Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2892, del 12 giugno 2015
Beni ambientali.L’autorizzazione paesaggistica può imporre che strutture precarie di stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva
L’esistenza di un’autorizzazione per il solo periodo estivo non implica che la medesima si protragga anche per il periodo invernale: a contesti stagionali diversi corrispondono, infatti, differenti modalità di fruizione dei beni protetti e l’impatto ambientale è comunque minore, se temporalmente limitato. In tale ottica la giurisprudenza ha ribadito che, pur consentendo, in astratto, l’art. 1 della legge regionale n. 24 del 2008 della Puglia il mantenimento per l’intero anno di strutture, funzionali alla balneazione, l’autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva, per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico. Va tenuto conto del principio secondo cui costituiscono “nuove costruzioni”, che implicano una modifica dello stato dei luoghi rilevante ai fini giuridici, i manufatti destinati al soddisfacimento di esigenze in sé stabili, indipendentemente dai materiali usati e dal carattere amovibile rispetto al suolo. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 02892/2015REG.PROV.COLL.
N. 04331/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4331 del 2014, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le Province di Lecce, Brindisi e Taranto, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
contro
Le Cinque Vele s.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. Tommaso Millefiori, con domicilio eletto presso l’avv. Leonardo M. Millefiori in Roma, Via Dessiè 15, int.12;
nei confronti di
Comune di Salve, Unione dei Comuni "Terra di Leuca";
per la riforma della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, sez. I. n. 02246/2013, resa tra le parti, concernente autorizzazione per l’installazione di strutture balneari;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Le Cinque Vele s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 aprile 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Tortora e l'avvocato Tommaso Millefiori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Lecce, I, n. 2246/13 del 26 novembre 2013 è stato accolto il ricorso proposto dalla società Le Cinque Vele s.r.l., avverso il titolo abilitativo n. 96/13 del 7 maggio 2013, per l’esecuzione di lavori di nuova sistemazione nello stabilimento balneare omonimo, nella parte in cui l’atto autorizzativo imponeva – come “prescrizione speciale” – la rimozione delle strutture al termine della stagione estiva, nonché avverso l’autorizzazione paesaggistica n. 64 del 27 marzo 2013, nella parte in cui prevedeva analoga condizione. Nella citata sentenza si esprimeva l’avviso che il denegato mantenimento delle strutture per l’intero anno dovesse risultare giustificato da specifiche esigenze ambientali. Nella fattispecie non sarebbe stato spiegato perché la presenza di strutture amovibili (peraltro indicate in modo generico) fosse compatibile con il paesaggio durante la stagione balneare – nel periodo di più intensa fruizione dell’area – e non anche nel restante periodo dell’anno, in presenza di inferiore domanda sociale. In tale contesto, la prescrizione di cui trattasi era ritenuta “tautologica e autoreferenziale” , essendo imposti obblighi non richiesti dalla normativa vigente (art. 11, comma 4 ter della legge regionale n. 17 del 2006) e non necessari (in assenza di puntuali motivazioni al riguardo) per la salvaguardia del contesto paesaggistico di riferimento.
Avverso detta decisione hanno proposto appello il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Lecce, Brindisi e Taranto (n. 4331/14, notificato i 5 maggio 2014), per violazione dell’art. 11, comma 4-bis, della legge della Regione Puglia 23 giugno 2006 n. 17 (Disciplina della tutela e dell’uso della costa) e dell’art. 146, comma 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Nell’appello è evidenziata la declaratoria di incostituzionalità – con sentenza Corte cost. 27 giugno 2008, n. 232 – della predetta disposizione della legge regionale, successivamente modificata con l’aggiunta di ulteriori commi, in cui si precisa la mera possibilità che le strutture balneari vengano mantenute per l’intero anno, fermo restando l’art. 146 del Codice, che condiziona tale possibilità al nulla osta delle autorità preposte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Nel caso di specie, la Soprintendenza avrebbe apposto una limitazione del tutto ragionevole, al fine di assicurare almeno nei periodi invernali l’unitaria percezione del contesto costiero.
La società appellata, costituitasi in giudizio, sottolineava come, nel caso di specie, la “percezione del litorale costiero e retrodunale” non fosse in alcun modo intaccata, “per la particolare conformazione geomorfologica ed orografica del contesto”, come dimostrato con documentazione fotografica e consulenza tecnica. Venivano altresì riproposte le seguenti censure, dichiarate assorbite in primo grado :
I) violazione o falsa applicazione dell’art. 146, comma 8, del d.lgs. n. 42 del 2004, per mancata instaurazione del contraddittorio infra-procedimentale con la società istante, implicando la condizione avversata un sostanziale parere negativo, senza le previste garanzie partecipative.;
II) violazione o falsa applicazione dell’art. 146, comma 9, del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004, in quanto la tardività del parere della Soprintendenza ne avrebbe escluso il carattere vincolante. Nel caso di specie, infatti, la documentazione sarebbe pervenuta alla Soprintendenza il 7 febbraio 2013 e quest’ultima avrebbe reso il proprio parere il 26 marzo 2013, oltre il termine di 45 giorni normativamente prescritto.
La medesima parte appellata, in una memoria conclusiva, sottolineava la tardività del parere, ammessa anche dalla Soprintendenza e la necessità, pertanto, che lo stesso fosse recepito solo con adeguata motivazione.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le argomentazioni, prospettate dall’Amministrazione in sede di appello, debbano essere condivise.
Non è controverso infatti che, nel caso di specie, si discuta di strutture precarie e amovibili, funzionali ad uno stabilimento balneare, pur ricadendo gli interventi su area, di proprietà privata, retrostante a quella costiera oggetto di concessione demaniale. Su tale area – dal punto di vista urbanistico qualificata dal programma di fabbricazione come “zona F3 – Sviluppo turistico” – sono consentite opere al servizio del turismo, come quelle funzionali alla balneazione, nei limiti consentiti dal Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio (PUTT/p, approvato con delibera di G.R. n. 1748 del 15 dicembre 2000), che ammette “nuove costruzioni soltanto se mobili e localizzate in modo da evitare l’alterazione e compromissione del litorale”. Anche nell’area annessa sono autorizzabili “chioschi e costruzioni […] .movibili e/o precari”.
Nella medesima zona, in quanto soggetta a vincolo paesaggistico, gli interventi sono comunque subordinati al parere della Soprintendenza, tenuta ad esprimersi – ai sensi dell’art. 146, comma 9, del d.lgs. n. 22 gennaio 2004, n. 42 – entro quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, fermo restando poi che, dopo sessanta giorni, “l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.
Nel contesto appena descritto, potrebbe apparire improprio il richiamo, contenuto nella sentenza appellata, dell’art. 11, comma 4-ter, della già citata legge regionale della Puglia 23 giugno 2006, n. 17, che disciplina formalmente gli “obblighi del concessionario”, mentre l’area di cui trattasi risulta solo contigua a quella demaniale. L’attuale appellata, tuttavia, possiede detta qualificazione soggettiva (con riferimento al bene demaniale antistante alla proprietà) e non può trascurarsi il fatto che l’area, interessata dagli interventi di cui si discute – pur non essendo compresa in quella oggettodi concessione demaniale – risulta ad essa accorpata nell’ambito di un’iniziativa turistica, che appare unitaria.
In tale peculiare situazione, l‘art. 11, comma 4-ter, della citata legge regionale può ritenersi di più ampio ambito applicativo, in quanto formulato nei seguenti termini (non strettamente riferibili al sedime demaniale): “A parziale modifica dell’art. 3.07.4, punto 4.1, lettera b), del piano urbanistico territoriale tematico (PUTT) […] tutte le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno”. Tale possibilità deve ritenersi, ragionevolmente, estesa alle opere amovibili insistenti anche sull’area annessa, disciplinata dallo stesso articolo del PUTT (comma 3.07.4, punto 4.2).
Il medesimo comma 4-ter, in ogni caso, è stato introdotto dall’art. 1 della legge regionale 2 ottobre 2008, n. 24 dopo che la Corte costituzionale, con sentenza 27 giugno 2008, n. 232 aveva dichiarato l’illegittimità – per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s), della Costituzione, in relazione all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 – del precedente comma 4-bis, che – per le opere “precarie e amovibili di facile rimozione, funzionali all’attività turistico-ricreativa e già autorizzate per il mantenimento stagionale” consentiva “il mantenimento per l’intero anno […] .anche in deroga ai vincoli previsti dalle normative in materia di tutela territoriale, paesaggistica, ambientale e idrogeologica” (senza, quindi, la necessaria valutazione di compatibilità con i valori tutelati ).
La declaratoria di incostituzionalità di cui sopra esclude la generalizzata sottrazione dei manufatti, collocati in aree di grande pregio paesaggistico, alla situazione di temporaneità stagionale, che potrebbe costituire il limite di compatibilità paesaggistica per consentirne l’installazione; si pone, pertanto, un problema di interpretazione costituzionalmente orientata anche della disposizione, introdotta dall’art. 1 della citata legge regionale n. 24 del 2008, al fine di evitare una sostanziale elusione della citata pronuncia n. 232 del 2008.
Il nuovo testo della legge regionale infatti, nel prevedere la possibilità di assenso “per l’intero anno”, potrebbe essere intesa nel senso che la mera “facile amovibilità” possa legittimare comunque la permanenza ininterrotta (e non meramente stagionale) delle strutture in questione, indipendentemente dalla valutazione di compatibilità paesaggisitca: una simile lettura, tuttavia, sarebbe appunto elusiva, ove intesa nel senso di contrastare ipotesi in cui, come nella situazione in esame, la Soprintendenza autorizzi determinate installazioni solo a condizione che, al termine della stagione estiva, l’area venga lasciata libera dalle stesse (cfr. perfettamente in termini, Cons. Stato, VI, 4 novembre 2013, n. 5293). Non può infatti ammettersi che una legge regionale introduca innovazioni al regime della compatibilità paesaggistica, come regolata dal più volte citato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e da effettuare caso per caso, costituendo l’autorizzazione di cui trattasi “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio”(cfr. in tal senso Cons. Stato, VI, n. 5293 del 2013, cit.).
Nel medesimo quadro normativo e per altro, analogo caso pugliese, questa Sezione aveva già precisato che l’esistenza di un’autorizzazione per il solo periodo estivo non implica che la medesima si protragga anche per il periodo invernale: a contesti stagionali diversi corrispondono, infatti, differenti modalità di fruizione dei beni protetti e l’impatto ambientale è comunque minore, se temporalmente limitato (Cons. Stato, VI, 7 settembre 2012, n. 4759). In tale ottica la giurisprudenza ha ribadito che – pur consentendo, in astratto, l’art. 1 della legge regionale n. 24 del 2008 il mantenimento per l’intero anno di strutture, funzionali alla balneazione – l’autorizzazione paesaggistica può comunque imporre che strutture precarie, collocate in uno stabilimento balneare, siano rimosse al termine della stagione estiva, per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico, (Cons. Stato, VI, 18 settembre 2013, n. 4642).
Può anzi ritenersi che la legge regionale della Puglia n. 17 del 2006 (come successivamente modificata ed integrata) – tenuto conto del ricordato art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e della pronuncia della Corte Costituzionale – configuri l’autorizzazione alla permanenza, per l’intero arco dell’anno, dei manufatti di cui trattasi come ipotesi eccezionale, in parte giustificata dal carattere comunque temporaneo delle concessioni demaniali (carattere che non sussiste però per le aree di proprietà privata, come nel caso di specie).
Va poi tenuto conto del principio – da tempo affermato in giurisprudenza, ma ora anche legislativamente sancito – secondo cui costituiscono “nuove costruzioni”, che implicano una modifica dello stato dei luoghi rilevante ai fini giuridici,, i manufatti destinati al soddisfacimento di esigenze in sé stabili, indipendentemente dai materiali usati e dal carattere amovibile rispetto al suolo (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V, 13 giugno 2006, n. 3490; III, 12 settembre 2012, n. 4850; VI, 24 novembre 2014; cfr. anche art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 – Testo unico dell’edilizia – sulla qualificazione come “nuove costruzioni” di “strutture di qualsiasi genere […] che non siano dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee”).
Quando pertanto, come nel caso di specie, nella valutazione dell’Amministrazione il pregio paesaggistico richieda che solo manufatti amovibili possano essere stimati compatibili con il vincolo, è normale che di tali manufatti si preveda la rimozione, quando cessa l’esigenza stagionale che ne aveva richiesto l’installazione.
La scelta, ,d’altra parte, rientra nella rammentata valutazione dell’Amministrazione circa la compatibilità paesaggistica, che risulta non sindacabile nel merito, fatti salvi i noti limiti, entro cui è consentito al riguardo il riscontro giurisdizionale di legittimità (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4759 del 2012, cit.). .
Nella situazione in esame prima la Soprintendenza, poi l’Amministrazione comunale, hanno ritenuto assentibile il progetto presentato dalla società, attualmente appellata, per la sistemazione dello stabilimento balneare, ma a condizione che le strutture – installate durante la stagione balneare – venissero rimosse al termine di quest’ultima, “al fine di non costituire ingombro stabile sul territorio e consentire di apprezzare l’unitarietà e la percezione del litorale costiero e retro-dunale durante il resto dell’anno”. Tale motivazione appare ragionevole e coerente, per un litorale di dichiarata bellezza paesaggistica, di cui si intende preservare l’aspetto naturale e inedificato, pur senza comprometterne la fruizione nel periodo estivo.
Il Collegio non ravvisa, inoltre, la prospettata violazione dell’art. 146, comma 8, del citato d.lgs. n. 42 del 2004 (preavviso di parere negativo), non avendo tale carattere il provvedimento emesso (parere positivo con prescrizioni).
Ugualmente insussistente appare la violazione del successivo comma 9 del medesimo art. 146, in quanto la tardività del parere della Soprintendenza implicava soltanto che l’Amministrazione competente provvedesse “comunque” sulla domanda di autorizzazione, come nella fattispecie avvenuto (con motivazione di cui è già stata ravvisata l’adeguatezza, nei termini sopra illustrati).
La parte appellata ha rappresentato – con documentata relazione tecnica – la scarsa visibilità dei manufatti installati nel contesto naturale esistente, ma le considerazioni, al riguardo svolte, non possono superare quanto già rappresentato, circa la sostanziale correttezza di valutazioni, che intendano tutelare il carattere naturale di siti di particolare pregio. La medesima parte ha anche rappresentato i costi ingenti, che corrisponderebbero al richiesto montaggio e smontaggio delle strutture: tale considerazione, tuttavia, esula dall’apprezzamento di competenza della Amministrazione, essendo rimessa alla parte direttamente interessata (attraverso la scelta di strutture e materiali idonei) la conciliazione delle proprie esigenze economiche e organizzative con il rispetto di prescrizioni, riconducibili al superiore interesse pubblico per la tutela del paesaggio.
Per le ragioni esposte il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo.
Le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente per i due gradi di giudizio, vengono liquidate nella misura di €. 4.000,00 (euro quattromila/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.
Condanna la società appellata al pagamento delle spese per i due gradi di giudizio, a favore del Ministero appellante, nella misura di €. 4.000,00 (euro quattromila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/06/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)