Cass. Sez. III n. 6726 del 12 febbraio 2018 (Ud 22 nov 2017)
Presidente: Di Nicola Estensore: Mengoni Imputato:Triolo
Beni Ambientali.Pesca in area marina protetta

L’art. 19, comma 3, lett. a), l. n. 394 del 1991, a mente della quale nelle aree marine protette sono vietati “la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l'asportazione di minerali e di reperti archeologici”, al pari delle lettere seguenti, non costituisce affatto un’elencazione tassativa delle condotte vietate, da leggere atomisticamente ed in termini assoluti, ma rappresenta soltanto un’esemplificazione di comportamenti che il legislatore intende impedire, alla luce dell’idoneità – anche solo potenziale – degli stessi ad arrecare nocumento al bene giuridico protetto. Con riguardo al quale, dunque, ed anche in ragione del rango costituzionale ricoperto dallo stesso, è stata predisposta una tutela anticipata, che arretra la soglia di punibilità a condotte anche solo prodromiche al danno ambientale, potenzialmente capaci di cagionarlo e, pertanto, vietate a prescindere dal verificarsi di questo.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16/11/2016, il Tribunale di Trapani dichiarava Giuseppe Triolo, Riccardo Paladino, Carmelo Sciarrotta e Fabio Vassallo colpevoli della contravvenzione di cui agli artt. 19, comma 3, lett. a), 30, l. 6 dicembre 1991, n. 394 e, per l’effetto, condannava Triolo e Sciarrotta alla pena di mille euro di ammenda ciascuno e Paladino e Vassallo a quella di 700,00 euro di ammenda ciascuno; agli stessi – con rubrica autonoma e non concorsuale – era ascritto di aver illecitamente effettuato attività di pesca subacquea all’interno dell’area marina protetta “Isole Egadi”.
2. Propongono ricorso per cassazione i quattro imputati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
Paladino e Vassallo (gravame congiunto):
- vizio di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, 544, 546 cod. proc. pen., erronea applicazione delle norme contestate; carenza di motivazione quanto all’art. 131-bis cod. pen.. Il Tribunale avrebbe affermato la responsabilità dei ricorrenti senza individuare quale condotta gli stessi avessero tenuto; il loro nominativo, infatti, non sarebbe stato accostato ad alcun comportamento specifico, né alcun concorso sarebbe risultato ravvisabile in eventuali illeciti da altri tenuti. In tale contesto, e non conoscendosi cosa i ricorrenti stessero facendo al momento dell’intervento della Guardia costiera, la sentenza avrebbe dunque dovuto giustificare la condanna con ben altro sostegno argomentativo, sì da imporsene l’annullamento. Con riguardo, poi, alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la relativa richiesta sarebbe stata del tutto trascurata dal Tribunale che, al riguardo, non avrebbe speso alcuna motivazione; con richiesta a questa Corte, quindi, in caso di riconosciuta responsabilità, di applicare direttamente l’istituto in oggetto;
Triolo:
- violazione dell’art. 19, comma 3, lett. a) contestato, in relazione all’art. 1 cod. pen.. In spregio al principio di legalità a fondamento del nostro sistema penale, il ricorrente sarebbe stato condannato per una condotta non sanzionata dalla norma in oggetto; l’illecito contestato al Triolo, peraltro nella forma consumata, non rientrerebbe infatti in nessuna delle ipotesi ivi tassativamente indicate, sì da doversi censurare l’interpretazione estensiva offerta dal Giudice della norma in esame;
- mancanza, manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione. Nessuna risposta sarebbe stata offerta dal Tribunale con riguardo all’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen., per quanto espressamente invocato in udienza. Analoga censura, poi, è mossa quanto alle circostanze attenuanti generiche, che sarebbero state negate al ricorrente – sì come a Sciarrotta, ma diversamente da Paladino e Vassallo - senza alcuna ragione apparente;
Sciarrotta:
- inosservanza degli artt. 131-bis cod pen., 125, comma 3, cod. proc. pen.; la relativa istanza sarebbe stata del tutto disattesa dal Tribunale, in difetto di ogni motivazione;
- inosservanza di norme processuali e sostanziali quanto al trattamento sanzionatorio, giudicato eccessivo alla luce dei profili oggettivi e soggettivi della vicenda, in uno con il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi risultano fondati nei termini che seguono.
Con riguardo, innanzitutto, ai gravami proposti da Paladino e Vassallo, gli stessi meritano accoglimento. La sentenza impugnata, infatti, lascia solo comprendere (rectius: immaginare) che i due imputati fossero stati sorpresi nei pressi del natante di proprietà dello Sciarrotta, probabilmente in acqua; nulla è dato sapere, tuttavia, in ordine a quanto gli stessi stessero lì compiendo, ovvero se stessero pescando o meno, e con quali strumenti, ed in che termini avessero eventualmente concorso alla detenzione – in capo al citato Sciarrotta – del fucile subacqueo e dei 7 chili di saraghi, rinvenuti a bordo della medesima imbarcazione.
 Con riguardo a tali ricorrenti, pertanto, si impone l’annullamento della sentenza con rinvio, per nuovo giudizio.
5. Solo parzialmente fondati, per contro, risultano poi i gravami proposti da Triolo e Sciarrotta.
Con riguardo al primo, si osserva innanzitutto che risponde al vero l’argomento difensivo secondo cui l’imputazione mossa concerne l’art. 19, comma 3, lett. a), l. n. 394 del 1991, a mente della quale nelle aree marine protette sono vietati “la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l'asportazione di minerali e di reperti archeologici”; del pari, risponde al vero che nell’imbarcazione del ricorrente non era stato rinvenuto pesce, al momento dell’accertamento, sì da non potersi individuare alcuna attività di “cattura” nei termini richiamati. Rileva questa Corte, tuttavia, che la lettera a) del comma 3 in esame, al pari di quelle seguenti, non costituisce affatto un’elencazione tassativa delle condotte vietate, da leggere atomisticamente ed in termini assoluti, ma rappresenta soltanto un’esemplificazione di comportamenti che il legislatore intende impedire, alla luce dell’idoneità – anche solo potenziale – degli stessi ad arrecare nocumento al bene giuridico protetto. Con riguardo al quale, dunque, ed anche in ragione del rango costituzionale ricoperto dallo stesso, è stata predisposta una tutela anticipata, che arretra la soglia di punibilità a condotte anche solo prodromiche al danno ambientale, potenzialmente capaci di cagionarlo e, pertanto, vietate a prescindere dal verificarsi di questo. Solo in questi termini, infatti, può leggersi la prescrizione di cui alla lett. c) del comma in oggetto, che non consente – nelle aree protette marine – lo svolgimento di attività pubblicitarie tout court; al pari, poi, di quella sub lett. e), che vieta nelle stesse aree la navigazione a motore, comunque ed in ogni caso, senza neppure accennare all’accertamento di un danno al patrimonio floro-faunistico tutelato, ritenuto non necessario proprio in ragione della citata anticipazione della soglia penale. Non meno rilevante, in tale contesto, risulta poi la lett. d), che vieta l’introduzione di armi, di esplosivi e ogni altro mezzo distruttivo e di cattura; ed invero, ed al di là della circostanza che il Triolo era stato rinvenuto in acqua “ancora imbracciante un fucile da caccia subacqueo”, emerge evidente che la previsione in esame – lungi dalla proposta lettura “atomistica” – deve esser valutata nel complesso dell’intera disposizione, come parte di un tutto omogeneo e partecipe della medesima ratio, sol così potendosi giustificare, ad esempio, la ripetizione del riferimento alla cattura, già contenuto nella lett. a) del medesimo comma.
6. E che si tratti di un’elencazione solo esemplificativa, come peraltro già affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 3687 dell’11/12/2013, Visintin, Rv. 258493; Sez. 3, n. 23054 del 23/4/2013, Mancini, Rv. 256171), risulta infine – ma con priorità argomentativa – dall’incipit dell’art. 19, comma 3, in esame, che individua il fondamento della previsione tutta e ne regge l’intero, successivo sviluppo; incipit a mente del quale “nelle aree protette marine sono vietate le attività che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell’ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell’area”, con successiva indicazione delle varie condotte che “in particolare sono vietate”. Orbene, la previsione appena indicata lumeggia, con assoluta chiarezza, proprio quell’anticipazione della soglia penale già sopra richiamata, che il legislatore ha inteso predisporre per garantire il patrimonio ambientale de quo non solo da comportamenti concretamente lesivi dell’assetto floro-faunistico (ad esempio, cattura del pesce, danneggiamento delle specie vegetali, alterazione dell’ambiente geofisico), come tali valutati in atto, ma anche da condotte che – con giudizio potenziale ed accertamento presuntivo – possono compromettere il bene medesimo, risultando comunque a ciò propedeutiche, strumentali o funzionali, anche sorrette solo con atteggiamento colposo.
Esattamente quanto riscontrato a carico del Triolo, sorpreso – si ribadisce – in acqua e con fucile da caccia.
7. Del pari, il ricorso di questi – come quello dello Sciarrotta sul punto – deve esser poi rigettato quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, invero mai richieste dagli imputati, come da lettura del verbale a data 16/11/2016. Deve qui ribadirsi, quindi, il costante indirizzo a mente del quale il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (per tutte, Sez. 3, n. 11539 dell’8/1/2014, Mammola, Rv. 258696).  
8. Gli stessi ricorsi Triolo e Sciarrotta, per contro, meritano accoglimento quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.; malgrado l’espressa richiesta dagli stessi formulata (come da verbale citato ed intestazione della stessa pronuncia in esame), infatti, nessun argomento è stato impiegato in sentenza, sì da risultare la domanda del tutto pretermessa e fondata la relativa doglianza motivazionale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente a Paladino Riccardo e Vassallo Fabio per nuovo giudizio e limitatamente a Triolo Giuseppe e Carmelo Sciarrotta in ordine alla applicabilità dell’articolo 131-bis del codice penale e rinvia al Tribunale di Trapani.
Rigetta nel resto i ricorsi di Triolo Giuseppe e Sciarrotta Carmelo.
Così deciso in Roma, il  22 novembre 2017