Consiglio di Stato, Sez. VI, n.6639, del 21 dicembre 2012
Urbanistica. Distanza minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di animali.

Le preminenti esigenze pubblicistiche connesse alla salvaguardia delle incomprimibili finalità di igiene e salubrità dei luoghi sottese alla regola della distanza minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di animali hanno necessariamente valenza erga omnes, nel senso che sono poste nell’interesse di tutti i potenziali soggetti che hanno titolo a vederne rispettato il precetto. Ciò implica che l’osservanza della disposizione regolamentare comunale che pone, per ragioni di igiene e sanità pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli allevamenti non può essere interpretata, in senso unilaterale, e cioè che alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso abitativo rispetto ad allevamenti già insediati. Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale interpretazione, dalla quale irragionevolmente deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis, soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal regolamento di igiene. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06639/2012REG.PROV.COLL.

N. 00362/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 362 del 2012, proposto da: 
Comune di Zimella, in persona del sindaco e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Riccardo Ruffo, con domicilio eletto presso Stefano Gattamelata in Roma, via di Monte Fiore 22;

contro

Immobiliare Alex s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Manzi e Luigi Biondaro, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo difensore in Roma, via Confalonieri, 5; 
Lunardi Eliseo, Lovato Claudio, non costituiti in questo grado di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE II n. 782/2011, resa tra le parti, concernente permesso di costruire e demolizione opere abusive

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Immobiliare Alex s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Ruffo, l’avvocato Biondaro e l’avvocato Andrea Reggio D'Aci per delega dell’avvocato Manzi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.- Il Comune di Zimella (provincia di Verona) impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Veneto 6 maggio 2011 n.782 con cui è stato accolto il ricorso proposto dalla Immobiliare Alex s.r.l. avverso l’annullamento d’ufficio, disposto dall’Amministrazione comunale con ordinanza 19 gennaio 2010, del permesso di costruire rilasciato il 6 marzo 2008 in favore della società immobiliare appellata nonché della denuncia di inizio di attività del 2 aprile 2009, anch’essa funzionale alla realizzazione di cinque unità residenziali edificate nell’ambito del piano di recupero di via Giovanni XXIII, stralcio n. 2, in San Stefano di Zimella.

L’appellante Amministrazione censura la sentenza impugnata sotto vari profili, deducendo in particolare: a) violazione ed errata interpretazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, errata lettura e interpretazione del provvedimento impugnato, contraddittorietà della motivazione; b) inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata evocazione al giudizio dell’azienda agricola Iseo di Lunardi Giampaolo e Silvano, espressamente contemplata nell’atto di annullamento impugnato, in quanto promotrice dell’esposto-denuncia che ha sollecitato l’esercizio dei poteri di autotutela. Conclude l’Amministrazione appellante per l’accoglimento dell’appello e per la reiezione consequenziale del ricorso di primo grado, in riforma della impugnata sentenza.

Si è costituita in giudizio la società appellata per contrastare il ricorso in appello e chiederne la reiezione;la stessa società ha proposto appello incidentale avvero il capo decisorio della sentenza impugnata recante il rigetto della domanda risarcitoria proposta in primo grado da essa appellata.

All’udienza del 4 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- Deve essere esaminato per primo il secondo motivo d’appello, afferente la corretta instaurazione del contraddittorio di lite dinanzi al giudice di primo grado.

L’appellante assume che la società appellata avrebbe dovuto notificare il ricorso di primo grado alla società agricola Iseo, quale soggetto controinteressato, e cha la sua omessa evocazione al giudizio dovrebbe comportare la inammissibilità del ricorso di primo grado.

Il giudice di primo grado, nell’affrontare la questione processuale qui all’esame, oggi riproposta con specifico motivo d’appello, ha escluso che la mancata intimazione dell’azienda agricola Iseo potesse comportare conseguenze processuali ostative all’esame del merito del ricorso, rilevando al proposito: a) che il ricorso risultava in ogni caso notificato, oltre che al Comune di Zimella, al signor Eliseo Lunardi, qualificato nell’atto impugnato quale proprietario dei terreni; b) che, in ogni caso, “ il vicino, autore di un esposto o di una denuncia, non assume la veste di controinteressato nel giudizio contro l’annullamento di un determinato provvedimento amministrativo, anche se all’esposto ed al suo autore la p.a. faccia espressamente riferimento nel provvedimento impugnato, poiché il disposto annullamento, effettuato nell’esercizio del potere di autotutela, costituisce un provvedimento d’ufficio, emesso per il raggiungimento di finalità di pubblico interesse”.

Il Collegio ritiene che tali considerazioni siano da condividere. L’autore di un esposto-denuncia non assume per ciò solo le vesti di controinteressato processuale nel giudizio amministrativo instaurato avverso l’annullamento d’ufficio dell’atto, anche ove – come nella specie - il suo ritiro sia stato sollecitato nella denuncia.

L’autotutela decisoria, per quanto sollecitata da terzi portatori di interessi di mero fatto al suo esercizio, resta prerogativa dell’Amministrazione non soltanto nel suo concreto atteggiarsi, ma anche in relazione alla autonoma valutazione delle condizioni, in fatto ed in diritto, per il suo esplicarsi. Per tal ragione, l’impugnazione diretta avverso l’atto di annullamento di ufficio di un pregresso provvedimento abilitativo non va notificata necessariamente all’autore dell’esposto-denuncia che aveva sollecitato l’esercizio dell’atto di autotutela, ferma comunque la facoltà di quest’ultimo di intervenire ad opponendum nel relativo giudizio.

3.-Nel merito, l’appello dell’Amministrazione comunale è fondato e va accolto.

La questione giuridica da dirimere attiene alla legittimità del provvedimento col quale il Comune di Zimella ha fatto luogo all’annullamento, in autotutela, del permesso di costruire rilasciato in favore dell’odierna società appellata nonché degli effetti della denuncia di inizio di attività a suo tempo prodotta per alcune modifiche di destinazione d’uso relative al medesimo complesso residenziale costituito da cinque unità abitative.

A base dell’autoannullamento l’Amministrazione comunale di Zimella ha posto la questione dirimente dell’intervenuta violazione, da parte della società costruttrice dell’immobile, della disposizione contenuta nell’art.96 del Regolamento comunale di igiene, che impone la distanza minima di settantacinque metri dagli allevamenti civili. La circostanza fattuale inerente la violazione di detta distanza rispetto all’allevamento gestito dall’azienda agricola Iseo nel caso in esame è pacifica ed incontestata, in quanto la nuova costruzione è stata in parte realizzata, dalla società odiernamente appellata, a distanza inferiore a quella prevista dalla citata disposizione regolamentare; si discute tra le parti se ai fini del calcolo di detta distanza minima si debba aver riguardo soltanto ai locali adibiti a stalla, ove gli animali stazionano abitualmente, ovvero anche alla sala di mungitura ed ai locali accessori, dato che soltanto in relazione a questi ultimi (e non anche alle stalle) si pone un problema di violazione di quella distanza minima.

Il Tribunale amministrativo è pervenuto alla pronuncia di accoglimento, ritenendo l’illegittimità del provvedimento in primo grado impugnato, seguendo il seguente percorso logico: a) è assorbente la violazione dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241 avendo l’Amministrazione trascurato di evidenziare l’interesse pubblico concreto e attuale sotteso all’esercizio dell’autotutela, vieppiù visto il lungo lasso temporale tra il rilascio del permesso di costruire ed il suo annullamento d’ufficio; b) in ogni caso è rispettata la distanza rispetto ai locali di stabulazione, la violazione dell’art. 96 del Regolamento di igiene essendo riferibile soltanto ai locali accessori (sala mungitura e deposito latte), dal che non potrebbe evincersi un interesse pubblico in re ipsa al ripristino della legalità; c) la disposizione assuntivamente violata non postula reciprocità, nel senso che “la ratio ad essa sottesa sembra essere quella di impedire l’insediamento di nuovi allevamenti con conseguente creazione del pericolo e non anche quella di escludere l’accettazione di disagi connessi all’edificazione di edifici residenziali in prossimità degli allevamenti stessi”; d) il permesso di costruire a suo tempo rilasciato ed oggetto di annullamento dopo circa ventidue mesi non faceva riferimento alcuno all’obbligo di rispettare la distanza di settantacinque metri e, d’altra parte, l’autodichiarazione del progettista non contiene elementi di falsità, la stessa facendo riferimento alla distanza dalla stalla; e) vero è che l’Amministrazione già nel maggio 2008 ha avviato il procedimento per l’accertamento delle distanze ma tale procedimento non ha mai concluso, salva l’adozione della sospensione del procedimento conseguente alla presentazione, a lavori ormai conclusi, della domanda di agibilità da parte della società interessata.

4.- Ritiene il Collegio che tale decisione, assunta sulla base della motivazione brevemente qui riprodotta, non sia condivisibile e non resista alle censure dedotte dalla Amministrazione comunale appellante.

In particolare, è per il Collegio dirimente osservare quanto segue, a comprova del fatto che nessun affidamento legittimo si sia nella specie potuto radicare in capo alla società appellata e che, quindi, i poteri di annullamento d’ufficio siano stati correttamente esercitati avuto rispetto delle condizioni individuate dall’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990 n. 241: a) il permesso di costruire oggetto di annullamento è stato rilasciato sul presupposto (poi rivelatosi non veritiero) del rispetto delle norme igienico sanitarie vigenti, per come attestato in data 4 marzo 2008 dal tecnico progettista incaricato dalla società odiernamente appellata; b) l’autorizzazione ad attuare il piano di recupero del 21 ottobre 2002, conseguente alla variante urbanistica ottenuta dalla società per realizzare l’intervento edilizio, recava l’esplicita prescrizione che gli insediamenti civili da realizzare all’interno del piano avrebbero dovuto rispettare la distanza minima di settantacinque metri dagli allevamenti esistenti; c) è significativo osservare che pochi giorni dopo l’avvio dei lavori (7 aprile 2008) da parte della società costruttrice l’Amministrazione ha comunicato (12 maggio 2008) l’avvio del procedimento funzionale al controllo sulla regolarità degli atti adottati: prudenza avrebbe imposto alla società di astenersi dal dar corso ad ulteriori interventi prima della positiva finalizzazione del procedimento di controllo.

A fronte di tali emergenze, a ragione l’Amministrazione assume la piena legittimità dell’esercizio dell’autotutela, senza che in contrario possa farsi valere la pretesa carenza di ponderazione dei contrapposti interessi, ai sensi del citato art. 21-nonies della legge generale sul procedimento amministrativo.

Al proposito vale osservare, ancora in senso dirimente, che le preminenti esigenze pubblicistiche connesse alla salvaguardia delle incomprimibili finalità di igiene e salubrità dei luoghi sottese alla regola della distanza minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di animali hanno necessariamente valenza erga omnes, nel senso che sono poste nell’interesse di tutti i potenziali soggetti che hanno titolo a vederne rispettato il precetto.

Ciò implica che l’osservanza della disposizione regolamentare che pone, per ragioni di igiene e sanità pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli allevamenti non può essere interpretata, come assume il giudice di primo grado, in senso unilaterale, e cioè che alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso abitativo rispetto ad allevamenti già insediati.

Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale interpretazione, dalla quale irragionevolmente deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis, soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal regolamento di igiene. D’altra parte il rispetto della disposizione regolamentare si impone anche a salvaguardia degli aventi causa della società immobiliare, quali acquirenti degli appartamenti destinati a civile abitazione, perché è proprio in relazione alla loro posizione giuridica che si pongono le delicate questioni afferenti la salubrità dell’aria. Non par dubbio che l’amministrazione comunale anche delle esigenze abitative di tali soggetti si sia fatta implicitamente carico nell’esercizio dell’autotutela di guisa che il provvedimento, tenuto conto di tali primarie esigenze di tutela della salute umana, non risulta adottato in carenza dei presupposti.

Allo stesso modo, risulta contrastante con la stessa ragione della prescrizione sulle distanze di cui si tratta la soluzione interpretativa, che lo stesso giudice di primo grado sembra condividere, di ammettere la scomposizione materiale dei locali ove si esercita l’allevamento, a seconda delle specifiche destinazioni d’uso, per inferire non condivisibilmente che, assicurato il rispetto della distanza dalla stalla ove gli animali stazionano, non rileverebbe che la sala mungitura ed il deposito latte siano a distanza inferiore a quella minima regolamentare.

Non par dubbio al contrario che l’allevamento vada considerato, ai fini che qui interessano, quale un complesso edilizio unitario, rispetto al quale le esigenze di igiene e salubrità dei luoghi destinati ad abitazioni civili rilevano quali che siano le specifiche destinazioni d’uso ( peraltro col tempo mutevoli) impresse dall’imprenditore agricolo ai singoli locali ove l’allevamento di animali viene in concreto esercitato.

Nemmeno appare condivisibile e pertinente il rilievo svolto in memoria conclusiva dalla difesa della società immobiliare Alex riguardo al titolo di sanatoria edilizia a suo tempo ottenuto (il 5 giugno 1992) dall’azienda agricola in relazione all’immobile adibito ad allevamento. Quand’anche fosse provato che, in occasione del rilascio del predetto titolo in sanatoria, non siano stati conteggiati i locali accessori ai fini del calcolo della distanza dalla zona di completamento edilizio ( 150 metri), cionondimeno la circostanza non potrebbe comportare una diversa soluzione della questione controversa, avuto riguardo: a) alla consolidazione degli effetti del provvedimento di sanatoria, ormai intangibile in difetto di un’ impugnazione tempestiva; b) alla necessità che, in sede di nuova edificazione da parte della società immobiliare Alex, si dovesse in ogni caso tener conto della situazione attuale con riguardo alle costruzioni preesistenti, a prescindere dalle questioni di legittimità dei titoli edilizi a suo tempo rilasciati.

5.- L’accoglimento dell’appello principale comporta la declaratoria di improcedibilità dell’appello incidentale proposto dalla società appellata sul capo risarcitorio, dato che l’accoglimento di quest’ultimo postulerebbe – ciò che è stato escluso - l’accertamento della illegittimità dell’autoannullamento e quindi la infondatezza dell’appello principale.

Per quanto detto, va accolto l’appello principale e dichiarato improcedibile l’appello incidentale; in riforma della impugnata sentenza, va pertanto respinto il ricorso originario della odierna società appellata.

Le spese e competenze del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello ( RG n. 362/12), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado; dichiara improcedibile l’appello incidentale.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/12/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)