Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4620, del 17 settembre 2013
Beni culturali.Legittimità diniego condono per deposito attrezzi, autorimessa e tettoia afferenti ad una chiesa vincolata

E’ legittimo il diniego di sanatoria e il provvedimento di demolizione, di opere edilizie consistenti in deposito attrezzi, autorimessa e tettoia afferenti ad una chiesa, vincolata ai sensi del decreto n.490/1999. La libertà religiosa di edificare immobili da destinare al culto non può includere anche quella di edificare immobili che non sono in senso stretto destinati al culto ma ad attività di promozione umana.  L’attività religiosa (estranea alla disciplina dello “ius aedificandi”) in tema di edificazione deve recepire un criterio discretivo, senza il quale potrebbe sostenersi non soggetta ad alcun controllo qualsiasi attività edilizia solo perché in qualche modo legata, anche indirettamente, ad una proprietà ecclesiastica nella quale si esercita il culto. Infatti la giurisprudenza ha stabilito che le costruzioni non destinate a scopi di culto, ancorché edificate a ridosso dell’edificio di culto, ma adibite a scopi che, pur rientrando pienamente nelle finalità parrocchiali, non possono essere dette “di culto” in senso stretto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)



N. 04620/2013REG.PROV.COLL.

N. 09936/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9936 del 2006, proposto da: 
Parrocchia dei Ss.Marco e Michele in Magliano, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Lauricella, con domicilio eletto presso Maria Teresa Barbantini in Roma, viale Giulio Cesare, 14;

contro

Comune di Forli', Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggio Ravenna; Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00988/2006, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2013 il Cons. Raffaele Potenza e uditi per le parti gli avvocati Giovanni Lauricella e l'avvocato dello Stato Antonio Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con ricorso al TAR dell’Emilia Romagna, la Parrocchia S.S. Marco e Michele di Magliano, in Comune di Forlì, chiedeva l’annullamento dei seguenti atti :

- il parere negativo (13 ottobre 2003, n. 12814), espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio di Ravenna, sulla condonabilità di manufatti abusivi (deposito attrezzi, autorimessa e tettoia) ;

- la nota 30 dicembre 2003 del Comune di Forlì, Servizio Urbanistica ed Edilizia, recante diniego della domanda di concessione in sanatoria relativamente alla costruzione di due manufatti destinati a deposito attrezzi ed autorimessa;

- i conseguenti dinieghi di sanatoria, resi dal Comune di Forlì il 30 dicembre 2003 e il 13 febbraio 2004.

Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso .

Di qui l’appello proposto dalla cennata Parrocchia , affidato ai motivi trattati nel prosieguo dalla presente decisione.

Si è costituito nel giudizio il Ministero dei beni culturali, resistendo al gravame.

Alla pubblica udienza del 28 maggio 2013 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.

DIRITTO

La controversia sottoposta alla Sezione verte sulla legittimità dei provvedimenti in epigrafe specificati ed in forza dei quali è stato negato il condono (chiesto ai sensi della legge n.721/1994) e disposta la demolizione, di opere edilizie (consistenti in deposito attrezzi, autorimessa e tettoia) afferenti ad una chiesa, vincolata ai sensi del decreto n.490/1999. .

1.- Nel primo ordine di censure, l’appellante sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione (art.112 c.p.c), avendo motivato la decisione su argomentazioni ultronee rispetto a quelle prospettate dalle parti, pronunziandosi su una domanda non proposta quale l’accertamento della destinazione d’uso delle opere oggetto di condono. Tale indagine sarebbe del tutto preclusa al giudicante posto che la destinazione dei luoghi all’esercizio del culto non è controversa. La censura è infondata.

Premesso che il dispositivo della decisione non reca alcun accertamento ma soltanto una pronunzia sulla proposta azione di annullamento, l’unico riferimento che si coglie nella sentenza alla destinazione al culto era in realtà indispensabile al fine di delibare sul motivo che sosteneva la violazione dell’art. 8 della legge 1089/1939 (necessità di agire d’intesa con l’autorità ecclesiastica ove le costruzioni risultassero destinate a scopi di culto). La valutazione del TAR sul punto si colloca quindi pienamente nel solco dell’azione di annullamento proposta dalla ricorrente, in relazione alla quale il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi fattuali che emergono e che sono suscettibili di determinare la decisione sulla domanda propostagli. Tra questi emergeva, ed emerge decisivamente, proprio la distinzione tra edifici destinati o meno al culto.

2.- Errato sarebbe poi il convincimento espresso dal TAR per cui le costruzioni in controversia non possono rientrare negli scopi di culto. La libertà religiosa di edificare immobili da destinare al culto (ed invocata dall’appellante per escludere le opere dalla necessità del negato condono) includerebbe anche quella di edificare immobili che non sono in senso stretto destinati al culto ma ad attività di promozione umana, sotto il profilo materiale e spirituale, sicché illegittimamente riduttivo risulta, come ha ritenuto il primo giudice, valutare le pertinenze in questione come estranee agli scopi di culto. La tesi, pur muovendo da apprezzabili riferimenti costituzionali specificamente in tema di libertà religiosa (ma estranei alla disciplina dello “ius aedificandi”) è errata poiché trascura la necessità , cui assolve la giurisprudenza indicata dal TAR , di reperire un criterio discretivo, senza il quale potrebbe sostenersi non soggetta ad alcun controllo qualsiasi attività edilizia solo perché in qualche modo legata, anche indirettamente, ad una proprietà ecclesiastica nella quale si esercita il culto. Al riguardo è utile richiamare l’argomentazione formulata dallo stesso TAR (seppur per respingere il cennato profilo di carattere procedimentale) per cui “……. le costruzioni non destinate a scopi di culto, ancorché edificate a ridosso dell’edificio di culto, ma adibite a scopi che, pur rientrando pienamente nelle finalità parrocchiali, non possono essere dette “di culto” in senso stretto (v. Cons. Stato, VI, 12 maggio 1954, n. 338; Cons. Stato, IV, 15 marzo 1983, n. 115)”.

3.- Vi sarebbe poi contraddittorietà della motivazione ove la sentenza da un lato ricorda che il vincolo è imposto dalla legge e comporta la necessità di agire, ai fini del condono, d’intesa con l’autorità ecclesiastica e dove, per le costruzioni non destinate a scopo di culto, esclude la necessità di agire d’intesa. Anche questa osservazione non ha alcun fondamento, poiché le due affermazioni attengono a fattispecie del tutto opposte. La prima, riferita alla necessità dell’intesa, opera infatti solo per gli edifici vincolati destinati in senso stretto al culto, sicché per la seconda è corretto affermare (a contrariis) che ove l’immobile non lo sia non è necessario alcun accordo o intesa. La chiara specularità delle due fattispecie esclude quindi il vizio di eccesso di potere per contraddittorietà

4.- Inconferenti sono, infine, le considerazioni con le quali l’appellante contrasta il vincolo imposto sugli edifici adibiti a chiesa e canonica; ed invero (a parte il difetto di rilevanza rispetto al tema del contendere che non riguarda né la chiesa né la canonica), il contestato vincolo non è all’origine dell’impugnato diniego di condono (che interessa le menzionate opere “accessorie”), sicché non può oggettivamente entrare nelle questioni oggetto dell’odierno appello.

5.- Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

6.- Sussistono giuste ragioni per disporre, tra le parti costituite, la compensazione delle spese del presente grado di giudizio, attesa la sufficiente complessità della fattispecie sottoposta al Collegio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in ordine al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.

Dichiara interamente compensate tra le parti costituite le spese del presente grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 maggio 2013 , dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con l’intervento dei signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)