Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4010, del 30 luglio 2013
Beni culturali.Impianti pubblicitari di “arredo urbano” nel centro storico

E’ legittimo l’ordine della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di rimozione degli impianti pubblicitari all'interno del centro storico anche se definiti di “arredo urbano”. La collocazione degli impianti pubblicitari nel concetto di arredo urbano non vale ad escludere che gli stessi rientrino comunque nel novero dei “cartelli o altri mezzi di pubblicità”, e possano considerarsi opere rilevanti ai fini dell’obbligatorietà della valutazione statale di compatibilità con i vincoli culturali e paesaggistici, considerate le dimensioni caratteristiche, e la destinazione ad un uso durevole (novennale) e non meramente transitorio. La valorizzata finalità pubblica di miglioramento estetico e funzionale rispetto alla situazione preesistente, caratterizzata da impianti di tipo tradizionale, sovente abusivi, non esclude la possibilità di pregiudizio per i valori tutelati e l’esigenza della valutazione di compatibilità degli organi preposti (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).





N. 04010/2013REG.PROV.COLL.

N. 04113/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4113 del 2012, proposto da: 
Clear Channel Jolly Pubblicità s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Manzi, Fulvio Lorigiola, Luciana Palaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Confalonieri, 5;

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Grimaldi, Giuseppe Dardo, Antonio Andreottola, Giacomo Pizza, Giuseppe Tarallo, Anna Pulcini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza per i beni architettonici, il paesaggio, il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Napoli e Provincia, in persona del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE IV n. 1527/2012, resa tra le parti, concernente rimozione impianti pubblicitari all'interno del centro storico - risarcimento danni.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza di Napoli e Provincia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2012 il Cons. Silvia La Guardia e uditi per le parti gli avvocati Andrea Reggio D'Aci, per delega dell’avvocato Manzi, Pizza per delega dell’avvocato Pulcini, e dello Stato Santoro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Risulta dagli atti processuali che Nnel 2002 la qui appellante società Clear Channel Jolly Pubblicità s.p.a. (di seguito solo la società o Clear Channel) si è risultò aggiudicataria della gara indetta dal Comune di Napoli per la concessione di autorizzazioni alla installazione di superfici pubblicitarie ed ha stipulato il contratto n. 71793 del 1° agosto 2002 che, per quanto qui interessa, le attribuiva la facoltà di installare in zona rossa (centro storico) oggetti di arredo urbano pubblicitario per nove anni e il diritto allo sfruttamento a fini pubblicitari di una predeterminata superficie espositiva.

Con disposizione dirigenziale n. 43 del 23 febbraio gennaio 2004 sono stati approvati i progetti distributivi degli impianti, e con vari provvedimenti sono state rilasciate le autorizzazioni all’installazione dei singoli impianti in ciascun atto specificamente indicati.

Nel 2005 la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di per Napoli e provincia le ha contestato l’a installazione di tabelloni pubblicitari in aree prossime a edifici monumentali avvenuta senza autorizzazione dell’autorità preposta, disponendone la rimozione, e con note rivolte anche al Comune lo ’ha sollecitato ad intervenire per quanto di competenza.

Faceva seguito nota dirigenziale del 26 ottobre 2005, n. 4165 con la quale è stato comunicato alla società l’avvio del procedimento volto all’eventuale rimozione dei manufatti nonché all’adozione di intese per lo spostamento dei medesimi, comunicazione riscontrata dalla società con osservazioni di data 14 novembre 2005, nella quale, tra l’altro, si segnalava l’avvenuta impugnazione dei provvedimenti della Soprintendenza.

Più recentemente, con nota del 4 febbraio 2010, n. 476, il Comune, premesso che la Soprintendenza, sulla scorta della documentazione trasmessa dal Comune, aveva dato corso alle verifiche sugli oggetti di arredo urbano già installati, al fine di valutarne la compatibilità ambientale, e che aveva redatto un elenco di quelli che compromettevano la percezione dei valori paesaggistici o monumentali oggetto di salvaguardia, ha comunicato alla società l’avvio del procedimento di annullamento delle autorizzazioni rilasciate in assenza delle prescritte autorizzazioni della Soprintendenza e per le quali non era stato possibile conseguirle.

Da ultimo è intervenuto il provvedimento n. 4128 del 21 settembre 2010 di annullamento parziale, limitatamente agli impianti di arredo urbano pubblicitario, di tipologia quadri topografici, quadri informativi e totem, specificamente elencati (circa 55), delle disposizioni dirigenziali nn. 118 del 2003, 17, 19 e 20 del 2005, 8 e 14 del 2006.

Il provvedimento è stato impugnato dalla Clear Channel, lamentando l’illegittima riduzione della superficie pubblicitaria utilizzabile, e con sentenza 3 aprile 2012, n. 1527 il Tribunale amministrativo regionale della Campania ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure proposte e, conseguentemente, la domanda di risarcimento del danno.

Il giudice di prime cure ha, in estrema sintesi, ritenuto che l’esercizio del potere di autotutela era avvenuto nell’ambito dei parametri fissati dall’art. 21nonies l. 7 agosto 1990, n,. 241, stante la necessità del doppio titolo abilitativo e la pretermissione della Soprintendenza, che doveva necessariamente intervenire nel procedimento, nonchéè la prevalenza dell’interesse pubblico in materia di tutela dei valori paesaggistici e storico culturali, interesse che, peraltro, non trovava di fronte a sé una posizione di affidamento meritevole di tutela della società ricorrente.

La società ha proposto appello contestando l’omessa considerazione dei profili di illegittimità dedotti in via principale, ciascuno dei quali idoneo ad autonomamente determinare l’annullamento del provvedimento impugnato (censure indicate sotto la lettera A), e l’erronea valutazione delle critiche svolte in via graduata (critiche esposte sub B), lamentando che il primo giudice abbia considerato, in buona sostanza, solo le rappresentate violazioni dell’art. 21- nonies l. n. 241 del 1990, con argomenti del tutto apodittici e non condivisibili.

Dopo un’ampia premessa nella quale viene diffusamente illustrata la vicenda, l’appellante deduce:

A1) assoluta assenza di valutazione e motivazione, nonché grave incongruità rispetto al motivo, qui riproposto, di eccesso di potere per assoluta inesistenza del presupposto relativo a profili di irregolarità dei manufatti installati, assunto quale essenziale motivazione del provvedimento impugnato, e violazione dell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241; sostiene che la localizzazione degli impianti era stata comunque approvata dapprima in via generale con la disposizione dirigenziale n. 43 del 2004, indi con i successivi atti di autorizzazione, riferiti anche all’esatta ubicazione di ogni singolo elemento;

A2) assoluta assenza di valutazione e motivazione, nonché grave incongruità, relativamente al riproposto motivo di “Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 21, comma 5, e dell’art. 10, commi 1, 3 lett. a) e 4 lett. g) ovvero del combinato disposto di quest’ultima disposizione con l’art. 12 del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 – Violazione dell’art. 157 del D. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e, in subordine, dell’art. 165 del medesimo Decreto Legislativo ovvero violazione dell’art. 160, nonché degli artt. 49, 162 e 168 del Codice dei Beni Culturali – Violazione dell’art. 23, comma 7, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nonché dell’art. 13 del D.Lgs. 8 agosto 2000, n. 267”; mancherebbe ogni fondamento normativo del provvedimento impugnato, considerato che non sussiste alcuna violazione della disciplina di tutela dei vincoli architettonico-culturali o paesaggistici, in primo luogo perché si tratta di meri elementi di arredo urbano per i quali altro non occorre che l’autorizzazione dell’ente proprietario della strada, non essendo equiparabili a opere o interventi edilizi e non comportando una irreversibile trasformazione dei luoghi, essendone prevista la rimozione alla scadenza novennale, ed ulteriormente perché gli arredi non producono alcun danno a beni tutelati, dovendosi anche considerare che il piano di arredo urbano risponde a finalità pubbliche di miglioramento estetico e funzionale; inoltre: a) nella specie tutti gli impianti e le relative localizzazioni erano stati autorizzati con il provvedimento del 23 gennaio 2004, n. 43 (avendo le successive autorizzazioni, ai sensi del contratto, il mero scopo di verificare la corresponsione delle somme previste dal Piano generale degli impianti) e non potrebbe essere applicata retroattivamente la disposizione dell’art. 10 del nuovo Codice dei beni culturali entrato in vigore il 1° maggio 2004 secondo cui “i beni mobili e immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli altri Enti Pubblici Territoriali o a persone giuridiche private senza fine di lucro, sono sottoposte alle disposizioni di tutela fino a quando non sarà effettuata la verifica di interesse culturale ai sensi dell’art. 12”;b) con riferimento alle pubbliche piazze,vie altri luoghi pubblici, il regime vincolistico potrebbe considerarsi applicabile solo a far data dalla presentazione, per ciascun luogo, della richiesta di attivazione della procedura di cui agli artt. 12 e 13 d.lgs. n. 42 del 2004 ed in presenza di una minimale documentazione che ne attesti, almeno in ipotesi, un qualche rilievo ai fini della tutela, non potendo accettarsi una interpretazione dell’art. 10, comma 4, lett. g), e 12 d.lgs. citato che conduca ad un regime vincolistico generalizzato e indiscriminato; c) con riferimento ai vincoli paesaggistici, l’appellante, rilevato che spetta all’autorità locale ex at. 157 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, vigente ratione temporis, la competenza, subdelegata al Comune, a svolgere la valutazione di compatibilità, sostiene che l’autorizzazione degli impianti di arredo urbano dimostri come i medesimi hanno ottenuto il placet dell’amministrazione competente anche alla vigilanza su detti vincoli; doveva, pertanto, essere riconosciuta la legittimità dei circa 25 impianti asseritamente ricadenti in area soggetta a vincolo paesaggistico;

A3) assoluta assenza di valutazione e di motivazione, nonché grave incongruità rispetto al motivo, qui riproposto, di eccesso di potere per insanabile contraddittorietà fra il provvedimento impugnato e i precedenti provvedimenti comunali di indizione della gara per il nuovo sistema di arredo urbano e di approvazione del progetto inerente il medesimo intervento e violazione dell’art. 3 l. n. 241 del 1990; si evidenzia che nessuna interlocuzione con la Soprintendenza è posta dagli artt. 6 e 7 del capitolato prestazionale tra gli oneri a carico dell’appaltatore, mentre il successivo art. 8 affida al Comune l’autorizzazione generale nonché quelle specifiche per le singole localizzazioni ovvero la richiesta di spostamento delle ubicazioni inizialmente previste, nonché la verifica sulla congruità delle installazioni rispetto al progetto approvato e alle norme del Piano generale degli impianti, il quale ultimo contiene all’art. 3 una norma dedicata al rispetto dei vincoli. Pertanto l’approvazione delle localizzazioni comporta, secondo l’appellante, che gli impianti sono irreversibilmente legittimi, in quanto implicano anche la avvenuta positiva verifica, che, del resto, costituiva esclusivo onere del Comune, della compatibilità con il regime dei vincoli di tutela culturale, architettonica o paesaggistica, con conseguente radicamento di un pieno affidamento della società ed esclusione della possibilità di considerare abusive le installazioni; l’intervenuto annullamento si porrebbe in aperta contraddizione con gli atti precedenti;

A4) omessa o incongrua valutazione del motivo, riproposto, di eccesso di potere per grave e insanabile incongruità del provvedimento assunto rispetto agli atti di interlocuzione con la Soprintendenza – violazione dell’art. 12 del capitolato prestazionale, violazione dell’art. 14 del contratto stipulato in data 1 agosto 2002, rep. 71793 – violazione dell’art. 22 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; si rileva che il contratto contempla la possibilità di introdurre modifiche alle localizzazioni ma prevedendo che, in tal caso, l’amministrazione debba proporre siti alternativi, per mantenere invariato il controvalore in termini di spazi pubblicitari, mentre nella specie l’atto di annullamento è intervenuto senza neppure ipotizzare modifiche delle localizzazioni degli impianti prima della rimozione di quelli installati e senza che la Soprintendenza, invitata dal Comune a valutare eventuali prescrizioni, sulle ubicazioni e tipologie di arredo, si sia tempestivamente pronunciata;

B1) insufficienza e erroneità della motivazione della sentenza gravata, nonché grave incongruità e intrinseca contraddittorietà della stessa rispetto al motivo, in questa sede riproposto, volto a denunciare la violazione dell’art. 23, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, eccesso di potere per errata considerazione dei presupposti di fatto rilevanti nella fattispecie, violazione del comma 13 bis, terzo periodo, del medesimo art. 23 del codice della strada; si sostiene che la componente pubblicitaria di un impianto di arredo urbano non ne muta la natura e così la relativa subordinazione solo alle competenze autorizzative del Comune di Napoli, ente proprietario della strada; per poter ritenere applicabile il penultimo periodo del comma 7 dell’art. 23 CdSdel Codice della strada, che consente, “purchéè autorizzati dall’ente proprietario della strada … cartelli di valorizzazione e promozione del turismo indicanti siti d’interesse turistico e culturale e cartelli indicanti servizi di pubblico interesse” basterebbe che sia escluso che gli impianti abbiano finalità esclusivamente pubblicitaria, laddove gli elementi di arredo urbano hanno prioritariamente funzione di pubblica utilità;

B2) erroneità della sentenza in ordine al riproposto motivo di violazione dell’art. 21- octies e, comunque, in linea graduata, dell’art. 21- nonies l. 7 agosto 1990, n. 241, eccesso di potere per contraddittorietà, violazione dell’art. 3 l. cit.; si sostiene, in estrema sintesi: I a) il provvedimento annulla atti di autorizzazione specifica che costituiscono meri corollari del contratto e della determina di approvazione in via generale n. 43 del 2004 e comunque non indica in che senso gli elementi di arredo considerati in concreto compromettano il pregio monumentale, architettonico o paesaggistico di volta in volta in rilievo; I b) il provvedimento è intervenuto otto anni dopo la stipula del contratto e sei dopo la determina n. 43/2004, ossia entro un termine che non può certo definirsi “ragionevole”; I c) non si è affatto tenuto conto dell’interesse della società destinataria del provvedimento, che altera gravemente il sinallagma contrattuale, sottraendo superfici pubblicitarie; II a) il tema della verifica del rispetto dell’art. 21- nonies l. citata sarebbe stato sbrigativamente affrontato da primo giudice con argomenti apodittici, contraddittori tra loro e contrastanti con le palesi risultanze dei fatti e con cosa giudicata tra le stesse parti (l’interesse pubblico all’annullamento non coincide col mero ripristino della legalità, onde occorreva valutare in concreto, per singolo impianto, il relativo impatto negativo; né tale interesse potrebbe riconnettersi all’impossibilità di convalida, apoditticamente affermata dal primo giudice, scontando che, ove richiesto, il parere della Soprintendenza avrebbe dovuto essere negativo, malgrado non si tratti di attività tecnica vincolata; il Tribunale amministrativo Tar aveva in precedenza accolto un ricorso della Clear Channel avverso un ordine di rimozione impartito dalla Soprintendenza; nella doverosa valutazione caso per caso dovrebbe anche essere considerato che si tratta di elementi di modeste dimensioni e pregevole fattura che, semmai, arricchiscono le bellezze monumentali e paesaggistiche di informazioni alla collettività, in sostituzione del dilagante disordine abusivo, quello si deturpante, che precedentemente aveva caratterizzato la pubblicità nella città di Napoli); II b) palese irragionevolezza del termine entro il quale è intervenuto il provvedimento, senza neppure tener conto dell’occorrente compensazione con altre superfici pubblicitarie almeno uguali a quelle oggetto di modifica; II c) ingiustificata esclusione della “buona fede” della società, il cui affidamento poggiava su solidi elementi quali l’intervento della sentenza n. 1001 del 2009 che avrebbe dovuto segnare l’apertura di una fase di contraddittorio con la Soprintendenza, la natura precaria dei manufatti, la distinzione, nel piano generale degli impianti, tra i mezzi ordinari e l’arredo urbano, con esclusione di quest’ultimo dall’applicazione della procedura “complessa”, l’affidamento al solo Comune, ex art. 8 del capitolato, di tutta l’attività istruttoria, con conseguente esclusione di un’interlocuzione diretta della società con la Soprintendenza.

Resistono il Comune di Napoli, che controdeduce in memoria, ed il Ministero per i beni e la attività culturali –Soprintendenza di Napoli.

La società ha dimesso atto di replica alle difese del Comune, indi la causa è stata chiamata all’udienza del 4 dicembre 2012 e posta in decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è infondato e la sentenza gravata merita conferma, per le ragioni di seguito esposte.

1.1.- La controversia riguarda un atto di autotutela autotutela del 20102 con il quale il Comune di Napoli ha disposto l’annullamento parziale di alcune autorizzazioni all’installazione di elementi di arredo urbano pubblicitario, rilasciate diversi anni prima alla società odierna appellante, limitatamente ai singoli impianti specificamente elencati (circa 55cinquantacinque), collocati in aree soggette ai vincoli, culturali o paesaggistici, pure essi dettagliatamente specificati in relazione a ciascun impianto, perché rilasciate in assenza delle prescritte autorizzazioni della Soprintendenza.

Si tratta, come puntualizzato nella previa comunicazione di avvio del procedimento del 4 febbraio 2010, di impianti per i quali non era (in via postuma e nella prospettiva di una convalida) “stato possibile conseguire le autorizzazioni prescritte dalla normativa in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio”, in ragione della “incompatibilità” degli impianti con i valori tutelati dai vincoli, segnalata dalla Soprintendenza con la richiamata nota 21 gennaio 2009, nella quale la medesima aveva fornito un elenco degli impianti “che compromettono la percezione dei valori paesaggistici o monumentali oggetto di salvaguardia e che, pertanto, non possono essere autorizzati”.

Le censure dedotte in primo grado ed i motivi di appello che le alimentano dopo la reiezione sono rivolti a contestare, sotto svariati profili, la sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere di cui il provvedimento gravato è espressione.

Per ragioni di chiarezza espositiva e di sintesi, le numerose censure, più dettagliatamente riferite nell’esposizione in fatto che precede, verranno vengono qui raggruppate ed vagliate secondo un ordine logico, esaminando, in sequenza, i temi riconducibili agli aspetti della: a) esistenza o meno di profili di illegittimità delle autorizzazioni annullate; e b) esistenza o meno di un interesse pubblico attuale all’annullamento e di posizioni di legittimo affidamento ingenerate nel tempo in capo alla società.

2.- E’ opportuno, introduttivamente, puntualizzare le caratteristiche dei tre tipi (tra i vari contemplati) di impianto di arredo pubblicitario di cui qui si discute. Il provvedimento impugnato specifica che essi appartengono alle tipologie quadri topografici, quadri informativi e totem. ; dDal bando di gara e dal capitolato, oltre che dal contratto siglato dalle parti, si rileva che i primi hanno dimensione fino a 3 mq. per faccia, i secondo fino a 12 mq. per faccia, mentre i totem sono descritti nel Ppiano generale degli impianti pubblicitari – vale a dire, nello strumento regolamentare comunale sui mezzi di pubblicità permanente e la loro distribuzione - come “eElemento tridimensionale multifacciale, vincolato al suolo da apposita struttura di sostegno, finalizzato alla diffusione dei messaggi”; il provvedimento gravato, evidenzia, altresì, che i “quadri informativi di dimensioni 4x3 sono addirittura destinati esclusivamente alla pubblicità, commerciale ed istituzionale”.

Considerate le predette caratteristiche materiali nonchéè la finalità e l’utilizzazione, quantomeno in buona parte, pubblicitaria dei predetti impianti, - ben desumibile, del resto, dallo stesso contratto già citato (che all’art. 1 si riferisce alla “nuova rete pubblicitaria” e nelle premesse parla di “installazione di circa 10.000 mq. di superficie pubblicitaria in zona rossa su oggetti di arredo urbano”) così come dai provvedimenti autorizzatoriautorizza tori -, va condiviso il rilievo del giudice di primo grado che non si tratta solo di meri elementi di arredo urbano, in relazione ai quali possa fondatamente sostenersi che, in ogni caso, vale a dire anche in presenza di vincoli culturali o paesaggistici, altro non necessiti che l’autorizzazione dell’ente proprietario della strada ai sensi dell’art. 23 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (“Nuovo codice della strada”) e non vi sia stata, dunque, alcuna violazione della disciplina di tutela dei beni vincolaticulturali e del paesaggio.

Non giova, in particolare, alla società odierna appellante invocare, per accreditare la tesi della sufficienza sul piano procedimentale dell’assenso comunale, il non pertinente disposto del comma 7 del predetto art. 23, comma 7, disposizione a norma della quale, dopo un divieto generalizzato di “qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi”, si prevede che “Sono consentiti i segnali (indicanti servizi o indicazioni agli utenti purché autorizzati dall'ente proprietario delle strade. Sono altresì consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, purché autorizzate dall'ente proprietario della strada ed entro i limiti e alle condizioni stabilite con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Sono inoltre consentiti, purché autorizzati dall'ente proprietario della strada, nei limiti e alle condizioni stabiliti con il decreto di cui al periodo precedente, cartelli di valorizzazione e promozione del territorio indicanti siti d'interesse turistico e culturale e cartelli indicanti servizi di pubblico interesse”).

Il riferimento, fatto dalla ricorrente, laddove riferito ai “cartelli indicanti servizi o indicazioni agli utenti purchèé autorizzati dall’ente proprietario delle strade” ed ai “cartelli di valorizzazione e promozione del turismo indicanti siti d’interesse turistico e culturale e cartelli indicanti servizi di pubblico interesse” non è sufficiente a far venir meno il necessario vaglio di compatibilità e culturale e paesaggistica e perciò non è sufficiente a radicare la pretesa che un siffatto vaglio non debba aver luogo ad opera dell’autorità competente. La disposizione del citato art. 23, comma 7, infatti specificamente concerne “qualsiasi forma pubblicitaria lungo o in vista di itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade exrtraurbane principali e relativi accessi” ed, inoltre, si riferisce, per quanto nei punti richiamati consentito, a cartelli indicatori.

T; tale disposizione, dunque, non reca specifiche e assorbenti disposizioni per gli elementi di arredo urbanoin questione, contrariamente a quanto sostenuto dalla Clear Channel che poi ne, traendone altresì il corollario che, ai sensi del successivo comma 13 bis, terzo periodo, del medesimo art. 23, comma 13-bis, terzo periodo, Ccod. strad., l’unica sanzione irrogabile sarebbe quella pecuniaria e non anche la rimozione (che è stata invece disposta col provvedimento impugnato in primo grado come conseguenza dell’annullamento delle autorizzazioni all’installazione degli impianti per mancato assenso dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli).

Non risultaè, quindi, di per sé sola decisiva - in ordine alla legittimità dell’installazione di impianti in presenza di vincoli culturali o paesaggistici e così alla legittimità delle autorizzazioni annullate - la circostanza, prioritariamente valorizzata dal che l’appellante tenta di valorizzare, che il Comune aveva comunque approvato i progetti di localizzazione sia in via generale, con riferimento all’intera prestazione oggetto dell’appalto e del successivo contratto, mediante la disposizione dirigenziale n. 43 del 23 febbraio 2004, sia con riferimento ai singoli elementi di arredo, con le successive disposizioni dirigenziali nn. 17, 19 e 20 del 2005 e 8 e 14 del 2006 recanti anche l’esatta ubicazione di ogni elemento,: In realtà era comunque necessitariando la previa ed autonoma valutazione positiva di compatibilità dell’autorità statale preposta alla tutela dei valori paesaggisitici tutelati mediante i vincoli stessi.

Vale infatti alla base considerare che la disposizione dell’art. 23, comma 7, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada) riguarda gli interessi pubblici connessi alla viabilità stradale, in primis quello della sicurezza della circolazione e quindi quelli di informazione, e che quindi per questo le ponderazioni di interessi a favore di questi ultimi che quel Codice senz’altro nella seconda parte del comma fa, si esauriscono in una comparazione legislativa rispetto al primo interesse. Invece la disposizione dell’art. 50 (manifesti e cartelli pubblicitari) per i beni culturali e dell’art. 157 (cartelli pubblicitari) per i vincoli paesaggistici d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico dei beni culturali e ambientali) – poi (in continuità sostanziale di fattispecie abilitativa che deriva dal carattere di riordino e di riassetto dei due corpi normativi, dunque senza innovazioni normativa per cui qui si possa porre questione di retroattività) art. 49 (manifesti e cartelli pubblicitari) per i beni culturali, e art. 153 (cartelli pubblicitari) per i beni paesaggistici d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, entrato in vigore il 1º maggio 2004) - è finalizzata alla cura dell’interesse culturale e paesaggistico. Questa seconda cura, anche per ragioni costituzionali (posto che trova base nel principio fondamentale dell’art. 9 Cost., secondo cui la Repubblica tutela il patrimonio culturale), è preminente e in pratica in ogni caso condizionante la prima: nel senso che anche nei casi in cui il Codice della stradapresume la compatibilità dell’installazione riguardo agli interessi di sua propria cura, nondimeno occorre – a consentire di legittimare definitivamente l’installazione – che vi sia, quale presupposto provvedimentale, un concreto e positivo giudizio di compatibilità culturale e paesaggistica (mediante, per i beni culturali, il “previo parere favorevole della soprintendenza sulla compatibilità della collocazione o della tipologia dell'insegna con l'aspetto, il decoro e il pubblico godimento [fruizione, nel testo dal 1º maggio 2004] degli edifici o dei luoghi soggetti a tutela” e, per i beni paesaggistici, con “previo parere favorevole della Regione[dal 2004: del soprintendente] sulla compatibilità della collocazione o della tipologia dell'insegna con l'aspetto, il decoro e il pubblico godimento degli edifici o dei luoghi soggetti a tutela” [dal 1º maggio 2004 con “con i valori paesaggistici degli immobili o delle aree soggetti a tutela”] ). Dato che questo giudizio è procedimentalmente delineato dalla disposizione del comma 2 di entrambi gli articoli come un parere nei fatti vincolante(proprio perché attinente alla cura di altri interessi pubblici), l’autorizzazione “stradale” non può essere rilasciata se quel medesimo previo parere è sfavorevole alla istanza. Quanto agli elementi di sostanza, tutto ciò è reso chiaro dal testo intero della disposizione, dove nessuna deroga coerentemente si prevede, a carico di questo giudizio di compatibilità, nei casi riferibili al detto art. 23, comma 7.

Del resto, aAnche il comunale piano generale degli impianti pubblicitari (approvato con delibera consiliare n. 419 del 24 ottobre 1999), del resto, al titolo IV (dedicato agli impianti di proprietà privata, per i quali, in premessa, viene determinata la superficie totale in mq. 43.500, di cui mq. 33.500 di superficie pubblicitaria su mezzi ordinari e mq. 10.000 di superficie pubblicitaria collegata all’arredo urbano, quest’ultima prevista per la c.d. zona rossa) prevede all’art. 5 (“Rilascio”) la definizione del procedimento con atto complesso per gli impianti da installare in zone vincolate, richiedendo il consenso della Soprintendenza in caso vincoli storico-artistici ovvero apposito provvedimento sindacale per quelli ambientali.

Non può essere condivisa – se non al prezzo di ritenere la previsione pianificatoria illegittima per violazione delle rammentate norme di legge - la tesi della società secondo cui il terzo comma del successivo art. 10, comma terzo (“Impianti richiesti in connessione con l’arredo urbano”), secondo per cui “Per installare gli impianti di arredo urbano nelle zone gialla, azzurra e verde del Piano generale degli impianti, occorre seguire il procedimento stabilito per gli impianti tradizionali”, escluderebbe l’applicabilità dell’art. 5, in cui compare l’interlocuzione necessaria con la Soprintendenza, relativamente agli impianti di arredo urbano collocati nella zona rossa, ossia in centro storico, proprio ove maggiore è la presenza di vincoli, in particolare culturali.

I; in realtà il predetto art. 5 contempla, in via generale, tutte le possibili modalità di conclusione del procedimento, compreso il diniego ed il silenzio, ed è chiaramente all’evidenza valevole per tutte le tipologie di impianti e tutte le zone di insatallazione. L e la previsione invocata dall’appellante va piuttosto intesa nel senso di precisare che l’installazione di arredo urbano in altre zone, - in relazione alla quale il precedente l’art. 1 chiarisce che eventuali pubblicità sui predetti impianti rientra nel predeterminato quantitativo di mq. 33.500 previsti per le superfici pubblicitarie su mezzi ordinari -, non fruisceono di agevolazioni procedimentali (ma solo di quelle in termini di canone previste dai successivi commi dell’art. 10 citato) e richiedeono il medesimo procedimento previsto per gli altri mezzi di pubblicità.

La specificità per la zona rossa espressamente prevista dall’ predetto art. 10, al comma 2, riguarda in realtà la obbligatorietà della tipologia di impianti in essa ammessi.

La definizione come arredo urbano, peraltro, non vale, sotto altro profilo, ad escludere che gli impianti oggetto delle autorizzazioni annullate, che comunque rientrano nel novero dei “cartelli o altri mezzi di pubblicità” di cui parla la legge di tutela, debbano comunque considerarsi opere rilevanti ai fini dell’a obbligatorietà della valutazione statale di compatibilità con i vincoli culturali e paesaggistici,, considerate le dimensioni caratteristiche degli impianti di cui in concreto si discute, destinati ad un uso durevole (novennale) e non meramente transitorio. E , così come la valorizzata finalità pubblica di miglioramento estetico e funzionale rispetto alla situazione preesistente, caratterizzata da impianti di tipo tradizionale, sovente abusivi, non esclude la possibilità di pregiudizio per i valori tutelati e l’esigenza della valutazione di compatibilità dell’ gli organoi prepostoi.

L’odierna appellante lamenta, inoltre, che l’amministrazione abbia fatto illegittima applicazione retroattiva del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio”), entrato in vigore il 1° maggio 2004, ed in particolare della previsione di cui all’art. 10, relativamente ad impianti già autorizzati con la determinazione del 23 gennaio 2004, n. 43; le successive autorizzazioni avrebbero a suo dire l’esclusivo scopo di verificare l’effettiva corresponsione da parte del concessionario delle somme dovute prima di procedere alla concreta installazione.

La tesi non convince.

Anzitutto va ancora rammentata la continuità sostanziale di fattispecie tra il d.lgs. n. 490 del 1999 e il d.lgs. n. 42 del 2004, il che di suo esclude l’innovazione normativa a cavallo del 1° maggio 2004 e dunque ogni questione di retroattività del Codice. Sicché la medesima norma, figurante in entrambe le coppie di disposizioni succedutesi nel tempo, era operativa anche alla data del 23 gennaio 2004, cioè prima del 1° maggio 2004 (data di entrata in vigore, giusta il suo art. 183, comma 7, del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Semmai è da rilevare che allora non era stato ancora – a decorrere sempre dal 1º maggio 2004 - abrogato, dall’art. 184 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, il ben più rigoroso art. 23, comma 3, del Codice della strada , a norma del quale “lungo le strade, nell'ambito e in prossimità di luoghi sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali e paesaggistiche o di edifici o di luoghi di interesse storico o artistico, è vietato collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari”.

Poi va considerato che lLa deliberazione 23 gennaio 2004, n. 43 del 2004 costituisce solo un’a approvazione in via generale dell’intero progetto di arredo urbano ma , mentre poi, sul piano concreto, sono le successive singole autorizzazioni, di cui l’appellante tende a sminuire la portata, che individuano l’esatta ubicazione dei singoli elementi e forniscono titolo alla vaglio della relativa installazione, ossia costituiscono gli atti conclusivi culminanti del procedimento di autorizzazione dei singoli impianti (non a caso gli unici i soli annullati, e in parte qua, in via di autotutela); l. Lo stesso contratto, infatti, contempla un’a autorizzazione pubblicitaria generale e autorizzazioni impianto per impianto;. Lle autorizzazioni finali rilasciate nella vigenza del d.lgs. n. 42 del 2004, ai sensi del relativo art. 49, erano quindi soggette, con riferimento alle ubicazioni nell’ambito o in prossimità di aree o edifici tutelati come beni culturali, ivi compresi quelli contemplati dall’art. 10 del predettodi questo cCodice, al previo assenso della Soprintendenza.

Vero anzitutto è che il Codice dei beni culturali e del paesaggio è, come detto, entrato in vigore il 1° maggio 2004: ma non meno vero è che, fino a quella data, era in vigore anche il preclusivo art. 23, comma 3, del Codice della strada, che come rammentato vietava in modo assoluto la collocazione di cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade, nell’ambito e in prossimità di luoghi sottoposti a vincoli a tutela di bellezze naturali e paesaggistiche o di edifici o di luoghi di interesse storico o artistico. Perciò Né, atteso il chiaro disposto degli artt. 10, 12 e 13 d.lgs. citato, che configurano un regime di tutela dei beni elencati sino all’effettuazione della verifica di interesse culturale, persuade non è conferente l’assunto della società che, con specifico riferimento alle pubbliche piazze, strade e vie menzionate all’art. 10, comma 4, lett. g) (che riguarda il carattere di beni culturali di “pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico”), dell’art. 10, non sussisterebbe un regime vincolistico ope legis, quantomeno anteriormente alla attivazione da parte dell’ente proprietario, per ciascun luogo, della procedura di cui agli artt. 12 e 13 citati, supportata da congrua dimostrazione dell’interesse storico o artistico di dette piazze, vie e spazi urbani.

Relativamente ai vincoli paesaggistici, la società rileva assume poi che il Codice dei beni culturali ha, per tale profilo, giusto il disposto dell’art. 159, avuto avrebbe vigenza dall’1 gennaio 2010, e trovava, quindi, nella specie applicazione il d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, che all’art. 157 prevedeva per la collocazione di mezzi pubblicitari nei luoghi soggetti a tutela la previa acquisizione di parere favorevole della regione; essendo nella Regione Campania delegata ai comuni la competenza allo svolgimento della valutazione paesaggistica, ne conseguirebbe che con il rilascio delle note autorizzazioni si sarebbe avuto anche il placet dell’autorità competente alla vigilanza sui vincoli predetti.

La conclusione cui giunge l’appellante non può essere condivisa, anzitutto perché il Codice di tutela è in vigore, come ripetutamente detto, dal 1° maggio 2004; poi perché va considerato che le autorizzazioni rilasciatele non contengono alcuna menzione dell’intervento dell’autorità competente alla gestione del vincolo e dunque del necessario parere favorevole di compatibilità paesaggistica. Infine, per quanto concerne il carattere di beni culturali di pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani, la questione si potrebbe in astratto porre solo per il primo degli atti autoannullati, vale a dire per quello del 9 giugno 2003, n. 11823 gennaio 2004, che precede il 1° maggio 2004. A parte ogni dirimente e rilievo sul fatto che gli atti successivi - che sono quelli a vero contenuto provvedimentale di autorizzazione e che dunque rilevano - restano comunque integri perché posteriori al 1° maggio 2004, sta comunque, a tutto concedere, che l’ eccezione non vale perché quel che conta è non che le strade o piazze non fossero ancora oggetto di un apposito vincolo ex lege di bene culturale (vincolo che non necessita di verifiche, perché è automatico a norma dell’art. 10, comma 1, delCodice, e dunque opera dal 1° maggio 2004), ma che quegli spazi aperti fossero laterati da edifici costituenti beni culturali e soprattutto, per la radicalità dell’estensione del vincolo, che i siti in questione fossero sottoposti a vincolo paesaggistico (fatti che, piuttosto, avrebbero dovuto condurre alla più radicale esclusione dell’autorizzabilità, a norma dell’allora vigente art. 23, comma 3, del Codice della strada). Poiché non è dimostrato che tali profili non sussistessero, l’eccezione – per quel che può valere in termini reali, posto che come detto non riguarda i singoli provvedimenti - rimane comunque priva di portata pratica.

Le varie autorizzazioni annullate erano, dunque, sicuramente illegittime.

3.- Risulta, di conseguenza, infondata anche la critica di contraddittorietà del provvedimento gravato in primo grado, peraltro ampiamente e chiaramente motivato in relazione ai presupposti assunti ed in particolare alla posizione contraria della Soprintendenza, con i precedenti provvedimenti di indizione della gara per il nuovo sistema di arredo urbano e di approvazione del progetto inerente l’intervento stesso.

Non convince la critica di incongruità del provvedimento avversato rispetto agli atti di interlocuzione della Soprintendenza, il cui intervento, si assume da parte ricorrente, avrebbe dovuto avvenire tempestivamente e comunque avrebbe potuto, al più, dar luogo alla valutazione di specifiche modificazioni agli impianti e non alla relativa rimozione.

Come si rileva dalla nota di data 13 gennaio 2009 della Soprintendenza (doc. 21 della società) la medesima, in relazione alla documentazione trasmessa dal Comune con nota del 24 novembre 2008 n. 2282, preannunciava sopralluoghi congiunti e verifiche che avrebbero, a seconda dei casi, portato “ad individuare i manufatti da rimuovere senza possibilità di collocazioni alternative nello stesso luogo urbano e quelli che pur restando nello stesso sito, dovranno soltanto cambiare posizione. Tutti gli altri … rimarranno nella attuale posizione”, nonché l’indicazione, in prima istanza, delle installazioni “che, in concreto,compromettono con maggiore evidenza la percezione dei valori paesaggistici o monumentali oggetto di salvaguardia”. F; faceva seguito la nota 21 gennaio 2009 contenente l’elenco delle installazioni lesive di valori tutelati, con segnalazione che in relazione a tali installazioni la Soprintendenza aveva già (con i provvedimenti specificamente richiamati) emesso ordinanze di ripristino o segnalato quelle di cui si sollecitava la rimozione.

Non si riscontra, quindi, la tardività genericamente accennata, considerati i tempi del riscontro della Soprintendenza rispetto al momento di acquisizione della documentazione trasmessa dal Comune e, comunque, la circostanza che la Soprintendenza si era attivata già molto tempo prima (la stessa appellante riferisce, infatti, di aver impugnato vari ordini di rimozione emessi nel 2005, ottenendone la sospensione cautelare ed in un caso l’annullamento per violazione degli artt. 7 e 8 l. 7 agosto 1990, n. 241).

Nemmenoé, certamente, i poteri della Soprintendenza possono considerarsi circoscritti alla facoltà di richiedere adattamenti e specifiche modifiche, ben potendo il suo giudizio la stessa precludere in toto la presenza di installazioni in un determinato contesto, ove ritenute pregiudizievoli degli interessi alla cui cura essa è preposta.

Altro tema è quello del rispetto, da parte del Comune, della previsione dell’art. 12 (“Variazioni”) del capitolato prestazionale e del corrispondente art. 14 del contratto, di cui la società deduce la violazione, disposizioni le quali prevedono che il Comune, prima dell’installazione degli impianti possa concordare variazioni, e che debba “rimanere invariato, comunque, il controvalore in termini di spazi pubblicitari e di loro ubicazione”.

La presente fattispecie, peraltro, non è quella delle variazioni concordate dei lavori di installazione di impianti, che comunque debbono essere debitamente e legittimamente autorizzati, nel qual caso deve essere contestualmente prefigurata una soluzione che garantisca l’invarianza del valore delle prestazioni. Si versa, qui, invece, in un caso di autoannullamento di autorizzazioni illegittime, in presenza di una valutazione in concreto di incompatibilità con vincoli culturali o paesaggistici da parte della Soprintendenza. DSi deve, pertanto, escluderesi che le invocate disposizioni possano essere interpretatersi nel senso di subordinare l’emissione dell’atto di annullamento delle autorizzazioni alla contestuale individuazione di soluzioni alternative ed equivalenti. Il mantenimento dell’equilibrio in termini di superfici pubblicitarie complessive, contemplato dagli atti di gara e dal successivo contratto, può, dunque, in siffatti casi, essere perseguito ricercando, in prima battuta il richiedente l’insatallazione, nuove ubicazioni autorizzabili.

4.- L’interesse pubblico, concreto e attuale, all’annullamento delle autorizzazioni in questione è stato chiaramente illustrato nella motivazione del provvedimento avversato e risiede nell’esigenza di eliminare “la compromissione, tuttora in essere, dei valori estetici, storici ed ambientali causata dagli impianti”che la Soprintendenza aveva singolarmente valutato come incompatibili con detti valori (richiamando i vari provvedimenti già assunti precedentemente alla citata nota del gennaio 2009); emerge, quindi, con chiarezza dalla motivazione del provvedimento l’impossibilità di convalida degli atti illegittimi.

Si tratta di interesse pubblico certamente preminente rispetto a quello del privato interessato al mantenimento degli impianti, la cui recessività è pure essa puntualmente evidenziata nella motivazione del provvedimento stesso.

Non persuadono e non si reputano comunque risolutive le argomentazioni, tese ad addossare, sulla scorta degli artt. 6,7 ed 8 del capitolato prestazionale, al Comune di Napoli tutti gli adempimenti relativi all’acquisizione della valutazione di compatibilità dell’installazione degli impianti coi i vincoli esistenti, spese dall’odierna appellante per denotare la sussistenza di una propria posizione di affidamento meritevole di tutela, per aver in buona fede confidato nella validità delle autorizzazioni annullate.

Nel capitolato prestazionale e nel successivo contratto nulla è esplicitamente stabilito in ordine all’onere di richiesta dell’assenso dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli; ma, anche ad ipotizzare che la previsione dell’art. 8 del capitolato secondo cui il Comune è tenuto “a munire la ditta di una autorizzazione pubblicitaria generale e di autorizzazioni impianto per impianto entro 10 giorni dalle relative richieste”, implichi che proprio e solo il Comune sia onerato dell’interlocuzione con la Soprintendenza (ipotesi che la previsione in detto articolo di un ristretto termine di 10 dieci giorni, cosi come la previsione dell’art. 2 del titolo IV del piano generale degli impianti secondo cui “Il richiedente è, comunque, tenuto a produrre tutti i documenti ed a fornire i dati ritenuti necessari al fine dell’esame della domanda” rendono opinabile), va rilevato che nel senso di escludere, nella specie ( e ammesso che rilevi un siffatto profilo soggettivo in materia di portata oggettiva e di rilievo costituzionale), la configurabilità di un affidamento incolpevole della società nella legittimità delle autorizzazioni depongono, per un verso, la disciplina autorizzatoria vigente e lo stesso piano generale degli impianti (art. 5 del titolo IV), che non è ragionevole ritenere, in parte qua, ignorato dal gestore di impianti pubblicitari e l’assenza nelle autorizzazioni di qualsiasi riferimento all’intervento dell’autorità preposta alla tutela dei vincoli, e, per altro verso, la circostanza che la Soprintendenza si era sin dall’inizio attivata, con provvedimenti che la società ha impugnato. Il tema dell’illegittimità delle autorizzazioni era dunque noto alla società stessa sin dal 2005, onde deve escludersi il consolidamento nel tempo di un suo legittimo affidamento.

Quanto al tempo trascorso dall’emanazione degli atti annullati, si condivide la valutazione del primo giudice di ragionevolezza, in relazione al caso concreto, del pur lungo periodo decorso, tenuto conto, in particolare, anche dell’intervenuta sospensione in via incidentale degli atti della Soprintendenza impugnati dalla società e dell’esigenza di quegli “approfondimenti con il concorso della Soprintendenza, anche al fine di valutare opzioni alternative che non ledessero i valori” tutelati dai vincoli di cui fa menzione il provvedimento di annullamento.

Non giova all’odierna appellante invocare la cosa giudicata in relazione alla sentenza di annullamento di uno degli ordini di rimozione della Soprintendenza, tenuto conto che la sentenza invocata accoglie il solo motivo di violazione delle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 e ss. L. n. 241 del 1990.

Il provvedimento impugnato dà adeguatamente conto della valutazione dell’interesse della destinataria, puntualmente controdeducendo alle osservazioni dalla stessa presentate, mentre non può fondatamente sostenersi che la doverosa considerazione dell’interesse del privato coinvolto debba tradursi anche nell’offerta di localizzazioni alternative.

5.- Per le considerazioni che precedono, va condivisa la conclusione cui è giunto il giudice di primo grado di infondatezza dell’impugnazione e della domanda risarcitoria basata sull’indimostrato assunto della lesione ingiusta degli interessi incisi dal provvedimento e devono essere disattesi tutti i motivi dedotti, tanto sotto la lettera A che sotto la lettera B dell’atto di appello.

L’appello va, dunque, respinto.

6.- Si ravvisano, in considerazione della complessità e della componente interpretativa della controversia, giustificate ragioni di compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 4113 del 2012 lo respinge.

Spese del grado compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)