Cass. Sez. III n. 16096 del 28 aprile 2025 (UP 16 gen 2025)
Pres. Ramacci. Est. Aceto Ric. Isaia
Beni culturali.Delitto di cui all'art. 518-duodecies c.p.

In caso di bene di proprietà comunale, il requisito della “culturalità” non richiede un provvedimento amministrativo che lo dichiari espressamente, essendo necessario e sufficiente che tale requisito sia desumibile dalle caratteristiche oggettive del bene stesso. L’interesse culturale può essere desunto dalle caratteristiche della "res" non solo per il valore comunicativo spirituale, ma anche per requisiti peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione, alla rarità e ad altri analoghi criteri. La relativa prova può essere fornita in ogni modo consentito dal codice di procedura penale (non necessariamente mediante perizia), trattandosi di questione che non deve sfuggire alla cognizione del giudice (art. 2 cod. proc. pen.) e la cui soluzione deve essere esternata nei modi imposti dall’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. (fattispecie relativa alla distruzione dell’opera d’arte “La Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, installata a Napoli in Piazza Municipio).  

RITENUTO IN FATTO

1.Simone Isaia ricorre per l’annullamento della sentenza del 4 aprile 2024 della Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza del 7 dicembre 2023 del Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, pronunciata all’esito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, qualificato il fatto rubricato al capo A ai sensi dell’art. 424, primo e secondo comma, cod. pen., ha rideterminato la pena nella misura di due anni e sei mesi di reclusione, confermando nel resto la condanna anche per il reato di cui agli artt. 518-duodecies, 518-sexiesdecies cod. pen. a lui ascritto per aver completamente distrutto, dandole fuoco, l’opera d’arte “La Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, installata a Napoli in Piazza Municipio. Il fatto è contestato come commesso il 12 luglio 2023.  
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 159 e 420-ter cod. proc. pen. in conseguenza della mancata notificazione del verbale di udienza del 30 novembre 2023 rinviata per legittimo impedimento dell’imputato, non potendo tale nullità sanare l’erronea dichiarazione di assenza per il fatto che il difensore lo aveva avvisato telefonicamente del rinvio.
1.2.Con il secondo motivo deduce la illogicità e la contraddittorietà della motivazione in ordine alla affermazione della sua personale responsabilità sol perché trovato in possesso di dieci accendini e alcuni fiammiferi da lui detenuti senza una ragione ritenuta plausibile dai Giudici di merito.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 518-duodecies cod. pen. contestando che l’opera distrutta potesse essere qualificata come “bene culturale” penalmente rilevante.


CONSIDERATO IN DIRITTO

2.Il ricorso è infondato.

2.Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1.Secondo il consolidato insegnamento della Corte di cassazione, in caso di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento dell'imputato, l'omessa notifica a quest'ultimo dell'avviso di fissazione della nuova udienza determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, come tale sanabile se non dedotta nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma secondo, cod. proc. pen., a condizione che all'imputato medesimo sia stata ritualmente notificata la citazione in giudizio (Sez. 6, n. 25500 del 28/04/2017, B., Rv. 270032 - 01; Sez. 5, n. 17027 del 23/01/2013, Musciolà, Rv. 255503 - 01; Sez. 6, n. 2324 del 22/11/2006, Lucarelli, Rv. 235724 - 01; Sez. 1, n. 29254 del 04/06/2024, Ghilardi, non mass.; Sez. 7, n. 29045 del 02/07/2024, Maiale, non mass.).
2.2.Nel caso di specie, incontestata la corretta instaurazione del contraddittorio con l’imputato ritualmente citato a comparire per l’udienza del 30 novembre 2023, il verbale dell’udienza che disponeva il rinvio del processo al 7 dicembre 2023 per impedimento dell’imputato a comparire non è stato notificato a questi, nel frattempo evaso e resosi irreperibile; tuttavia, il difensore, all’udienza del 7 dicembre non solo non aveva dedotto alcunché ma aveva chiesto procedersi con rito abbreviato condizionato e aveva rassegnato le proprie conclusioni senza nulla eccepire sulla assenza del proprio assistito ed anzi comunicando di averlo telefonicamente avvisato.
 
3.Il secondo motivo è manifestamente infondato e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
3.1.La Corte di appello ha confermato il giudizio di penale responsabilità dell’imputato affermando che dal sistema di video-sorveglianza si notava un uomo (identificato, senza travisamenti di sorta, nell’odierno ricorrente) avvicinarsi all’opera (h. 5.18.12), scomparire dietro di essa (h. 5.18.12), riapparire dopo 15 secondi (h. 5.18.27) e infine allontanarsi alle ore 5.18.28 non senza aver rivolto un ultimo sguardo all’opera stessa che alle ore 5.18.25 (mentre cioè il ricorrente si trovava ancora dietro di essa) cominciava ad essere attinta dalle prime fiamme. L’imputato era stato poi trovato in possesso di dieci accendini (tutti funzionanti) e alcuni fiammiferi, benché sprovvisto di tabacco o sigarette. La Corte di appello ha escluso che autrice del fatto potesse essere considerata una donna che stava praticando jogging a quell’ora del mattino e che  si era avvicinata alla statua per soli sei secondi non mostrando alcun particolare interesse e proseguendo la corsa.
3.2.Il ricorrente se ne duole osservando che: a) non vi è un solo elemento dal quale desumere il suo interesse per la statua, apoditticamente escluso in capo alla donna; b) non è rilevante il maggior tempo trascorso nei pressi della statua stessa se si considera che il minor tempo impiegato dalla donna è dipeso dal fatto che ella correva, lui no; c) il rinvenimento degli accendini e dei fiammiferi depone a suo favore perché, in caso contrario, sicuramente se ne sarebbe liberato, laddove egli è una persona senza fissa dimora che usa gli accendini per rivenderli o per accendere il fuoco nelle serate fredde.
3.3.Il ricorrente, dunque, non deduce il travisamento delle prove, vizio configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l'errore accertato sia idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 - 01; Sez. 1, n. 53600 del 24/11/2016, dep. 2017, Sanfilippo, Rv. 271635 - 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
3.4.Egli si lamenta del malgoverno logico delle prove che, a suo avviso, si prestano ad una lettura alternativa.
3.5.Si tratta di censure inammissibili per due motivi.
3.6.In primo luogo perché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01).
3.7.In secondo luogo perché l’illogicità della motivazione, come vizio deducibile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Ed invero, la verifica che la Corte di cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito (Sez U, n. 2110 del 23/11/1995, Fachini, Rv. 203767 - 01), visto che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 - 01).
3.8.Nel caso di specie, il ragionamento della Corte di appello, anche nella esclusione della tesi difensiva, non evidenzia alcuna frattura logica evidente tra le premesse di fatto e le conseguenze che se ne traggono, con conseguente impermeabilità della motivazione alle censure dedotte.

4.Il terzo motivo è infondato.
4.1.Oggetto materiale della condotta è “La Venere degli Stracci”, versione originale in scala monumentale dell’opera di Michelangelo Pistoletto, artista di chiara fama, fondatore dell’Arte Povera della quale l’opera, in versione ridotta, costituisce la prima manifestazione.
4.2.L’opera era stata donata al Comune di Napoli dalla fondazione Pistoletto ed era unica nel suo genere.
4.3.Trattandosi di opera di proprietà del Comune di Napoli, la qualificazione come “bene culturale” prescinde dalla sua formale qualificazione come tale ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 10, commi 1 e 3, d.lgs. n. 42 del 2004.
4.4.Il Tribunale ha fatto applicazione dell’indirizzo cd. sostanzialistico sul rilievo che si tratta di «opera d’arte di livello assoluto», realizzata da «uno dei più grandi artisti contemporanei e maestro dell’Arte Povera».
4.5.In sede di appello, il ricorrente aveva dedotto che l’opera era stata realizzata con materiale plastico ma nel resto le sue deduzioni erano generiche e assertive, così come generiche e assertive sono le odierne lagnanze che mal si coniugano con le precise prese di posizione della Corte di appello sulla unicità dell’opera e sul suo valore artistico-simbolico, rappresentando essa il contrasto tra antichità e modernità, «prestandosi a distinte interpretazioni, passando dalla critica al consumismo alla capacità rigeneratrice della bellezza».
4.6.Il ricorrente sostiene che un’opera non può essere qualificata come “bene culturale” in base al messaggio che l’artista vuole con essa trasmettere, ma deve avere un interesse differente, più propriamente artistico, che non corrisponde al solo fatto di essere frutto del lavoro di un’artista. Nè, prosegue, il requisito della culturalità può essere rinvenuto nel fatto della collocazione dell’opera in una piazza importante del Comune di Napoli, trattandosi di questione che rappresenta, semmai, un interesse sociologico o, a tutto voler concedere, pubblico di divulgazione. 
4.7.Nessuno di questi rilievi è decisivo.
4.8.Il Titolo Ottavo-bis del Libro Secondo del codice penale, intitolato «Dei delitti contro il patrimonio culturale» ed inserito dall’art. 1, comma 1, lett. l), legge n. 22 del 2022, non fornisce una autonoma definizione, a fini penalistici, di “patrimonio culturale” o di “bene culturale”. Si tratta di elementi (totalmente e non eventualmente) normativi della fattispecie per la cui definizione è necessario attingere a norme extrapenali che ne descrivono i contenuti. Le definizioni di “patrimonio culturale” e di “bene culturale” sono fornite dagli artt. 2, 10 e 11 d.lgs. n. 42 del 2004 per i quali «il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici» (art. 2, comma 1) e beni culturali sono «le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà». 
4.9.Trattandosi di bene di proprietà comunale, il requisito della “culturalità” non richiede un provvedimento amministrativo che lo dichiari espressamente, essendo necessario e sufficiente che tale requisito sia desumibile dalle caratteristiche oggettive del bene stesso (Sez. 3, n. 24988 del 16/07/2020, Quercetti, Rv. 279756 - 01; Sez. 2, n. 36111 del 18/07/2014, Medda, Rv. 260366 - 01; Sez. 3, n. 24344 del 15/05/2014, Rapisarda, Rv. 259305 - 01; Sez. 3, n. 47922 del 25/11/2003, Petroni, Rv. 226870 - 01). L’interesse culturale può essere desunto dalle caratteristiche della "res" non solo per il valore comunicativo spirituale, ma anche per requisiti peculiari attinenti alla tipologia, alla localizzazione, alla rarità e ad altri analoghi criteri (Sez. 3, n. 45814 del 14/11/2001, Cricelli, Rv. 220742 - 01). La relativa prova può essere fornita in ogni modo consentito dal codice di procedura penale (non necessariamente mediante perizia), trattandosi di questione che non deve sfuggire alla cognizione del giudice (art. 2 cod. proc. pen.) e la cui soluzione deve essere esternata nei modi imposti dall’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. 
4.10.In altre parole, quando si tratta dei beni indicati dall’art. 10, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, l’accertamento della natura culturale del bene è questione di fatto che appartiene alla esclusiva competenza del giudice di merito il cui ragionamento può essere sindacato in sede di legittimità nei limiti indicati dall’art. 606 cod. proc. pen. i quali: (a) ostano alla possibilità della Corte di cassazione di procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione (la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali: Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944 - 01); (b) pongono il limite della natura manifesta della illogicità della motivazione che, in quanto tale, deve risultare “ictu oculi” evidente (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794); (c) non consentono di dedurre violazioni di legge deducibili e non dedotte in appello.
4.11.Nel caso di specie, il ricorrente deduce, formalmente, la violazione dell’art. 518-undecies cod. pen., ma di fatto sollecita la Corte di cassazione, da un lato, alla inammissibile “rilettura” della determina dirigenziale di spesa del Comune di Napoli che dà conto delle ragioni dell’installazione dell’opera in pubblica piazza (determina della quale non viene dedotto il travisamento e che non è stata nemmeno allegata al ricorso), dall’altro, alla rivalutazione, nel merito, delle ragioni indicate dalla Corte di appello a sostegno della culturalità del bene prescindendo, peraltro, dalle specifiche e tutt’altro che manifestamente illogiche considerazioni dei Giudici di merito.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.