell'evidente  proseguimento della stessa unica attività di sequestro, si portarono sul luogo  dove si trovavano i cani per procedere alla loro materiale apprensione. Ne  deriva che nella specie l'atto di sequestro deve ritenersi iniziato alla  presenza della persona sottoposta alle indagini, con l'ulteriore conseguenza  che, i vigili che eseguivano il sequestro, avevano l'obbligo, ai sensi dell'art.  365 c.p.p., comma 2, di chiederle se era assistita da un difensore di fiducia e  qualora ne fosse stata priva di designarle un difensore d'ufficio a norma  dell'art. 97 c.p.p., comma 3, nonché di avvisarla che aveva facoltà di farsi  assistere dal difensore di fiducia o di ufficio purché prontamente reperibile.
 Non risulta che nel caso in esame tali avvisi e tale eventuale nomina siano  stati fatti dai vigili urbani che eseguivano il sequestro al momento in cui  notificarono nelle mani del Giusti il decreto del giudice per le indagini  preliminari. Ne deriva la nullità del sequestro stesso per violazione del  diritto di difesa, ed in particolare dell'art. 365 c.p.p., nullità che, se il  ricorso non fosse stato fondato nel merito, questa Corte avrebbe comunque dovuto  dichiarare perché tempestivamente eccepita dall'interessato con la richiesta di  riesame (cfr. Sez. 3^, 12 luglio 2005, Rubino). P.Q.M.
 La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché  il decreto del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lucca del 26  maggio 2005 e dispone restituirsi quanto in sequestro all'avente diritto.
 Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 626 c.p.p..
 Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 1 dicembre  2005.
 Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2006
                    



