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IL PATTO DI VIENTIANE E IL PROTOCOLLO DI KIOTO - La riduzione dei gas serra, verso quale futuro? -

Dott. Massimo Latini

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Come è noto il protocollo di Kioto è stato firmato l’11 dicembre 1997 in questa, ormai nota, città del Giappone ed è recentemente entrato in vigore nel 16 febbraio di quest’anno.

L’obiettivo del protocollo è quello di riportare le emissioni dei gas responsabili del cosiddetto effetto serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto, perfluorocarburo, idrofluorocarburo e esafluoro di zolfo), sotto i livelli del 1990, istituendo, tra l’altro, una “borsa dell’inquinamento”, attraverso la quale paesi virtuosi potranno vendere quote di anidride carbonica ai paesi più inquinatori.

Il protocollo è stato definitivamente ratificato da 152 paesi, di cui 39 industrializzati. Gli Stati Uniti ne sono usciti nel 2001, mentre i paesi in via di sviluppo, pur avendo approvato il patto, non sono obbligati a raggiungere specifici obiettivi. Fra questi ultimi, ad esempio, sono compresi paesi come la Cina o l’India, considerati paesi ad altissima produzione di gas serra.

Non è un caso che questi ultimi paesi, Stati Uniti, Cina ed India, con l’aggiunta di Australia, Giappone e Corea del Sud, hanno recentemente annunciato, anche se già da un anno erano in corso negoziati non ufficiali, a Vientiane, nel Laos, di essersi legati alla “Partnership Asia-Pacifico per lo Sviluppo Pulito e l’Ambiente” (”Asia-Pacific Partnership for Clean Development and Climate”), la quale di fatto crea fortissimi elementi di competizione con il protocollo di Kioto e con la Convenzione ONU del 1992 (quest’ultima ratificata, tra l’altro, anche dagli Stati Uniti).

Competizione, tuttavia, ufficialmente smentita dal sottosegretario agli Esteri americano Zoellick e dal ministro degli Esteri australiano Downer, i quali hanno affermato che la partnership è meramente complementare al protocollo di Kioto. Ciò in completa distonia, ad esempio, con l’Unione Europea che molto ha puntato su Kioto e sui suoi parametri da rispettare, o con molte associazioni ambientaliste, come Greenpeace.

Certamente in tal modo si sono portate alla definitiva ribalta contraddizioni mai sopite in materia, che hanno visto protagonisti gli Stati Uniti, i quali, come accennato, si sono definitivamente ritirati dal protocollo nel 2001, la Cina, l’India, la Corea e il Giappone. Stati, quest’ultimi, che, pur avendo sottoscritto il protocollo di Kioto, hanno contemporaneamente aderito al recente patto di Vientiane.

Il primo incontro fra i 6 paesi sottoscrittori avverrà in ottobre in Australia ad Adelaide, ma già si sono coniate, anche da parte degli stessi “addetti ai lavori”, espressioni del tipo “dopo Kioto” o “oltre Kioto”. Ciò a voler significare come gli sforzi ai quali si sono sottoposti i 152 Paesi sottoscrittori del protocollo di Kioto, nell’ottica di una visione e una consapevolezza inevitabilmente mondiale della problematica del riscaldamento del globo terrestre, sarebbero minati da un accordo parallelo fra i rimanenti paesi del mondo maggiormente inquinatori, primo fra tutti proprio gli Stati Uniti.

Detti paesi, e questo è il dato più rilevante, considerati in modo univoco, rappresentano quasi il 50 % dell’emissione mondiale di gas serra e del consumo di energia mondiale (nonché della popolazione mondiale).

Bisogna sottolineare come il protocollo di Kioto imponga ai paesi sottoscrittori un obbligo di ridurre i gas serra, mentre quest’ultimo accordo di Vientiane non è vincolante per i 6 paesi sottoscrittori, non fissando parametri di riduzione dei gas serra, ma indica semplicemente le tecnologie su cui puntare, puntando contemporaneamente a rafforzare l’economia.

Le energie individuate sono quella del carbone pulito, dell’energia nucleare, dell’energia solare, dell’energia eolica, dell’idrogeno come carburante dei veicoli. Tutti campi nei quali gli Stati Uniti hanno da tempo avviato ampi progetti di ricerca che saranno (a pagamento) a disposizione degli altri paesi.

Il nodo di tutta la questione gravita proprio intorno questo punto: fissare o non fissare dei limiti vincolanti. I suddetti 4 paesi sottoscrittori di ambedue gli accordi hanno chiaramente evidenziato insofferenza nei confronti dei parametri da rispettare (anche se i limiti sono stati fissati solamente per i paesi industrializzati), così come del resto anche altri paesi industrializzati della cerchia di Kioto stanno chiedendo di avere un trattamento diverso in ordine proprio a tali limiti.

Anche lo stesso premier australiano Howard, ponendo a confronto i due accordi, ha affermato che l’efficacia e l’equilibrio dell’intesa di Vientiane sono superiori al protocollo di Kioto, rappresentando la prova del forte impegno dell’Australia a ridurre le emissioni di gas serra, senza distruggere posti di lavoro e senza penalizzare ingiustamente le imprese australiane.

Non è un caso, inoltre, che la sottoscrizione del patto di Vientiane sia avvenuta a margine del forum dell’Asean, ovvero dell’Associazione delle Nazioni dell’Asia del Sud Est, la quale ha lo scopo di creare un’area di libero scambio di enormi proporzioni, al fine di evitare crisi finanziarie come quelle degli anni Novanta, puntando ad una comunità economica asiatica.

Comuni interessi commerciali ed economici che hanno attirato, per ovvi motivi, l’attenzione e la preoccupazione di Stati Uniti e Cina.

Dunque un accordo, quello sui gas serra di Vientiane, nato in seno ad un vertice regionale come quello dell’Asean con dichiarate finalità economico-commerciali, apre scenari perlomeno contraddittori nei confronti di una maggiore attenzione verso le problematiche del surriscaldamento della terra.

La partita della riduzione dei pericolosi gas serra è ancora sicuramente aperta, certamente l’aver delineato due schieramenti antitetici con prospettive e impegni diversi ha complicato una situazione già non facile, anche se le diplomazie di mezzo mondo sono già al lavoro per avvicinare posizioni, prospettive ed interessi, soprattutto economici, così diversi ed ambigui.

Il tutto in attesa di creare, fuor di utopie, un vero sistema energetico mondiale che coinvolga i paesi maggiormente produttori di emissioni (Cina ed India in testa), ambizione che dovrà però fare i conti, e questa è la scommessa più ambiziosa, con gli interessi economici di parte di ogni singolo paese.