Consiglio di Stato Sez. VI n. 1799 del 20 marzo 2018,
Beni Ambientali.Autorizzazione paesaggistica
Nello specifico settore delle autorizzazioni paesaggistiche, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l’indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio. L’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale, da parte della Soprintendenza, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). L’unico limite che la Soprintendenza competente incontra in tema di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica è costituito dal divieto di effettuare un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione
Pubblicato il 20/03/2018
N. 01799/2018REG.PROV.COLL.
N. 09632/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9632 del 2011, proposto da:
Aldo Prati, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco Paolucci, con domicilio eletto presso lo studio Massimo Letizia in Roma, viale Angelico, 103;
contro
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendente per i Beni Ambientali e Architettonici dell'Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Imola, Dirigente dell'Ufficio Tecnico-Sezione Urbanistica non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE II n. 00445/2011, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica su concessione edilizia in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Massimo Letizia, per delega di Francesco Paolucci, e M. Vittoria Lumetti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 - L’appellante dispone in Imola, unitamente alla moglie Tarozzi M. Antonietta, di un immobile ad uso abitazione e magazzini - censito al N.C.E.U. del Comune medesimo al Foglio n.88, mappale 65 - sul quale la proprietà ha realizzato alcuni locali ad uso magazzino e deposito attrezzi, strumentali all'esercizio della impresa agricola condotta dallo stesso appellante.
2 - Tali opere furono poste in essere senza richiedere alcuna licenza, per cui, in un secondo tempo, furono oggetto di due separate domande di condono (prot. n.18172 del 26.7.1986 e n.8204 del 2.3.1995).
2.1 – Dal momento che la zona è sottoposta a vincolo ambientale, i provvedimenti comunali di accoglimento delle due domande da parte del Comune (n.50564 e 50562 del 29.10.1998) furono inviati alla Sovrintendenza per i Beni Architettonici dell'Emilia Romagna.
2.3 – In data 8 febbraio 2000, il Comune di Imola notificava due dinieghi di condono, perché la Soprintendenza, con atti 13 gennaio 2000 e 21 gennaio 2000, aveva annullato gli atti comunali, negando l'autorizzazione paesaggistica.
3 - Avverso i dinieghi comunali e gli atti di annullamento della Soprintendenza, Aldo Prati ha proposto impugnazione al TAR Emilia Romagna che, con sentenza n. 445 del 10 maggio 2011, ha rigettato il ricorso.
3.1 – Il medesimo ricorrente ha appellato detta sentenza per i motivi di seguito esaminati.
4 – Con il primo motivo, l’appellante censura l'affermazione del TAR secondo il quale il provvedimento della Sovraintendenza non avrebbe potuto essere diverso. L’appellante contesta l’assunto, assumendo che la Soprintendenza sarebbe invece incorsa in un errore, equivocando sulla natura del manufatto (rudere, e non edificio rurale), che avrebbe potuto essere ulteriormente chiarita rispettando l'art.7 della legge 241 del 1990.
5 - Può essere esaminato in questa sede anche il motivo riproposto in sede di appello, in quanto non esaminato in primo grado, con il quale il ricorrente deduce eccesso di potere per sviamento, in relazione all'art.82 del D.P.R. 25 luglio 1977, n.616, come modificato dall'art.1 L.n.431/85. Al riguardo, l’appellante ricorda che i poteri di annullamento che fanno capo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali attengono alla sola verifica della legittimità degli atti di gestione del vincolo. Sotto questo profilo, emergerebbe, nel caso di specie, un vizio di eccesso di potere per sviamento. In particolare, la Soprintendenza, nella parte in cui giudica l'intervento edilizio oggetto di domanda di sanatoria incompatibile con le imprescindibili esigenze di tutela e conservazione dei valori paesistici, avrebbe travalicato i limiti assegnati dall'art.82 D.P.R. n.616/77 all'Autorità statale preposta alla tutela del vincolo, sovrapponendosi illegittimamente al Comune di Imola e deviando dallo scopo della funzione di controllo che le compete per legge.
6 - Il motivi di appello sono infondati. Invero, la ragione dell’annullamento della determina comunale è ravvisabile nella carenza di motivazione di quest’ultima, come si evince chiaramente leggendo il provvedimento impugnato, restando in disparte le ulteriori considerazioni circa la compatibilità ambientale delle opere, che, lungi dal costituire una indebita valutazione di merito, valgono solo a dimostrare l’assoluta carenza di ogni approfondimento da parte del Comune rispetto alla compatibilità del manufatto abusivo con l’ambiente circostante.
6.1 - Al riguardo, va rammentato che l'atto di autorizzazione paesaggistica dell'ente locale, espressione dell'esercizio di valutazioni tecniche, deve contenere un’adeguata motivazione, e deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria (cfr. art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990).
A questo proposito, la giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato che, nello specifico settore delle autorizzazioni paesaggistiche, la motivazione può ritenersi adeguata quando risponde a un modello che contempli, in modo dettagliato, la descrizione: I) dell'edificio mediante indicazione delle dimensioni, delle forme, dei colori e dei materiali impiegati; II) del contesto paesaggistico in cui esso si colloca, anche mediante l’indicazione di eventuali altri immobili esistenti, della loro posizione e dimensioni; III) del rapporto tra edificio e contesto, anche mediante l'indicazione dell'impatto visivo al fine di stabilire se esso si inserisca in maniera armonica nel paesaggio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4899, e 11 settembre 2013, n. 4481, cui il Collegio aderisce).
Sempre secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata (Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9 e, più di recente, “ex multis”, Cons. Stato, sez. VI, n. 300/2012), l’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico comunale, da parte della Soprintendenza, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione formulata in concreto dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta). L’unico limite che la Soprintendenza competente incontra in tema di annullamento dell'autorizzazione paesaggistica è costituito dal divieto di effettuare "un riesame complessivo delle valutazioni compiute dall'ente competente tale da consentire la sovrapposizione o sostituzione di una nuova valutazione di merito a quella compiuta in sede di rilascio dell'autorizzazione" (Cons. St., Ad. plen., n. 9/2001; cfr. anche Cons. St., sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4562).
Tale limite sussiste, però, soltanto se l'ente che rilascia l'autorizzazione di base abbia adempiuto al suo obbligo di motivare in maniera adeguata in ordine alla compatibilità paesaggistica dell'opera. In caso contrario sussiste un vizio d’illegittimità per difetto o insufficienza della motivazione e ben possono gli organi ministeriali annullare il provvedimento adottato per vizio di motivazione e indicare - anche per evidenziare l'eccesso di potere nell'atto esaminato - le ragioni di merito che concludono per la non compatibilità delle opere realizzate con i valori tutelati (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 marzo 2014, n. 1034; 18 gennaio 2012, n. 173; 21 settembre 2011, n. 5292).
6.2 - Alla luce delle coordinate ermeneutiche innanzi ricordate, deve osservarsi che l'atto del Soprintendente si è sostanziato nell'eccepire un difetto di motivazione degli atti del Comune. Testualmente, nel provvedimento si legge: “considerato che l’Autorità decidente non fornisce alcuna specifica motivazione che suffraghi il provvedimento in esame, limitandosi semplicemente a richiamare il parere della Commissione Edilizia Integrata”; evidenziandosi ulteriormente che quest’ultimo parere: “contiene un’affermazione apodittica di compatibilità dell’intervento senza indicare i concreti elementi di fatto che ne sono alla base e non dimostra pertanto che le caratteristiche del manufatto abusivo siano state puntualmente rilevate e rapportate ai valori codificati nell’atto di vincolo”; concludendosi quindi nel senso che: “il provvedimento comunale citato nelle premesse non dà alcun conto degli elementi che hanno condotto l’Autorità decidente alla valutazione favorevole…”.
Tanto precisato, non può dubitarsi della legittimità del provvedimento di annullamento, alla luce del fatto che l’autorizzazione comunale, in modo assolutamente insufficiente, si limita ad enunciare acriticamente che “i lavori previsti nel progetto sottoposto ad esame non pregiudicano il valore ambientale della zona”, senza nulla aggiungere.
In ragione di tali considerazioni sono destituite di fondamento anche le censure relativa ad eventuali violazioni procedimentali, tenuto conto dell’art. 21 octies della l. 241/90; nonché la questione rispetto alle quale l’appellante lamenta l’equivoco su cui sarebbe incorsa la Soprintendenza sulla natura del manufatto (rudere, e non edificio rurale).
7 - Con il secondo motivo di appello, si ripropone la censura relativa al fatto che il provvedimento della Soprintendenza sarebbe tardivo, perché emesso oltre il termine consentito dalla legge.
7.1 - Al riguardo, l’appellante allega che i primi atti del Comune, favorevoli al richiedente, erano stati inviati per raccomandata dal Comune all'Amministrazione dei Beni Culturali il 20.10.1998 con una serie di allegati; mentre il provvedimento è stato emesso a più di un anno di distanza da tale data, in violazione del termine di legge applicabile fissato in 60 giorni.
7.2 - Il motivo è infondato. Invero, nel provvedimento impugnato si dichiara espressamente che gli atti "completi" sarebbero pervenuti solo in data 25.11.1999, dunque il provvedimento risulta tempestivo, dovendosi ricordare che il termine perentorio di 60 giorni previsto dall' art. 151, comma 4, del D.Lgs. n. 490 del 1999 decorre solo da quando il Ministero è effettivamente posto nelle condizioni di pronunciarsi e quindi da quando l'intera documentazione rilasciata sia stata ricevuta dallo stesso, non verificandosi pertanto alcuna sospensione o interruzione nel caso in cui sia necessaria un'integrazione della documentazione, bensì soltanto l'effetto della non decorrenza del termine (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2007, n. 24).
Come evidenziato dal TAR, a fronte dell’inequivoca precisazione contenuta nell’atto, era invece onere dell’appellante provare il contrario.
8 - Giova esaminare in questa sede, in quanto riferiti al provvedimento di annullamento ministeriale, anche gli ulteriori motivi riproposti dall’appellante. Al riguardo, si deduce, in primo luogo, il vizio di eccesso di potere per manifesta irragionevolezza. Più precisamente, secondo l’appellante, la Soprintendenza, in soli 18 giorni dalla data (25.11.1999) in cui avrebbe ricevuto gli elementi per poter valutare la legittimità del previo atto comunale, avrebbe formulato in modo sbrigativo un giudizio di non compatibilità dei lavori stessi.
8.1 - Il motivo è manifestamente infondato, dal momento che la tempistica di adozione del provvedimento, nel caso di specie (18 giorni), non pare sintomatica di alcun eccesso di potere.
9 - L’appellante ripropone inoltre il motivo con il quale lamenta l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione. Al riguardo, rappresenta che nei decreti della Soprintendenza si legge che il manufatto preesistente agli interventi edilizi, oggetto delle domanda di condono, era "un tipico esempio di architettura rurale della campagna della pianura bolognese" avente "struttura compatta, fìnestrature ridotte, frontespizio con portoncino e scala di ingresso simmetrica", il quale, secondo la Soprintendenza, "viene completamente snaturato dalla realizzazione dei manufatti abusivi che per forma tipologica e materiali non armonizzano con questo". Viceversa, secondo l’appellante, dalla documentazione che fu allegata (unitamente ad una breve relazione tecnica), si evincerebbe che la situazione di fatto sarebbe radicalmente diversa da quella immaginata dalla Soprintendenza. Più precisamente, nella prospettazione dell’appellante, il manufatto preesistente non sarebbe un edificio rurale, ma una ex villa padronale. L’appellante rappresenta inoltre che in zona sorgono altri capannoni adibiti all'industria ceramica e che l'alveo fluviale, vincolato ex l.n.431/85, sarebbe in realtà un canale secco e di piccole dimensioni.
9.1 - Il motivo è infondato. Al riguardo, valgono le considerazioni già innanzi esposte con le quali si è messo in luce che il provvedimento di annullamento si basa sul difetto di motivazione dell’autorizzazione comunale, da cui l’irrilevanza delle doglianze in esame.
In ogni caso, deve osservarsi che è lo stesso appellante a riferire che l’originaria villa fu adibita a ricovero attrezzi. A tale situazione di fatto corrisponde, oltretutto, l’attuale situazione giuridica dell’immobile. Tanto è vero che lo stesso appellante precisa che in quest’ultima veste, a seguito di una variazione della destinazione d'uso, il fabbricato fu accatastato come edificio rurale. Dunque, non si è al cospetto di alcun travisamento dei fatti.
Parimenti, non risultano in alcun modo rilevanti le osservazioni circa la presenza di altri capannoni e circa la consistenza dell’alveo fluviale, posto che è certa l’esistenza di quest’ultimo, le cui ragioni di tutela dell’ambiente circostante prescindono dalla effettiva portata d’acqua del medesimo e dalla eventuale presenza di altri fabbricati in zona.
10 - Con il terzo motivo di appello, l’appellante lamenta che, a seguito dell’annullamento ministeriale, il Comune avrebbe dovuto riesaminare gli atti e riprendere il procedimento alla luce delle rilevazioni dell’atto di annullamento, e non limitarsi a recepirlo altrettanto immotivatamente.
10.1 - Il motivo è infondato, essendo condivisibile quanto argomentato dal Giudice di prime cure. Infatti, il provvedimento comunale non si limita a recepire passivamente la determina del Sovrintendente. Come si desume chiaramente dal tenore dell’atto, in realtà, il Comune, dopo a aver rinnovato la valutazione di sua competenza, fa proprie le considerazione del Ministero. A tal fine la determina del Sovrintendente è stata opportunamente allegata al provvedimento di diniego del Comune a costituirne parte integrante.
Non è pertanto ravvisabile l’illegittimità lamentata dall’appellante, tenuto conto della nota giurisprudenza secondo la quale l'obbligo per l'Autorità di motivare il provvedimento amministrativo non può ritenersi violato attraverso il richiamo per relationem ad altri atti, se questi offrano comunque elementi sufficienti e univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l'iter motivazionale posti a sostegno della determinazione assunta (Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 aprile 2015, n. 2011).
11 – In definitiva, l’appello deve essere respinto. Vista la soccombenza, l’appellante deve essere condannato alla refusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l'appello come in epigrafe proposto.
Condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Ministero appellato, liquidate in complessivi €3.000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
Italo Volpe, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giordano Lamberti Luigi Carbone