Consiglio di Stato Ad. Plen. n. 13 del 22 dicembre 2017
Beni Ambientali.Cessazione degli effetti delle proposte di vincolo
l combinato disposto – nell’ordine logico – dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni. Il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della sentenza dell’Adunanza plenaria che ha risolto la questione relativa alla cessazione degli effetti del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni (segnalazione Avv. M. BALLETTA).
Pubblicato il 22/12/2017
N. 00013/2017REG.PROV.COLL.
N. 00009/2017 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 9 di A.P. del 2017, proposto da:
Era - Energia Rinnovabile Ambientale s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Michele Rosario Luca Lioi, Stefano Viti, con domicilio eletto presso lo studio Michele Lioi in Roma, viale Bruno Buozzi, 32;
contro
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Soprintendenza Beni Archit. e Paes. e Patrim. Stor. Art. e Etnoant. del Molise, non costituita in giudizio;
nei confronti di
Regione Molise, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Molise, Sezione I, n. 92 del 26 febbraio 2016, concernente diniego autorizzazione per la realizzazione di un impianto di produzione di energia eolica.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2017 il Cons. Francesco Bellomo e uditi per le parti l’avvocato Lioi Michele Rosario Luca, e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. In data 21 ottobre 2013 Energia rinnovabile ambientale (Era) s.r.l. ha domandato alla Regione Molise il rilascio dell’autorizzazione unica, prevista dall’art. 12 d.lgs. 387/2003, per la costruzione ed esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica da fonte eolica nel Comune di Miranda, località San Andrino e Serra Iapietro.
A tal fine la società aveva interpellato la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Molise, chiedendo notizie circa l’eventuale esistenza di procedimenti di tutela paesaggistica o di accertamento della sussistenza di beni archeologici, in corso alla data di presentazione della sua istanza.
La Soprintendenza, in un primo tempo, con nota 15 novembre 2013, rispondeva negativamente, affermando l’insussistenza di vincoli nell’intero territorio del Comune di Miranda; ma, in un secondo tempo, con nota 22 maggio 2014 n. 3788, comunicava che “a seguito di una più attenta ricerca di archivi … risultano vigenti i vincoli di tutela paesaggistica a seguito delle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico, di cui alla nota protocollo n. 19467 del 12 novembre 2001 ed alla nota protocollo n. 1381 del 20 giugno 2002”.
La società replicava che si trattava di mere proposte di vincolo, il cui procedimento non si era mai concluso, tant’è che lo stesso Comune di Miranda, accertato il superamento del termine di 210 giorni previsto dal DPR n. 495/1994 per la conclusione del procedimento, aveva preso atto della loro decadenza con delibera del Consiglio Comunale 30 dicembre 2004 n. 37.
Con note 26 settembre 2014 n. 0007292 e 0007306, alla luce del parere 3 novembre 2009 n. 21909 del Ministero per i beni e le attività culturali (secondo il quale l’art. 157, comma 2 d.lgs. n. 42 del 2004 ha la funzione di salvaguardare l’efficacia degli atti istruttori relativi ai procedimenti di dichiarazione di interesse paesaggistico anche se non perfezionati o privi di disciplina d’uso), la Soprintendenza ha:
- dichiarato la persistente efficacia delle proposte di dichiarazione di interesse pubblico di parte del territorio del Comune di Miranda;
- disposto che “nelle more della definizione del decreto e della sua emanazione da parte della Direzione Regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Molise, insieme con la relativa disciplina d’uso, vigono le norme di salvaguardia e gli obblighi di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42/2004” nell’area interessata.
2. Era s.r.l. ha impugnato dinanzi al Tar del Molise le note gemelle del 26 settembre 2014, quella del 22 maggio 2014, le proposte di vincolo risalenti al 2001 e al 2002.
Con sentenza n. 92/2016 il Tar ha:
- dichiarato irricevibile il primo motivo, con cui erano state censurate le proposte di vincolo del 2001 e 2002;
- respinto i motivi dal secondo al sesto;
- assorbito l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado fondata sulla natura endoprocedimentale delle note del 22 maggio e 26 settembre 2014;
- dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del Ministero avverso le delibere comunali del 2004 che avevano dichiarato decadute le proposte di vincolo.
Con riguardo alla questione oggetto del presente giudizio, il Tar ha ritenuto preferibile l’interpretazione secondo la quale la proposta di vincolo formulata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 conserva efficacia anche in assenza di approvazione mediante adozione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, poiché:
a) alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 42 del 2004 ha continuato a trovare applicazione la medesima disciplina ricavata dall’interpretazione degli artt. 2, 3 e 7 della legge n. 1497 del 1939 (Consiglio di Stato, VI sezione, 3 ottobre 1994, n. 1473 e 1 marzo 1995, n. 212), confermata dall’art. 140 del d.lgs. n. 490 del 1999, secondo la quale, relativamente alle c.d. bellezze di insieme, la tutela dei valori paesaggistici (che si sostanzia nella necessità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica per poter modificare i beni soggetti a tutela) si esplica dal momento in cui la proposta di vincolo è pubblicata nell’albo dei Comuni interessati, a scopo cautelativo, sino alla adozione del provvedimento finale;
b) l’art. 157, comma 2 d.lgs. n. 42/2004, nel richiamare le norme di tutela del capo terzo, ha stabilizzato il regime giuridico delle proposte di vincolo preesistenti, non prevedendo forme di decadenza del vincolo, termini perentori per il perfezionamento della procedura o forme di silenzio. Detta disposizione non ha subito alcuna modifica ad opera del d.lgs. n. 157/2006 e del d.lgs. n. 63/2008, che hanno invece sostituito l’art. 141 d.lgs. n. 42/2004, introducendo la decadenza per le proposte non tempestivamente approvate dal Ministro: l’art. 141, comma 3, ultimo periodo, nel testo vigente tra i due decreti, ha previsto che “in caso di inutile decorso del predetto termine cessano gli effetti di cui all’articolo 146, comma 1”; l’art. 141, comma 5, nel testo attualmente vigente, ha previsto che “se il provvedimento ministeriale di dichiarazione non è adottato nei termini di cui all’articolo 140, comma 1, allo scadere dei detti termini, per le aree e gli immobili oggetto della proposta di dichiarazione, cessano gli effetti di cui all’articolo 146, comma 1”. Da ciò consegue che tali previsioni non sono applicabili alle proposte di vincolo formulate antecedentemente alla entrata in vigore del Codice;
c) una diversa conclusione si porrebbe in conflitto con l’interpretazione letterale e sistematica dell’art. 157, comma 2, il quale non prevede un rinvio mobile, suscettibile di recepire le successive modifiche normative, poiché ciò comporterebbe, oltre che un contrasto con l’intenzione del legislatore, anche la retroattività delle norme sopravvenute ed una violazione del principio tempus regit actum;
d) le finalità di tutela del paesaggio, garantite dall’art. 9 della Costituzione, che integrano un interesse pubblico preminente rispetto ad altri interessi, risulterebbero compromesse da un esito interpretativo che facesse derivare implicitamente una indiscriminata e generalizzata decadenza di tutte le proposte di vincolo non ancora approvate presenti sull’intero territorio nazionale indipendentemente dalla data della loro formulazione, entro i brevi termini di decadenza previsti dall’art. 141 del d.lgs. n. 42/2004, nel testo modificato dal d.lgs. n. 1572006 e dal d.lgs. n. 63/2008, senza neppure la predisposizione di misure organizzative idonee a consentire alle Soprintendenze un’effettiva verifica da svolgersi caso per caso del permanere delle esigenze di tutela e della loro effettiva consistenza (problema che non si pone per le proposte di vincolo formulate successivamente, perché le Amministrazioni, edotte degli effetti della propria eventuale inerzia, sono state poste dal legislatore nelle condizioni di programmare la propria attività in base alle risorse disponibili).
3. Era s.r.l. ha proposto appello, deducendo con il secondo motivo di censura: decadenza della proposta di vincolo; erronea interpretazione degli artt. 39, 140, 141, 157, 183 e 184 d.lgs. n. 42/2004; violazione dell’art. 13.3 Linee Guida Regione Molise per il procedimento unico ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003; violazione del principio tempus regit actum.
L’appellante sviluppa i seguenti argomenti:
a) non può opporsi il divieto di retroattività della legge nel caso della applicazione di normative che siano intervenute quando il procedimento amministrativo sia ancora in corso, poiché, se in pendenza di un procedimento interviene una nuova disposizione, il provvedimento che ne è l’epilogo deve necessariamente adeguarsi a quest’ultima. Nel caso di specie, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 63/2008, che ha introdotto la norma sulla decadenza, il termine ivi previsto ha iniziato a decorrere integralmente anche per le proposte di vincolo già presentate;
b) mentre esiste una disposizione – appunto l’art. 157 – che assoggetta alla regola introdotta dal d.lgs. n. 63/2008 anche le proposte di vincolo precedenti, non esiste nessuna norma che escluda l’applicabilità del termine di decadenza a tali proposte;
c) l’esistenza di termini certi per la conclusione dei procedimenti è confermata in via generale dalla legge n. 241/1990.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali e, ad adiuvandum dell’appellante, il Comune di Miranda.
4. All’esito dell’udienza del 20 dicembre 2016 la VI Sezione, ravvisando un contrasto di giurisprudenza, ha deferito all’Adunanza Plenaria la seguente questione: «se, a mente del combinato disposto degli articoli 140, 141 e 157, co. 2 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – come modificati dapprima con il d.lgs. 24 marzo 2006 n. 157, e poi, con il d.lgs. 26 marzo 2008 n. 63 – le proposte di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, e per le quali non vi sia stata conclusione del relativo procedimento con l’adozione del decreto ministeriale recante la dichiarazione di notevole interesse pubblico, cessino di avere effetto».
L’appellante e il Ministero hanno depositato ulteriori memorie.
La causa è passata in decisione all’udienza Plenaria dell’11 ottobre 2017.
DIRITTO
1. Nel quadro normativo anteriore al d.lgs. n. 42 del 2004 la tutela paesaggistica si esplicava fin dal momento in cui la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico era pubblicata nell’albo del Comune interessato e perdurava sine die, non essendo previsto un termine di efficacia della misura ovvero di consumazione del potere vincolistico, per cui l’adozione del provvedimento finale poteva intervenire anche a notevole distanza di tempo, senza che venisse meno l’effetto preliminare di vincolo.
All’origine di questa disciplina vi era l’interpretazione della legge n. 1497 del 1939, la quale prevedeva che una commissione istituita in ciascuna provincia compilasse un elenco di località (“i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, nonché “le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”), valevole come proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
L’art. 2 stabiliva all’ultimo comma che “L’elenco delle località, così compilato, e ogni variante, di mano in mano che vi s’introduca sono pubblicati per un periodo di tre mesi all’albo di tutti i Comuni interessati della Provincia, e depositati oltreché nelle segreterie dei Comuni stessi …”.
Il successivo art. 7 stabiliva:
“I proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, dell'immobile, il quale sia stato oggetto nei pubblicati elenchi delle località, non possono distruggerlo né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che è protetto dalla presente legge.
Essi, pertanto, debbono presentare i progetti dei lavori che vogliano intraprendere alla competente regia Soprintendenza e astenersi dal mettervi mano sino a tanto che non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione”.
Ancorché non fosse espressamente previsto che la proposta generasse gli effetti di cui all’art. 7, il riferimento ivi operato agli elenchi pubblicati faceva ritenere che dal momento della pubblicazione l’area fosse assoggettata alle relative prescrizioni.
Tale disciplina è stata nella sostanza trasfusa nel d.lgs. 190 del 1999 (cfr. art. 140 commi 5 e 6; art. 151, commi 1 e 2).
Il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, d’ora in avanti Codice) ha recepito questo sistema, prevedendo l’effetto di vincolo nell’art. 146, e legandolo anche alle proposte nell’art. 138.
L’art. 146, nel testo originario, stabiliva:
“1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree oggetto degli atti e dei provvedimenti elencati all'articolo 157, oggetto di proposta formulata ai sensi degli articoli 138 e 141, tutelati ai sensi dell'articolo 142, ovvero sottoposti a tutela dalle disposizioni del piano paesaggistico, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione.
2. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo dei beni indicati al comma 1, hanno l’obbligo di sottoporre alla regione o all'ente locale al quale la regione ha affidato la relativa competenza i progetti delle opere che intendano eseguire, corredati della documentazione prevista, al fine di ottenere la preventiva autorizzazione”.
L’art. 138, nel testo originario, stabiliva:
1. Su iniziativa del direttore regionale, della regione o degli altri enti pubblici territoriali interessati, la commissione indicata all'articolo 137, acquisisce le necessarie informazioni attraverso le soprintendenze e gli uffici regionali e provinciali, valuta la sussistenza del notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136, e propone la dichiarazione di notevole interesse pubblico. La proposta è motivata con riferimento alle caratteristiche storiche, culturali, naturali, morfologiche ed estetiche proprie degli immobili o delle aree che abbiano significato e valore identitario del territorio in cui ricadono o che siano percepite come tali dalle popolazioni e contiene le prescrizioni, le misure ed i criteri di gestione indicati all'articolo 143, comma 3.
2. Le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico sono dirette a stabilire una specifica disciplina di tutela e valorizzazione, che sia maggiormente rispondente agli elementi peculiari e al valore degli specifici ambiti paesaggistici e costituisca parte integrante di quella prevista dal piano paesaggistico”.
A seguito delle modifiche intervenute con il d.lgs. n. 63 del 2008, l’effetto preliminare della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico è stato diversamente esplicitato, ma ha mantenuto le stesse caratteristiche.
L’art. 146, nel testo vigente, prevede:
“1. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione”.
“2. I soggetti di cui al comma 1 hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”.
L’art. 139, nel testo vigente, stabilisce:
“1. La proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui all'articolo 138, corredata di planimetria redatta in scala idonea alla puntuale individuazione degli immobili e delle aree che ne costituiscono oggetto, è pubblicata per novanta giorni all'albo pretorio e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici dei comuni interessati. La proposta è altresì comunicata alla città metropolitana e alla provincia interessate.
2. […] Dal primo giorno di pubblicazione decorrono gli effetti di cui all’articolo 146, comma 1”.
Nella formulazione originaria del Codice, come nella disciplina anteriore, non era prevista nessuna decadenza allo spirare del termine di conclusione del procedimento senza che fosse intervenuta l’approvazione della proposta.
Una disciplina del genere è stata introdotta nel Codice con le modifiche intervenute prima ad opera del d.lgs. 157 del 2006, poi ad opera del d.lgs. n. 63 del 2008.
L’art. 141, comma 3, nel testo vigente a seguito del d.lgs. 157 del 2006, stabiliva:
“Il Ministero valuta le osservazioni presentate ai sensi dell'articolo 139, comma 5, e provvede con decreto entro novanta giorni dalla data di scadenza del termine per la presentazione delle osservazioni. Il decreto di dichiarazione di notevole interesse pubblico è notificato, depositato, trascritto e pubblicato nelle forme previste dall'articolo 140, commi 3, 4 e 5. In caso di inutile decorso del predetto termine cessano gli effetti cui all'articolo 146, comma 1”.
L’art. 141, comma 5, nel testo oggi vigente, stabilisce che “Se il provvedimento ministeriale di dichiarazione non è adottato nei termini di cui all’art. 140, comma 1, allo scadere di detti termini, per le aree e gli immobili oggetto della proposta di dichiarazione, cessano gli effetti di cui all’art. 146, comma 1”.
In base al combinato disposto dell’art. 140, comma 1 e 139, comma 5 il termine per l’adozione del provvedimento ministeriale di dichiarazione è di 180 giorni dalla pubblicazione della proposta.
In questo dedalo normativo si inserisce l’art. 157, comma 2, il quale, sin dall’inizio, ha previsto che “Le disposizioni della presente Parte si applicano anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del presente Codice, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico”.
Da un lato, dunque, la norma transitoria sembra conservare l’efficacia limitativa delle proposte di vincolo anteriori all’entrata in vigore del Codice, dall’altro la nuova disciplina stabilisce espressamente la cessazione degli effetti limitativi derivanti dalla proposta di vincolo allo scadere del termine per la conclusione del procedimento.
Su questo dilemma si insinua il dubbio ermeneutico prospettato dall’ordinanza di rimessione, i cui termini possono riepilogarsi.
2. La tesi secondo cui le proposte di vincolo avanzate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 42/2004 conservino efficacia, ancorché i relativi procedimenti non si siano conclusi nel termine legale, pur dopo le modifiche all’art. 141, è sostenuta dalla tradizionale e prevalente giurisprudenza amministrativa (da ultimo Consiglio di Stato, VI sezione, 27 luglio 2015 n. 3663).
A sostegno della tesi i seguenti argomenti:
- il legislatore, a fronte dell’introduzione della perdita di efficacia delle misure di tutela per il mancato rispetto del termine di adozione del decreto ministeriale di approvazione della proposta, non ha invece modificato l’art. 157, comma 2 del Codice, né questo contiene un rinvio mobile, di modo che le forme di decadenza successivamente introdotte non sono applicabili alle proposte formulate anteriormente alla sua entrata in vigore;
- per contro l’applicazione del sopravvenuto regime di perdita di efficacia delle misure di tutela avrebbe natura retroattiva e contrasterebbe con il principio tempus regit actum;
- la insensibilità delle antecedenti proposte al nuovo regime si giustifica, sul piano sistematico e secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, con la finalità di tutela del paesaggio, in attuazione dell’art. 9 Cost., posto che, diversamente opinando, si avrebbe una indiscriminata e generalizzata decadenza di tutte le proposte di vincolo non ancora approvate presenti sull’intero territorio nazionale indipendentemente dalla data della loro formulazione, entro i brevi tempi di decadenza previsti dall’art. 141 del d.lgs. n. 42/2004.
A tale orientamento aderisce anche la giurisprudenza penale: «la proposta di vincolo, formulata dalla competente commissione alla data di entrata in vigore del D.Lvo. n. 42/2004, conserva efficacia anche in assenza della adozione di dichiarazione di notevole interesse pubblico (Sez. III n. 16476, 28 aprile 2010)» e ciò si basa «sul tenore letterale dell’articolo 157, comma secondo, D.Lvo. n. 42/2004, il quale prevede l’applicabilità delle disposizioni contenute nella Parte Terza del decreto anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico» (Cass. pen. sez. III, 12 gennaio 2012 n. 6617).
La tesi contraria è stata di recente sostenuta dalla VI Sezione del Consiglio di Stato (16 novembre 2016 n. 4746):
«Se, invero, potesse ammettersi una tipologia di proposte di vincolo ante d.lgs. n. 42/2004 suscettibili di sopravvivere, in quella che pur sempre è ed è stata una loro precarietà, al nuovo regime di omologhe proposte formulate dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni recate in argomento da questo testo legislativo, occorrerebbe riconoscere allora che quelle più antiche sono, in realtà, delle super proposte. In altri termini, proposte dotate di un loro proprio quid pluris che, appunto, ne assicura la sopravvivenza sine die, pur in assenza di una qualche prospettiva di materiale conclusione del procedimento (di apposizione di vincolo) che con esse si avviò.
Epperò, allora, dovendosi escludere (in primo luogo sul piano logico) che una maggiore qualità di tali più antiche proposte derivi proprio dalla loro età (urtando il buon senso l’astratto assunto secondo il quale più invecchiasse un procedimento di apposizione di vincolo, senza una sua definitiva e formale conclusione, più esso denoterebbe un oggetto da tutelare di maggior pregio e qualità), resta il fatto che delle due l’una: o della maggiore robustezza delle proposte di vincolo più antiche vi è asserzione esplicita nella legge o la loro robustezza maggiore dovrebbe derivare da una “gerarchia” di pregi da tutelare in cima ai quali collocare quelli oggetto, appunto, delle proposte di vincolo più vecchie.
Dell’una e dell’altra ipotesi, tuttavia, né v’è traccia espressa nella legge (oggi il d.lgs. n. 42/2004) né v’è menzione nella prassi amministrativa conosciuta né (cosa ancor più importante) v’è indicazione esplicita e circostanziata nella posizione assunta dall’Amministrazione statale nel caso qui in esame.
Deve allora concludersi, sul piano logico, che, in assenza di questa ipotetica maggiore qualità nelle proposte di vincolo più antiche, per esse valga piuttosto proprio l’assunto logico contrario, ossia che la mancata conclusione del provvedimento di trasformazione del vincolo da proposto a definitivo denoti invece l’affievolimento e poi lo svanire, col passar del tempo, dell’interesse pubblico che aveva inizialmente giustificato la misura precauzionale (connessa alla proposta di vincolo) tesa ad assicurare particolare protezione a determinati beni o loro insiemi …
Peraltro, questi argomenti, che si giustificano e paiono sufficienti sul piano logico e del buon senso, ben possono poi incrociarsi col dato letterale della norma dal cui contenuto il dubbio interpretativo è maggiormente scaturito, ossia l’art. 157 del d.lgs. n. 42/2004.
Quest’ultimo afferma che “conservano efficacia a tutti gli effetti” una serie di atti (dichiarazioni, elenchi, provvedimenti) che, per come indicati dalla legge, sicuramente fanno riferimento ad atti formali e definitivi, non dunque a semplici loro proposte.
Le (mere) proposte, come tali, in altri termini non risultano salvaguardate dalla legge dal punto di vista della conservazione della loro efficacia.
Anche letteralmente, dunque, la norma primaria non induce – dal punto di vista dell’interpretazione ragionevole – a conclusioni nel senso di una salvaguardia sine die delle proposte di vincolo ante d.lgs. n. 42/2004 e, comunque, significativamente più antiche.
Né queste conclusioni possono trovare conforto e fondamento in argomentazioni altre di natura prettamente pratica ovvero di tipo organizzativo, quale quelle avanzate in primo grado dalla difesa erariale e raccolte dalla sentenza impugnata, secondo le quali la soluzione interpretativa qui preferita sarebbe idonea a far crollare, nei loro effetti, chissà quali e quante proposte di vincolo rimaste nel tempo meramente tali.
Al riguardo, premesso che un assunto di tal genere equivarrebbe a far ammettere all’Amministrazione che essa è la prima ad ignorare il “portafoglio” di (mere) proposte di vincolo (giacenti) di cui ancora la stessa fruirebbe, può a tanto obiettarsi che:
- se anche l’Amministrazione ne avesse effettivamente perso il loro ricordo puntuale, proprio questo dimostrerebbe allora l’intervenuta sparizione dell’interesse pubblico che originariamente le motivò;
- ed inoltre che, se di tali antiche proposte di vincolo s’è persa traccia, nulla impedisce che esse vengano d’ora in poi riproposte dall’Amministrazione competente ma, adesso, nel quadro della più rigida e precisa temporizzazione della scansione procedimentale che deve condurre alla definitività formale del vincolo».
Per comodità narrativa e assonanza concettuale si può definire la prima tesi di “continuità” (postulando la permanenza degli effetti sulla base del dato letterale e del principio di irretroattività della legge, oltre che della rilevanza costituzionale del bene paesaggio), la seconda di “discontinuità” (postulando la cessazione degli effetti sulla base del dato logico-sistematico).
3. A tale dualismo la Sezione rimettente aggiunge argomentazioni contrapposte.
Dal lato della tesi della continuità:
- richiama la sentenza 23 luglio 1997 n. 262 della Corte costituzionale, secondo cui «il mancato esercizio delle attribuzioni da parte dell’amministrazione entro il termine per provvedere non comporta ex se, in difetto di espressa previsione, la decadenza del potere, né il venir meno dell’efficacia dell’originario vincolo. In tali ipotesi, sempre che il legislatore non abbia attribuito un particolare significato all’inerzia-silenzio, si verifica un’illegittimità di comportamenti derivante da inadempimento di obblighi».
- evidenzia che la ratio della persistenza dell’efficacia della proposta di vincolo è la stessa che ha condotto la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 57 del 2015) e l’Adunanza plenaria (cfr. sentenza n. 6 del 2015), chiamate a pronunciarsi sul termine dell’azione risarcitoria introdotto dall’art. 30, comma 3 CPA, ad escludere l’applicazione di norme che fissano decadenze a rapporti anteriori, optando per l’ultrattività delle norme precedenti;
- supera la possibile obiezione fondata sul principio di proporzionalità, atteso che la normativa nazionale di tutela del paesaggio attiene a una materia che non rientra nelle competenze dell’Unione (Corte di giustizia UE, sez. X, 6 marzo 2014, C-206/13).
Dal lato della tesi della discontinuità:
- sottolinea che, con i decreti legislativi n. 157/2006 e 63/2008, il legislatore ha espresso il suo favore verso la cessazione di efficacia del vincolo provvisorio per mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento, a fronte del quale sempre meno si giustifica, con il passare del tempo, un’eccezione relativa a proposte di vincolo formulate in epoca anteriore al 2004;
- contrasta l’argomento letterale, poiché, da un lato appare dubbio sostenere la violazione del principio di irretroattività della legge nel caso di procedimenti non ancora conclusi, e dunque in assenza di situazioni e/o rapporti giuridici consolidati, dall’altro lato, tra due possibili interpretazioni della norma, ed in assenza di specifiche indicazioni del legislatore, appare preferibile una interpretazione che tenda ad uniformare il sistema, in luogo di una interpretazione che produca differenti applicazioni dei poteri amministrativi (e dei loro effetti) e, dunque, possibili disparità di trattamento.
4. L’Adunanza Plenaria ritiene preferibile la tesi minoritaria della discontinuità, ravvisando tuttavia l’esigenza di arricchirne (e in parte modificarne) le argomentazioni e individuarne gli effetti.
Sotto il primo profilo si farà ricorso ai comuni metodi dell’interpretazione:
- letterale (sub 4.1);
- logico-sistematica (sub 4.2);
- teleologica (sub 4.3).
4.1 Il dato letterale si presenta a prima vista ostile alla tesi della discontinuità.
Prova ne sia che l’orientamento che la sostiene per superarlo impiega un’argomentazione non corretta, ossia che, riferendosi il comma 1 dell’art. 157 (“conservano efficacia a tutti glieffetti”) a una serie di atti formali e definitivi, per le semplici proposte – considerate dal comma 2 – vale la regola opposta.
Conviene allora riportare l’intero testo dell’art. 157 (“Notifiche eseguite, elenchi compilati, provvedimenti e atti emessi ai sensi della normativa previgente”):
“1. Conservano efficacia a tutti gli effetti:
a) le dichiarazioni di importante interesse pubblico delle bellezze naturali o panoramiche, notificate in base alla legge 11 giugno 1922, n. 778;
b) gli elenchi compilati ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497;
c) le dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497;
d) i provvedimenti di riconoscimento delle zone di interesse archeologico emessi ai sensi dell’articolo 82, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, aggiunto dall’articolo 1 del decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1985, n. 431;
d-bis) gli elenchi compilati ovvero integrati ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490;
e) le dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (6);
f) i provvedimenti di riconoscimento delle zone di interesse archeologico emessi ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490;
f-bis) i provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 1-ter del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431.
2. Le disposizioni della presente Parte si applicano anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, sia stata formulata la proposta ovvero definita la perimetrazione ai fini della dichiarazione di notevole interesse pubblico o del riconoscimento quali zone di interesse archeologico”.
È di plastica evidenza che, se anche è vero (anzi: proprio perché è vero) che il comma 1 si riferisce agli atti definitivi, il comma 2 – che è quello che rileva – si riferisce alle proposte. Non ne deriva, però, che le proposte, diversamente dagli atti definitivi, perdono efficacia.
La questione deve invece essere risolta su un altro piano: il rapporto tra (perdita di) efficacia delle proposte e (perdita di) efficacia del vincolo preliminare sul bene che ne costituisce oggetto.
Nel ragionamento di entrambi gli orientamenti, muovendo dalla tacita premessa che la proposta di vincolo ha natura dichiarativa, si ritiene che i due momenti non siano separabili.
Lo stesso quesito formulato dalla Sezione rimettente domanda «se … le proposte di vincolo formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo, e per le quali non vi sia stata conclusione del relativo procedimento con l’adozione del decreto ministeriale recante la dichiarazione di notevole interesse pubblico, cessino di avere effetto», dando per scontato che a perdere efficacia – in ipotesi – sarebbe la proposta nella sua interezza, non soltanto il vincolo preliminare che da essa nasce.
In tale prospettiva il dibattito sin oggi svolto non è sfuggito alla seguente alternativa:
a) se la proposta perde efficacia, il vincolo preliminare decade;
b) se la proposta non perde efficacia, il vincolo preliminare non decade.
A ciò si deve la preferenza in giurisprudenza per la tesi della continuità: dovendosi riconoscere la perdurante efficacia delle proposte anteriori al Codice in virtù dell’art. 157, comma 2 (dato insuperabile sul piano logico-testuale), non può che riconoscersi la conservazione dell’effetto preliminare di vincolo.
L’Adunanza Plenaria ritiene che la premessa del ragionamento appena indicato (vi è decadenza del vincolo preliminare solo se la proposta perde efficacia) non sia corretta.
L’effetto preliminare, ancorché trovi il suo presupposto nella proposta, è disposto dalla legge, precisamente – oggi – dal combinato disposto dell’art. 139, comma 2 e dell’art. 146, comma 1 d.lgs. n. 42/2004, in precedenza trascritti.
Può anticiparsi (è questo lo scoglio da superare) che tale ultima disposizione si applica anche alle proposte anteriori all’entrata in vigore del Codice, vuoi perché l’art. 157, comma 2 estende espressamente tutta la disciplina di tutela paesaggistica del Codice (la “presente Parte” è la Parte III, in cui figura l’art. 146, comma 1) ai beni per i quali la proposta di notevole interesse pubblico sia stata formulata anteriormente alla sua entrata in vigore, vuoi perché lo stesso art. 146, comma 1 richiama l’art. 157 nella sua interezza: tra art. 146, comma 1 e art. 157, comma 2 esiste un richiamo reciproco.
Per adesso merita evidenziare che l’effetto preliminare è dal legislatore ricollegato alle proposte non in virtù di un’equiparazione con gli atti che definitivamente accertano le qualità del bene, ma a titolo cautelare.
A riprova di ciò si rammenta che l’art. 141, comma 5 d.lgs. 42/2004 (come sostituito dal d.lgs. 63/2008) stabilisce che “Se il provvedimento ministeriale di dichiarazione non è adottato nei termini di cui all’art. 140, comma 1, allo scadere di detti termini, per le aree e gli immobili oggetto della proposta di dichiarazione, cessano gli effetti di cui all’art. 146, comma 1”: a decadere non è la proposta, ma l’effetto preliminare.
Anche il testo previgente dell’art. 141, introdotto dal d.lgs. 157/2006, stabiliva al comma 3 che “In caso di inutile decorso del predetto termine cessano gli effetti cui all’articolo 146, comma 1”.
Coerentemente con il principio introdotto dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990, e rafforzato dalle modifiche al medesimo, il potere autoritativo della pubblica amministrazione è circoscritto temporalmente. In materia di tutela paesaggistica il legislatore ha adottato un compromesso, prevedendo che il potere impositivo del vincolo persiste anche dopo la scadenza del termine, ma cessa l’effetto restrittivo derivante dal suo (iniziale) esercizio.
Muovendo da questa premessa, si può correttamente inquadrare il richiamo reciproco tra art. 146, comma 1 e art. 157, comma 2.
Nella formulazione originaria del Codice, non essendo prevista la cessazione dell’effetto preliminare alla scadenza del termine per provvedere, il richiamo poteva effettivamente ritenersi indicativo della volontà del legislatore di conservare l’effetto preliminare delle proposte anteriori al Codice anche in caso di scadenza del termine per approvarle.
In tal senso l’art. 157, comma 2, piuttosto che far salva la disciplina anteriore al Codice per le situazioni pendenti, prevedeva l’applicazione ad esse della nuova disciplina, ispirata (al momento dell’entrata in vigore del Codice) a un principio analogo.
L’art. 157, comma 2 è una norma di diritto transitorio e non di diritto intertemporale. Infatti, sono disposizioni di diritto intertemporale le norme di carattere generale volte a comporre in via preventiva e generale le antinomie temporali tra leggi (es. art. 2 c.p. e art. 11 preleggi); sono norme transitorie le disposizioni poste in chiusura di specifiche riforme legislative, dirette espressamente allo scioglimento di antinomie che si verificano nel passaggio dalla legge anteriore alla posteriore ed a rendere più graduale il suddetto passaggio.
Introdotta la regola secondo cui l’effetto preliminare viene meno allo scadere del termine, il rinvio operato dall’art. 157, comma 2, pur testualmente immodificato, non ha più lo stesso significato.
Il fenomeno delle modificazioni della norma (precetto) a disposizione (testo) invariata – ben noto agli interpreti – è stato cristallizzato dalle Sezioni Unite civili: «In ragione, appunto, di tale collegamento tra norma giuridica e valore (che segna il discrimine tra legge fisica o di natura e il diritto come legge assiologica), ed anche del suo inevitabile porsi come elemento (di settore) di un sistema ordinamentale, la norma, una volta posta in essere, non resta cristallizzata in se stessa, ma è soggetta, ex se, a dinamiche evolutive. Nel senso che, nel tempo, essa è suscettibile di assumere una molteplicità di contenuti, in relazione ed entro il limite dei significati resi possibili dalla plurivocità del significante testuale - per un duplice ordine di fattori propulsivi, interni ed esterni. […]
Parallelamente, per quanto poi attiene all’incidenza di fattori esterni, è decisivo l’aspetto strutturale-sistematico della regola iuris, quale elemento non in sé autoconchiuso, ma segmento invece di una complessa architettura giuridica, coordinata secondo postulati di unitarietà e completezza. In questo articolato mosaico, ogni disposizione si trova così inserita in settori e subsettori normativi ed investe una serie di relazioni reciproche con norme contigue. Per cui è ben comprensibile come, in prospettiva diacronica, le eventuali successive modificazioni, abrogazioni, sostituzioni delle disposizioni interferenti abbiano una possibile ed automatica ricaduta sul contenuto della disposizione in questione, anche per questa via quindi innescandone processi modificativi» (Cass. sez. un., n. 15144 del 2011).
Probabilmente il legislatore avrebbe fatto meglio a introdurre una norma di coordinamento, per evitare equivoci interpretativi, ma il suo mancato intervento non può certo leggersi come manifestazione della volontà di mantenere il regime transitorio inalterato, posto che a distanza di due anni dall’entrata in vigore del Codice la fase transitoria era oramai superata e il sistema normativo che ne costituiva oggetto era cambiato.
In particolare, il rinvio operato dall’art. 157, comma 2 (“Le disposizioni della presente Parte si applicano anche agli immobili ed alle aree in ordine ai quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, sia stata formulata la proposta”), ha coperto anche la regola della decadenza introdotta nell’art. 141 dal d.lgs. 157/2006 e riformulata dal d.lgs. 63/2008, non avendo alcun fondamento la tesi secondo cui esso sia limitato alle norme di tutela (dunque al solo art. 146), o che si tratta di rinvio fisso (dunque al testo originario dell’art. 141). Infatti, l’art. 157, comma 2:
a) richiama integralmente la parte III del Codice, senza distinguere tra norme sostanziali e norme procedurali, né per vero l’art. 141, comma 5 potrebbe ritenersi norma meramente procedurale;
b) non prevede un rinvio recettizio, ma formale (quindi mobile), come si evince dalla formulazione letterale, che si riferisce alla fonte (“Le disposizioni della presente Parte”) e non al contenuto.
Posto, dunque, che l’art. 157, comma 2 rinvia tanto all’art. 141, comma 5 quanto all’art. 146, comma 1, per evitare l’assurdo logico che esso implichi allo stesso tempo che l’effetto preliminare delle proposte anteriori al Codice cessi (art. 141, comma 5) e persista (art. 146, comma 1), l’unica soluzione possibile è interpretarlo nel senso che esso intenda da un lato conservare l’efficacia delle proposte anteriori al Codice, dall’altro assoggettarne l’effetto preliminare di vincolo alla disciplina vigente.
È opportuno precisare che una siffatta conclusione è doverosa sul piano esegetico, poiché il (rispetto del) principio di non contraddizione è un vincolo per l’interprete, (e di cui, la stessa giurisprudenza costituzionale rappresenta il baluardo).
4.2 Il principio di irretroattività della legge non è vulnerato, poiché la tesi della discontinuità non si fonda sulla retroattività della nuova disciplina, ma sulla non ultrattività della vecchia.
A essere precisi, tuttavia, la questione non si pone neppure: solo se mancasse una norma transitoria, occorrerebbe interpretare la portata (retroattiva o meno) della nuova legge. Ma la norma transitoria esiste e regola l’applicabilità alle situazioni pendenti della nuova legge.
La vecchia disciplina, peraltro, non è costituita dalla normativa anteriore al Codice, ma dalla stessa normativa codicistica, prima che, per effetto dei d.lgs. 157/2006 e 63/2008, l’art. 141 prevedesse la cessazione del vincolo preliminare allo scadere del termine di adozione della dichiarazione di notevole interesse pubblico del bene.
Essendo – appunto – l’attuale art. 141 parimenti richiamato dall’art. 157, comma 2, è il legislatore (e non l’interprete) ad aver stabilito che le proposte anteriori al Codice sono assoggettate alla nuova disciplina, introdotta nel 2006 e confermata nel 2008.
Se, dunque, si volesse proseguire a ragionare in termini di retroattività o meno, si dovrebbe quantomeno prendere atto che sarebbe una retroattività voluta dal legislatore, non censurabile dal punto di vista costituzionale, riferendosi a rapporti sorti anteriormente ma non esauriti, ai quali dunque l’applicazione della disciplina vigente è del tutto ragionevole.
Far cessare gli effetti della proposta di vincolo adottata nel passato non è meno logico che conservarli, tanto più che si tratta di un passato remoto: le proposte sono quelle anteriori al 2004 (entrata in vigore del Codice), mentre la cessazione del vincolo è stata prevista nel 2006 e poi nel 2008 (entrata in vigore delle modifiche).
A ciò si aggiunga l’opportunità di uniformare il sistema, per esigenze di coerenza e di parità di trattamento, che viene in rilievo allorquando si debbano valutare fatti accaduti nel passato i cui effetti si producono nel presente.
4.3 Da ultimo, sul piano teleologico, la tesi della discontinuità si giustifica alla luce della considerazione, da parte del legislatore, di una pluralità di valori costituzionali, quali, oltre quello del paesaggio, la protezione della proprietà privata (art. 41 Cost., nonchè art. 1 del I protocollo addizionale alla CEDU e quindi art. 117 Cost.), e il buon andamento della pubblica amministrazione.
Può ulteriormente aggiungersi che la tesi della continuità si pone in conflitto con il canone della ragionevolezza, poiché ammette che il vincolo preliminare possa essere efficace anche a distanza di numerosi anni dalla proposta, ancorché da tempo sia stata introdotta nel Codice una disposizione che ne sancisce la perdita di efficacia.
L’immagine delle “super proposte”, coniate per le proposte di vincolo più antiche, è uno stratagemma retorico per evidenziare l’irrazionalità di una soluzione che punti a conservarne l’effetto vincolante a distanza di molti anni e al subentrare di una disciplina che ne prevede la decadenza allo spirare del termine fissato per la conclusione del procedimento.
Tale argomento non sembra possa essere superato dalla possibilità, per il privato, di esperire l’azione contro l’inerzia prevista dal Codice del processo amministrativo. Ed infatti, gravare il privato dell’onere di agire per la conclusione di un procedimento d’ufficio, diretto a vincolare la sua proprietà, appare obiettivamente paradossale.
5. Le osservazioni sopra esposte trovano ulteriore conferma considerando la natura delle disposizioni contenute negli artt. 141, c. 5 e 147, c. 2 del codice dei beni culturali, alla stregua delle quali, a far data dalla loro entrata in vigore, il mancato esercizio del potere di provvedere sulla proposta comporta la cessazione dell’effetto temporaneamente inibitorio di essa.
Giova infatti rilevare che quelle in questione non sono norme che intervengono sulle “proposte” di vincolo, ma disposizioni che operano, invece, sul potere ministeriale di provvedere sulle medesime proposte, ivi comprese quelle anteriori alla nuova disciplina, da cui permanente validità è stata garantita dalla norma transitoria di cui all’art. 152. Non a caso, d’altra parte, la rubrica dell’art. 141 fa riferimento ai “provvedimenti ministeriali”, e quindi ciò che costituisce l’esercizio del potere.
Le norme in questione intervengono, così, sul potere dell’amministrazione, diversamente conformandolo nel senso di far conseguire al suo mancato esercizio nel termine di 180 giorni, non la decadenza della proposta, ma la semplice cessazione degli effetti di salvaguardia. A partire da tale data l’Amministrazione conserva il potere-dovere di provvedere sulla proposta, ma deve tener conto del fatto che è ormai cessata l’efficacia inibitoria conseguente alla sua presentazione. La norma intende indurre l’amministrazione ad un più tempestivo intervento, eliminando la possibilità di premiare, attraverso la permanenza degli effetti della proposta, l’inerzia dell’amministrazione medesima, senza precludere, pur dopo i 180 giorni, la possibilità di un suo intervento.
Consegue da ciò che la nuova disciplina, introdotta con il d.lgs. 157/2006 e con il d.lgs. 63/2008, non tocca le proposte (ivi comprese quelle di cui all’art. 157, c. 2) che sono e rimangono efficaci, ma semplicemente l’esercizio del potere e le sue conseguenze, in caso di inerzia protrattasi oltre 180 giorni. La nuova disciplina, in qualche modo, pone un collegamento, prima inesistente, tra l’esercizio del potere e l’efficacia inibitoria delle proposte, facendo venir meno proprio quella efficacia inibitoria che, prima della novella, appariva collegata ad un potere configurato come temporalmente illimitato. E quindi la diversa conformazione del potere di provvedere a venire in discussione, e non, per così dire, la natura della proposta, se non altro sotto il profilo temporale: se cioè, antecedente o susseguente alla nuova disciplina. Non vi sono, in altri termini proposte dotate di una efficacia vincolante sine die, e proposte (successive alla novella) a regime di salvaguardia temporalmente limitato; vi è semplicemente un potere dell’amministrazione, che, dopo la novella è diversamente conformato in relazione al suo esercizio nel tempo, con conseguenze in ordine agli effetti di salvaguardia. E’ quindi la diversa conformazione del potere a rendere, a far data dell’entrata in vigore delle nuove norme, temporanea quell’efficacia di salvaguardia che in passato (a fronte di una conformazione del potere come privo di conseguenze in relazione al tempo di esercizio) appariva permanente.
L’erroneità della prospettiva tradizionale si coglie, d’altra parte, considerando che, ove fosse vera la tesi con essa prospettata, dovrebbe ritenersi che, con la norma transitoria dell’art. 152 si preservi (non solo l’efficacia e la validità della proposta anteriore nel tempo ma) anche un potere dell’amministrazione temporalmente illimitato senza conseguenze in ordine al suo mancato esercizio; esito questo che deve essere escluso dal momento che l’art. 152, c. 2, si riferisce con chiarezza agli immobili per i quali sia stata presentata la proposta, e quindi, esclusivamente alla proposta e non al potere.
E’, d’altra parte, lo stesso art. 157, c. 2, ad evidenziare l’applicabilità della nuova disciplina anche alle “vecchie” proposte; esso, infatti, nell’affermare l’applicabilità delle “disposizioni della presente Parte” (Parte IX: libertà di iniziativa economica e proprietà) agli immobili per i quali “sia stata formulata la proposta”, positivamente estende a tali proposte anche la disciplina di tale Parte introdotta con la sopra indicata novella legislativa.
In tal modo, infine, viene fatta corretta applicazione alla fattispecie del principio tempus regitactum, dal momento che la nuova disciplina viene applicata alla fase del procedimento (valutazione della proposta ai fini dell’assunzione del provvedimento definitivo) ancora in corso.
Va rilevato, infine, che una interpretazione del senso sopra prospettato evita macroscopiche irrazionalità:
a) escludendo l’esistenza di proposte con un effetto inibitorio permanente (così premiando proprio quell’inerzia dell’amministrazione che il legislatore intende escludere);
b) escludendo un paradossale mutamento di natura delle proposte anteriori alla novella, dal momento che una mera norma di salvaguardia delle proposte antecedenti (art. 157) avrebbe sostanzialmente trasformato queste in provvedimenti definitivi di vincolo, ed una tutela interinale in una tutela definitiva.
6. Proprio l’opzione legislativa per un bilanciamento dei contrapposti valori induce a riflettere sulle conseguenze della tesi della discontinuità.
La difesa statale ha insistito sulla compromissione della tutela paesaggistica che ne deriverebbe, essa implicando la cessazione ex abrupto di un numero indefinito (ma verosimilmente elevato) di proposte di vincolo, che lascerebbe prive di protezione aree pregiate dal punto di vista naturalistico o culturale.
Il timore è infondato per due successivi ordini di ragioni:
a) cessa l’effetto preliminare di vincolo, non l’efficacia della proposta;
b) la decadenza dell’effetto preliminare non è immediata, ma decorso il termine di 180 giorni.
È vero che, in base al combinato disposto dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del Codice, tale termine decorre dalla pubblicazione della proposta (quindi, per le proposte anteriori al Codice, il vincolo preliminare sarebbe decaduto decorsi 180 giorni dall’entrata in vigore – ad opera del d.lgs. 63/2008 – dell’attuale testo dell’art. 141, comma 5, che tale decadenza commina, ovvero, ancor prima, per effetto del d.lgs. 157/2006, che l’ha introdotta), ma, in un quadro di incertezza normativa, ben può il Consiglio di Stato – in sede Plenaria – modulare la portata temporale della propria sentenza, facendone decorrere gli effetti solo per il futuro.
La possibilità di modulare la portata temporale delle decisioni giurisdizionali è un principio affermato dalla Corte di Giustizia UE (e, meno incisivamente, dalla giurisprudenza costituzionale), che trova terreno fertile nel processo amministrativo.
La giurisprudenza comunitaria ha già da tempo affermato – nell’ambito della giurisdizione di annullamento sugli atti comunitari – che il principio dell’efficacia ex tunc dell’annullamento, seppur costituente la regola, non ha portata assoluta e che la Corte può dichiarare che l’annullamento di un atto (sia esso parziale o totale) abbia effetto ex nunc o che, addirittura, l’atto medesimo conservi i propri effetti sino a che l’istituzione comunitaria modifichi o sostituisca l’atto impugnato (Corte di Giustizia, 5 giugno 1973, Commissione c. Consiglio, in C-81/72; 1999, Parlamento c. Consiglio, in C-164/97 e 165/97).
Tale potere valutativo prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona era previsto espressamente nel caso di riscontrata invalidità di un regolamento comunitario (art. 231 del Trattato della Comunità Europea), ma era esercitabile – ad avviso della Corte – anche nei casi di impugnazione delle decisioni (Corte di Giustizia, 12 maggio 1998, Regno Unito c Commissione, in C-106/96), delle direttive e di ogni altro atto generale (Corte di Giustizia, 7 luglio 1992, Parlamento c. Consiglio, in C-295/90; 5 luglio 1995, Parlamento c Consiglio, in C-21-94).
La Corte di Giustizia è dunque titolare anche del potere di statuire la perduranza, in tutto o in parte, degli effetti dell’atto risultato illegittimo, per un periodo di tempo che può tenere conto non solo del principio di certezza del diritto e della posizione di chi ha vittoriosamente agito in giudizio, ma anche di ogni altra circostanza da considerare rilevante (Corte di Giustizia, 10 gennaio 2006, in C-178/03; 3 settembre 2008, in C-402/05 e 415/05; 22 dicembre 2008, in C-333/07).
Tale giurisprudenza ha trovato un fondamento testuale nel secondo comma dell’art. 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea, che non contiene più il riferimento delimitativo alla categoria dei regolamenti (“Se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell’Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l’atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi”).
I principi europei sono trasferibili nell’ordinamento nazionale in virtù dell’art. 1 del Codice sul processo amministrativo, secondo cui “La giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”.
Il Consiglio di Stato ha già fatto applicazione di codesti principi (leading case Cons. Stato, sez. VI, n. 2755 del 2011): rilevata l’illegittimità del piano faunistico venatorio regionale, piuttosto che annullarlo (così eliminando le – pur insufficienti – misure protettive per la fauna), il giudice amministrativo ha statuito l’obbligo di procedere entro dieci mesi all’approvazione di un nuovo piano faunistico, in conformità alla motivazione di accoglimento del ricorso.
Ad avviso del Collegio la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato può, sia pure in circostanze assolutamente eccezionali, trovare una deroga, con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (si veda, in questo senso, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc.
L’ordinamento riconosce la possibilità di graduare l’efficacia delle decisioni di annullamento di un atto amministrativo (cfr. l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo). È altresì ammessa la possibilità per il giudice amministrativo di modellare nel caso concreto l’efficacia delle sentenza in materia di contratti pubblici (cfr. artt. 121 e 122 del Codice del processo amministrativo).
Anche la Corte costituzionale, pur partendo dal principio della natura intrinsecamente retroattiva delle sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di una legge, nell’accogliere la questione di legittimità della disposizione che introduce un’addizionale all’imposta sul reddito delle società per talune imprese (c.d. Robin Tax), ha affermato che gli «effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale decorrono, tuttavia, dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale al fine di evitare che l’impatto macroeconomico delle restituzioni dei versamenti tributari connesse alla pronuncia determini uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva, anche per non venir meno al rispetto dei parametri cui l’Italia si è obbligata in sede di Unione europea ed internazionale e, in particolare, delle previsioni annuali e pluriennali indicate nelle leggi di stabilità in cui tale entrata è stata considerata a regime» (Corte cost., 11 febbraio 2015 n. 10).
La graduazione degli effetti nel tempo della sentenza di accoglimento può, così, ritenersi eccezionalmente ammessa a due condizioni: «l’impellente necessità di tutelare uno o più principi costituzionali i quali, altrimenti, risulterebbero irrimediabilmente compromessi da una decisione di mero accoglimento e la circostanza che la compressione degli effetti retroattivi sia limitata a quanto strettamente necessario per assicurare il contemperamento dei valori in gioco».
Rispetto a tale quadro, merita segnalare la peculiarità delle pronunce dell’Adunanza Plenaria.
Stabilisce l’art. 99 del Codice del processo amministrativo (“Deferimento all’adunanza plenaria”):
“1. La sezione cui è assegnato il ricorso, se rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o d’ufficio può rimettere il ricorso all’esame dell’adunanza plenaria. L’adunanza plenaria, qualora ne ravvisi l’opportunità, può restituire gli atti alla sezione.
2. Prima della decisione, il presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d’ufficio, può deferire all’adunanza plenaria qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali.
3. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
4. L’adunanza plenaria decide l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.
5. Se ritiene che la questione è di particolare importanza, l’adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell’adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato”.
La costante dei cinque commi in cui si articola la disposizione è il principio di diritto, la cui enunciazione è lo scopo primo (se non unico: cfr. commi 4 e 5) dell’intervento della Plenaria.
Ciò che nel comune giudizio amministrativo è il contenuto di accertamento in iure della sentenza, meramente strumentale alla pronuncia di annullamento (pertanto confinato nella motivazione e delimitato dal caso concreto), nel giudizio in Plenaria identifica la pronuncia in sé, con due conseguenze.
La prima conseguenza è il riconoscimento della natura essenzialmente interpretativa delle pronunce dell’Adunanza Plenaria, in particolare quando essa ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente.
Tale carattere consente di operare un (relativo) parallelismo con le decisioni pregiudiziali della Corte di giustizia, le quali hanno la stessa efficacia delle disposizioni interpretate e, pertanto, oltre a vincolare il giudice che ha sollevato la questione, spiegano i propri effetti anche rispetto a qualsiasi altro caso che debba essere deciso in applicazione delle medesime.
Come le sentenze di annullamento e quelle di incostituzionalità, anche le sentenze interpretative hanno efficacia retroattiva, ma per ragioni diverse: non si tratta di eliminare un atto dal mondo giuridico per vizi genetici o di dichiarare l’originaria difformità di un legge dalla fonte superiore, ma di accertare il significato di un frammento dell’ordinamento giuridico qual era sin dal momento della sua venuta ad esistenza.
In tali ipotesi la deroga alla retroattività trova fondamento, più che nel principio di effettività della tutela giurisdizionale, nel principio di certezza del diritto: si limita la possibilità per gli interessati di far valere la norma giuridica come interpretata, se vi è il rischio di ripercussioni economiche o sociali gravi, dovute, in particolare, all’elevato numero di rapporti giuridici costituiti in buona fede sulla base di una diversa interpretazione normativa, sempre che risulti che i destinatari del precetto erano stati indotti ad un comportamento non conforme alla normativa in ragione di una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni (in tal senso, ma con riferimento all’ordinamento comunitario, Corte di Giustizia, 15 marzo 2005, in C-209/03).
A giustificazione dell’assunto vi è anche un dato testuale: l’art. 113, comma 3 Cost. stabilisce che “La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”. L’interposizione del legislatore non occorre allorquando via sia un principio generale dell’ordinamento UE direttamente applicabile che permetta al giudice amministrativo di pronunciarsi sulla legittimità degli atti della pubblica amministrazione modulando gli effetti della propria sentenza, e ciò vale in particolare quando il giudizio di annullamento presenti uno spiccato carattere interpretativo.
La seconda conseguenza è la praticabilità della prospective overruling, in forza della quale il principio di diritto, affermato in contrasto con l’orientamento prevalente in passato, non verrà applicato (con vari aggiustamenti) alle situazioni anteriori alla data della decisione. La prospective overruling si esplicita, dunque, nella possibilità per il giudice di modificare un precedente, ritenuto inadeguato, per tutti i casi che si presenteranno in futuro, decidendo però il caso alla sua immediata cognizione in base alla regola superata.
In conclusione: all’Adunanza Plenaria è concessa la possibilità di limitare al futuro l’applicazione del principio di diritto al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) l’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare;
b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata;
c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche.
Nella fattispecie in esame sussistono tutte le condizioni, poiché:
a) il dato letterale è equivoco;
b) la tesi della continuità è prevalente;
c) è necessario, a tutela del paesaggio, evitare la cessazione istantanea di tutti i vincoli preliminari attualmente esistenti su aree di interesse naturalistico o culturale.
Avendo ritenuto che le proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico anteriori al Codice conservino efficacia, mentre l’effetto preliminare di vincolo che ad esse si ricollega cessi decorso – senza che il relativo procedimento si sia concluso – il termine previsto dall’art. 140, comma 1 (180 giorni, che per tali proposte dovrebbe essere calcolato a partire dal d.lgs. 63/2008, ovvero dal d.lgs. 157/2006), la delimitazione al futuro di tale principio implica che l’effetto preliminare cessi decorsi 180 giorni dalla pubblicazione della sentenza.
Resta ferma la possibilità del legislatore, in pendenza di detto termine, di intervenire a disciplinare ex novo la fattispecie, nel rispetto del principio di ragionevolezza e dei valori costituzionali difesi dalla tesi della discontinuità (ad esempio allungando il termine per la conclusione dei procedimenti in questione del tempo strettamente necessario al censimento delle proposte esistenti).
6. Al quesito deferito può dunque rispondersi che:
«Il combinato disposto – nell’ordine logico – dell’art. 157, comma 2, dell’art. 141, comma 5, dell’art. 140, comma 1 e dell’art. 139, comma 5 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, deve interpretarsi nel senso che il vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto legislativo – come modificato con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 e con il d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63 – cessa qualora il relativo procedimento non si sia concluso entro 180 giorni». (1)
«L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato può modulare la portata temporale delle proprie pronunce, in particolare limitandone gli effetti al futuro, al verificarsi delle seguenti condizioni:
a) un’obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare;
b) l’esistenza di un orientamento prevalente contrario all’interpretazione adottata;
c) la necessità di tutelare uno o più principi costituzionali o, comunque, di evitare gravi ripercussioni socio-economiche». (2)
«Il termine di efficacia di 180 giorni del vincolo preliminare nascente dalle proposte di dichiarazione di notevole interesse pubblico formulate prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 decorre dalla pubblicazione della presente sentenza». (3)
Ciò posto, il Collegio restituisce il giudizio alla Sezione remittente ai sensi dell’art. 99, comma 4 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, enuncia i principi di diritto di cui al punto 6 della motivazione e restituisce per il resto il giudizio alla IV sezione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio Santoro, Presidente
Franco Frattini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Francesco Bellomo, Consigliere, Estensore
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
IL PRESIDENTE
Alessandro Pajno
L'ESTENSORE
Francesco Bellomo