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Cass. Sez. III sent.. 44275 del 5-12-2005 (Ud. 15 novembre 2005)

Pres. Vitalone Est. Petti Ric. Arbace

Beni ambientali – Regime dei vincoli

Il vincolo paesaggistico (escluso quello imposto per legge) e quello culturale possono nascere soltanto mediante la prevista procedura. Ne deriva che tale vincolo deve essere notificato al proprietario del suolo e non può essere autonomamente imposto dall’autorità comunale per mezzo dei piani regolatori o altri strumenti urbanistici che provvedono a stabilire la destinazioned’uso delle varie zone del territorio comunale.

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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 15/11/2005
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 2056
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - N. 29306/2005
ha pronunciato la seguente:

 

 

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ARBACE Tommaso, nato il 7 marzo del 1945 a Gagliano del Capo;
avverso la sentenza della corte d'appello di Lecce del 4 aprile del 2005;
udita la relazione svolta del Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. D'AMBROSIO Vito, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. STEFANO GIORGIO, quale sostituto processuale dell'avv. PICCINNI Antonio, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Letti il ricorso e la sentenza denunciata.
Osserva:
IN FATTO
Con sentenza del 4 aprile del 2005, la corte d'appello di Lecce confermava quella pronunciata dal tribunale della medesima città, sezione distaccata di Tricase, in data 13 maggio 2003, con cui Arbace Tommaso era stato condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, e con la concessione dei doppi benefici di legge, alla pena di mesi uno di arresto ed e. 8.000,00 di ammenda, quale responsabile della contravvenzione di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, a lui ascritta, per aver eseguito, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza il necessario nulla-osta, la trasformazione di un terreno di circa mq. 5.000, mediante il riporto di materiale di risulta ed il conseguente livellamento del fondo, alterandone in tal modo il preesistente naturale declivio, così come accertato in Castrignano del Capo il 27 maggio 2000.
La corte territoriale a fondamento della decisione osservava che il comportamento ascritto all'imputato aveva indubbiamente configurato il reato contestato; che "la compatibilità ambientale" espressa dall'autorità amministrativa con l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Castrignano del Capo in data 12 maggio 2003 non estingueva il reato in quanto, in materia paesaggistica, l'autorizzazione in sanatoria di un intervento abusivamente realizzato non estingue il reato in questione, perché, diversamente da quanto previsto dalla L. 28 febbraio 1985 n. 47, art. 22, in tema di estinzione del reato urbanistico per intervenuta sanatoria, l'estinzione non è espressamente prevista dalla normativa stessa;
che l'unica conseguenza favorevole dipendente dal rilascio postumo dell'autorizzazione è costituita dall'esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi; che legittima era l'imposizione del vincolo rientrando tale imposizione nel potere dell'amministrazione di individuare beni da sottoporre al regime disciplinato dalla L. n. 431 del 1985.
Ricorre per Cassazione l'imputato per mezzo del suo difensore sulla base di tre motivi.
DIRITTO
Il ricorrente lamenta:
l'erronea applicazione della L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies riprodotto nel D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), giacché la condotta posta in essere dal prevenuto non integra gli estremi del reato contestato, in quanto, per le caratteristiche dell'intervento, non aveva determinato alcuna modifica rilevante dello stato dei luoghi: infatti il materiale di risulta riportato sul terreno, costituito da terra e pietrisco, era omogeneo alla natura del fondo agricolo ed il successivo spianamento non aveva alterato le caratteristiche del suolo;
la violazione della L. n. 431 del 1981, nonché difetto di motivazione sul punto perché il vincolo paesaggistico può essere imposto solo da una legge statale o regionale e non da un provvedimento amministrativo comunale: assume che in ordine alla sussistenza del vincolo la Corte aveva omesso di esaminare le censure mosse alla sentenza di primo grado;
La mancanza di motivazione in ordine alla valenza probatoria della declaratoria di compatibilità ambientale contenuta nell'autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.
Il ricorso è solo in parte fondato e va accolto nei limiti di seguito precisati.
Infondato è il primo motivo.
Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita ogni modificazione dell'assetto del territorio senza la preventiva autorizzazione ad eccezione degli interventi consistenti nella manutenzione ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo sempre che non alterino lo stato dei luoghi o l'aspetto esteriore degli edifici, nonché degli interventi consistenti nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, che non comportino alterazioni permanenti dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie ed altre opere civili,e sempre che si tratti di opere che non alterino l'assetto idrogeologico del territorio; nel taglio colturale, nella forestazione e riforestazione e nelle opere di bonifica, antincendio e conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste. (cfr. attualmente D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 149).
Il legislatore, imponendo l'immediata autorizzazione ha inteso assicurare un'immediata informazione e la preventiva valutazione dell'impatto sul paesaggio in caso di interventi consistenti in opere edili o anche in altre attività antropiche come ad esempio lo sradicamento di alberi, lo sbancamento, il livellamento del suolo ecc intrinsecamente capaci di alterare il paesaggio.
Secondo il consolidato orientamento di questa sezione il reato in questione è di pericolo astratto è pertanto, per la
configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente potendo escludersi dal novero delle condotte punibili solo quelle che si prospettino pure in astratto inidonee a compromettere il valore paesaggistico o l'aspetto esteriore degli edifici (cfr. per tutte Cass. sez. 3^ n. 33297 del 2005).
Nella fattispecie in esame l'alterazione non può considerarsi irrilevante ed astrattamente inidonea a compromettere i valori paesaggistici. Dalla sentenza di primo grado,che questo collegio può consultare, emerge che in un grande canale destinato alla raccolta delle acque veniva scaricato del materiale costituito in larga misura da residui di ristrutturazioni edili e solo in minima parte da terra e che al momento del sopralluogo il materiale scaricato aveva raggiunto un'altezza di tre o quattro metri (cfr. sentenza di primo grado alle pagine nn. 2 e 3) e riguardava una superficie di circa 5000 mq.
Fondato è invece il secondo motivo.
L'attuale ricorrente, con l'appello, aveva tra l'altro dedotto che non era stata indicata la natura del vincolo in quanto il primo giudice sul punto si era limitato a richiamare la deposizione del tecnico comunale, il quale aveva genericamente affermato che sussisteva un vincolo di natura paesaggistica idrogeologica senza alcuna ulteriore esplicitazione lasciando implicitamente intendere che il vincolo sarebbe stato imposto dal comune. In proposito l'appellante con l'impugnazione aveva eccepito la mancanza di motivazione sul punto ed aveva altresì precisato che i vincoli possono essere imposti solo dall'autorità statale o regionale e non da quella comunale.
La corte territoriale, in relazione alla dedotta censura, ha osservato che: "Nessun dubbio (poteva) nutrirsi in ordine all'efficacia dell'atto effettivamente rilevante nel caso di specie, siccome assolutamente legittimo e suscettibile ad essere inquadrato nel potere dell'amministrazione di individuare beni astrattamente sottoposti al regime disciplinato dalla L. n. 431 del 1985, in quanto attuativo del potere statuale di individuare beni o aree per cui sia vietata ogni modificazione". È palese l'apparenza della motivazione poiché la corte, pur parlando di "atto effettivamente rilevante" non ha indicato ne' l'autorità che avrebbe imposto il vincolo ne' meglio individuato l'atto impositivo e non ha neppure fatto riferimento ad eventuali deleghe attribuite al comune. Sul punto la motivazione consiste in affermazioni apodittiche senza alcun riferimento alle censure sollevate con i motivi d'appello. In definitiva l'accertamento della sussistenza del vincolo, che era preliminare, non risulta adeguatamente espletato.
In proposito sotto il profilo giuridico va rilevato che il D.Lgs. n. 490 del 1999, vigente all'epoca del fatto, senza apportare innovazioni sostanziali alla normativa precedente (L. n. 1497 del 1939 e L. n. 431 del 1985), ha tuttavia rielaborato la materia soprattutto per quanto concerne il concetto stesso di vincolo che non è più esclusivamente paesaggistico, ma è paesaggistico ambientale. La materia specifica dei beni paesaggistici ambientali era all'epoca disciplinata dal titolo 2 del decreto dianzi citato e più precisamente dagli artt. 138 e s.s.. I beni soggetti a vincolo paesaggistico erano (e sono) ripartiti in due categorie. La prima, costituita da quelli indicati nell'articolo 156 c.p.p., si riferisce ai beni tutelati per legge, già indicati dalla Legge Galasso: si tratta di beni aventi determinati requisiti naturalistici di comune e universale accertabilità: la fascia costiera entro 300 metri dal mare (lett. a) del comma 5), o quella entro 300 metri dai laghi (lett. b), le montagne per la parte eccedente una determinata altitudine (lett. d), i ghiacciai (lett. e), i territori coperti da foreste e da boschi (lett. g), i vulcani (lett. l). Altri beni, invece, sono determinati solo indirettamente dalla legge, attraverso l'esplicito o implicito rinvio ad atti formali dell'autorità competente, che diventano perciò presupposto necessario dell'instaurazione del vincolo, il quale altrimenti resterebbe condizionato dalla valutazione soggettiva degli interessati. Così i fiumi e torrenti tutelati nella lett. e) sono quelli iscritti negli appositi elenchi di cui al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (testo unico sulle acque); i parchi e le riserve tutelati sono quelli istituiti con appositi decreti presidenziali o ministeriali, ovvero con decreti regionali (lett. f); le aree assegnate alle università agrarie presuppongono un atto amministrativo di assegnazione, mentre le zone gravate da usi civici presuppongono l'esistenza di uno dei modi di costituzione degli usi civici stessi (l'uso collettivo immemorabile, la concessione sovrana, i contratti fra universitates - lett. h); le zone umide tutelate dalla lettera i) sono quelle incluse nell'elenco di cui al D.P.R. 13 marzo 1976 n. 448; e infine le zone d'interesse archeologico di cui alla lett. m) non possono essere che quelle individuate da appositi provvedimenti delle autorità amministrative competenti in materia (cfr Cass. Sez. 3^ n. 2786 del 07/08/1996, c.c. 25/06/1996, Rao, rv. 205796).
L'altra categoria è costituita da beni oggetto di tutela specifica i quali vengono selettivamente individuati in base alla procedura dettata dallo stesso decreto e sottoposti a vincolo specifico. Per tale categoria di beni è previsto un iter specifico che individui in modo autonomo i singoli beni o aree territoriali. L'articolo 139 c.p.p. elencava il campo d'individuazione generale di tali beni suscettibili di selezione tra i quali alla lettera d) erano comprese le bellezze panoramiche considerate come quadri, e così pure quei punti di vista o di belvedere accessibili al pubblico. L'articolo 140 c.p.p. tracciava l'iter iniziale per la sottoposizione di tali beni allo speciale regime di protezione precisando che il compito primario spettava alle Regioni, le quali compilavano,su base provinciale, due distinti elenchi uno per le lettere a) e b) e l'altro per le lettere c) e d). La compilazione pratica di tali elenchi era affidata ad una commissione istituita presso ciascuna provincia con provvedimento regionale. L'elenco approvato dalla commissione era approvato dalla regione, la quale poteva anche apportarvi modifiche. Il vincolo diveniva operativo con la pubblicazione dell'elenco. In base all'articolo 144 il Ministero per i beni culturali aveva la facoltà d'integrare gli elenchi anzidetti Per i beni mobili e immobili appartenenti a privati, spetta al Ministero dei beni culturali imporre con decreto, da notificarsi al proprietario, il vincolo su quelli che hanno un interesse storico, artistico o archeologico particolarmente importante, sicché i beni privati non potevano qualificarsi di interesse storico-artistico se non quando il relativo vincolo fosse stato notificato al proprietario. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di beni tutelati non potevano distruggerli ne' apportarvi modificazioni, esclusi gli interventi di cui all'articolo 152 c.p.p. senza l'autorizzazione regionale.
Il sistema è stato sostanzialmente confermato anche dal D.Lgs. n. 42 del 2004. Da questo complesso sistema risulta, pertanto, che il vincolo paesaggistico(escluso quello imposto per legge) e quello culturale possono nascere soltanto attraverso l'inclusione della zona in appositi elenchi, compilati con procedura garantista da una commissione provinciale, e approvata dalla regione ovvero da una dichiarazione del Ministero dei Beni Culturali, notificata all'interessato.
Ne deriva che il vincolo, che è presupposto necessario per l'obbligo della previa autorizzazione di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 151, deve essere notificato al proprietario del suolo e non può essere imposto autonomamente dall'autorità comunale per mezzo dei piani regolatori (adottati dai comuni e approvati dalla regione) o per mezzo di altri strumenti urbanistici che provvedono a stabilire la destinazione d'uso delle varie zone del territorio comunale (cfr sul punto Cass. sez. 3^ n. 4001 del 2001). Nella fattispecie non risulta individuata la natura del vincolo ne' l'autorità che lo avrebbe imposto. Risulta solo che un'autorizzazione postuma è stata rilasciata dal comune di Castrignano, ma non è chiaro se quale delegato dall'autorità regionale o quale autorità amministrativa che avrebbe imposto il vincolo. Siffatti elementi esplicitamente dedotti dall'appellante andavano chiariti.
Alla stregua delle considerazione svolte, la decisione impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello per un nuovo esame. La corte territoriale dovrà accertare la legittima imposizione del vincolo in base ai principi dianzi evidenziati e nell'eventualità che detto vincolo fosse stato imposto dal comune dovrà accertare se questo fosse munito di apposita delega. L'accoglimento del secondo motivo rende superfluo l'esame del terzo essendo logicamente prioritario l'accertamento della legittima sussistenza del vincolo.
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'articolo 623 c.p.p., annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Lecce.
Così deciso in Roma, il 15 novembre del 2005.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2005