Cass. Sez.III n. 37472 del 11 settembre 2014 (ud.6 mag. 2014)
Pres. Squassoni Est. Di Nicola Ric. Coniglio
Beni Ambientali. Distruzione o deturpamento di bellezze naturali

Il reato, formale e di pericolo, previsto dall'art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, che, indipendentemente dal danno arrecato al paesaggio, sanziona la violazione del divieto di intervento in determinate zone vincolate senza la preventiva autorizzazione amministrativa, può concorrere con la contravvenzione punita dall'art. 734 cod. pen., la quale, invece, presuppone l'effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione.

RITENUTO IN FATTO

1. 1. E' impugnata la sentenza indicata in epigrafe ed emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., con la quale il Gip presso il Tribunale di Torre Annunziata ha applicato ad C.A., su richiesta delle parti, la pena di anni uno di reclusione ed Euro 100,00 di multa con riferimento al reati di cui all'art. 349 cod. pen., e connessi reati urbanistici.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza, ricorre personalmente per cassazione C.A. affidando il gravame ad un unico motivo, col quale lamenta violazione dell'art. 129 cod. proc. pen., essendo stata omessa qualsiasi motivazione in ordine agli elementi che inducevano al proscioglimento dell'imputata atteso che non potevano ritenersi configurabili i reati urbanistici di cui ai capi b) e c) nè tantomeno il reato di cui all'art. 734 cod. pen., contestato al capo e) della rubrica.

3. Il Procuratore generale ha presentato memoria scritta concludendo per l'inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto.

2. Questa Corte ha affermato che, in caso di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., l'accordo intervenuto esonera l'accusa dall'onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l'accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (deducibile dal capo d'imputazione), con l'affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all'art. 129 cod. proc. pen., per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all'art. 27 Cost., (Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv. 234824).

Ed invero la richiesta consensuale di applicazione della pena si traduce in una scelta processuale che implica la rinuncia ad avvalersi della facoltà dì contestare l'accusa i cui termini formali e sostanziali sono stati inequivocamente "accettati" dalle parti con la richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., salvo il potere - dovere del giudice procedente della motivata verifica ex art. 129 cod. proc. pen., del resto, specificamente risultante come fatta nell'impugnata sentenza, di cause di non punibilità, con relativo obbligo di conseguente declaratoria, sempre che tali ipotesi emergano "ictu oculi" allo stato degli atti, anche attraverso eventuali, specifiche segnalazioni operate dalle parti e nella specie non risultanti.

Peraltro, dalla motivazione della sentenza e dai capi di imputazione, risulta che la ricorrente avesse proseguito nell'esecuzione di lavori nonostante gli apposti sigilli che furono violati in zona paesaggisticamente vincolata cagionando un danno ambientale rilevante (art. 734 cod. pen.,) anche attraverso la consumazione di un reato paesaggistico di maggiore gravita in quanto commesso in area dichiarata di notevole interesse pubblico (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis).

Sul punto, occorre dare continuità al principio di diritto riaffermato recentemente da questa Corte secondo il quale il reato previsto dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, può concorrere con la contravvenzione punita dall'art. 734 cod. pen., pur presupponendo quest'ultima un approfondimento del tipo di illecito in quanto richiede l'effettivo danneggiamento delle aree sottoposte a protezione (Sez. 3, n. 14746 del 28/03/2012, Matterà, Rv. 252625), attesa la diversità strutturale dei due reati - di danno (l'art. 734 cod. pen.) e di pericolo (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181) - e regolando le rispettive fattispecie incriminatrici situazioni giuridiche diverse perchè il vincolo posto su certe parti del territorio nazionale ha carattere prodromico al suo governo e ciò esclude la medesimezza di situazione (Sez. 3, Sentenza n. 4 del 09/11/1990, dep. 03/01/1991, Francucci, Rv. 186131 che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per irragionevolezza della diversità di requisiti per la punizione che ha affermato il principio con riferimento all'analoga ma previgente disciplina prevista dall'art. 1 "sexies" L. 8 agosto 1985, n. 431).

Mentre infatti nel reato previsto dall'art. 734 cod. proc. pen., il precetto può essere individuato nel divieto di cagionare distruzione o deturpamento di bellezze naturali, nel reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, il precetto è quello di non porre in essere attività in zone sottoposte allo speciale regime vincolistico senza l'autorizzazione amministrativa, a prescindere dal risultato dell'attività stessa con riguardo alle bellezze naturali aggredite, le quali possono risultare anche non danneggiate dall'attività non autorizzata, risultando perciò diversa l'oggettività fattuale delle fattispecie: nel reato previsto dall'art. 734 cod. pen., consiste nella distruzione e nel deturpamento di bellezze naturali, nel reato previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nell'eseguire un'attività senza la previa autorizzazione amministrativa (Sez. 6, n. 9749 del 17/02/1994, P.M. in proc Fazzari ed altri, Rv. 199089 che ha parimenti affermato il principio con riferimento all'analoga ma previgente disciplina prevista dall'art. 1 "sexies" L. 8 agosto 1985, n. 431, art. 181).

Peraltro, in presenza di una distruzione o alterazione di bellezze naturali, che radicherebbe pacificamente anche la fattispecie di cui all'art. 734 cod. pen., la sua esclusione comporterebbe che una condotta ulteriore e diversa da quella rientrante ne modello legale del reato paesaggistico venga considerata penalmente irrilevante, laddove non è irragionevole e rientra nella discrezioni del legislatore, nel rispetto del principio di necessaria offensivi e del ne bis in idem sostanziale, prevedere un trattamento sanzionatorio più severo per reprimere condotte prodromiche alla realizzazione di un evento di danno, sanzionando in modo autonomo, sebbene meno gravemente, anche le condotte diverse ed ulteriori produttive del danno stesso.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per, il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata, in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 6 maggio 2014.