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Sez. 3, Sentenza n. 6106 del 11/01/2005 Cc. (dep. 17/02/2005 ) Rv. 230677
Presidente: Papadia U. Estensore: Sarno G. Relatore: Sarno G. Imputato: Schiattarella. P.M. D'Angelo G. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Libertà Salerno, 15 Ottobre 2004)
BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) - IN GENERE - Sentenza di condanna per violazioni paesaggistiche - Ordine di rimessione in pristino - Esecuzione - Autorizzazione paesaggistica - Necessità in generale - Esclusione - Ipotesi nelle quali è richiesta - Individuazione.

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Massima (Fonte CED Cassazione)

In materia paesaggistica, l'attività rivolta all'ottemperanza dell'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi impartito dal giudice con la sentenza di condanna non richiede la preventiva autorizzazione dell'autorità proposta alla tutela del vincolo, atteso che si tratta di rimuovere le conseguenze di un'intervento illecito eliminando il"vulnus" arrecato al paesaggio; peraltro nelle ipotesi nelle quali l'ambiente sia stato sconvolto dall'intervento e compromesso in modo irreversibile si rende necessario il rilascio dell'autorizzazione ambientale in quanto occorre provvedere ad una nuova e diversa sistemazione dei luoghi.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 11/01/2005
Dott. VITALONE Claudio - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00007
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 041708/2004
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) SCHIATTARELLA BONAVENTURA, N. IL 23/01/1951;
avverso ORDINANZA del 15/10/2004 TRIB. LIBERTÀ di SALERNO;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SARNO GIULIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. D'ANGELO Giovanni rigetto del ricorso.
OSSERVA
Schiattarella Bonaventura, indagato per il reato di cui all'art. 44 DPR 380/99, ha proposto ricorso per Cassazione in relazione al provvedimento con il quale il Tribunale di Salerno ha rigettato l'appello avverso il provvedimento del GIP che aveva respinto la richiesta di sequestro per il ripristino dello stato dei luoghi di un manufatto.
I lavori abusivamente realizzati erano consistiti nello sbancamento in roccia e terreno vegetale per consentire la creazione di nuovi locali e volumi di una struttura alberghiera in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
A corredo dell'istanza il ricorrente aveva prodotto l'autorizzazione ad eseguire i lavori rilasciata dall'Ufficio tecnico del Comune di Paiano in quanto, come affermato dal ricorrente medesimo, era stata constatata l'impossibilità di procedere al semplice ripristino dei luoghi, rendendosi comunque necessari, a seguito dei lavori che avevano determinato il sequestro, interventi per il consolidamento del fabbricato. Il provvedimento citato era stato preceduto, peraltro, da una delibera della Commissione Edilizia Comunale Integrata che, chiamata ad esaminare il progetto dei lavori in applicazione della legge regionale n. 10/1982, aveva ritenuto non necessario rimuovere il vincolo paesaggistico di cui all'art. 7 l. 1497/39 trattandosi di intervento ripristinatorio. Il GIP aveva rigettato la richiesta di dissequestro sul presupposto che l'intervento consisteva non già in un mero ripristino dello stato dei luoghi bensì in una risistemazione in sanatoria in relazione alla quale occorreva eseguire i dovuti accertamenti per verificarne la legittimità.
Il Tribunale del riesame, investito dell'appello, ha confermato il provvedimento impugnato, rimarcando l'insufficienza dell'autorizzazione comunale e la necessità del rilascio del permesso di costruire in sanatoria con i pareri e le autorizzazioni favorevoli delle autorità amministrative preposte alla tutela del vincolo per la particolare natura e pregio della zona di insistenza delle opere in questione.
Il ricorso per Cassazione si fonda su un unico motivo. Il ricorrente ha, infatti, eccepito la violazione dell'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. sostenendo che i lavori da effettuare erano finalizzati non già a sanare gli abusi contestati, bensì a riportare il fabbricato nello stato precedente.
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Appare innanzitutto incontroverso che la richiesta di dissequestro è stata formulata a seguito di una specifica ordinanza del Comune con cui veniva disposta la riduzione in pristino dei luoghi e che ciò non poteva avvenire attraverso la semplice rimozione delle opere realizzate.
Ora, se è vero che l'attività rivolta all'effettivo ripristino, di norma non richiede previa autorizzazione paesistica, poiché non comporta trasformazione ambientale, ma rimuove le conseguenze di una trasformazione illecita ed incongrua, eliminando il "vulnus" arrecato al paesaggio, è pur vero che la necessità di un intervento di autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo si può profilare nelle ipotesi in cui l'ambiente sia stato irreversibilmente compromesso e sconvolto dall'intervento illecito, sicché l'attività di ripristino dovrebbe comunque comportare una nuova sistemazione dei luoghi, con innovazioni che si prospettano idonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio (Sez. 3, n. 23226 del 2004). Analogamente si deve ragionare con riferimento alla disciplina urbanistica circa la necessità per la pubblica amministrazione di assentire i lavori che si rendono necessari in sede di ripristino allorquando l'azione di ripristino stessa comporti mutamenti rispetto alla situazione preesistente. Appare peraltro evidente che, ove non sia possibile il ripristino nelle condizioni originarie, al momento di decidere sulla richiesta di dissequestro per consentire l'esecuzione dei lavori necessari, il giudice non può limitarsi a prendere semplicemente atto dell'esistenza di un provvedimento proveniente dalla pubblica amministrazione che, in aggiunta all'ordine di ripristino medesimo, consenta i mutamenti prospettati.
In linea con gli orientamenti più volte espressi da questa Corte in merito al sindacato consentito al giudice penale in presenza di atti amministrativi finalizzati alla realizzazione di opere edilizie o alla sanatoria di abusi in precedenza perpetrati, si deve, infatti, ritenere che, anche al momento della decisione sul dissequestro, compete, comunque, al giudice penale la verifica in merito alla legittimità dello specifico provvedimento autorizzatorio emesso, e ciò sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. Correttamente, dunque, il Tribunale, come aveva già fatto il GIP, non si è fermato alla constatazione dell'esistenza di un provvedimento autorizzatorio dei nuovi lavori da effettuare in occasione al ripristino dei luoghi ma ha proceduto alla verifica della legittimità del provvedimento stesso in ragione dei contenuti. In maniera altrettanto corretta il giudizio è stato espresso considerando non solo la tipologia dei lavori da eseguire ma anche gli effetti che dall'esecuzione dei lavori medesimi sarebbero derivati tenuto conto di quanto già abusivamente realizzato. Al riguardo si appalesano, pertanto, legittime le motivazioni dei giudici di merito che, sia in relazione ai profili ambientali che a quelli edilizi, hanno ritenuto necessario procedere ad ulteriori accertamenti evidenziando l'aumento di volumetria ottenuto attraverso i lavori di sbancamento di roccia e di terreno vegetale in zona vincolata e l'effetto sanante rispetto ai pregressi abusi dei lavori di ripristino che si intendevano realizzare.
L'analisi di questa Corte non può peraltro spingersi oltre, giungendo, come vorrebbe il ricorrente, sino alla verifica di asseriti errori di fatto in cui sarebbero incorsi i giudici di merito.
E, infatti, ostativo il disposto dell'art. 325 c.p.p., evidentemente applicabile anche nel caso di specie, che, limitando l'ambito del giudizio di legittimità alla sola violazione di legge, inibisce secondo l'orientamento oramai prevalente di questa Corte, ogni analisi sulla congruità e sulla logicità della motivazione. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2005